mercoledì 9 marzo 2011

Un’industria alimentare che produce affamati - Marino Ruzzenenti

La moderna industria degli alimenti distrugge la natura, minaccia la salute umana e produce affamati. Il problema dell’energia appare nelle preoccupazioni dei governanti ma anche delle nostre popolazioni l’aspetto più inquietante della crisi ecologica. Il timore di doversi privare dell’auto in un prossimo futuro è così dirompente da indurre alla rimozione: sì, potrà anche accadere, ma chissà quando. Intanto, finché c’è il carburante la grande giostra continua a girare…
Ma, se il timore di rimanere a piedi, pur confusamente, viene percepito, del tutto assente nella parte opulenta del mondo è l’altra conseguenza ben più devastante della fine del petrolio, la crisi alimentare. Come è emerso con chiarezza nel convegno di Missioneoggi del 2007, il problema della sovranità alimentare è sollevato soprattutto dai contadini del Sud del mondo, alle prese con le distorsioni del mercato globale dei prodotti agricoli che tendono a mortificare un’agricoltura locale virtuosa, attenta alla fertilità dei propri terreni ed a produrre innanzitutto ciò che serve a sfamare le proprie popolazioni.
Nel Nord ricco del Pianeta, nessuno è sfiorato da un possibile futuro di penuria alimentare. Inondati come siamo da una sovrabbondanza di prodotti, di carne di ogni tipo, di pane, di formaggi, di frutta e di verdura… I nostri bimbi crescono ormai con la convinzione che siano i supermercati a fornirci di ogni bene. È la magia dell’industria agroalimentare, esplosa anche in Italia negli ultimi decenni, in parallelo al “miracolo economico” che ci regalò le straordinarie comodità delle automobili e degli elettrodomestici. Questa “magia” si può così rappresentare: negli anni Trenta, il nostro Paese vedeva una maggioranza di addetti all’agricoltura (52%) che con fatica riusciva a sfamare poco più di 40 milioni di abitanti, per i quali, se non ricchi, comunque la carne era un lusso da riservare alle grandi festività; ora, un’esigua minoranza della popolazione attiva (5,5%) riesce a produrre derrate sovrabbondanti, con problemi di eccedenze sanzionate dall’Unione Europea (l’infinita diatriba sulle quote latte), offrendo a 60 milioni di italiani un’enormità di carne che ne mina addirittura la salute, come regolarmente avvertono i dietologi; e nel frattempo la superficie dei terreni coltivabili si è drasticamente ridotta a causa della dissennata cementificazione che, come una sorta di pervasiva metastasi, ha occupato suoli fertili e naturalizzati al ritmo di oltre 244.000 ettari l’anno, cosicché negli ultimi quindici anni abbiamo consumato altri 3 milioni 663 mila ettari, cioè una regione grande più del Lazio e dell’Abruzzo messi assieme, dal 1950 una regione più grande dell’intera Italia Settentrionale. Com’è possibile questo prodigio?...

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