mercoledì 28 maggio 2014

24 maggio 1962: la Saras arriva a Sarroch

qualche anno fa Massimiliano Mazzotta ha fatto un documentario, anche se alla Saras e ai suoi avvocati non è piaciuto molto.




E’ il 1962 quando Angelo Moratti sbarca in Sardegna e fonda la Saras, società anonima raffinerie sarde, ponendo le basi per quello che poi nel corso degli anni sarebbe diventato un polo petrolchimico di imponente rilievo e la più grande raffineria del Mediterraneo.
La raffineria venne inaugurata nel 1966 dall’allora ministro dell’Industria Giulio Andreotti che si congratulò con il fondatore per avere avviato la “rinascita” della Sardegna, “rinascita”  che di fatto ha segnato la morte di un territorio e della sua gente. Ed e’ il 1962 quando gli anziani di Sarroch definiscono in modo quanto mai profetico, lo scellerato progetto di distruzione di una porzione della invidiabile della Costa Degli Angeli, con l’appellativo di Sa Rovineria: una rovina sotto tutti i punti di vista.
Purtroppo gli anziani ci avevano visto giusto.
Se ci si affaccia dal viale Buoncammino sa rovineria è visibile ad occhio nudo, cosi come sono visibili i fumi e quella fiamma sempre viva; allo stesso modo se si percorre la strada statale 195 di notte si viene illuminati dalla miriade di luci riflettenti i tubi e le cisterne che quasi richiamano lo spettrale e apocalittico paesaggio della città di Conan: Indastria.
Un vero e proprio scempio perpetrato in una porzione di territorio a vocazione agricola e dedito alla pesca.
Nel 1962 il Signor Angelo Moratti pensa bene di sfruttare la posizione strategica della zona, nel cuore del Mediterraneo, acquisendo le terre alla popolazione di Sarroch per l’irrisoria cifra di 340 lire a metro quadrato; il progetto iniziale prevedeva l’occupazione di un’area di 180 ettari per arrivare agli attuali 800 ettari…

…nel 2006 la Saras ha fatturato 5.196 milioni di euro, con un utile netto di 293 milioni di euro.
IN UN ANNO OLTRE 500 MILIARDI DELLA VECCHIE LIRE SOLO DI UTILE.
L’utile, nel 2000 era ‘solo’ di 36 milioni di euro. Ma come hanno fatto? Aumentare gli utili di quasi 10 volte in pochi anni e’ da maghi degli affari.
Ma c’e’ il barbatrucco. Non sono stati i bravi manager Saras a fare svettare questi introiti: e’ stato il magico Cip6 !! Elementare Watson. Ma come fa la Saras a ricevere i soldi del Cip6, che in teoria e’ per industrie che producono energia rinnovabile?
Facciamo un passo indietro. Prima del 2004, gli scarti della raffineria Saras andavano smaltiti, a caro prezzo, come rifiuti speciali. Nel 2004 allora l’idea brillante dei Moratti: bruciamoli quei rifiuti. E nel farlo ci ricaviamo un po’ di energia che facciamo passare per alternativa. Nessuno se ne accorgerà, avranno pensato.
E siccome l’hanno fatto passare per un metodo nuovo e ‘alternativo’ per produrre energia ecco che arriva il Cip6. Non ha importanza quanto schifo immettono in aria. Gli diamo la dicitura di ‘assimilata’ e siamo apposto. Lo Stato italiano (noi) abbiamo dunque regalato 200 milioni di euro alla famiglia Moratti. Neanche fossimo tutti interisti.
Furbo Mr Moratti, eh?
Così accanto alla raffineria vera e propria (completa di desolforatore come vogliono fare ad Ortona) hanno costruito questo inceneritori di rifiuti petroliferi, dal nome luminoso, e intriso di virilita’ sarda: Sarlux.
Ogni giorno, 3500 tonnellate di scarti della raffineria, fangosi e puzzolenti (immaginate voi di che robaccia si tratta) arrivano alla Sarlux e vengono bruciati. Dietro di se lasciano una scia di anidride carbonica, ossidi di azoto, solfati e concentrati di vanadio e il nichel che vanno dritti dritti nelle case, nei pesci, nell’aria di Sarroch.
Ma non e’ finita qui. L’energia viene venduta poi ad enti pubblici, e non a prezzo di mercato, ma ad un prezzo che e’ il DOPPIO del suo valore effettivo. Questo perché, di nuovo, la Sarlux e’ un impianto di energia “alternativa”.
In più come parte degli accordi per il Cip6 si sarebbero dovuti creare dei nuovi posti di lavoro anche in industrie non petrolifere. Dei tanti progetti vaporosi presentati dalla Saras a tuttoggi non ne e’ stato realizzato neanche uno. Solo i lavori riguardanti la raffineria sono stati portati a termine. La Repubblica calcola che ogni nuovo posto di lavoro sia costato fra i 400mila e il milione di euro…

lunedì 26 maggio 2014

comitati in cammino

COMITATI SARDI In RETE
MANIFESTO D’INTENTI

1
La storia recente della Sardegna è quella di un territorio costellato di progetti economici  calati dall'alto e dall'esterno, progetti i cui benefici restano in capo alle lobbies economico-finanziarie che li propongono, laddove i costi di tali progetti sono invece scaricati sulla collettività, attraverso gli incentivi economici, i danni ambientali, sociali ed economici da essi causati. Si tratta di un meccanismo collaudato che si ripete da decenni e lascia dietro di sé un tessuto economico incapace di provvedere autonomamente alle proprie necessità, comunità sfilacciate, costrette ancora oggi a vedere le energie più fresche allontanarsi alla ricerca di quelle possibilità che una progettualità ad uso e consumo di pochi ha cancellato; un paesaggio ferito da interventi decontestualizzati e privi di qualsiasi relazione con l'ambiente circostante e l’economia locale, un territorio privato delle competenze e delle popolazioni che ne garantiscano la tenuta e l'assetto.

Le rovine lasciate da decenni di gestione dissennata del territorio sono sotto gli occhi di tutti: altissimi livelli di disoccupazione, povertà, disagio sociale, spopolamento, abbandono delle campagne, dissesto idrogeologico, sottrazione di estensioni vastissime di territorio per usi militari e industriali - con annesso inquinamento che si ripercuote sulla salute pubblica - accaparramento di vastissime zone a vocazione agricola in tutta la Sardegna con il pretesto della produzione di energia da fonti rinnovabili o assimilate, veicolate da una disastrosa politica di incentivi statali (Cip6, Conto Energia, Certificati Verdi etc..), che ha fomentato pure e semplici operazioni di carattere speculativo. Questo è lo scenario con il quale si deve confrontare chi ancora vuole ostinarsi a vivere in Sardegna, nonostante tutto.

È in questo quadro così delineato - che, senza la complicità della classe politica e amministrativa e a comportamenti complici della società sarda, non si sarebbe mai potuto comporre - che nasce l'esigenza da parte delle popolazioni di reagire, rinsaldare le comunità e strutturare una linea di difesa nei confronti dell'aggressione incessante verso il territorio. I Comitati spontanei che nascono in ogni luogo della Sardegna, pur con diverse forme organizzative ed obiettivi, sono accomunati dalla necessità di ricostruire le comunità per poter immaginare un futuro, di resistere ad un uso del territorio che emargina chi quel territorio lo abita, costringendolo a vivere da straniero in casa propria o ad emigrare.

Purtroppo l'opposizione dei singoli Comitati, da sola, spesso non basta. Sono troppo forti gli interessi che investono le singole comunità: interessi di grosse aziende nazionali e multinazionali, in grado di relazionarsi direttamente ai diversi livelli di governo sovranazionale, statale e regionale, e perciò in grado di avere la meglio sulle ragioni di popolazioni la cui voce spesso non arriva oltre il livello regionale, e anche a quel livello trova interlocutori poco interessati al territorio e al rispetto delle prerogative di una Regione a Statuto Speciale, quale è la Sardegna.

Si fa quindi impellente la necessità di unire le voci, le competenze, la passione dei diversi Comitati locali, per porsi all'altezza delle controparti in modo da imporre il rispetto per le comunità, i loro diritti, le loro esigenze e la loro progettazione del territorio, per spezzare il senso d'impotenza su cui marciano gli speculatori, e così riprendere in mano il proprio destino…
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Coordinamento Sardo Non Bruciamoci il Futuro – Comitati Sardi InRete
Al Presidente della Regione Sardegna
Richiesta di moratoria
Nel rivendicare il diritto dei cittadini all'accesso alle informazioni e alla partecipazione ai processi decisionali che coinvolgono l'ambiente, la salute, il lavoro e il benessere sociale (diritto sancito da numerose normative internazionali, europee e statali) i comitati, gruppi territoriali e associazioni della Sardegna impegnati su questi temi portano all'attenzione dei cittadini e dei decisori politici quanto segue:
• è in atto una schizofrenica politica industriale tesa a trasformare la Sardegna in una piattaforma energetica per progetti di sviluppo esterni all’isola e in centro di commercio, stoccaggio o smaltimento di merci, di fonti energetiche e di rifiuti prodotti altrove, anche mediante l’accaparramento delle migliori terre a preminente vocazione agricola, con la conseguente ulteriore marginalizzazione delle tradizionali attività agro-pastorali;

• notiamo la sostanziale inerzia della Regione Autonoma della Sardegna nel rivendicare il diritto legittimo nella gestione dei bacini idrici, degli impianti idroelettrici e di altre fonti energetiche rinnovabili esistenti utili ad una produzione energetica nel rispetto della salute dei cittadini e degli intessi degli operatori del settore primario e del turismo;

• osserviamo come la politica verticistica non partecipata (chi amministra attualmente ha il mandato da appena il 18% degli elettori Sardi) sia spesso funzionale agli interessi delle lobby finanziarie e speculative estranee agli interessi dei Sardi favorendo l’accumulazione, la centralizzazione e il trasferimento fuori dell’Isola della ricchezza prodotta lasciando solo le macerie ambientali, sanitarie e sociali;

• in una situazione di degrado ambientale e sociale diffuso, di aggressioni continue al nostro territorio, di minaccia alla nostra salute, assistiamo ad una continua esclusione dalla possibilità di partecipare come singoli e come comunità alla costruzione di un nuovo modello di sviluppo lontano da quello che negli ultimi 50 anni ha portato la nostra Terra ad avere il triste primato di regione con l’estensione più vasta di territorio contaminato (445 mila ha), associato ad elevati tassi di incidenza e di mortalità per malattie delle popolazioni residenti, e sul piano sociale a registrare i tassi di disoccupazione, particolarmente giovanili, tra i più alti dello Stato;

• un Governo Centrale “amico” con il D.Lgs 23 dicembre 2013, n. 145, convertito con modificazioni dalla L. 21 febbraio 2014, n. 9 (in G.U. 21/2/2014, n. 43) e noto come Decreto “Destinazione Italia", ha posto le basi per un sostanziale disimpegno degli inquinatori dall’obbligo di bonifica a partire dalla sottoscrizione di accordi di programma con lo Stato ed Enti
Locali per una riconversione industriale di tali aree, con agevolazioni fiscali a carico della comunità e spesso indirizzate, come a Porto Torres e a Portoscuso, a scelte non certo sostenibili sul piano ambientale, sanitario ed economico portate avanti in assenza di una preventiva efficace azione di bonifica;

• il medesimo Decreto “Destinazione Italia” vede lo Stato avocare a se competenze che riguardano la nostra Isola nel settore ambientale come nella ricerca di risorse geotermiche per la produzione di energia elettrica con possibile compromissione di ulteriori 200 mila ha, in un momento nel quale fioriscono nel territorio sardo innumerevoli progetti di produzione energetica con ricorso alle biomasse, ai biodigestori, ai mega parchi eolici, ai campi fotovoltaici, ai mega impianti termodinamici solari in aree a vocazione agricola, fino alle trivellazioni per la ricerca di idrocarburi e ai nuovi inceneritori di rifiuti.
CHIEDIAMO un atto urgente di MORATORIA che preveda:

sabato 24 maggio 2014

resistenza contro la distruzione della natura

Cari amici,

qualche settimana fa il Comune di Orosei ha notificato ad oltre 120 proprietari coltivatori in regione Arbolotta, nella piana del Comune, l’avvio del procedimento relativo alla apposizione del vincolo preordinato all’esproprio per l’esecuzione dei lavori di collegamento delle SS 125 e 129 con nuovo ponte sul fiume Cedrino.
A seguito di tale notifica, un gruppo di proprietari si è costituito in comitato, contestando la scelta del Comune per il danno irrimediabile che arreca a una delle zone più belle, più fertili e intensamente coltivate dell’agro del comune a fronte, soprattutto, della assoluta inutilità dell’opera, il cui preventivo di spesa supera i ventidue milioni.
La necessità dell’opera, secondo gli intendimenti del comune, si giustifica con l’esigenza di dirottare il traffico dall’interno dell’abitato verso la nuova strada di circonvallazione.
Secondo noi la motivazione è pretestuosa, a maggior ragione dopo la recentissima aggiudicazione dell’appalto ( 13 febbraio u.s.) relativo ai lavori di realizzazione della tangenziale Ovest e Nord di collegamento della SS 125 alla SS 129 dalla località Zanzi al Rimedio con lo scopo prioritario di eliminare l’attraversamento del centro abitato da parte dei mezzi pesanti da e per le cave. L’opera, attesa da circa dieci anni, ha un costo di circa due milioni ed è stata considerata di grande importanza per il comune di Orosei e per l’intero territorio e in grado di risolvere i problemi più gravi legati al traffico non solo dei mezzi pesanti.
A nostro avviso, viene meno, pertanto, una delle ragioni principali che sorreggono la motivazione a sostegno dell’opera in contestazione: la necessità di disciplinare il traffico veicolare, soprattutto durante la stagione turistica.
Come diciamo nel documento di contestazione inviato al Comune e alle forze politiche di maggioranza e di opposizione, il traffico legato all’afflusso turistico stagionale viene artificiosamente ingigantito per dare una parvenza di ragionevolezza alle motivazioni tese a giustificare la soluzione adottata.
Il problema, invero, si pone esclusivamente per qualche settimana all’anno e non si costruisce una nuova strada dal costo esorbitante e dal danno certo e irreparabile a un’oasi di pregio naturalistico straordinario e di grande fertilità e intensamente coltivata con colture di pregio, perché si assume l’esistenza, per pochi giorni all’anno, di un traffico veicolare appena sopra il consueto.
In ogni caso, ammessa l’esistenza di un problema connesso alla fluidità del traffico, noi abbiamo suggerito una soluzione ragionevole, capace insieme di eliminare l’inquinamento, di rendere fruibile l’abitato, di creare nuova occupazione e di utilizzare in modo proficuo una parte dell’ingente finanziamento disponibile: la costruzione di un parcheggio in apposita area e l’attivazione di un servizio di navetta per le località balneari.
La costruzione di una nuova strada non porta nessun beneficio al paese, neanche in termini occupazionali, consuma inutilmente territorio in un comune che ha subito, negli ultimi trent’anni, un processo di urbanizzazione violento senza creare sviluppo duraturo e con evidenti squilibri ambientali che ha lasciato segni dolorosi, e non rimarginati, nelle ultime due alluvioni.
La zona in predicato di espropriazione è allocata, come abbiamo detto più sopra, in un’oasi di inestimabile valore ambientale e produttivo: corre lungo la riva destra del fiume Cedrino, con terreni di natura alluvionale profondi e fertilissimi, in un contesto miracolosamente incontaminato, nel quale parecchie diecine di coltivatori praticano colture specializzate e che verrebbero sradicati con una miserabile indennità e un costo umano e sociale irreparabile.
Nell’ambito dello strumento di pianificazione territoriale la destinazione urbanistica della zona in questione è disciplinata dal Piano Regolatore Generale approvato con Decr. Reg. n. 1507 del 25/09/1987 P.T.P. ex lg. reg. n. 45 del 22/12/1989 ed è assoggettata al vincolo della Direttiva Comunitaria n. 92/43 di salvaguardia e protezione degli habitat naturali e della flora e della fauna (istituzione dei Siti di Interesse Comunitario – SIC).
La destinazione urbanistica è all’interno della Zona Hf – Parco attrezzato del fiume Cedrino, fascia di rispetto ambientale in un’area di conservazione integrale ai sensi della lg. reg. n. 45/89 e della Direttiva Comunitaria n. 92/43 CEE compresa nell’area SIC di Avalè - Palude di Osala. 
La lg. reg. 45/89 è tesa a garantire la conservazione integrale dei singoli caratteri naturalistici, storici, morfologici e dei rispettivi insiemi.
(Zona SIC : tutti gli interventi in queste zone devono essere sottoposti a valutazione di incidenza ai sensi dell’art. 5 del DPR 357/97 che approva il regolamento di attuazione della Direttiva comunitaria CEE n. 92/43).
Questi rigidi vincoli normativi e ordinamentali vengono disinvoltamente aggirati dal progetto preliminare di costruzione dell’opera e considerati come inesistenti dall’amministrazione comunale.
Noi riteniamo che sia necessario un ripensamento e che i finanziamenti resi disponibili vengano utilizzati per progetti molto più utili per la comunità.
Nel nostro documento ne abbiamo indicati alcuni ma altri evidentemente ne potrebbero essere proposti: tutti a impatto ambientale nullo, anzi alternativi a un consumo dissennato e privo di ragioni plausibili di territorio e capaci di creare nuova, qualificata e duratura occupazione.
Tra le diverse proposte da noi avanzate ne richiamiamo due in particolare: la valorizzazione del corso del fiume Cedrino, fino al comune di Galtellì con imbarcazioni leggere e di pescaggio superficiale, con un percorso di grande fascino naturalistico e un itinerario pedo-ciclabile che utilizzi l’attuale strada vicinale, adeguata ovviamente all’ampliamento della sua utilizzazione, per rendere fruibile non solo dai flussi turistici amanti della natura ma da tutti i cittadini del comune e del territorio la bellezza e la integrità dell’oasi, con giovamento anche per le attività produttive che vi insistono e per quelle che potrebbero essere utilmente allocate come punti di ristoro, di attività ludiche e sportive nonché di guida turistico-ambientale.
Questo sviluppo alternativo potrebbe, oltretutto, essere di esempio per altri comuni del territorio, invece di inseguire progetti illusionistici privi di fondamento che, come il recente passato ci insegna, non portano da nessuna parte e lasciano solo macerie, non solo materiali, e inutili rimpianti.
Il consumo del territorio, in quanto risorsa non rinnovabile, attraverso la cementificazione, è diventato un problema di emergenza nazionale; la perdita di terreno agrario, risorsa infungibile e strategica per la produzione alimentare, anche in Sardegna ha risvolti preoccupanti e deve essere fermata.
La nostra regione ha una grave dipendenza per l’approvvigionamento di derrate alimentari e non può perdere neanche un metro di terreno agrario, soprattutto quando ha i requisiti di qualità e produttività quali quelli che si vorrebbe espropriare. Infine, si distruggono, senza alcuna apprezzabile contropartita, posti di lavoro per l’oggi e per il domani per un’opera che non crea ma distrugge ricchezza.
L’attuale amministrazione comunale, ha evidentemente un’altra visione del bene comune se ha ideato di disseppellire il progetto concepito in una diversa stagione politica e se ha ritenuto, con una scelta che desta sospetto, di adempiere all’obbligo formale di pubblicazione dell’avvio del procedimento relativo all’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio non su quotidiani regionali, di più ampia diffusione e alla portata di tutti, ma su “Italia Oggi”, di presunta diffusione nazionale, nonché sul “Corriere dello Sport” di asserita diffusione regionale, oltre che sull’Albo Pretorio on line del comune e del sito della Regione Sardegna.
Dall’albo pretorio on line è sparito dopo qualche settimana, come pure è sparito dal sito informatico regionale.
Probabilmente l’Amministrazione in carica non aveva ( e non ha) un grande interesse che, né i cittadini interessati né, tanto meno, l’intera popolazione venga a conoscenza di quello che si cucina nelle segrete stanze e, al contrario, ha interesse che venga preventivamente disarmata e posta davanti al fatto compiuto una eventuale opposizione.
Tuttavia, il nuovo clima politico regionale ci induce a sperare che non si dia nessuna copertura per un’operazione di sperpero di risorse ed eminentemente propagandistica e che vengano revocati/bloccati i finanziamenti da riqualificare e concedere solo ed esclusivamente per progetti che abbiano una ricaduta reale a beneficio di tutta la comunità e dell’intero territorio.
Se questa nostra analisi è corretta e condivisa, a Voi tutti, cari amici, chiediamo il supporto della vostra competenza e della vostra capacità di proposta e di mobilitazione di tutti coloro che non si rassegnano al declino anche quando venga camuffato sotto le sembianze ingannevoli di progetti mirabolanti .
Se lo ritenete opportuno, siamo pronti a mettere a vostra disposizione tutto il materiale relativo e a mettere in calendario un primo incontro di reciproca conoscenza e di auspicabile collaborazione.

IL COMITATO



QUI e QUI i blog per seguire questa storia (sbagliata)

mercoledì 21 maggio 2014

sulla gestione delle Foreste Demaniali - Giovanni Monaci

Da molto tempo si sente un gran bisogno di accendere un dibattito sulla produttività dei boschi in Sardegna, e sulla compatibilità di tale funzione con le altre più di carattere ambientale, da quella idrogeologica a quella naturalistica. Già trent’anni fa all’Università i docenti invitavano gli studenti a farsi promotori nei confronti dei  nascenti movimenti ambientalisti di una diffusione della cultura forestale, cercando con tutta la delicatezza necessaria di spiegare che la selvicoltura, eseguita secondo la scienza e tecnica appresa dall’esperienza dei secoli passati e secondo le più recenti metodologie dettate dalla selvicoltura naturalistica, è portatrice di sviluppo economico, di presidio idrogeologico delle montagne, e che può, anzi deve, conformarsi alle funzioni paesaggistiche e naturalistiche sempre più richieste da parte di una società diventata nel frattempo più sensibile a tali tematiche. Da tener presente che a quei tempi doveva ancora essere emanato  il c.d. Decreto Galasso che avrebbe attribuito ope legis una tutela paesaggistica a tutti i boschi.
Rispetto ad allora, sembra che non vi sia stata la capacità da parte del mondo accademico,  imprenditoriale, professionistico di spiegare ai profani della materia la compatibilità tra utilizzazione economica e tutela delle funzioni ecologiche dell’ecosistema boschivo, ma viceversa vi è stata semmai un irrigidimento ulteriore da parte di quest’ultimi, al punto tale che addirittura qualche settore politico ed economico ha attribuito al termine “ambientalista”  un significato dispregiativo, facendo torto a chiunque abbia a cuore la conservazione della natura e un mondo migliore.
La Sardegna, per quanto riguarda la questione forestale, è un caso particolare nel panorama italiano. Particolare perché, a differenza delle altre regioni, storicamente non si riconosce  al bosco una funzione di produzione legnosa. Le motivazioni possono ricondursi al fatto che le prevalenti specie arboree nostrane come il leccio, la sughera, la roverella,  mal si adattano ad un utilizzo come legname da lavoro per la produzione di assortimenti di maggior valore rispetto alla legna da ardere, con l’eccezione del castagno che però ha un areale piuttosto ristretto. Altro motivo è riconducibile alla convinzione di una scarsa produttività dei boschi dovuta a un regime climatico mediterraneo con scarse precipitazioni, che limita le produzione. Essendo poi la Sardegna una terra che ha da tempo immemore basato la sua economia prevalentemente sulla pastorizia, al bosco si è sempre guardato come luogo da pastura per gli armenti, in cui una selvicoltura razionale  non può trovare spazio perchè antagonista della pastorizia. Inoltre le vicende dello sfruttamento forestale del secolo diciannovesimo, iniziato con la ricerca da parte del regime sabaudo degli assortimenti adatti alla propria marineria, facendone commercio anche con altre nazioni, continuato con lo sfruttamento per la produzione delle traverse della nascente rete ferroviaria nazionale, e protrattosi ancora successivamente con la produzione del carbone di legna, produzione che è continuata fino alla fine della metà del secolo scorso, ha determinato sostanzialmente un’avversione da parte della società sarda per ogni ulteriore utilizzazione legnosa. Avversione alimentata anche dal fatto che lo sfruttamento boschivo intensivo è stato condotto in prevalenza da società ed imprenditori non isolani, coinvolgendo solo marginalmente maestranze ed operai locali, non contribuendo  pertanto un arricchimento reddituale ed un accrescimento professionale della popolazione sarda. La mancanza di un’imprenditorialità locale ha determinato anche il venir meno dell’interesse di pianificare le utilizzazioni boschive affinchè i tagli  si svolgessero con regolarità, garantendo la continuità nel tempo dell’attività, presupposto di un sistema che contemperi la rinnovazione del capitale boschivo nel corso del tempo. Non essendo gli imprenditori esterni proprietari dei terreni, ma soltanto acquirenti del soprassuolo, non avevano alcun interesse al mantenimento della produttività degli stessi, ma viceversa l’interesse consisteva nel realizzare nell’immediato il massimo profitto, con il conseguente successivo abbandono delle terre sfruttate. Eccezione può farsi per le compagnie di sfruttamento minerario, grandi consumatrici di legname per l’armamento delle gallerie e per l’alimentazione dei forni di lavorazione del minerale. Infatti, lo sfruttamento minerario è un’attività che si protrae per parecchio  tempo, tant’è che si esprime con il termine di “coltivazione mineraria”. Vi era pertanto l’interesse a garantirsi nel tempo l’approvvigionamento degli assortimenti legnosi necessari, e conseguentemente a regolamentare lo sfruttamento dei boschi in maniera intelligente. Prova ne è per esempio la conservazione del bacino forestale di Marganai, inserito nel più importante centro minerario della Sardegna e di cui ancora oggi se ne apprezza la consistenza boschiva.
L’avversità culturale all’utilizzazione boschiva è pertanto un retaggio storico degli errori del passato. E ancora oggi dall’opinione pubblica viene precluso il riconoscimento ai boschi sardi della produzione di beni  primari, con l’eccezione delle sugherete il cui assortimento commerciale è tuttavia un prodotto secondario del bosco. Tale disconoscimento è largamente diffuso anche nel mondo accademico e in parte dagli stessi operatori pubblici del settore. Parlare di funzione produttiva primaria dei boschi sardi è diventato praticamente un tabù, un sacrilegio.
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martedì 20 maggio 2014

La legalità, l’inclusione e la sinistra - Alessandro Gilioli

Ieri il governo Renzi ha posto e ottenuto la fiducia sul cosiddetto “piano Lupi”, che all’articolo 5 prevede il taglio di acqua, luce e gas per chi occupa abusivamente un immobile. A queste persone verrà tolta anche la residenza: diventeranno ufficialmente dei fantasmi, dei senza fissa dimora.
Ora, possiamo discutere tutta la vita sulle occupazioni abusive, che sono una galassia di situazioni diverse: c’è chi bivacca con la famiglia in una fabbrica dismessa, chi si piazza in una scuola abbandonata o in una ex sede di municipalizzata, chi con l’appoggio della malavita più o meno organizzata passa davanti a quelli che per punteggio avrebbero diritto a un alloggio popolare.
Insomma non è una questione ideologica – sono “buoni” o “cattivi” gli occupanti – ma è invece un dramma molto pragmatico: ci sono migliaia di persone che non hanno un tetto sotto cui vivere e che quindi si arrangiano infrangendo la legalità.
Questo è, questo accade.
E questo a sua volta è il frutto di tante concause economiche e sociali alla cui base c’è però un unico innegabile elemento: il diritto inalienabile di ogni persona di avere una casa in cui vivere non è considerato tale dalle istituzioni, o quanto meno non è da esse garantito nei fatti.
Non succede solo da noi, è ovvio. Ma non ovunque si risponde con il Piano Lupi.
Prendete il Brasile, ad esempio: lì, per cercare di affrontare quei concentrati di miserie e di gang criminali che erano le favelas, il governo Lula ha adottato una politica molto diversa. Portando in quelle città illegali la luce elettrica, l’acqua, le fogne: gratis. E i nomi delle vie: avere una residenza ufficiale, con un indirizzo, è la precondizione per esistere, per ricevere la posta, per compilare un modulo, per iscrivere i figli a scuola, per lasciare un recapito a un colloquio di lavoro.
Si chiama inclusione sociale: e ha funzionato…

lunedì 19 maggio 2014

Solidarietà ai distributori francesi di "Water Makes Money" denunciati da Veolia per diffamazione

A Parigi, il 28 marzo è stata emessa la sentenza nel processo della società privata dell’acqua Veolia contro il film Water makes money. Dalla sentenza risulta quanto segue:
Sostanzialmente la denuncia di Veolia è stata respinta: i fatti citati nel film non vengono messi in dubbio e possono continuare a essere qualificati come „corruzione“. Le dichiarazioni dei testimoni, come anche esempi tratti dal film sono, secondo la sentenza, sufficienti a giudicare non diffamante e giustificata la definizione „corruzione. In questo contesto, si è fatto cenno, tra l’altro, ai conflitti di interesse, che emergono nel film, tra politica ed economia, gli esempi di corruzione di Grenoble, Montpellier e Tolosa.
Purtroppo però, in un punto il tribunale è stato compiacente con la società: la dichiarazione di Jean-Luc Touly, secondo la quale gli sarebbe stato offerto un milione di euro, è stata giudicata dal tribunale non dimostrabile: al momento del fatto il „corruttore“ e la persona da corrompere erano soli. Tuttavia il tribunale ha accolto la versione di Veolia. Sebbene nel corso del dibattimento sia risultato chiaro che tangenti di questo tipo sono all’ordine del giorno nelle società private dell’acqua, nella versione DVD francese questo passaggio deve essere cancellato.
A parte ciò, le dichiarazioni di Jean-Luc Touly sono state valutate non chiare anche se egli sostiene di essere stato bombardato di processi e di esserne uscito sempre vincitore. In verità li ha vinti tutti meno uno, e cioè quando fu condannato al risarcimento di 1 euro, e dovettero essere cancellati dal film due passaggi del tutto insignificanti. Chiaro che Jean-Luc Touly l’abbia percepito come una vittoria. In fin dei conti, rispetto alla denuncia del suo datore di lavoro, la sforbiciata del suo intervento nel film poteva apparire ben poca cosa. E tuttavia, il tribunale ha deciso che anche questo passaggio dev’essere eliminato dalla versione DVD francese. Jean-Luc Touly e la distribuzione francese del film vengono pertanto condannati rispettivamente a una multa di 1000 e 500 euro con la condizionale; inoltre ognuno di loro dovrà versare ai querelanti la cifra simbolica di 1 euro.
E’ da presumere che il passaggio incriminato non verrà censurato né nella versione ARTE, né in tutte le altre edizioni internazionali del film – neppure in quella tedesca - che dunque possono continuare ad essere proiettate integralmente...
continua qui

mercoledì 14 maggio 2014

dove lo sport è sport, e anche di più

Dalla festa del Celtic, vincitore del campionato scozzese, arrivano queste immagini toccanti. L’allenatore del club Lennon e il suo giocatore più rappresentativo, Samaras, hanno festeggiato la vittoria che mancava da sei anni e mezzo prima regalando una medaglia e poi facendo fare il giro di campo ad un bambino disabile presente sugli spalti.
Il bambino, di nome Jay, che ha la sindrome di Down , è stato accolto dalla folla, l’ex attaccante John Hartson e l’ex capitano Stiliyan Petrov, entrambi recentemente guariti dal cancro .
Samaras ha detto: “ Ho incontrato Jay in Irlanda . Lui è un ragazzino particolare, un enorme fonte di ispirazione. L’intero team è stato molto orgoglioso di averlo con noi oggi” .
da qui



martedì 13 maggio 2014

dice Mark Twain

Tutte le scoperte della medicina si possono ricondurre alla breve formula : "l'acqua, bevuta moderatamente, non è nociva" 


martedì 6 maggio 2014

Storia di un poliziotto perbene

Roberto Mancini era un poliziotto, un Sostituto Commissario della Polizia di Stato.  Da qualche tempo in congedo.
Era entrato in Polizia nel 1980. Nel 1986 faceva parte della Criminalpol romana e ha indagato sulle attività camorristiche nel basso Lazio. Da lì ha iniziato a comprendere l’ampiezza degliaffari nel campo dello smaltimento illecito dei rifiuti tossici.
Nel 1994 iniziava un’indagine sull’ecomafia dei Casalesi e il 12 dicembre 1996 consegnava una documentata informativa alla Direzione distrettuale antimafia di Napoli.   Un’informativa che curiosamente sarà ritrovata dal pubblico ministero Alessandro Milita solo a svariati anni di distanza e sarà un cardine dell’accusa nel procedimento aperto nel 2011 davanti alla Corte d’Assise di Napoli contro i padroni di Gomorra.
Nel periodo 1998-2001 Roberto Mancini ha collaborato con la Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti presso la Camera dei Deputati e ha compiuto decine di sopralluoghi in discariche abusive di rifiuti tossici e radioattivi.   Nel 2002 gli veniva diagnosticato un linfoma non  Hodgkin.
Il Comitato di verifica del Ministero delle Finanze ha sancito che il suo tumore del sangue dipendeva da “causa di servizio”: 5 mila euro di indennizzo. La risposta della Camera dei Deputati, per conto della quale sono stati svolti i numerosi sopralluoghi venefici, è stata glaciale: il 13 luglio 2013 ha escluso “una qualsiasi responsabilità risarcitoria”, in quanto “dal punto di vista amministrativo, il sig Mancini, al fine di poter collaborare per la Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti è stato inquadrato dal 16 aprile 1998 al 28 maggio 2001 nell’Ispettorato della Polizia presso la Camera dei deputati senza che sia stabilito alcun rapporto a titolo oneroso con la Commissione… La collaborazione del sig. Mancini con la Commissione parlamentare d’inchiesta non può, dunque, in alcun modo inquadrarsi in un rapporto di lavoro con l’organo parlamentare”.
Le indagini di Roberto Mancini avevano portato a individuare protagonisti e vicende della Terra dei Fuochi, ben 15 anni prima della scoperta ufficiale, ma qualche mano ignota le ha messe in un cassetto per lunghi e tragici anni.
Roberto Mancini è morto, a 54 anni, a Perugia il 30 aprile 2014.  Il 3 maggio 2014 si sono svolti i funerali solenni nella Basilica di S. Lorenzo fuori le Mura, a Roma. Cordoglio unanime del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, del Ministro dell’interno Angelino Alfano, del Capo della Polizia Alessandro Pansa.
Non ha avuto dallo Stato quel sostegno e quei riconoscimenti che ha meritato, ma è e resterà un esempio per chiunque abbia a cuore questa povera Terra e chi ci vive.
da qui



lunedì 5 maggio 2014

La “svolta di Renzi” nell’energia ancora non si vede - Rosa Filippini

Che il caro bolletta sia determinato, in Italia, dagli incentivi fuori misura elargiti nell’ultimo quinquennio alle fonti rinnovabili elettriche, in particolare fotovoltaico ed eolico, è ormai un fatto assodato. Non che sia mai stato un segreto: l’Autorità per l’energia elettrica e il gas aveva avvertito fin dal 2009 delle dimensioni preoccupanti che il fenomeno avrebbe assunto, in particolare per le piccole e medie imprese; gli Amici della Terra chiedono da tempo di riequilibrare le incentivazioni in favore dell’efficienza energetica e delle rinnovabili termiche; la stessa Strategia energetica nazionale (SEN) e i diversi Governi dal 2010 in poi hanno riconosciuto a più riprese che occorre correggere misure che assomigliano più a rendite ingiustificate che a incentivi.
Tanti allarmi e preoccupazioni non sono però riusciti a impedire che il conto da pagare in bolletta, annualmente e per i prossimi venti anni, sia arrivato a superare i 13 miliardi costituendo mediamente il 20% del costo dell’elettricità per gli Italiani. Una lobby molto ben organizzata, presente in tutti i partiti e attiva nelle istituzioni, è riuscita finora a salvaguardare le rendite acquisite dalle tecnologie più costose e inefficienti facendole passare per “green economy” nonostante l’impatto paesaggistico e ambientale di tralicci, pale e pannelli su vaste estensioni di  territorio agricolo o pregiato dal punto di vista naturalistico…

giovedì 1 maggio 2014

Lotta biologica: com’è nata?

L’ltalia è primo paese produttore di prodotti biologici in Europa, i consumi di cibi biologici stanno crescendo nonostante la crisi e le frontiere delle coltivazioni biologiche si stanno allargando coinvolgendo anche le grandi città. Ma questo fenomeno (positivo) da dove è partito? Come è iniziata questa avventura?
Per cercare il bandolo della matassa, per cercare la sorgente di tutto questo, dobbiamo andare indietro nel tempo e precisamente nell’estate del 1888 e soffermarci nella bellissima e sempre assolata California, lo stato americano nel quale la primavera si adagia tutto l’anno, il luogo sulle cui coste l’oceano Pacifico si infrange con forza donando ad orde di surfisti un divertimento assicurato.
Ebbene, fu in quella fatidica estate che tutto iniziò e, pensate un po’, iniziò con una – apparente – disgrazia: l’avvento della Icerya purchasi negli agrumeti californiani. Ma andiamo con ordine: cosa è l’Icerya purchasi? È una cocciniglia che, quasi piovuta dal cielo, invase, sterminandoli, gli agrumeti californiani. Cosa era successo? Come mai non si era mai vista quella cocciniglia?
La risposta a quelle domande la diede il noto entomologo americano Charles Valentine Riley che, dopo attente analisi, capì che l’ospite indesiderato era una cocciniglia australiana dal nome di Icerya purchasi e che era arrivata in California trasportata probabilmente da qualche nave.
Ma come mai era così dannosa in California mentre non lo era quasi per nulla in Australia, suo paese di origine? Perché ogni ecosistema si basa sui rapporti antagonisti tra le varie specie che lo abitano e la nostra cocciniglia,non avendo nemici in California, “sfuggiva” a questa legge dell’ecologia moltiplicandosi a più non posso. Ma attenzione, Riley – da bravo americano - non si limitò alla formulazione, peraltro precisa, delle domande, ma passò ai fatti. Spedì in tutta fretta il suo fedele assistente Koebele in Australia per cercare questo ipotetico fattore limitante.
Koebele ritornò in patria dopo pochi mesi vincitore: in Australia l’Icerya purchasi non era devastante perché esisteva una intera costellazione di nemici naturali che manteneva le sue popolazioni sotto una soglia non dannosa. Tra la moltitudine di insetti antagonisti, gli entomologi scelsero una coccinella la Rodolia cardinalis, la quale venne prima allevata in laboratorio e poi liberata in campo. Se le leggi dell’ecologia non sono una opinione, pensarono gli entomologi, in poco tempo si sarebbe reinstaurato l’equilibrio preda-predatore con buona pace per gli agrumi.
Come andò? Noi posteri possiamo affermare che andò bene, anzi benissimo tanto che il successo superò le più rosee aspettative: dopo pochi anni la coccinella si insediò stabilmente nel territorio californiano relegando le drammatiche infestazioni di Icerya nella parte del cervello dove risiedono i brutti ricordi…