giovedì 6 agosto 2015

L’antico mestiere del maestro del rame - Elisabetta Pau

La prima cosa che mi colpisce è la sua faccia, quel sorriso appena abbozzato e decorato da un pizzetto sotto il labbro e il sigaro toscano. Gli voglio bene da subito e non potrebbe essere che così, quando una persona ti spalanca la porta del suo laboratorio, che è anche quella del suo sapere, della vita e della passione per l’antico mestiere del ramaio. Quell’uomo dichiara così, in modo inconsapevole, una grande generosità.
Non so decidere cosa hanno lasciato maggiormente dentro di me i due giorni in cui ho frequentato, insieme a una ventina di altre persone, un corso sulla lavorazione del rame. Forse la generosità dell’artigiano Luigi Pitzalis, forse la bellezza del laboratorio, forse la lezione di resistenza nel continuare con cura a tener viva quest’arte. Davvero non so decidere.
Con la testa ancora piena di immagini – martelli di ogni peso e misura, attrezzi, incudini, piccoli sgabelli di legno da usare nelle diverse postazioni di lavoro – ripenso al maestro, una persona forte, sicura, che non tentenna davanti al metallo rosso, il rame, perché sa come piegarlo, ammorbidirlo, indurirlo, e decorarlo. Ne conosce alla perfezione il carattere e lo sa governare.
Veder lavorare il rame da Luigi Pitzalis è una cosa che ne fa capire tante altre. Mentre si ascolta la voce, semplice e precisa, che spiega le varie fasi e i metodi della lavorazione, vengono alla mente pensieri filosofici, ragionamenti sulla vita e sul perchè a 60 anni, quanti ne ha lui, ancora ci si appassiona, si combatte, si lavora tanto. E si ha persino voglia di dire un sacco di cose a chi s’incuriosisce al mestiere.
Dentro il lavoro del maestro, poi, io ci ho visto tutto. Persino l’anima più intima e vera della Sardegna, forse aiutata dal suono del martello battuto sul rame a un ritmo che ricorda un ballo della nostra terra, o forse per l’utilizzo di elementi primordiali e forti, come il fuoco e l’acqua. O forse ancora per il batter e piegare con forza, con consapevolezza e infinita pazienza, la stessa che ci vuole a vivere nei piccoli centri di quest’isola.
Mentre va avanti col lavoro, guardo le mani che diventano sempre più nere. Non usa i guanti, il maestro, forse perché vuol sentire con il tatto, con le carezze che fa ogni tanto sull’oggetto che crea. Le orecchie devono essere abituate al suono forte del martello, perché guardo la faccia e non appare nessuna smorfia. È come se tra lui e il rame ci fosse un rapporto di conoscenza di vecchia data, d’amicizia schietta. Ciascuno conosce i limiti dell’altro.
La lavorazione del metallo sembra facile ma quando vedi cosa ci vuole per ottenere un oggetto, quanti passaggi, quanti strumenti, quella superficiale convinzione svanisce in fretta. Ancor più quando, tenendo in mano un pezzo di metallo, provi di persona la difficoltà che c’è anche a fare solo un semplice chiodo. Una delle cose elementari che si fanno fare agli apprendisti per cominciare a imparare.
Luigi Pitzalis è l’ultimo ramaio in attività a Isili, un bel paese in provincia di Cagliari con una grande tradizione di artigiani del rame. Purtroppo i ragazzi di oggi, dice, vogliono avere subito il risultato del lavoro. Questo invece è un mestiere di grande pazienza, non so dire se avrà un futuro, un seguito. Penso che per ora “il seguito” siamo noi che – ascoltando, guardando e provando – arriviamo alla fine del corso orgogliosi. Anche perché, al momento dei saluti, il maestro ci confessa che è la prima volta che apre il laboratorio a un gruppo di persone che niente hanno a che fare con quel mestiere e che in questi due giorni ci ha detto tutto quello che sapeva e poteva al riguardo ma è stato contento di averlo fatto.
Non sa quanto sono stata contenta io di aver visto, sentito, toccato, vissuto il rame con lui. E con me credo anche gli altri compagni, assetati come siamo, di cose concrete, vere, di vivere in comune i segreti di quel mestiere, di capire il materiale e come lavorarlo o sceglierlo per alcuni manufatti. E non sa neanche, Luigi Pitzalis, che il chiodo che ho fatto, che a me pare bellissimo, è già una metafora per ricordarmi che ormai il rame è piantato dentro di me e sarà difficile strapparlo via.
da qui

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