martedì 10 marzo 2015

Gaza abile diversamente - Chiara Cruciati

Nella Striscia 34 donne disabili lanciano micro imprese per uscire dall’assedio sociale e da quello israeliano. Allevamenti, centri estetici e ricamo per superare l’embargo e abbattere le barriere culturali e l’assenza di servizi.– La strada è vuota. Gli squarci lasciati dai missili sui muri delle case sono quanto resta dell’attacco della scorsa estate. Lungo questa via polverosa in poche ore morirono un centinaio di persone, rappresaglia contro Rafah per la presunta cattura di un soldato israeliano, ci dice Abed mentre arriviamo di fronte alla casa di Heyam. Il padre ci accoglie nel cortile, alberi da frutto e viti. Heyam arriva e ci porta a vedere il suo tesoro. Tra fango e becchime, cammina soddisfatta in mezzo a 1.500 galline. Si piega un po’ e lancia altro becchime. Heyam è disabile da quando il marito l’ha picchiata così forte da mandarla in ospedale, compromettendole per sempre la schiena. Da allora è costretta a sedute di fisioterapia continue. La famiglia la sostiene nel nuovo lavoro che si è inventata: allevamento di polli, che vende al mercato. «Ho iniziato a settembre, con il finanziamento ricevuto ho comprato i primi 1.500 polli. Li ho venduti tutti e con il ricavato ne ho comprati altri 1.500. E così via». Il padre le resta sempre vicino: dopo il divorzio la sua grande famiglia l’ha riaccolta in casa e oggi tutti aiutano nel progetto del pollaio. «Senza l’appoggio di mio padre sarebbe stato difficile – continua Heyam – Ma i miei fratelli mi danno una mano. La crisi è dura: lavoravano nelle costruzioni ma di materiali a Gaza non ne entrano, i cantieri sono fermi. La mia famiglia sopravvive grazie alle mie galline». Una vittoria non da poco: per una donna disabile di Rafah è normale restare esclusa dalla società e dal mercato del lavoro. Una delle categorie più marginalizzate, per il ruolo che alla donna viene attribuito: la persona che si prende cura della casa e cresce i bambini .Su questo punta l’Ong italiana EducAid che a Gaza ha lanciato insieme a due partner locali un progetto di micro finanziamento per donne con disabilità: dopo un training in management, alle donne sono stati consegnati 2.500 euro con cui avviare la loro attività, diventare indipendenti economicamente, sostenere la famiglia, prendere consapevolezza dei propri diritti e capacità. Una sfida in un fazzoletto di terra massacrato dagli attacchi israeliani e dal doppio assedio di Tel Aviv e del Cairo, dove la disoccupazione è alle stelle e il ritorno alla normalità è uno sforzo quasi insopportabile. «Ho preso coscienza delle mie abilità – conclude Heyam – Prima ero quella che veniva sostenuta, oggi sono io a sostenere la mia famiglia. Prendo decisioni da sola e non ho più paura di affrontare la società fuori e le barriere che pone alle donne disabili». Barriere che potrebbero sembrare insormontabili. A El Amal, centro di riabilitazione di Rafah, lo sembrano di meno. Partner locale di EducAid, segue il progetto di micro finanziamento a sud della Striscia, a Rafah e Khan Younis. Fondata nel 1991, prima associazione a lavorare a sud con disabili, oggi è un fiore all’occhiello: una scuola per bambini non udenti, un asilo, una clinica per le diagnosi, un’altra per la terapia, programmi di formazione per sordi, un club per giovani che organizzano attività culturali e sportive. «Prima del 1991, a Rafah non esistevano centri per disabili – spiega al manifesto Darwish Abu Jihad, il direttore di El Amal – Durante la prima Intifada decidemmo di aprire un centro per persone con disabilità: ci presero per pazzi. Conducemmo una ricerca e accertammo la presenza di almeno 3.700 disabili solo a Rafah. Non è stato facile: molte famiglie tendono a nascondere la disabilità, la vivono come uno stigma, una punizione, e quindi la giustificazione all’esclusione sociale». «Oggi molte cose sono cambiate: sono le stesse famiglie a chiederci di far inserire i figli nei nostri programmi. Ma la partecipazione attiva è ancora scarsa: iscrivono i figli, ma non prendono parte al percorso per mancanza di tempo, denaro o per la semplice incapacità di compiere un passo in più. Lasciano che se ne occupino le Ong». A pagarne le spese sono soprattutto le donne, aggiunge Abu Jihad, già marginalizzate. E lo stato di assedio peggiora le cose: «La mancanza di fondi pubblici e l’insostenibilità economica della nostra società impedisce la creazione di servizi, infrastrutture accessibili, assenti spesso anche per i non disabili». Nel profondo sud di Gaza, nella città di confine di Rafah, l’assedio colpisce ancora più forte. Ponte di collegamento con l’Egitto, gli oltre mille tunnel che dopo il 2007 i gazawi hanno costruito per aprirsi al mondo e vincere l’embargo israeliano sono scomparsi. Bombardati o allagati dalle autorità egiziane guidate dal presidente anti-islamista al-Sisi, la cui crociata per distruggere i Fratelli Musulmani si traduce nel soffocamento dei civili gazawi. Le migliaia di lavoratori dei tunnel e dell’indotto hanno perso il lavoro e Rafah si è ripiegata su se stessa. La Gaza della miseria la incontriamo nel vicolo che porta alla casa di Nida’a. Un bambino in bicicletta alza la polvere, una donna stende i vestiti di fronte l’uscio di casa. Nida’a dal primo ottobre ha avviato il suo progetto, allevamento di conigli. La vendita va bene e Nidaa ha usato il denaro guadagnato per comprare anche piccioni e colombe. In mezzo all’odore di varichina, prende in braccio uno dei conigli: «Il giorno prima della vendita vado al mercato per capire i prezzi. La carne di coniglio costa di più di quella di pollo: 20-25 shekel al chilo. Li porto al mercato quando l’Autorità Palestinese paga gli stipendi, così la gente ha soldi da spendere» «Questi conigli per me rappresentano l’indipendenza, la possibilità di mostrare alla comunità che valgo. So cosa significa marginalizzazione. A causa delle continue operazioni non riuscivo a seguire le lezioni e restavo sempre un passo dietro gli altri. La mancanza di educazione e l’impossibilità di trovare un lavoro mi ha fatto sentire un’esclusa per anni. Ma ora produco, lavoro, gestisco la mia attività». È l’obiettivo di El Amal e EducAid: «Il progetto è partito ad aprile – ci spiega Doha, project coordinator dell’associazione palestinese – Abbiamo lanciato corsi di formazione su media e management finanziario. Poi abbiamo selezionato in tutta Gaza 34 donne disabili, a cui abbiamo consegnato il finanziamento per l’avvio delle attività: laboratori di ricamo, allevamento, negozi di accessori, centri estetici. È un successo: non si sentono più delle escluse, sono diventate economicamente indipendenti, molto spesso sono la fonte di sostentamento di un’intera famiglia. Prima la mancanza di denaro le estrometteva dall’accesso ai servizi. Cambia la prospettiva delle donne stesse: ora si percepiscono come un soggetto con un ruolo sociale, prima tendevano ad autoescludersi». EducAid, El Amal e Social Development Forum, il secondo partner locale a Gaza City, monitoreranno i progetti fino a marzo, poi le donne – che raccontano le loro storie nel magazine “Voice of Women” – proseguiranno le loro attività da sole. Tra loro anche Sawsan El Khalili, che a Gaza City ha aperto un negozio di ricamo. Da anni attiva nel settore della disabilità, è stata volontaria nella General Union for Disabled People e ha girato Europa e Medio Oriente a raccontare la condizione di vita dei disabili in Palestina. «Quando la mia attività sarà partita, assumerò un’altra donna disabile perché mi aiuti in negozio. È il mio modo per rivendicare i miei diritti e per combattere l’esclusione sociale che ti colpisce fin dai tempi della scuola. L’assedio completa il quadro: non entrano supporti motori, sedie a rotelle, medicinali. E se devi farti curare, uscire dalla Striscia è impossibile. Siamo vittime di troppi assedi: quello israeliano, quello sociale, quello dentro cui noi stesse ci chiudiamo. Io non ci sto: mi riconosco da sola i miei diritti perché ho mille abilità e sono un’opportunità per la comunità, non un peso».

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