L’ amore è
la più inafferrabile delle idee. È la luce bianca delle emozioni, perché
racchiude tanti sentimenti in un’unica, piccola parola (Diane Ackerman). È una
nebbia che si dissolve ai primi raggi della realtà (Charles Bukowski). Una
follia temporanea curabile con il matrimonio (Ambrose Bierce).
Romantici e disincantati, ciascuno scelga la sua
definizione. Di sicuro vivere insieme felicemente tutta la vita è un impegno
che riesce bene a pochi. Lo confermano i dati. Oggi in Italia si contano 311
separazioni e 182 divorzi ogni mille matrimoni, queste cifre nel 1995 erano
grosso modo la metà, e comunque non tengono conto delle unioni protratte e
infelici. Cosa distingue gli amori che funzionano da quelli che
falliscono? Ce lo siamo chiesti tutti, almeno una volta, osservando le
alterne fortune delle nostre e delle altrui relazioni. Chi cerca ancora una
risposta potrebbe trovarla negli studi decennali di John Gottman e nella
parabola del cardellino.
«Tutte le famiglie felici sono simili; ogni famiglia
infelice lo è a modo suo», ha scritto Tolstoj. Lo psicologo dell’Università di
Washington però la pensa un po’ diversamente. I virtuosi della buona convivenza
hanno tutti qualcosa in comune, che ai rimandati e ai bocciati dell’amore
manca. Master e Disaster, maestri e disastri, sono le etichette che assegna
scherzosamente alle due categorie. Nel suo «laboratorio dell’amore» ne
sono passati a migliaia e una buona parte di loro è stata seguita con
uno studio longitudinale per anni. Nel 1986 Gottman e il suo collega Robert
Levenson hanno iniziato a osservare le interazioni dei neosposi, facendoli
parlare del primo incontro, del peggior litigio e del ricordo più bello. Non si
sono accontentati delle parole, hanno ascoltato anche il linguaggio del corpo.
A volte le persone sembravano tranquille, gli elettrodi però raccontavano
un’altra storia. Il cuore pompava forte, il sangue scorreva in fretta,
sudavano. Anche quando ricordavano episodi piacevoli, vivevano uno stato di
preallarme, come se fossero pronte a essere attaccate e attaccare. E in ogni
momento potevano uscirsene fuori con battute sgarbate che rivelavano il
nervosismo sommerso. Sono proprio queste le persone che poi, a distanza di
tempo, hanno visto le loro unioni naufragare.
Una ricerca di Levenson del 2013 suggerisce che quando
il matrimonio diventa un terreno di battaglia è soprattutto lo stato d’animo
delle donne a determinare se si farà o meno la pace. Altri tasselli del
puzzle sono stati sistemati con uno studio avviato nel 1990, in cui 130 coppie
fresche di matrimonio sono state osservate in un set sperimentale così ricco da
assomigliare a una casa per le vacanze. I ricercatori li hanno osservati mentre
cucinavano, parlavano, passavano il tempo. Ed è qui che Gottman ha messo a
fuoco il segreto dell’amore durevole, secondo il resoconto affidato all’ultimo
numero della rivista The Atlantic . Immaginate un marito appassionato di bird
watching, l’osservazione degli uccelli. Vede un cardellino che attraversa in
volo il cortile e chiama la moglie. «Guarda che bello!». Lei può correre alla
finestra e condividere quell’emozione. Oppure può limitarsi ad annuire
distrattamente. La scena, naturalmente, può presentarsi anche al contrario: lei
chiama lui, magari per dirgli che ha ricevuto una bella notizia; lui può cogliere
o lasciar fuggire via l’attimo. Per coltivare un amore bisogna saper stare
insieme nella cattiva sorte, ma anche in quella buona. Quello che conta non è
l’uccellino, e anche la lieta novella può essere più o meno importante. C’è in
gioco altro: la disponibilità a prestare attenzione a chi abbiamo di
fianco, a condividere i suoi stati d’animo.
Far cadere le «offerte di interazione» è come un
veleno distillato quotidianamente alla felicità coniugale. Sei anni dopo
l’esperimento, lo psicologo e i suoi colleghi hanno scoperto che a divorziare
erano state le coppie in cui questi piccoli bisogni emozionali del partner
erano stati soddisfatti solo tre volte su dieci nel periodo di osservazione. Le
coppie che avevano retto, invece, avevano superato la prova nove volte su
dieci. Lo spartiacque tra Master e Disaster, insomma, non è segnato dalle
fiamme della passione, né dalla magia rara di un incontro predestinato. La
differenza la fanno la generosità e, soprattutto, la gentilezza. Gentili ed
empatici forse in parte si nasce, ma soprattutto lo si diventa allenandosi a
vedere la parte migliore dell’altro e a essere dei buoni compagni di vita. È
questa l’arte dei Master.
Non arriva a conclusioni molto diverse Ty Tashiro,
autore del libro The science of happily ever after, ovvero la
scienza del vissero tutti felici e contenti. Lo psicologo di New York si
concentra sul momento della scelta del partner e sostiene che l’amore
assomiglia alla lampada di Aladino: non possiamo sperare che soddisfi più di
tre desideri. Chi va alla ricerca di un partner dotato di molti talenti è
statisticamente destinato alla frustrazione. Essere particolarmente attraenti
non migliora, anzi può peggiorare, le chance di felicità coniugale. La
ricchezza aiuta, ma oltre la soglia dei settantacinquemila dollari l’anno è
ininfluente. L’unica caratteristica che sembra alzare le probabilità di
successo di un’unione è quel tratto della personalità che viene chiamato
amicalità, sostiene Tashiro. È il buon carattere del linguaggio comune ed è
probabile che aiuti a superare anche la «prova del cardellino».
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