Il dossier Stop Pesticidi,
elaborato da Legambiente e presentato questa mattina (17
dicembre 2020, ndr) nella diretta streaming trasmessa su www.legambiente.it, http://agricoltura.legambiente.it, www.lanuovaecologia.it e
sui rispettivi canali social e realizzato in collaborazione con Alce Nero, ci
dice che i pesticidi più diffusi negli alimenti in Italia sono
Boscalid, Dimethomorph, Fludioxonil, Acetamiprid, Pyraclostrobin, Tebuconazole,
Azoxystrobin, Metalaxyl, Methoxyfenozide, Chlorpyrifos, Imidacloprid,
Pirimiphos-methyl e Metrafenone. Sono per la maggior parte fungicidi e
insetticidi utilizzati in agricoltura che arrivano sulle nostre tavole
e che, giorno dopo giorno, mettono a repentaglio la nostra
salute. I consumatori stanno chiedendo prodotti sempre più sani e
sostenibili ma il business dell’agricoltura intensiva sembra non voler
cedere il passo. L’edizione 2020 del rapporto dell’associazione
ambientalista fotografa una situazione che vede risultare regolare e privo di
residui di pesticidi solo il 52% dei campioni analizzati. Senza dubbio, un
risultato non positivo e che lascia spazio a molti timori in merito alla
presenza di prodotti fitosanitari negli alimenti e nell’ambiente. Analizzando
nel dettaglio i dati negativi, si apprende che i campioni fuorilegge non
superano l’1,2% del totale ma che il 46,8% di campioni regolari presentano uno
o più residui di pesticidi.
Cattive notizie anche in merito alla
quantità di residui derivanti dall’impiego di prodotti fitosanitari in
agricoltura: i laboratori pubblici regionali ne hanno trovato traccia in campioni di
ortofrutta e prodotti trasformati in elevata quantità. Preoccupanti inoltre i
dati del multiresiduo, che – è bene ricordarlo – la legislazione europea non
considera non conforme a meno che ogni singolo livello di residuo non superi il
limite massimo consentito, benché sia noto da anni che le interazioni di più e
diversi principi attivi tra loro possano provocare effetti additivi o
addirittura sinergici a scapito dell’organismo umano. Proprio il multiresiduo
risulta essere più frequente del monoresiduo, essendo stato rintracciato nel
27,6% del totale dei campioni analizzati, rispetto al 17,3% dei campioni con un
solo residuo.
Come negli anni passati, la frutta è la
categoria in cui si concentra la percentuale maggiore di campioni regolari
multiresiduo. Ad essere privo di residui di pesticidi è solo il 28,5% dei
campioni analizzati, mentre l’1,3% è irregolare e oltre il 70%, nonostante sia
considerato regolare, presenta uno o più residui chimici. L’89,2% dell’uva da
tavola, l’85,9% delle pere, e l’83,5% delle pesche sono campioni regolari con
almeno un residuo. Le mele spiccano con il 75,9% di campioni regolari con
residui e registrano l’1,8% di campioni irregolari. Alcuni campioni di
pere presentano inoltre fino a 11 residui contemporaneamente. Situazione
analoga per il pompelmo rosso e per le bacche di goji che raggiungono quota 10
residui. Diverso il quadro per la verdura: se, da una parte, si
registra un incoraggiante 64,1% di campioni senza alcun residuo, dall’altro
fanno preoccupare le significative percentuali di irregolarità in alcuni
prodotti come i peperoni in cui si registra l’8,1% di irregolarità, il
6,3% negli ortaggi da fusto e oltre il 4% nei legumi. Tali dati, se analizzati
in riferimento alla media degli irregolari per gli ortaggi, che è dell’1,6%,
destano preoccupazione. Ad accomunare la gran parte delle irregolarità
è il superamento dei limiti massimi di residuo consentiti per i pesticidi
(54,4%) ma non mancano casi in cui è stato rintracciato l’utilizzo di sostanze
non consentite per la coltura (17,6%). Nel 19,1% dei casi, poi, sono
presenti entrambe le circostanze. Le sostanze attive che più hanno determinato
l’irregolarità sono l’organofosforico Chlorpyrifos nell’11% dei casi e il
neonicotinoide Acetamiprid nell’8% dei casi. Altro dato da sottolineare
è la presenza di oltre 165 sostanze attive nei campioni analizzati. L’uva
da tavola e i pomodori risultano quelli che ne contengono la maggior varietà,
mostrando rispettivamente 51 e 65 miscele differenti.
Tra i campioni esteri, la Cina presenta
il tasso di irregolarità maggiore (38%), seguita da Turchia (23%) e Argentina
(15%). In alcuni di questi alimenti non solo sono presenti sostanze attive
irregolari, ma anche un cospicuo numero di multiresiduo. È il caso, ad esempio,
di un campione di bacca di goji (10 residui) e di uno di tè verde (7 residui),
entrambi provenienti dalla Cina. Degno di nota è anche un campione di foglie di
curry proveniente dalla Malesia nel quale, su 5 residui individuati, 3 sono
irregolari. Sul fronte dell’agricoltura biologica, su 359 campioni
analizzati 353 risultano regolari e senza residui, ad eccezione di un solo
campione di olive, di cui però non si conosce l’origine. Non è quindi
possibile, allo stato attuale, sapere se l’irregolarità è da imputare a una
contaminazione accidentale, all’effetto deriva o a un uso illegale di
fitofarmaci. L’ottimo risultato è ottenuto, tra le altre cose, grazie
all’applicazione di ampie rotazioni colturali e pratiche agronomiche
preventive, che contribuiscono a contrastare lo sviluppo di malattie e a
potenziare la lotta biologica tramite insetti utili nel campo coltivato.
“Serve
una drastica diminuzione dell’utilizzo delle molecole di sintesi in ambito
agricolo, grazie a un’azione responsabile di cui essere tutti protagonisti – ha
dichiarato Angelo Gentili, responsabile agricoltura di Legambiente -. Per
capire l’urgenza di questa transizione, si pensi alla questione del glifosato,
l’erbicida consentito fino al 2022, nonostante il 48% degli Stati membri
dell’Ue abbia deciso di limitarne o bandirne l’impiego per la sua pericolosità;
l’Italia inizi dalla sua messa al bando. Inoltre, per diminuire la
chimica che ci arriva nel piatto è necessario adeguare la normativa sull’uso
dei neonicotinoidi, seguendo l’esempio della Francia che da anni ha messo al
bando i 5 composti consentiti dall’Ue, e approvare al più presto il nuovo Piano
di Azione Nazionale sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari”.
“Occorre liberare l’agricoltura dalla
dipendenza dalla chimica – ha aggiunto il presidente di Legambiente Stefano
Ciafani – per diminuire i carichi emissivi e favorire un nuovo modello, che sposi
pienamente la sostenibilità ecologica come asse portante dell’economia made in
Italy, diventando un settore strategico per il contrasto della crisi
climatica. Riteniamo anche necessaria una svolta radicale delle
politiche agricole dell’Unione, con una revisione della Politica Agricola
Comune che superi la logica dei finanziamenti a pioggia e per ettaro per
trasformarsi in sostegno all’agroecologia e a chi pratica agricoltura
sostenibile e biologica. Le risorse europee, comprese quelle del piano
nazionale di ripresa e resilienza, vanno indirizzate all’agroecologia, in modo
da accelerare la transizione verso una concreta diminuzione della dipendenza
dalle molecole pericolose di sintesi, promuovendo la sostenibilità
nell’agricoltura integrata e in quella biologica come apripista del modello
agricolo nazionale, con l’obiettivo di giungere in Italia al 40 % di superficie
coltivata a biologico entro il 2030”.
Legambiente torna a chiedere che
l’Italia allinei le sue politiche al Green deal e a quanto previsto dalle
strategie europee Farm to fork e Biodiversità che ambiscono a ridurre entro il
2030 del 50% l’impiego di pesticidi, del 20% di fertilizzanti, del 50% di
antibiotici per gli allevamenti, destinando una percentuale minima del 10% di
superficie agricola ad habitat naturali. Ritiene, inoltre, strategico
approvare la legge sull’agricoltura biologica, ferma al Senato della Repubblica,
come strumento per sostenere il settore. Altro aspetto da non
trascurare è quello dell’etica del cibo e della legalità: se gli alimenti
devono essere sani, lo deve essere anche il lavoro che li produce così come
sono rilevanti i rischi per la salute dei braccianti non regolarizzati
derivanti dall’esposizione diretta ai pesticidi, in assenza dei più elementari
dispositivi di protezione individuale previsti dalla normativa vigente. Per
questo è importante attuare misure specifiche rispetto al fenomeno del
caporalato, sia attraverso politiche di prevenzione che di controllo e
vigilanza e di assistenza, reintegrazione e inserimento socio-lavorativo dei
braccianti sfruttati e approvare con la massima urgenza la normativa contro le
aste al doppio ribasso di prodotti agroalimentari da parte della grande distribuzione.
Nota metodologica dossier Stop pesticidi
Il dossier di Legambiente Stop Pesticidi
riporta i dati elaborati nel 2019 dai laboratori pubblici italiani accreditati
per il controllo ufficiale dei residui di prodotti fitosanitari negli alimenti.
Tali strutture hanno inviato i risultati di 5.835 campioni di alimenti di
origine vegetale, di provenienza italiana ed estera, genericamente etichettati
dai laboratori come campioni da agricoltura non biologica. L’elaborazione dei
dati prevede la loro distinzione in frutta, verdura, trasformati e altre
matrici.
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