martedì 13 dicembre 2016

Morte da sport




La morte durante lo sport è un fatto che colpisce molto l’opinione pubblica, ma è una chiara dimostrazione di come sia povero l’intuito statistico nella popolazione. Se si considerano, per esempio, il numero di partecipanti alle maratone italiane e il tempo di percorrenza, non è difficile mostrare che il numero di morti durante le maratone è inferiore rispetto a quello di un’analoga popolazione casuale monitorata per un tempo equivalente: in altri termini, ritenere immediatamente la corsa la causa della morte è forzato, come forzato sarebbe il giudicare “cause” le attività che il soggetto stava compiendo (lavoro, guardare la televisione, sistemare il giardino, fare l’amore ecc.).
Alcuni numeri
1.      La morte improvvisa da sport (MIS) ha un’incidenza da 9 a 23 casi per milione a seconda dello sport praticato e della tipologia dell’atleta.
2.      Gli sportivi più colpiti sono quelli di basso livello agonistico (80%).
3.      Un dato curioso riguarda il fatto che la MIS è più frequente nelle competizioni ufficiali (79%) che negli allenamenti (21%), anche se, realisticamente, i secondi occupano molto più tempo delle prime.
4.      Uno studio pubblicato su Jama (2006) mostra una mortalità di 8 casi/milione per non atleti contro 36 in atleti non controllati e 4 in atleti controllati.
5.      Per effetto dei controlli viene escluso dalle competizioni il 2% degli atleti.
6.      L’Italia è all’avanguardia nella prevenzione, prevenzione che negli altri Paesi è spesso minimale.
Partendo dall’ultimo punto, molti medici sportivi sostengono che “gli altri Paesi sono rimasti indietro”. Personalmente ritengo che sia l’Italia a non aver capito nulla e questo articolo ha proprio lo scopo di dimostrare come il business della prevenzione a ogni costo sia assurdo dal lato pratico.
Le cause della morte da sport
La morte improvvisa è in genere dovuta a un blocco della funzionalità cardiaca dovuto a una causa meccanica o, più frequentemente, elettrica. Perché ciò avvenga, occorrono due fattori (ripeto: DUE): un evento scatenante e un cuore malato.
L’evento scatenante può essere legato alla corsa (mancanza di ossigeno, acidosi lattica, aumento della temperatura corporea ecc.) mentre il problema cardiaco può essere
·        rilevabile con una visita opportuna
·        non rilevabile.
Le patologie rilevabili – Molte patologie cardiache sono rilevabili con semplici esami come elettrocardiogramma o ecografia cardiaca.
Quest’ultima è spesso consigliata dopo una visita sportiva, allarmando l’atleta più del dovuto: si tratta comunque di un esame di routine che viene richiesto a una percentuale molto alta di soggetti che si sottopongono alla visita sportiva. Le patologie come la cardiomiopatia ipertrofica, la displasia aritmogena del ventricolo destro*, la sindrome di Marfan, la miocardite, le anomalie congenite delle arterie coronarie, la stenosi aortica in valvola bicuspide, il QT lungo idiopatico**, il Wolff-Parkinson-White sono per fortuna patologie poco comuni e sicuramente non la causa principale di morti da sport.
Le patologie non rilevabili – Attualmente con la visita d’idoneità non è possibile conoscere lo stato dei vasi del soggetto, in altri termini, non si è in grado di avere nemmeno una probabilità della causa più comune di morte. Sopratutto nell’amatore over 40, la causa principale di gran lunga più probabile della morte da sport è infatti l’aterosclerosi coronarica, cioè in parole povere l’infarto.
Ciò spiega come l’atleta allenato sia in genere protetto più del sedentario che affronta una prova sportiva: in realtà molte morti da sport colpiscono atleti occasionali (la classica partitella a calcio fra amici o la partita di tennis alle due del pomeriggio), gli “sportivi della domenica”, tanto per intenderci. Sono soggetti predisposti perché il loro cuore è già intaccato dall’aterosclerosi coronarica.
Anche atleti di un certo livello possono presentare il problema: un atleta, la cui autopsia rivelò la completa occlusione di un vaso coronarico, tre settimane prima aveva corso la maratona in 3h06′ (fonte Macchi e Franklin). La stessa fonte cita che il 77% degli atleti deceduti presentava aterosclerosi coronarica e il 32% ipertensione arteriosa.
Il concetto di coincidenza temporale deve essere chiaro: la corsa non causa l’infarto. Perché, se una persona è colpita da infarto mentre lavora o guarda la televisione, non si associa l’infarto al programma televisivo (ipotesi sensata, visti certi programmi…) o al lavoro mentre quando ciò avviene durante una maratona si pensa subito allo sforzo come causa?
Per fortuna, accade spesso che un soggetto con aterosclerosi coronarica che pratica sport abbia dei segnali premonitori prima del vero e proprio infarto (affaticamenti eccessivi, malori ecc.) che permettono un intervento prima che la situazione si aggravi.
Paradossalmente, se questo soggetto fosse stato sedentario e non avesse fatto sport, i segnali premonitori non ci sarebbero probabilmente stati e si sarebbe arrivati direttamente all’evento fatale.
La visita d’idoneità
Una delle conseguenze della morte improvvisa di sportivi professionisti è la richiesta di controlli sempre più accurati. Questa posizione rischia di essere un boomerang pazzesco.
Da un punto di vista medico, l’Italia è rimasta (con Israele) il Paese dove si controlla di più; sì, negli altri Paesi si controlla di meno. Questo non per insensibilità verso la vita degli atleti (soprattutto amatori), ma per una scelta razionale.
Spieghiamoci con qualche numero.
Oggi con una visita che comporta fra l’altro un elettrocardiogramma dopo sforzo (che dovrebbe essere fatto bene!) si scoprono molte patologie, soprattutto in giovani atleti e ragazzi. Nei casi dubbi si ricorre a esami più accurati (ecografia cardiacaesame del sangueHolter ecc.). Risultato: si salvano 32 vite per milione (secondo lo studio di Jama, ma tale dato appare ottimistico, visto che in Italia si ha notizia di un numero superiore a 4 morti l’anno fra sportivi controllati e sicuramente non si supera il milione unità di chi ha fatto una visita agonistica). Il costo medio di una visita (compreso quello di eventuali approfondimenti che sono abbastanza frequenti) è di circa 100 euro.
Le domande che si sono fatti negli altri Stati sono:
·        quanti, per il costo della visita, rinuncerebbero alla stessa, praticando sport non agonistico (il classico esempio di chi muore per una partita di calcetto fra amici)? La risposta è: decine di migliaia di persone che non farebbero nemmeno la visita di primo livello; il numero dei decessi in questo insieme sarebbe per lo meno equivalente a quello dei decessi evitati con i maxicontrolli.
·        In base al punto 5, il numero dei falsi positivi è enorme: su un milione, a fronte di 20.000 persone fermate per sempre, se ne salvano 32 all’anno. Per eccesso di zelo, sono cioè fermati anche molti soggetti completamente sani (la medicina non è onnisciente e oggi restano dei confini imprecisati fra soggetti sani e soggetti patologici) che, ritornati fra i sedentari, con un peggior stile di vita, si esporranno a rischi salutistici maggiori e speranza di vita diminuita. Fra dieci anni, quanti dei 20.000 fermati moriranno per un peggior stile di vita dovuto a una vita forzatamente sedentaria?
·        Premesso che non è da trascurare il fattore commerciale per cui molti centri medici propongono esami del tutto inutili con la poco scientifica giustificazione del “mah, non si sa mai, è meglio stare tranquilli”, un costo di 100 milioni di euro per 32 vite è troppo elevato: quante vite si possono salvare destinando tale somma ad altri interventi nella sanità?
Una visita più moderna – Dalle considerazioni precedenti risulta evidente che la visita medica deve diventare più efficiente. Può farlo solo evitando ipocrisie (se, per esempio, si vietasse lo sport a chi fuma, molte stelle del calcio sarebbero out; ma almeno vietiamolo ai fumatori over 40, visto che il fumo è il primo fattore di rischio per l’infarto) e diventando più professionale. Occorre integrarla con altri esami (come quello del sangue e delle principali droghe, fumo incluso) e con una valutazione dello stile di vita del soggetto, escludendo per esempio tutti coloro che sono in sovrappeso sportivo, visto che attualmente tale parametro non è considerato per gli sportivi amatori. Certo, i costi lieviteranno, ma basterebbe renderla quinquennale (come si fa con la patente o il porto d’armi), visto che molte gravi patologie cardiache scoperte sono congenite e che lo stato del soggetto difficilmente cambia radicalmente in 12 mesi.
Per fare proposte del genere ci vuole coraggio e si va contro molti interessi, ma l’ipocrisia è il male peggiore...

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