Un’inchiesta del
quotidiano The Guardian sostiene che in
Europa ci sono almeno 11 milioni di case vuote, di
queste 2 sono in Italia: un problema continentale, di carattere sociale ed
ambientale. Il nostro Paese ha perso dal 1971 al 2010 quasi 5 milioni di
ettari di superficie agricola utilizzata. Questo è dovuto a due fenomeni:
l’abbandono delle terre e la cementificazione.
L’Italia poi è
il terzo paese in Europa ed il quinto nel mondo nella classifica deldeficit
di suolo. Ci mancano 49 milioni di ettari per coprire il
nostro intero fabbisogno, pari a 61 milioni di ettari. Siamo destinati ad
essere sempre più dipendenti dalla produzione di terreni di altri paesi.
Questi dati ci
restituiscono a spot la fotografia di una situazione drammatica che accomuna
gran parte dei Paesi dell’eurozona, specialmente Italia, Spagna, Germania,
Portogallo, Francia. La “crisi del mattone”
rappresenta, in fondo, la crisi di un sistema e di un modello di sviluppo che
in troppi e per troppo tempo hanno ostinatamente inseguito nonostante ci
fossero campanelli d’allarme a preavvisare il disastro puntualmente arrivato.
Da questa
crisi si può a nostro avviso uscire in modo diverso da come ci si è entrati.
Non è uno slogan. La crisi strutturale internazionale che stiamo vivendo, a
causa della situazione economico-politica, deve essere affrontata con una
consapevolezza e una sensibilità nuove, nel pieno rispetto
delle superfici non impermeabilizzate, dei fiumi, delle
coste, del paesaggio e dell’ambiente, con grande chiarezza e trasparenza.
Muratori, carpentieri, piastrellisti, installatori, lavoratori del cemento,
lapidei, cavatori, geometri, ingegneri, architetti, restauratori devono avere
ancora un futuro nelle costruzioni. Questa volta non per distruggere il
territorio, ma per valorizzarne la bellezza e per gratificarne la
professionalità e la passione.
La conversione
ecologica deve rappresentare una delle sfide (a
nostro avviso la prima e irrinunciabile) che l’Europa deve vincere nei prossimi
anni. La tutela del territorio, accompagnata ad una riqualificazione energetica
degli edifici pubblici e privati (capannoni, case, fabbriche…), è uno dei
grandi volani in grado di attivare occupazione a km zero (distribuita cioè là
dove si attuano gli interventi), ridurre l’impatto antropico e consentire circoli
virtuosi di risparmio economico da reinvestire in
altri interventi di sostenibilità ambientale. Insomma, per riassumerla in uno
slogan, fare del bene all’ambiente non solo è necessario, ma possibile e
conveniente.
Tutto questo è
fondamentale non solo per ridurre i consumi energetici e tutelare un bene
comune come il territorio. A riavvolgere infatti il nastro degli ultimi
sessant’anni di storia del nostro Paese si scopre che nel periodo compreso tra
il 1950 e il 2012 ci sono state oltre mille frane e settecento inondazioni in
563 località diverse, che sono costate la vita a novemila persone,
con oltre 700mila sfollati. Per
non parlare dei danni al patrimonio artistico e culturale. Solo l’alluvione di
Firenze del 1966 ha danneggiato 1500 opere d’arte e 1.300.000 volumi della
Biblioteca nazionale.
Novemila
persone sono un paese intero. Novemila persone sono 15 chilometri di corpi
distesi sul ciglio di una strada. Provate a pensarci, forse è la distanza che
percorrete ogni giorno per andare al lavoro. Immaginatevi di essere
accompagnati da tutte le vittime di questa guerra che per la maggior parte del tempo non
fa rumore, tace, agisce sotto traccia, costruendo le proprie vittime nel giorno
per giorno di costruzioni
abusive, condoni edilizi, paesi abbandonati, campagne sacrificate al “progresso”, fiumi spostati
e golene infestate di capannoni e seconde case. Pensate
a tutto questo, per qualche istante, perché è importante visualizzare lo
scempio di questa assurdità.
A leggere
tutti i numeri di questa storia vengono i brividi, e sono cifre più che
attendibili che ci fornisce lo Stato in persona, nelle sue tante diramazioni
istituzionali. I
comuni italiani interessati da frane sono 5.708, pari al 70,5% del totale:
2.940 sono stati classificati con livello di attenzione molto elevato. L’Italia
è un paese a elevato rischio idrogeologico. Le frane e le alluvioni sono le
calamità in-naturali che si ripetono con maggior frequenza e causano, dopo i
terremoti, il maggiore numero di vittime e di danni. Solo negli ultimi dieci
anni sono stati spesi oltre 3,5 miliardi di euro con ordinanze di Protezione
Civile per far fronte a eventi idrogeologici.
Ciò che serve,
dunque, è un’operazione senza precedenti coordinata a livello europeo di manutenzione
straordinaria dei nostri edifici pubblici (a partire dalle scuole),
dei corsi d’acqua e delle montagne, diffusa e capillare, in grado quindi di
generare ricchezza, occupazione e sicurezza. Affiancare agli interventi
manutentivi un’altrettanto radicale opera di informazione e formazione dei
cittadini e delle comunità locali. Un lavoro quotidiano, per i prossimi anni,
in grado di mettere al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica la
questione del paesaggio e di un prendersi carico collettivo
della sua tutela.
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