mercoledì 30 luglio 2014

Vivisezione a Modena, appello degli scienziati: stop all’uso dei macachi

73 professionisti laureati in discipline scientifiche hanno chiesto al Rettore dell’Università di Modena e Reggio Emilia di fermare le sperimentazioni sui macachi. Gli animali, allevati nello stabulario della stessa Università, sono sottoposti a test molto invasivi che comportano l’inserimento di una spira (una sorta di vite) sotto la congiuntiva oculare, fili d’acciaio nei muscoli della nuca e camere di registrazione impiantate nel cervello; tali esperimenti durano anni e hanno come esito la morte.
Sono decenni che l’Ateneo modenese usa le scimmie per fini sperimentali e le pubblicazioni frutto di tali invasive investigazioni continuano a non dare risposte per l’uomo, è ora di smettere di giustificare dolore e uccisioni in nome di uno studio che non cura nessun malato.
Tra i firmatari dell’appello molti esponenti della neonata Associazione O.S.A. (Oltre la Sperimentazione Animale), che riunisce medici, veterinari, biologi, farmacisti e altri laureati in discipline scientifiche che hanno deciso di unire le loro competenze allo scopo di offrire alla ricerca scientifica modelli alternativi all’uso di animali, e fornire informazioni competenti rispetto alla reale utilità della sperimentazione animale.
Tali procedure sono non solo eticamente inaccettabili, ma scientificamente non ammissibili, come sostenuto e dettagliatamente argomentato dagli aderenti all’O.S.A. L’appello al Rettore dell’Università di Modena e Reggio Emilia di chiudere questa inutile ricerca, si aggiunge a quello già fatto nei mesi precedenti da ben 84 deputati di vari schieramenti. Le associazioni animaliste, inoltre, hanno più volte offerto la propria disponibilità a farsi carico delle scimmie eventualmente dismesse, ma tutte le richieste per ora sono cadute nel vuoto.
Gli scienziati antivivisezionisti chiedono di sostenere una ricerca svolta con metodi rigorosi, validati, avanzati, in grado di implementare lo sviluppo di alternative che possano fornire quelle risposte che la sperimentazione animale non ha dato in più di un secolo e non sarà mai in grado di dare.
Troppo spesso il messaggio antivivisezionista viene subdolamente associato solo a facili emotività per far credere che chi è contro l’uso degli animali nella ricerca sia contro la scienza, ma la verità è esattamente il contrario, come dimostrano questi 73 firmatari e il crescente fronte scientifico contrario al modello animale perché obsoleto, costoso e inutile per le malattie che affliggono la nostra specie.

da qui

ci sono dei killer che praticano la caccia al lupo




Soltanto un paio di giorni fa è avvenuto l'ennesimo atto criminale ai danni di un presunto lupo lasciato senza vita e con le zampe legate nel paese di Semproniano.  Sono in corso le analisi per stabilire con certezza la specie di appartenenza dell'animale.  L'attività del Corpo forestale dello Stato è stata intensificata da quando si sono verificate le uccisioni, che dallo scorso dicembre ammontano a sette. L'incontro tra i vertici della Forestale toscana e il sindaco dell'ultimo Comune interessato è necessario per mettere a punto le migliori strategie a tutela della fauna selvatica e per individuare gli autori e mandanti delle uccisioni, nonché le cause scatenanti di un fenomeno che per la sua serialità potrebbe rientrare in un preciso disegno criminoso.
Intanto sull'assassino seriale di lupi in Maremma interviene anche il Wwf.  "Il lupo fatto trovare in piazza nel paesino di Semproniano, nella alta maremma toscana, è solo l'ultimo atto di bracconaggio registrato in ordine temporale in una guerra senza quartiere che va avanti dall'Aspromonte alle Alpi con tagliole, veleni e armi da fuoco", denuncia l'organizzazione del Panda. 

Mettiamo a disposizione una ricompensa di 5.000 € per chi fornirà informazioni utili ad identificare i responsabili della morte del lupo ucciso ieri a Semproniano (Grosseto), e di qualunque altro dei lupi e canidi uccisi con lacci, fucilate e bastonate da marzo 2013 ad oggi in provincia di Grosseto.

11 gli animali uccisi finora: un triste record di livello nazionale. Uccisioni punibili in base all’articolo 544-bis del Codice penale con la reclusione fino a due anni, e che possono anche configurare il reato di furto venatorio.La gravissima situazione che si sta verificando in Maremma, con una simile scia di crimini seriali nei confronti degli animali, non ha finora portato, purtroppo, a nessuna imputazione. Né si è a conoscenza dello sviluppo delle indagini in merito. Per questo, scriveremo al Procuratore Capo della Repubblica di Grosseto, sollecitando un’azione investigativa che permetta di mettere fine a una strage che si sta portando avanti con modalità da crimine organizzato da parte di ignoti.

giovedì 24 luglio 2014

la "guerra" vista dalla luna



Due drammatiche immagini si aggiungono al dossier del conflitto sulla Striscia di Gaza. Questa volta la guerra tra Israele e Palestina viene immortalata dalla Stazione spaziale internazionale. Gli scatti arrivano attraverso il profilo Twitter dell'astronauta tedesco Alexander Gerst che li definisce i più tristi da lui catturati finora: ''my saddest photo yet'', scrive. E sottolinea come sia possibile vedere chiaramente la luce dei razzi e delle esplosioni dei bombardamenti sul territorio. La condivisione è stata immediata: oltre 20mila retweet in pochissime ore (a cura di Marzia Papagna).


asilo politico per Camilla

Nella notte fra il 15 e il 16 luglio una mucca evade da un allevamento di Vinci (FI). Camilla – questo il suo nome – viene dichiarata “pericolosa” dall’allevatore, e sui giornali si parla di lei come di una “mucca che si crede un toro”, come se oltre ad aver superato un recinto e ad aver rifiutato il ruolo di produttrice di vitelli (future bistecche…) avesse anche osato superare gli “steccati” di genere: un ribelle è già uno scandalo, una ribelle lo è doppiamente.
Il Comune di Vinci emette un’ordinanza che prevede, fra le possibilità, l’abbattimento, ma Camilla è ancora latitante. Sembra sia stata avvistata in diversi posti, ma non viene catturata.
Appena saputo della ribellione di Camillla, abbiamo espresso la nostra solidarietà, una solidarietà attiva e concreta, facendo pressione sulle istituzioni locali affinchè rinunciassero all’abbattimento. Questa prima e urgente richiesta ha trovato un’eco inaspettata fra le tante persone e associazioni che hanno subito capito che Camilla, con la sua evasione, chiede a tutt* di schierarsi chiaramente contro ogni sfruttamento.
Non è del resto la prima volta che succede: ogni giorno, in tutto il mondo, gli schiavi animali resistono come possono alla segregazione e alla violenza, fuggendo dai mattatoi, dagli allevamenti, dagli zoo e dai circhi. Spesso senza successo. Talvolta trovano dei compagni umani pronti a lottare al loro fianco, come è stato in questo caso. Telefonate e e-mail hanno inondato il Comune di Vinci per giorni. La stampa ha dato risalto al coraggio di Camilla.
E’ sempre più improbabile che Camilla, se verrà trovata, venga abbattuta.
La nostra speranza è che possa vivere libera in un territorio che dovrebbe essere ospitale per tutti, umani e non.
Se venisse catturata, però, non possiamo accettare che finisca la sua vita come fattrice in un allevamento. Quello che chiediamo è che, in tal caso, venga ceduta ad un luogo in cui gli animali come lei possono vivere senza essere sfruttati. Abbiamo trovato un posto che potrebbe accoglierla degnamente.
Quello che chiediamo per Camilla è l’asilo politico…
da qui


Eticamente inaccettabile e giuridicamente illegittima. Non si può definire altrimenti l’Ordinanza numero 11 con la quale il Sindaco di Vinci (Firenze), Giuseppe Torchia, dispone l’uccisione a vista di una mucca scappata il 14 luglio da un allevamento.
Così, accogliendo l'appello di Resistenza animale, abbiamo deciso di inviare una diffida legale con la quale chiediamo l’immediata sospensione e il ritiro in autotutela dell’Ordinanza, poiché non basata sugli accertamenti tecnico-scientifici necessari e quindi espone alla violazione dell’articolo 544 bis del Codice penale, uccisione ‘non necessitata” di animale, che prevede la reclusione fino a due anni.
Facciamo appello agli Organi di Polizia: l'Odinanza non deve essere eseguita. E al Prefetto chiediamo un intervento che faccia tornare il Sindaco sui suoi passi.

Camilla può avere una vita serena: abbiamo già comunicato al Sindaco di Vinci la nostra disponibilità ad individuare una sistemazione alternativa, che la salvi definitivamente dalla morte, nonché accurate visite fisiche e comportamentali al fine di evitarne l’abbattimento.


lunedì 14 luglio 2014

11 punti per cui l'uomo è evidentemente fruttariano

1.      L’uomo è fruttariano perché privo di sufficienti acidi gastrici per disintegrare le proteine animali (10 volte meno acido cloridrico dei cani e dei gatti nel proprio stomaco).
2.      L’uomo è fruttariano perché il suo sangue è alcalino al 7.30-7.50, e non acido 6.0-7.0 come nei cani e nei gatti.
3.      L’uomo è fruttariano perché privo di enzima uricasi per disgregare i 28 grammi di acidi urici regalati da ogni kg di proteine animali (mentre cani e gatti abbondano di tale enzima).
4.      L’uomo è fruttariano perché il latte materno umano ha la stessa percentuale proteica della frutta (4-5%), e non 15% come nel latte bovino, 30% come nei cani, 40% nei gatti, o 50% come nei topi.
5.      L’uomo è fruttariano perché dotato di un sistema gastrointestinale oblungo, stretto, spugnoso, pieno di curve e di risalite, la peggior cosa possibile per un pasto carneo (mentre cani e gatti hanno un intestino corto, tozzo e liscio per una rapida digestione ed espulsione delle sostanze putrescenti).
6.      L’uomo è fruttariano perché i cibi alcalini in partenza (carni e latticini) rilasciano ceneri acide che acidificano pesantemente il sistema (negli animali carnivori ciò non accade grazie al sangue acido dei medesimi). L’acidificazione scatta già a 30 grammi di proteine, quota minima che ogni mangiatore di frutta, anche di sola anguria mangiata a sazietà, è in grado di superare.
7.      L’uomo è fruttariano perché il suo sistema immunitario è fruttariano (e accoglie i pasti carnei come nemici invasori, e con pesanti reazioni leucocitiche, come dimostrato da Kouchakoff).
8.      L’uomo è fruttariano perché dotato di mandibole mobili lateralmente, tipiche del frantumatore di frutta e di semi, mentre nei carnivori le mandibole sono fisse, adatte a strappare le carni alle vittime.
9.        L’uomo è fruttariano perché il solo cibo completo e libero da effetti collaterali ammalanti rimane il succo zuccherino vitaminizzato, mineralizzato, enzimizzato, elettrizzato dalla fotosintesi e dall’energia solare.
10.     L’uomo è fruttariano perché ogni esperimento di tipo vibrazionale (vedi André Simoneton) indica che solo la frutta raggiunge gli 8000-10000 Angstrom dell’infrarosso, di massima salute e vivificazione, mentre dalle patate-legumi-cereali poco-cotti alla verdura cruda si rimane sulle quote alte 6500-7500 con colore arancio e rosso, e mentre le carni stanno sui valori bassi dei 3000 e meno, suo colori ammalanti e derubanti del grigio e dei raggi X.
11.       L’uomo è fruttariano perché nessuno sarebbe normalmente capace di accoltellare una creatura innocente a sangue freddo, mentre sta sulle sue senza fargli alcun male.

Corrado & Gianluca

giovedì 10 luglio 2014

Felix e il papa - Francesca Caprini

Incontro storico in Vaticano per un colpo d’occhio unico: un premio Nobel per la pace, un indigeno argentino – quasi due metri di altezza, i lunghi capelli bianchi sciolti sulle spalle, la casacca con i colori del suo popolo, i Qom – e un papa. Tre esponenti dei diritti umani – ognuno con la propria linea politica e spirituale – per un’udienza significativa.
Il papa è naturalmente il neoeletto Francesco, quello che viene “dalla fine del mondo” e sembra non dimenticare chi in quella fine del mondo ancora vive e combatte. Il Papa argentino, che la settimana scorsa ha accettato di incontrare due suoi insigni connazionali – Adolfo Perez Esquivel e il qarashe della Comunidad Originaria Qom, Félix Díaz, insieme alla moglie Amanda Asijak.

Felix Diaz è il referente della Cumbre de los Pueblos y Organizaciones indigena dell’Argentina, la piattaforma che riunisce gli aborigeni argentini. Accompagnato anche dal Reverendo Francisco Nazar, Vicario episcopale per le popolazioni originarie di Formosa, ha voluto incontrare il papa per denunciare le terribili sofferenze – e la formidabile resistenza – delle popolazioni originarie. Sfruttati, depredati, minacciati, assassinati: la tragedia degli indigeni, in Argentina come nella quasi totalità dell’America latina – con parziale eccezione per la Bolivia – continua da cinque secoli in un colpevole silenzio: cancellate le loro radici culturali, privati dei loro territori, discriminati fin dall’accesso ai servizi basici, gli indios stanno soccombendo in una guerra non ufficiale.

In Argentina si parla di almeno 700 comunità per circa 500.000 persone – ma la cifra è sottostimata. Impossibilitati ad accedere anche ai diritti che la riforma costituzionale del ’94 aveva loro riconosciuto – la titolazione delle terre, ad esempio – mapuche, guarnì, chiriguanos e le altre etnie aborigene vengono in Argentina ignorate più che da altre parti. E questo nonostante le parole della presidenta Cristina Fernández de Kirchner: “ Chiedo perdono alla popolazioni indigene per l’egoismo, le dimenticanze, l’avarizia”, diceva a Salta, appena eletta…
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mercoledì 9 luglio 2014

Nessuno potrebbe resistere alle grida delle balene in agonia

«Se immaginiamo un cavallo con due o tre lance esplosive nello stomaco, poi costretto a tirare sanguinante il carretto di un macellaio per le vie di Londra, possiamo avere buon’idea dei metodi di uccisione delle balene. I balenieri stessi ammettono che se le balene potessero gridare, tutta l’industria della pesca si fermerebbe, perché nessuno potrebbe resistere a quelle grida» così scriveva il medico di bordo Henry Lillie, durante l’ultima Guerra mondiale. Ancora oggi, l’uomo caccia le balene, con metodi che rimangono cruenti e inaccettabili. Perchè l’Islanda non vuole rivelare i risultati della ricerca sul dolore provato dalle balene durante la loro agonia? Forse quelle grida silenziose fanno troppo male?
Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

da Il Corriere della Sera, 7 luglio 2014
Il dolore delle balene svelato da una ricerca che l’Islanda non vuole pubblicare.
Commissionata dal governo, è stata conclusa ma nessuno ne conosce i contenuti. Proteste in Parlamento.  (Luigi Offeddu)
BRUXELLES. Quanto soffre Moby Dick? Troppo, per essere detto. Questo, forse, sta accadendo in Islanda: il governo, qualche mese fa,  ha incaricato ufficialmente uno scienziato norvegese di studiare la durata dell’agonia nelle balene colpite dai ramponi esplosivi, tema da anni al centro di molte polemiche; ha promesso che, appena avutili, avrebbe diffuso i risultati completi della ricerca; ma finora niente, solo una sorta di silenzio di Stato che ha fatto infuriare gli ambientalisti, e agitato il Parlamento. Perché il governo non rivela quel che ha saputo dalla ricerca? E che senso ha avuto allora l’idea di dare l’incarico a uno scienziato norvegese, proprio perché straniero e presumibilmente indipendente?...

La faccia triste del Brasile - Tano Siracusa

Nella foresta amazzonica brasiliana ci sono 77 gruppi umani ‘isolati’: così li definisce il FUNAI, l’ente governativo preposto alla protezione degli indios. Si tratta di gruppi a volte di poche decine di individui, che hanno deciso di isolarsi nella foresta, sopravvissuti alle stragi degli allevatori e delle compagnie del legname, alle malattie contratte attraverso il contatto con i coloni bianchi, come la polmonite.

Sono quelli che tirano le frecce contro gli elicotteri che li sorvolano. Alcuni gruppi rimangono nomadi, altri sono più stanziali. C’è ancora territorio a sufficienza: il FUNAI di recente ha delimitato un territorio per un individuo solo, sopravvissuto a chissà quale catastrofe abbattutasi sul suo gruppo, che rifiuta in modo assoluto qualunque tipo di contatto. E poi ci sono ancora quei gruppi che non sanno che fuori dalla foresta c’è un altro pianeta, che non sanno che esistiamo.

Queste poche persone, al massimo qualche migliaio, sono le uniche che in Brasile non vedranno i campionati del mondo di calcio. Gli Arawete invece li stanno seguendo.
In ciascuno dei loro sei villaggi lungo il fiume Kingsu c’è infatti il gruppo elettrogeno e un televisore che guardano la sera, seduti o sdraiati per terra davanti una capanna o in uno spazio comune.
La città, Altamira, è a qualche ora di navigazione lungo il fiume, e adesso che una compagnia privata ha regalato a molti arawete una barca con il motore i rapporti con la città si sono intensificati, provocando anche numerosi incidenti dovuti all’imperizia e al loro modo spericolato di guidare le imbarcazioni.

Soprattutto vi si recano spesso i giovani, che si aggirano poi spaesati fra le case basse della città, nei posti dove si può comprare una maglietta del Brasile con il numero 10, dove si può bere coca cola o comprare l’alcol, che fino a quattro anni fa non bevevano e la cui diffusione preoccupa molto il personale del FUNAI perché ha già disastrato diverse etnie.
Gli arawete sono circa 400, hanno una loro lingua ma ormai parlano anche un po’ il portoghese, perché oltre a fornire il televisore il governo brasiliano ha istituito una scuola in ogni villaggio. Gli insegnanti, che condividono la vita degli indios – meglio, che ne condividono il tempo libero, non essendo né cacciatori né pescatori – stanno molto attenti a non contribuire alla ulteriore disgregazione della loro cultura.
Nel 2010 una coppia di insegnanti brasiliani, pastori di una delle tante chiese cristiane, non diceva nulla agli indios né del cristianesimo né della sfericità della terra. E neppure avevano voglia di parlare con estranei dell’infanticidio gemellare che gli arawete praticano, probabilmente inorriditi dalla duplicazione, da quel perfetto mimetismo del doppio studiato da René Girard e attestato da molti etnologi in varie parti del mondo…

giovedì 3 luglio 2014

No fracking, è una guerra




“Todos los veranos los dedico a filmar. Cada film es complementario con mi acción social y política. Ya no hay salas para estrenar documentales, cada vez son menos y los distribuidores nacionales han desaparecido. Hoy, por primera vez, estreno en las redes sociales: La Guerra del Fracking, mi último documental. Gracias por compartir y difundir.” (Fernando Pino Solanas)
Solanas ha scelto la via maestra del documentario per raccontare la “sua” Argentina, conseguenza naturale di una militanza politica che lo impegna in prima persona e di una scelta artistica che fin dagli esordi vede il cinema come arma di “liberazione e conoscenza”. La guerra del fracking è in realtà la terza parte di un progetto che possiamo definire di denuncia “ambientalista”, cominciato con Oro Impuro (2009) e Oro Nero (2011), lavori intitolati alla “Tierra sublevada”. Tre “racconti filmici” che (come altri) mettono a nudo le contraddizioni socio politiche economiche dell’Argentina contemporanea, un solco tracciato nella sua filmografica fin dal 2004 con Memoria del saqueo (Diario di un saccheggio, la storia argentina dalla dittatuta militare di Videla alla caduta del governo di F. de la Rúa) e che a oggi (con La guerra del fracking) si compone di ben sette parti distinte ma collegate tra loro. Solanas prosegue così con il modello del film-saggio, in cui si fondono i generi, alternando la cronaca dei fatti a momenti di riflessione, i materiali d’archivio a ritratti dei protagonisti di ogni storia. Insomma un’opera collettiva ancora una volta, in cui il regista si pone come tramite tra i suoi protagonisti e lo spettatore nella convinzione che solo la consapevolezza dell’attacco neo-liberista alla dignità delle persone e della comunità consenta una risposta adeguata ed efficace. La visione del docu-film che segue vale più di ogni altra parola.
Breve biografia
Fernando Ezequiel “Pino” Solanas cineasta argentino, artista poliedrico e uomo impegnato nel sociale e in politica è anche regista teatrale, musicista, attore, pubblicitario e creatore di storie per fumetti. Fondatore, assieme a Octavio Getino e Fernando Vallejo, del gruppo Cine-Liberation scrisse il manifesto Verso un Terzo Cinema, un’idea di un cinema politico, “terzo” rispetto al cinema holliwoodiano (il “primo cinema”) ed a quello artistico “d’autore” europeo (il “secondo”), che sostenesse la causa dei paesi vittime del neoliberismo e rendesse le pellicole “arma di liberazione”. Nel 2002 fondò dopo il default dell’Argentina il movimento politico “Proyecto Sur”, la cui proposta politica, economica, sociale e culturale “è basata sul rispetto della condizione umana ed ha come principi di base la difesa dell’ambiente e la proprietà pubblica delle risorse naturali come condizioni per il raggiungimento di una vera giustizia sociale e per la tutela della sovranità nazionale.” Dal 2003 ha firmato come regista una serie di documentari sul fallimento argentino e sulle emergenze ambientali del paese. Nel 2004 ha vinto l’Orso d’Oro alla carriera al Festival di Berlino.

«Il kirchnerismo sta consumando la sua parabola. Una nuova forza come la nostra può dire molto sui temi principali che interessano il paese». Così dice al manifesto il cineasta e senatore argentino Pino Solanas. Solanas è venuto in Italia per presentare al teatro Valle di Roma il suo ultimo docu­mentario «La guerra del fracking », invitato dall’associazione A Sud, una delle realtà che promuo­vono la campagna no fracking. Oggi sarà a Taranto nell’ambito del think Green festival, il festival del giornalismo ambientale e della sostenibilità.
«La guerra del fracking » raccoglie le testimonianze degli abitanti della zona del Neuquen, dove si trova il serbatoio di Vaca Muerta. Voci che spiegano gli effetti inquinanti della tecnica non conven­zionale di estrazione del gas. Un metodo per frantumare la roccia usando fluidi pregni di sostanze chimiche che vengono iniettati nel sottosuolo con forte pressione.
Solanas ha con sé il numero di giugno-luglio della rivista Causa Sur, «pensar nuestra America». In copertina, lo si vede ritratto con papa Bergoglio, che regge una maglietta con su scritto «No al fracking ». E ai danni ambientali prodotti dall’«hydraulic fracturing» (letteralmente fratturazione idraulica) è dedicata una lunga analisi dell’avvocato Felix Herrero, intito­lata «Fracturas y fracasos».
Causa sur è l’organo della vostra formazione politica, Progetto Sur?
Non è una rivi­sta di par­tito, ma vi par­te­ci­pano i prin­ci­pali com­pa­gni di Pro­getto sur. Una forza poli­tica di cen­tro­si­ni­stra che è arri­vata a costi­tuire un fronte di otto par­titi poli­tici nella città di Bue­nos Aires per par­te­ci­pare alle legi­sla­tive dell’anno scorso. Per la prima volta abbiamo messo in fun­zione le pri­ma­rie simul­ta­nee aperte, una legge che esi­steva ma non veniva uti­liz­zata. Abbiamo costi­tuito un fronte con otto par­titi poli­tici dicendo: siamo l’unità nella diversità.
Un punto d’approdo otte­nuto dopo aver lavo­rato insieme su tanti pro­getti nell’ambito del Con­gresso e nella vita sociale e poli­tica del paese. Non abbiamo avuto la pre­tesa di essere d’accordo su tutto ma sui punti fon­da­men­tali e sul dibat­tito interno. Così abbiamo otte­nuto un grande suc­cesso, per­ché abbiamo vinto le pri­ma­rie e dopo due mesi alle legi­sla­tive siamo arri­vati secondi, a tre punti dal vin­ci­tore, anche se le nostre finanze costi­tui­vano il 10% di quelle del par­tito uffi­ciale che governa Bue­nos Aires, di cen­tro­de­stra, e del governo nazio­nale. Io sono stato eletto sena­tore per la città di Bue­nos Aires e pre­si­dente della Com­mis­sione difesa dell’ambiente.
L’Argentina vive un momento dif­fi­cile. Qual è la sua opinione?
Si sta con­su­mando la para­bola del kirch­ne­ri­smo. Il governo è vit­tima dei grandi pro­blemi strut­tu­rali che non ha saputo affron­tare, due punti su tutti: il pro­blema ener­ge­tico e la rico­stru­zione indu­striale, delle fer­ro­vie, dei tra­sporti ecce­tera, e il debito estero.
E’ un governo che ha ali­men­tano una monu­men­tale cor­ru­zione. Un sistema orga­niz­zato per favo­rire società ami­che che hanno spe­cu­lato sulle grandi opere pub­bli­che. Un sistema che si regge su una grande men­zo­gna, diven­tata pra­tica di governo: si sono fal­si­fi­cate le sta­ti­sti­che. Un’inflazione del 25–30% è diven­tata in par­la­mento del 9–10%.
Que­sta poli­tica di fal­si­fi­ca­zione ha fatto sì che il cit­ta­dino per­desse fidu­cia nella moneta.
Molte orga­niz­za­zioni di sini­stra vi cri­ti­cano, però, per essere alleati con for­ma­zioni di destra
Sì, dicono che siamo mode­ra­ta­mente di centro-sinistra. Noi siamo un par­tito di idee, che riu­ni­sce figure di ambito poli­tico e cul­tu­rale, intel­let­tuali. Non siamo un par­tito di massa. Ci bat­tiamo per il con­trollo delle risorse natu­rali, a par­tire dall’acqua, siamo a fianco del 40% dei lavo­ra­tori che non ha coper­tura sociale, degli oltre 5 milioni di pen­sio­nati che per­ce­pi­scono circa 180 euro al mese.
Pro­getto sur difende l’idea di sovra­nità nazio­nale e gli inte­ressi dei paesi con­tro i grandi tri­bu­nali come il Ciadi, difende la que­stione sociale, la demo­cra­zia par­te­ci­pa­tiva, l’ambiente e un nuovo modello di svi­luppo, un pro­fondo lavoro in campo cul­tu­rale. Senza una vera riforma in campo edu­ca­tivo non si va da nes­suna parte.
Il suo giu­di­zio sulla gestione Kirch­ner è dun­que total­mente negativo?
Come dicevo, non si sono affron­tati i pro­blemi strut­tu­rali, anche se ci sono state cose posi­tive in ter­mini di diritti civili, rispetto al pro­blema della memo­ria, ad alcune misure sociali. E cer­ta­mente, a par­tire da Nestor Kirch­ner si è cer­cata l’alleanza con quelle parti dell’America latina con­tra­rie al pro­getto neo­li­be­ri­sta dell’Alca e del Nafta. Oggi quei pro­getti sono andati avanti rin­sal­dando nuove alleanze regio­nali come Una­sur, Mercosur.
I fondi avvol­toi rischiano di stroz­zare nuo­va­mente l’Argentina? C’è di nuovo un rischio default?
Il debito dell’Argentina è il risul­tato del più grande atto di cor­ru­zione, del patto di com­pli­cità fra i due prin­ci­pali par­titi, nasce e si svi­luppa durante la dit­ta­tura. Un debito ille­git­timo pat­tuito e gestito dalla giu­ri­spru­denza Usa. Eppure gli stessi Stati uniti secondo quella giu­ri­spru­denza non hanno accet­tato di pagare il debito all’Iraq per­ché il debito con i governi dit­ta­to­riali non sono con­si­de­rati debiti.
Non si è fatto abba­stanza per non pagare il debito. E in fondo non siamo mai usciti dav­vero dal default. L’eccedenza di ric­chezza non è andato per le pen­sioni o la cre­scita indu­striale, ma per le ban­che, gli affari e gli interessi.
I paesi dell’America latina che si richia­mano al socia­li­smo del XXI secolo hanno scelto la strada della sovra­nità. Qual è il modello che più le piace?
Ho avuto buone rela­zioni con Cha­vez e stimo molto il regi­sta Roman Chal­baud, ma il modello che pre­fe­ri­sco è l’Uruguay.

Democrazia del fracking

Il gas di scisto non è più una delle tante opzioni in Europa, ma una realtà. L’esplorazione è in corso in diversi paesi europei e vaste aree sono già state designate per essere sottoposte ad eventuali processi di fratturazione. “Democrazia del fracking” – il film di Lech Kowalski – analizza la realtà dell’esplorazione di gas non convenzionali in tre comunità: a Zurawlow, Polonia; a Balcombe, Regno Unito; e a Pungesti, Romania. Quando le multinazionali impongono la propria agenda sui cittadini, la democrazia è rimessa in questione e spesso i media non riportano alcuna opposizione alle attività di fratturazione. Questo film descrive la realtà di situazioni concrete e racconta la storia della produzione estrema di energia attraverso la testimonianza delle sue potenziali vittime.

Il fracking porta metalli pesanti nell’acqua sotterranea

Il metodo di estrazione di petrolio e gas, noto come fratturazione idraulica, o fracking, potrebbe potenzialmente contribuire all’inquinamento delle acque sotterranee in misura molto maggiore di quanto finora ipotizzato. Lo rivela un nuovo studio in dell’ACS (la American Chemical Society) pubblicato sulla rivista Environmental Science and Technology.
Gli scienziati che hanno condotto la ricerca segnalano che in caso di una fuoriuscita fortuita o di uno sversamento deliberato nel terreno, i liquidi di scarto dal fracking tendono a trasportare nelle falde sotterranee le minuscole particelle di metalli pesanti presenti nel suolo, con possibili gravi conseguenze sulla salute di persone e animali. Tammo S. Steenhuis, uno degli autori dello studio, ricorda che il fracking, che comporta l’iniezione sotto terra di enormi volumi di fluidi per liberare gas e petrolio, ha portato a un boom di disponibilità d’energia negli Stati Uniti, ma ha anche provocato molte polemiche. Uno dei motivi è il riflusso dei fluidi immessi nel sottosuolo. Ciò che ritorna indietro contiene acqua, lubrificanti, solventi e altre sostanze. Esse sono presenti sia nel liquido immesso all’origine che provenienti dalle formazioni di scisto dalle quali il petrolio e il gas vengono estratti.
Un aspetto finora non considerato del fenomeno innescato dal fracking è la presenza di colloidi nel suolo. Questi piccoli pezzetti di minerali – argilla e altre particelle – sono motivo di grande preoccupazione perché “attirano” i metalli pesanti e altre tossine ambientali e sono quindi collegati alla contaminazione delle acque sotterranee. Per simulare il comportamento dei colloidi dispersi nel suolo al passaggio di un flusso di fluidi immessi per il fracking, i ricercatori hanno utilizzato una miscela molto simile a quella utilizzata nell’attività estrattiva. L’hanno fatta passare attraverso uno strato di sabbia il cui contenuto di colloidi era noto. E hanno scoperto che i fluidi utilizzati nel fracking sono in grado di estrarre dalle sabbie circa un terzo dei colloidi totali, molto più di quanto faccia la sola acqua deionizzata. Aumentando la portata del flusso, poi, la cattura di colloidi è aumentata ulteriormente del 36%. “Questo indica che l’infiltrazione di liquido di riflusso” concludono i ricercatori “potrebbe trasformarsi in un’ulteriore gravissima fonte di contaminazione dei terreni e delle falde sotterranee”.

 Cosa vuol dire gas non convenzionali? Sono quei gas che si trovano a grandi profondità, incastrati tra le rocce e che si possono estrarre solo tramite la tecnica del fracking, o fratturazione idraulica. Noi abbiamo scoperto questa parola da poco, ma la stiamo sentendo molto spesso ultimamente. Il fracking è un metodo che pompa getti di acqua dolce, mista a sabbia e un composto chimico di cui non si sa quali siano gli ingredienti perchè le imprese non lo dicono, e questo non è un buon segno…
I primi ad avere la geniale idea di usarlo sono stati, indovinate un po’? Gli Americani, quelli del Nord! Che hanno pensato che questa fosse una gran trovata per garantire la propria indipendenza energetica. Per cui invece di fare guerre in giro per assicurarsi combustibili hanno pensato bene di avvelenare direttamente i propri abitanti. Non tutti, ovviamente, solo che vivevano nelle zone limitrofe ai giacimenti.Cosa gli è successo? Nulla di grave, solo che l’acqua che usciva dal loro rubinetto era talmente piena di gas da essere infiammabile…
da qui

Non solo sono aumentati i terremoti, dice lo studio: i sismi sono stati registrati molto più lontano dall'impianto di quanto ci si sarebbe aspettato. Il dibattito sulla pericolosità del fracking va avanti da anni, e questo studio sicuramente alimenterà le proteste di chi si oppone a questo tipo di attività. 
I quattro impianti presi in considerazione in Oklahoma riversano nel terreno, a due o tre chilometri di profondità quasi 20 milioni di litri di liquido al giorno. Tutta questa pressione, spiegano gli autori, "creano una pressione che deve andare da qualche parte". La Keranen ha spiegato che l'acqua si sposta sottoterra con molta più velocità
 e molto più lontano, andando a toccare linee di faglia che - già attive - non possono fare altro che muoversi di più…