"Inserire la chiavetta". Bip. "Credito: 2,53 euro, selezionare il numero". Bip. Il buongiorno - nell'era della vita self-service - si vede dal mattino. Le tecnologie - diceva quel povero illuso di John Maynard Keynes - libereranno l'uomo dalla schiavitù del lavoro ("massimo 15 ore alla settimana") regalandogli una ricca vita di relazioni. Ha sbagliato in pieno: oggi produciamo in 9 ore quello che nel 1950 si faceva in 40. In ufficio però ci restiamo di più. E quanto alle relazioni, la novità è solo una: abbiamo imparato a farne a meno.
Dal cappuccino delle sette al distributore automatico nel metrò - "Erogazione conclusa, ritirare la bevanda. Credito residuo 2,08 euro". Bip - fino alla cena, dal matrimonio fino alla toelettatura del cane, nel terzo millennio va di moda l'esistenza fai-da-te. Le macchine ci hanno liberato dal più faticoso degli esercizi, quello del rapporto con il resto del genere umano. E oggi, volendo, si possono vivere 24 ore da sogno (senza privarsi di nulla) interloquendo solo con display azzurrognoli, schermi di computer e consulenti - per l'anima e per il cuore - del tutto virtuali. Il glorioso "Time" l'aveva predetto nel 2008: "Le nuove tecnologie faranno del mondo un gigantesco self-service". Ci ha preso più di Keynes. La macchina del cappuccino da 0,45 euro nel mezzanino del metrò - la qualità è quella che è, per carità - è solo la punta dell'iceberg...
continua qui
martedì 30 ottobre 2012
Morrissey (The Smiths) - Meat is Murder
versione per chi non mangia carne
versione per chi mangia carne
Le grida delle Mucche sembrano grida umane
Si avvicina il coltello che urla
E questa bellissima Creatura deve morire
Di una morte senza motivo
E la morte senza motivo è Assassinio
E la carne che voi così fantasiosamente friggete
Non è succulenta, gustosa o gradevole
E' morte senza motivo
E la morte senza motivo è Assassinio
E il vitello che affettate con un sorriso
E' Assassinio
E il tacchino che festosamente tagliate
E' Assassinio
Lo sapete come muoiono gli Animali?
Gli aromi di cucina non sono molto accoglienti
Non è confortante, allegro o piacevole
E' sangue che frigge, e l'odore empio dell'Assassinio
Non è naturale, normale o gradevole
La carne che così fantasiosamente cucini
La carne dentro la tua bocca
Mentre assapori il gusto dell'Assassinio
No, No, No, è un Assassinio!
No, No, No, è un Assassinio!
E chi ascolta quando gli Animali piangono?
versione per chi mangia carne
Le grida delle Mucche sembrano grida umane
Si avvicina il coltello che urla
E questa bellissima Creatura deve morire
Di una morte senza motivo
E la morte senza motivo è Assassinio
E la carne che voi così fantasiosamente friggete
Non è succulenta, gustosa o gradevole
E' morte senza motivo
E la morte senza motivo è Assassinio
E il vitello che affettate con un sorriso
E' Assassinio
E il tacchino che festosamente tagliate
E' Assassinio
Lo sapete come muoiono gli Animali?
Gli aromi di cucina non sono molto accoglienti
Non è confortante, allegro o piacevole
E' sangue che frigge, e l'odore empio dell'Assassinio
Non è naturale, normale o gradevole
La carne che così fantasiosamente cucini
La carne dentro la tua bocca
Mentre assapori il gusto dell'Assassinio
No, No, No, è un Assassinio!
No, No, No, è un Assassinio!
E chi ascolta quando gli Animali piangono?
qui canta Claudia Pastorino
domenica 28 ottobre 2012
la mucca pazza nel 1923 - Rudolf Steiner
Già nel 1923, in una conferenza tenuta a Dornach, Rudolf Steiner mise in guardia sulle conseguenze di un regime alimentare a base di
carne peri bovini (1).
Andrebbe
certamente perduta un'enorme quantità di forza. La forza
che però va perduta nel corpo animale non si può semplicemente
perdere. Il bue viene alla fine del tutto riempito di
questa forza, che compie in lui qualcosa di diverso dal produrre carne
dalle sostanze vegetali.
Questa
forza rimane in lui, c'è di fatto, e compie qualcos'altro. E ciò
che essa compie genera in lui ogni sorta di putridume. Invece di
venir prodotta carne si generano sostanze nocive. Se il bue
iniziasse quindi lmprovvisamente a comportarsi come
un carnivoro, si riempirebbe di ogni sorta di
sostanze
nocive. Si riempirebbe cioè di acido urico e dei suoi sali.
Ora,
questi sali dell'acido urico hanno pure una loro particolare caratteristica,
che
è
quella di ingenerare una debolezza proprio a carico del sistema
nervoso e del cervello. Se
il bue si cibasse direttamente di carne, in lui verrebbe a prodursi
un' enorme quantità di sali urici; questi andrebbero al
cervello
e il bue impazzirebbe.
Se
noi potessimo fare un esperimento: alimentare di punto in
bianco una mandria di buoi con dei colombi, quel che otterremmo
sarebbe una mandria di buoi completamente pazzi. Questo
è quello che accadrebbe. Nonostante i colombi siano cosìmiti,
i buoi impazzirebbero ..."
(1) - Rudolf Steiner, "Salute e malattia.
Linee fondamentali per una teoria dei sensi alla luce della scienza dello spirito" (Conferenze per gli operai del
Goetheanum), non pubblicato in italiano.
da qui
grazie ad Antonella per avermelo segnalato
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domenica 21 ottobre 2012
sabato 20 ottobre 2012
Solo la zappa potrà salvare questo mondo - Carlo Petrini
C’è la pancia di Fiorito intasata di ostriche e quella dei contadini africani svuotata dalle grandi multinazionali, che come la Nestlè e la Danone, hanno confiscato loro ottanta milioni di ettari. C’è questo mondo e quell’altro negli occhi e nell’esperienza di Carlin Petrini, fondatore di Slow Food. “Guardo l’Italia dall’Africa e mi sento disperato. L’umore non cambia se la miro dalle finestre della mia casa di Bra. Resisto allo sconforto rileggendo Edgard Morin, il più lucido pensatore del Novecento e anche di questo nuovo secolo: “Quando credi che sia impossibile uscirne nota i rivoli di energie che come un fiume carsico spuntano di qua e di là. Sono forze liberatrici anarcoidi, gente che in tutto il mondo si allerta e smuove il mondo”. Questa gente è a mani nude e si trova di fronte eserciti insuperabili. Ma il mondo si cambia a mani nude!
L’intelligenza può dove l’ingordigia non riesce a infilarsi.
E in Italia accadrà lo stesso: la terra è il centro del problema, come la accudiamo, come la consumiamo, cosa ci facciamo con la terra. La terra è la questione capitale, non la legge elettorale. Tu campi solo se mangi. Per avere un chilo di carne c’è bisogno di 15 mila litri di acqua: lo capisci o no che non è pensabile continuare così...
L’intelligenza può dove l’ingordigia non riesce a infilarsi.
E in Italia accadrà lo stesso: la terra è il centro del problema, come la accudiamo, come la consumiamo, cosa ci facciamo con la terra. La terra è la questione capitale, non la legge elettorale. Tu campi solo se mangi. Per avere un chilo di carne c’è bisogno di 15 mila litri di acqua: lo capisci o no che non è pensabile continuare così...
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venerdì 19 ottobre 2012
Ecuador 1 e 2
Di notte a Quito, che sta a 2800
metri, il freddo ti investe appena si spalanca la porta automatica
dell'aeroporto. Ma se la mattina dopo di buon'ora, assieme all'incaricato di Oxfam
Italia , señor Jesus, si percorrono un centinaio di
chilometri verso nord sulla Panamericana, si arriva nella provincia andina
dell'Imbabura, a Cotacachi, dove il sole alle 8 picchia già forte, mentre si
arrampica su un cielo di un azzurro accecante e irraggiungibile, senza rendere
mai l'aria torrida. Neanche a mezzogiorno.
"Perché siamo qui". Lungo il percorso, Jesus con voce garbata, la sua faccia antica e gentile da indigeno radicato serenamente nella sua terra, anticipa con parole semplici il lavoro di Oxfam Italia qui in Ecuador. Dove i difficili progetti di cooperazione sono ispirati al grande tema della sovranità alimentare. Il diritto cioè dei popoli della Terra, sempre meno rispettato, che ha molto a che fare con il cibo quotidiano, che si vorrebbe salubre, compatibile con le tradizioni, i gusti maturati attraverso millenarie abitudini gastronomiche. Ma soprattutto è un diritto che afferma il potere inalienabile di produrre cibo con i propri sistemi agricoli, senza le imposizioni e le pressioni dell'oligopolio del sistema alimentare, che orientano la qualità, la quantità e il commercio dei prodotti. Pressioni e imposizioni che, qui in Ecuador, sembrano addirittura incoraggiate dal governo di Rafael Correa, il giovane presidente ecuatoriano che nella campagna elettorale del 2009 aveva invece promesso tutt'altro, e cioè di voler favorire il ritorno all'agricoltura familiare, oltre che il recupero e la tutela delle colture tradizionali…
"Perché siamo qui". Lungo il percorso, Jesus con voce garbata, la sua faccia antica e gentile da indigeno radicato serenamente nella sua terra, anticipa con parole semplici il lavoro di Oxfam Italia qui in Ecuador. Dove i difficili progetti di cooperazione sono ispirati al grande tema della sovranità alimentare. Il diritto cioè dei popoli della Terra, sempre meno rispettato, che ha molto a che fare con il cibo quotidiano, che si vorrebbe salubre, compatibile con le tradizioni, i gusti maturati attraverso millenarie abitudini gastronomiche. Ma soprattutto è un diritto che afferma il potere inalienabile di produrre cibo con i propri sistemi agricoli, senza le imposizioni e le pressioni dell'oligopolio del sistema alimentare, che orientano la qualità, la quantità e il commercio dei prodotti. Pressioni e imposizioni che, qui in Ecuador, sembrano addirittura incoraggiate dal governo di Rafael Correa, il giovane presidente ecuatoriano che nella campagna elettorale del 2009 aveva invece promesso tutt'altro, e cioè di voler favorire il ritorno all'agricoltura familiare, oltre che il recupero e la tutela delle colture tradizionali…
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Chevron vuole gabbare
l'Ecuador - Paola Desai
Una nuova sconfitta legale per Chevron: la
Corte suprema degli Stati uniti ha rifiutato di considerare il suo ricorso
contro il giudizio emesso la scorsa settimana da un tribunale di New York, che
a sua volta respingeva un ricorso presentato dalla compagnia petrolifera.
Quello che Chevron sta cercando (finora invano) di ottenere è che sia bloccata
la condanna a suo carico emessa nel febbraio scorso dal tribunale di Lago
Agrio, cittadina dell'Ecuador: dopo un processo durato ben 8 anni, i giudici
ecuadoriani hanno infatti ritenuto la multinazionale americana responsabile di
aver provocato gravi danni ambientali, condannandola a pagare un sostanzioso
risarcimento - 18,2 miliardi di dollari - alle popolazioni danneggiate. Da
quando la sentenza è stata emessa Chevron le ha tentate tutte. Il suo primo
ricorso è stato respinto dalla Corte d'appello di Lago Agrio, che ha ratificato
il giudizio di primo grado «in tutte le sue parti, inclusa la sentenza per
risarcimenti morali», ovvero quei 18 miliardi di dollari. Allora, urlando che
la decisione del tribunale ecuadoriano è un «chiaro esempio della
politicizzazione e corruzione della magistratura dell'Ecuador», Chevron si è
rivolta alla magistratura degli Stati uniti. Qui però una corte d'appello di
New York ha obiettato che «imputati delusi da un giudizio emesso all'estero»
non possono chiedere alla giustizia americana di «delegittimare il sistema
legale» di un altro paese.
Il caso Chevron versus la popolazione del distretto di Lago Agrio, nell'amazzonia ecuadoriana, è una battaglia cominciata ormai vent'anni fa, nel 1993, quando circa trentamila abitanti dei villaggi di quella regione amazzonica, sostenuti da alcune organizzazioni ambientaliste, hanno fatto causa contro Texaco al tribunale di New York. L'accusavano di aver scaricato nella foresta 18,5 milioni di galloni di rifiuti oleosi (circa 68 milioni di litri), buttati in centinaia di fosse aperte nella zona di sua concessione, oltre a 16 milioni di galloni (64 milioni di litri) dispersi da pozzi e oleodotti…
Il caso Chevron versus la popolazione del distretto di Lago Agrio, nell'amazzonia ecuadoriana, è una battaglia cominciata ormai vent'anni fa, nel 1993, quando circa trentamila abitanti dei villaggi di quella regione amazzonica, sostenuti da alcune organizzazioni ambientaliste, hanno fatto causa contro Texaco al tribunale di New York. L'accusavano di aver scaricato nella foresta 18,5 milioni di galloni di rifiuti oleosi (circa 68 milioni di litri), buttati in centinaia di fosse aperte nella zona di sua concessione, oltre a 16 milioni di galloni (64 milioni di litri) dispersi da pozzi e oleodotti…
giovedì 18 ottobre 2012
mercoledì 17 ottobre 2012
Il latte della Mauritania - Marina Forti
Una «favoletta» che viene dalla Mauritania: illustra come i sussidi agricoli, concessi con larghezza dall'Unione europea ai suoi produttori, siano una concorrenza sleale che soffoca le economie locali altrui. Nel villaggio di Ari Hara, nella Mauritania meridionale, una cooperativa formata da donne ha avviato con successo una produzione di latte e prodotti caseari: trasformano il latte in yoghurt dolce che poi vendono nella vicina città, Boghé, 350 chilometri a sud-est della capitale Nouakchott. Quella è sempre stata una zona di pastori e coltivatori, e da quando le donne hanno formato la cooperativa nel 2009 hanno garantito alle loro famiglie un piccolo reddito stabile e cibo assicurato anche nei periodi di siccità, riferisce Irin news, il notiziario on-line dell'Ufficio Onu per gli affari umanitari (in un dispaccio del 1 ottobre). Certo, la cooperativa potrebbe aumentare la rete di vendita se avesse la possibilità di raggiungere mercati più distanti, ma per questo servirebbero strade migliori e furgoni frigorifero. Un'organizzazione non governativa locale, l'Association mauritanienne pour l'auto-développement (Associazione mauritana per l'auto-sviluppo, Amad) aveva aiutato la cooperativa nella fase di avvio con 30mila dollari di finanziamento, ma non ha fondi per aiutarle a espandersi.
Strade e furgoni però sono solo una parte del problema. C'è un ostacolo ancora più insormontabile, per le donne di Ari Hara: è che il mercato della Mauritania è invaso da latte e latticini importati a basso costo dall'Europa. Pensate: il 60% della popolazione mauritana vive direttamente o indirettamente dell'allevamento (inclusa la produzione casearia), settore che contribuisce circa il 13% del Prodotto interno lordo del paese. Eppure la Mauritania importa il 65% del latte che consuma, sottolinea un rapporto congiunto dell'Associazione mauritana Amad, Oxfam e Acord. In parte è un retaggio del passato recente: ancora negli anni '80 nei mercati delle città mauritane era impossibile trovare latte fresco, c'era solo quello in polvere o a lunga conservazione importato (di solito dall'Europa). Poi però si è sviluppata anche in Mauritania un'industria casearia, che distribuisce latte Uht, yoghurt, panna e così via. Irin ricorda Tiviski, la prima azienda casearia avviata a Noouakchott nel 1987 da una britannica sposata con un mauritano: aveva cominciato a comprare il latte di cammello da produttori delle campagne circostanti, buon latte fresco che poi pasteurizzava e distribuiva in città...
Strade e furgoni però sono solo una parte del problema. C'è un ostacolo ancora più insormontabile, per le donne di Ari Hara: è che il mercato della Mauritania è invaso da latte e latticini importati a basso costo dall'Europa. Pensate: il 60% della popolazione mauritana vive direttamente o indirettamente dell'allevamento (inclusa la produzione casearia), settore che contribuisce circa il 13% del Prodotto interno lordo del paese. Eppure la Mauritania importa il 65% del latte che consuma, sottolinea un rapporto congiunto dell'Associazione mauritana Amad, Oxfam e Acord. In parte è un retaggio del passato recente: ancora negli anni '80 nei mercati delle città mauritane era impossibile trovare latte fresco, c'era solo quello in polvere o a lunga conservazione importato (di solito dall'Europa). Poi però si è sviluppata anche in Mauritania un'industria casearia, che distribuisce latte Uht, yoghurt, panna e così via. Irin ricorda Tiviski, la prima azienda casearia avviata a Noouakchott nel 1987 da una britannica sposata con un mauritano: aveva cominciato a comprare il latte di cammello da produttori delle campagne circostanti, buon latte fresco che poi pasteurizzava e distribuiva in città...
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domenica 14 ottobre 2012
ricordo di Thomas Sankara - Marinella Correggia
Ecologia, femminismo, fame
e povertà zero, cultura, altermondialismo, il credito e non il debito
dell'Africa. A 25 anni dall'assassinio di Thomas Sankara, la rivoluzione del
giovane presidente del Burkina Faso è ancora più che attuale «Lo supplicavo di
proteggersi la vita, gli dicevo che un eroe morto non serve a niente. Adesso
però penso che un eroe morto serva da riferimento». Così il giornalista
malgascio Sennen Andriamirado, nella biografia postuma Il s'appelait Sankara
sottolineava il lascito di quel Che Guevara africano diventato nel 1983
presidente rivoluzionario del poverissimo Alto Volta, rinominato Burkina Faso
ovvero «paese degli integri». Una vicenda luminosa e breve come un lampo.
Sankara fu ucciso a soli 38 anni in un colpo di stato cruento. Interessi
interni di risicati ceti privilegiati saldati a quelli di poteri regionali e
internazionali ebbero la meglio su un'esperienza scomoda e potenzialmente
contagiosa, ma al tempo stesso ancora solitaria, perciò debole. Era il 15
ottobre 1987: venti anni e una settimana dopo l'assassinio del Che. Come una
parola d'ordine Quattro anni sono troppo pochi perché una rivoluzione
sopravviva alla scomparsa violenta della sua guida, soprattutto se di tutta la
testa superiore agli altri politici. E tuttavia Sankara, eroe senza corona e
senza privilegi, rimane un mot de passe , una specie di parola d'ordine. Un
richiamo a ideale e pratiche locali e internazionali adatti al futuro. «Se ci
fosse ancora Sankara», si intitolò un convegno a Torino, nel 2007. Non c'è
angolo che la rivoluzione burkinabè al tempo di Sankara non abbia esplorato:
«Vogliamo essere gli eredi di tutte le rivoluzioni del mondo». Una sfida
enorme, in quel «concentrato di tutte le disgrazie del mondo» (aspettativa di
vita di 40 anni, 98% di analfabetismo, poca acqua, tanta fatica) nel quale però
«donne, bambini e uomini hanno deciso di prendere in mano il proprio destino«
(dal discorso all'Assemblea dell'Onu nel 1984, v. Thomas Sankara, i discorsi e
le idee , edizioni Sankara). Ma ecco un popolo, fatto al 90% di contadini e
donne oppresse, tentare la fuoriuscita dalla miseria, sulla via di uno sviluppo
autonomo, partecipato, egualitario, ecologico per necessità. Il paradigma
sociale e culturale della rivoluzione sankarista era proiettato nel futuro.
Cos'è infatti il buen vivir (o vivir bien ) ora rivendicato da diversi paesi
latinoamericani se non la ricerca di un semplice benessere per tutti, nel
rispetto della natura e dei beni comuni, da raggiungere con strumenti quali
democrazia diretta, economia popolare, risorse endogene? «La nostra rivoluzione
avrà valore solo se, guardando intorno a noi, potremo dire che i burkinabè sono
un po' più felici grazie ad essa», disse il presidente a Bobo Dioulasso il 2
ottobre 1987. Sovranità alimentare nel Sahel L'obiettivo era immenso e immane
in quel contesto. La prova del nove fu superata: risultati materiali inauditi
in poco tempo e quasi senza mezzi. Tutto all'insegna del motto di Sankara:
«Contare sulle proprie forze». Coltivare e irrigare con poche risorse per
garantire due pasti e dieci litri d'acqua al giorno a ognuno. La sovranità
alimentare: «Produrre e consumare burkinabè». «Operazioni commando di
alfabetizzazione» degli adulti. I progetti «un villaggio un bosco, un villaggio
un ambulatorio, un villaggio una scuola». Le «tre lotte contro il deserto» per
un commovente Burkina verde. Il faso dan fani , abito di cotone locale lavorato
artigianalmente. La «battaglia per la ferrovia». L'informazione partecipata con
la «radio entrate e parlate». I lavori comunitari anche per i funzionari (un
tentativo di redistribuzione della fatica). La cultura, inventare il Festival
del cinema africano, le proiezioni nei villaggi, lo sport di massa per la
salute... E i soggetti. La mobilitazione tentata a tutti i livelli nei comitati
rivoluzionari. Al centro di tutto, i contadini e le donne, anche contro i capi
villaggio e gli sfruttatori della tradizione. Presidente femminista, un otto
marzo dichiarò: «Se perdiamo la lotta per la liberazione della donna avremo
perso il diritto di sperare in una trasformazione positiva. (...) Una società
come la nostra deve lottare contro l'escissione e ridurre anche i lunghi
tragitti che la donna percorre per andare a cercare l'acqua, la legna . Non
possiamo parlare di liberazione della donna senza parlare del mulino per
macinare il grano, dell'orto, del potere economico» (da Thomas Sankara. I
discorsi e le idee , edizioni Sankara). Un presidente senza privilegi Per
investire tutto nei bisogni di base Sankara impose una spending review
all'osso: «Non possiamo essere i dirigenti ricchi di un paese povero». Senza
accettare imposizioni dal Fondo Monetario internazionale (che «va oltre il
controllo di bilancio e persegue un controllo politico»), l'austerità fu
autogestita: stipendi modestissimi a presidente e ministri, niente sprechi di
rappresentanza, vendute le auto blu, aboliti gli eventi di lusso, rimpicciolita
ogni spesa amministrativa. Ma non riuscì a Thomas Sankara la lotta contro la
corruzione, e contro gli abusi di potere nei Comitati rivoluzionari. L'impegno
antimperialista fra i non allineati e a fianco delle esperienze rivoluzionarie.
La lotta contro il debito estero e per il disarmo. Nel suo discorso di fronte
ai capi di stato africani, alla Conferenza dell'allora Organizzazione per
l'Unità Africana (Oua) ad Addis Abeba, 29 luglio 1987, Sankara ripeteva
l'invito fatto al Movimento dei paesi non allineati tre anni prima a New Delhi:
«Non possiamo rimborsare il debito perché non abbiamo di che pagare. Non
possiamo rimborsare il debito perché non ne siamo responsabili. (...) Abbiamo
il dovere di creare il Fronte unito contro il debito». Ma al tempo stesso tutta
l'Africa doveva farla finita con la corruzione, i privilegi e le spese per le
armi. Le risorse liberate erano necessarie alla fuoriuscita dalla miseria e
all'integrazione regionale (sul modello dell'attuale Alleanza bolivariana Alba
in America Latina): «Facciamo sì che il mercato africano sia davvero il mercato
degli africani. Produrre in Africa, trasformare in Africa e consumare in Africa
(...) È per noi il solo modo di vivere liberamente e degnamente».
sabato 13 ottobre 2012
le balene di plastica
Quando si nuota, trovare uno shopper o un altro oggetto di plastica galleggiante dà fastidio. Ma quando la plastica non si vede può essere anche peggio. Lo prova una ricerca, condotta dall'università di Siena, appena pubblicata dal Marine Pollution Bulletin: l'invasione di frammenti di plastica nel Santuario dei cetacei - l'area protetta situata tra la Corsica, la Costa Azzurra e la Toscana - mette in pericolo la sopravvivenza delle balene.
Nelle microparticelle di plastica sono infatti presenti - spiega Maria Cristina Fossi, la biologa che ha coordinato lo studio finanziato dal ministero dell'Ambiente - gli ftalati e altri distruttori endocrini. Sono le sostanze che alterano gli ormoni sessuali, creando una tendenza all'ermafroditismo che può mettere in pericolo la sopravvivenza dei grandi gruppi di cetacei.
Questa minaccia chimica è consistente perché le micro plastiche inferiori a 5 millimetri, prodotte dalla degradazione di sacchetti e di altri oggetti e da attività industriali, nel Mediterraneo hanno una concentrazione simile a quella delle aree del Pacifico in cui, a causa di un particolare gioco di correnti, si formano le grandi isole di plastica galleggianti.
La ricerca mostra per la prima volta il rapporto tra questo inquinamento diffuso e gli effetti sui grandi mammiferi del mare dimostrando che i distruttori endocrini sono assunti in dosi rilevanti: ai test sulle balene spiaggiate si sono aggiunti quelli condotti sui cetacei in libertà (con un dardo modificato è possibile catturare un piccolo frammento di pelle, sufficiente per le analisi)...
continua qui
Nelle microparticelle di plastica sono infatti presenti - spiega Maria Cristina Fossi, la biologa che ha coordinato lo studio finanziato dal ministero dell'Ambiente - gli ftalati e altri distruttori endocrini. Sono le sostanze che alterano gli ormoni sessuali, creando una tendenza all'ermafroditismo che può mettere in pericolo la sopravvivenza dei grandi gruppi di cetacei.
Questa minaccia chimica è consistente perché le micro plastiche inferiori a 5 millimetri, prodotte dalla degradazione di sacchetti e di altri oggetti e da attività industriali, nel Mediterraneo hanno una concentrazione simile a quella delle aree del Pacifico in cui, a causa di un particolare gioco di correnti, si formano le grandi isole di plastica galleggianti.
La ricerca mostra per la prima volta il rapporto tra questo inquinamento diffuso e gli effetti sui grandi mammiferi del mare dimostrando che i distruttori endocrini sono assunti in dosi rilevanti: ai test sulle balene spiaggiate si sono aggiunti quelli condotti sui cetacei in libertà (con un dardo modificato è possibile catturare un piccolo frammento di pelle, sufficiente per le analisi)...
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mercoledì 10 ottobre 2012
a volte i vegetariani non vengono capiti
il film è bellissimo (e si trova in italiano)
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martedì 9 ottobre 2012
olio fritto
Buttarlo nel wc o nel lavandino è una
pessima abitudine che provoca gravi danni all'ambiente. Tramite processi
di trattamento e riciclo, dall’olio usato si possono ottenere svariati
prodotti. Ecco come sbarazzarsene in maniera ecologica
Patatine e verdure, carne e pesce. E
l'olio utilizzato per le fritture dove va a finire? Quella di buttarlo nel wc o
nel lavandino è una pessima abitudine che provoca gravi danni all'ambiente.
Quando si frigge, infatti, l'olio
vegetale raggiunge temperatute elevate che possono arrivare fino a 200° C. A
queste condizioni l'olio (definito "esausto") subisce una
trasformazione chimica diventando un fluido denso, appiccicoso, di colore
rosso-bruno o giallo e con un odore sgradevole. Si stima che ogni anno oltre
200.00 tonnellate di olio fritto finiscano nell'ambiente. E pensare che con un
litro di olio di frittura una famiglia potrebbe contribuire a far camminare uno
scuolabus per circa 15 chilometri.
Dalla padella al lavandino. Le
conseguenze
L'acqua di scarto di gabinetti, lavandini o pozzetti attraverso le tubature finisce nella rete fognaria e poi nel depuratore. In presenza di scarti non degradabili come l'olio, però, il depuratore non funziona correttamente.
L'acqua di scarto di gabinetti, lavandini o pozzetti attraverso le tubature finisce nella rete fognaria e poi nel depuratore. In presenza di scarti non degradabili come l'olio, però, il depuratore non funziona correttamente.
Si aggrava il carico da depurare quindi
si ha una depurazione meno efficiente e più costosa (serve più energia
elettrica per garantire una migliore depurazione). Le acque che arrivano ai
fiumi e al mare, a questo punto, non sono pulite come dovrebbero.
Danni
In acqua. L'olio, più leggero, galleggia sull'acqua formando una barriera traslucida e impermeabile che impedisce il normale scambio di ossigeno tra aria e acqua compromettendo la sopravvivenza di flora e fauna.
In acqua. L'olio, più leggero, galleggia sull'acqua formando una barriera traslucida e impermeabile che impedisce il normale scambio di ossigeno tra aria e acqua compromettendo la sopravvivenza di flora e fauna.
Nel suolo. L'olio che finisce direttamente nel suolo impedisce alle radici di
assorbire le sostanze nutritive necessarie alla sopravvivenza delle piante,
uccidendole.
Falde. L'olio potrebbe raggiungere
direttamente le falde acquifere, inquinandole irrimediabilmente. Un litro di
olio mescolato a un milione di litri d'acqua basta ad alterarla e a renderla non
potabile…
…Consigli
per la raccolta
Una volta terminata la frittura, è opportuno aspettare che l'olio si raffreddi prima di metterlo nei contenitori appositi oppure in semplici bottiglie di plastica.
Una volta terminata la frittura, è opportuno aspettare che l'olio si raffreddi prima di metterlo nei contenitori appositi oppure in semplici bottiglie di plastica.
Se pentole e padelle sono unte o sporche di grasso prima di
metterle a lavare, è buona norma strofinarle con un tovagliolo di carta che poi
andrà buttato nell'umido o nella comune spazzatura…
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lunedì 8 ottobre 2012
vivi con stile
...Si chiama ETICHETTA PER IL CLIMA e consente alle aziende che aderiscono all'iniziativa di poter tracciare i propri prodotti fornendo al consumatore un dato numerico sintetico espressione di quanto quel prodotto "incide" sull'ambiente. "In Europa e nel mondo questo genere di attività è già in forte espansione", commenta Andrea Poggio, presidente della Fondazione Legambiente Innovazione, "in Inghilterra, ad esempio, tramite la Carbon Footprint, sono già oltre 25 mila i prodotti tracciati, oltre 10 mila negli Stati Uniti, la Francia ha siglato un accordo con la grande distribuzione affinché si prosegua con questa grande politica di trasparenza e di innovazione". "In Italia ci stiamo muovendo", prosegue Poggio, "sia noi di Legambiente, ma anche il Ministero dell'Ambiente, ma non è ancora abbastanza".
Sul sito www.viviconstile.org 1, infatti, sono catalogate un centinaio di aziende con relativi prodotti: dalle passate di pomodori, alle stampanti, ai televisori, ai meloni, fino ai crackers, ma anche i menu completi. "Scopriamo così - dichiara Andrea Poggio - che il menu vegetariano proposto dall'Agriturismo Il Campagnino costa all'ambiente 1.060 grammi di CO2, mentre il menu di carne ben 8.350 grammi, otto volte di più. Di fianco al prezzo, potrebbe dunque comparire su qualsiasi prodotto, anche il costo ambientale. E' quello che ha fatto Legambiente con l'istituto Ambiente Italia, scoprendo così le emissioni di CO2 di diversi articoli, tra cui lampadine, passate di pomodoro, stampa di carta, meloni, adesivi per parquet, biscotti e imballaggi. Con queste aziende, inoltre, siamo stati pionieri della prima comunicazione ambientale sul prodotto rivolta al consumatore finale"...
Sul sito www.viviconstile.org 1, infatti, sono catalogate un centinaio di aziende con relativi prodotti: dalle passate di pomodori, alle stampanti, ai televisori, ai meloni, fino ai crackers, ma anche i menu completi. "Scopriamo così - dichiara Andrea Poggio - che il menu vegetariano proposto dall'Agriturismo Il Campagnino costa all'ambiente 1.060 grammi di CO2, mentre il menu di carne ben 8.350 grammi, otto volte di più. Di fianco al prezzo, potrebbe dunque comparire su qualsiasi prodotto, anche il costo ambientale. E' quello che ha fatto Legambiente con l'istituto Ambiente Italia, scoprendo così le emissioni di CO2 di diversi articoli, tra cui lampadine, passate di pomodoro, stampa di carta, meloni, adesivi per parquet, biscotti e imballaggi. Con queste aziende, inoltre, siamo stati pionieri della prima comunicazione ambientale sul prodotto rivolta al consumatore finale"...
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sabato 6 ottobre 2012
grafene
IMMAGINATE un materiale capace di condurre l'elettricità meglio del rame, trasparente come il vetro e più resistente dell'acciaio. Immaginate poi di poterlo piegare come se fosse plastica, e realizzare così schermi touchscreen da arrotolare e portarvi in tasca. Pura fantascienza? Forse no, perché gli scienziati conoscono già da anni il grafene, un "materiale delle meraviglie" con proprietà ed applicazioni in parte ancora ignote.
Così, mentre parte della comunità scientifica sta studiando le caratteristiche del grafene, molti ricercatori in tutto il mondo sono impegnati a sviluppare tecniche di produzione innovative, come quella recentemente sviluppata alla Toyohashi University of Technology 2.
Un gruppo coordinato da Yuji Tanizawa è infatti riuscito ad "addomesticare" dei microorganismi raccolti in un fiume vicino al campus universitario, nella prefettura di Aichi, ed utilizzarli così per produrre i sottilissimi fogli di grafene. Il nuovo metodo, presentato sulle Conference Series del Journal of Physics, sfrutta quindi un procedimento ibrido che combina processi chimici ed agenti biologici e che potrebbe offrire un nuovo canale per produrre grafene di alta qualità, a basso costo, e nel completo rispetto dell'ambiente.
Un materiale da premio Nobel. Costituito da uno strato di atomi di carbonio collocati su una struttura a nido d'ape, il grafene è considerato uno dei materiali più promettenti del futuro. Questo materiale bidimensionale è infatti ultrasottile, flessibile, ed è circa 200 volte più resistente dell'acciaio. E' inoltre un ottimo conduttore di calore e di elettricità, e per le sue proprietà di trasporto degli elettroni è già considerato l'erede del silicio 3nell'elettronica del futuro.
Ma uno degli aspetti più sorprendenti del grafene è che ce l'abbiamo sotto gli occhi praticamente quasi tutti i giorni, ogni volta che scriviamo con una matita. La grafite, di cui è fatto il cuore delle nostre matite, è infatti una sovrapposizione di strati di grafene separati da tre decimilionesimi di millimetro.
Nonostante molti studi teorici avessero iniziato a delineare le proprietà fisiche e chimiche degli strati di grafite sin dalla prima metà del Novecento, il grafene rimase per decenni lontano dai laboratori. Si riteneva infatti che la configurazione atomica del grafene fosse altamente instabile e che fosse quindi impossibile crearlo a temperatura ambiente...
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Così, mentre parte della comunità scientifica sta studiando le caratteristiche del grafene, molti ricercatori in tutto il mondo sono impegnati a sviluppare tecniche di produzione innovative, come quella recentemente sviluppata alla Toyohashi University of Technology 2.
Un gruppo coordinato da Yuji Tanizawa è infatti riuscito ad "addomesticare" dei microorganismi raccolti in un fiume vicino al campus universitario, nella prefettura di Aichi, ed utilizzarli così per produrre i sottilissimi fogli di grafene. Il nuovo metodo, presentato sulle Conference Series del Journal of Physics, sfrutta quindi un procedimento ibrido che combina processi chimici ed agenti biologici e che potrebbe offrire un nuovo canale per produrre grafene di alta qualità, a basso costo, e nel completo rispetto dell'ambiente.
Un materiale da premio Nobel. Costituito da uno strato di atomi di carbonio collocati su una struttura a nido d'ape, il grafene è considerato uno dei materiali più promettenti del futuro. Questo materiale bidimensionale è infatti ultrasottile, flessibile, ed è circa 200 volte più resistente dell'acciaio. E' inoltre un ottimo conduttore di calore e di elettricità, e per le sue proprietà di trasporto degli elettroni è già considerato l'erede del silicio 3nell'elettronica del futuro.
Ma uno degli aspetti più sorprendenti del grafene è che ce l'abbiamo sotto gli occhi praticamente quasi tutti i giorni, ogni volta che scriviamo con una matita. La grafite, di cui è fatto il cuore delle nostre matite, è infatti una sovrapposizione di strati di grafene separati da tre decimilionesimi di millimetro.
Nonostante molti studi teorici avessero iniziato a delineare le proprietà fisiche e chimiche degli strati di grafite sin dalla prima metà del Novecento, il grafene rimase per decenni lontano dai laboratori. Si riteneva infatti che la configurazione atomica del grafene fosse altamente instabile e che fosse quindi impossibile crearlo a temperatura ambiente...
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martedì 2 ottobre 2012
Il ministro che difende i tribali - Paola Desai
È la prima volta che accade. Il ministro «per gli affari tribali» del governo dell'Unione indiana ha revocato sette concessioni minerarie invocando i suoi poteri costituzionali per la difesa degli interessi delle popolazioni native, o adivasi («tribali» nel linguaggio comune in India).
Il gesto del ministro Kishore Chandra Deo è riferito con un certo scalpore dalla stampa indiana, e si capisce: l'India ha grandi giacimenti e l'industria mineraria è in piena espansione, muovendo interessi economici enormi - ma creando anche grandi conflitti sociali. E l'intervento di un ministro in nome degli interessi della popolazione nativa ha messo in allarme le lobby industriali.
La scorsa settimana dunque il ministro «per gli affari tribali» ha revocato sette concessioni per l'estrazione di bauxite (materia prima dell'alluminio) nello stato di Andhra Pradesh, nell'India centrale, che il governo di quello stato aveva dato sei anni fa all'industria statale, la AP Mineral Development Corporation. Le miniere sarebbero state aperte in due zone del Ghat orientali, la dorsale montagnosa che traversa l'India peninsulare; per lavorare il minerale due imprese private sono già state autorizzate ad aprire due raffinerie.
Quei progetti minerari però avevano suscitato polemiche e proteste. Diverse organizzazioni sociali e ambientaliste dicono che miniere e raffinerie avrebbero reato danni irreparabili all'ecologia della regione, privando la popolazione rurale delle sue fonti di sussistenza. Anche perché estrarre bauxite significa rimuovere il terreno dalla sommità delle colline - è lì che il minerale si trova - togliendone la copertura verde e stravolgendone l'equilibrio, prosciugando le fonti d'acqua, fino a rendere impossibile coltivare e vivere su quelle terre...
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Il gesto del ministro Kishore Chandra Deo è riferito con un certo scalpore dalla stampa indiana, e si capisce: l'India ha grandi giacimenti e l'industria mineraria è in piena espansione, muovendo interessi economici enormi - ma creando anche grandi conflitti sociali. E l'intervento di un ministro in nome degli interessi della popolazione nativa ha messo in allarme le lobby industriali.
La scorsa settimana dunque il ministro «per gli affari tribali» ha revocato sette concessioni per l'estrazione di bauxite (materia prima dell'alluminio) nello stato di Andhra Pradesh, nell'India centrale, che il governo di quello stato aveva dato sei anni fa all'industria statale, la AP Mineral Development Corporation. Le miniere sarebbero state aperte in due zone del Ghat orientali, la dorsale montagnosa che traversa l'India peninsulare; per lavorare il minerale due imprese private sono già state autorizzate ad aprire due raffinerie.
Quei progetti minerari però avevano suscitato polemiche e proteste. Diverse organizzazioni sociali e ambientaliste dicono che miniere e raffinerie avrebbero reato danni irreparabili all'ecologia della regione, privando la popolazione rurale delle sue fonti di sussistenza. Anche perché estrarre bauxite significa rimuovere il terreno dalla sommità delle colline - è lì che il minerale si trova - togliendone la copertura verde e stravolgendone l'equilibrio, prosciugando le fonti d'acqua, fino a rendere impossibile coltivare e vivere su quelle terre...
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lunedì 1 ottobre 2012
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