venerdì 26 aprile 2024

Alaji, la sua storia, dal mare al carcere - Federica Rossi


                                  (foto di Federica Rossi)

Alaji Diouf, arriva in Italia dal Senegal nell’ottobre 2015. Appena sbarcato viene arrestato e indicato da un testimone come il “capitano” che aveva guidato l’imbarcazione sulla rotta Mediterranea. Questo basta per farlo condannare a 7 anni di carcere. Una volta fuori però l’uomo non si arrende e insieme a Baobab Experience e l’avvocato Romeo sta tentando la strada della revisione del giudizio per dimostrare la sua innocenza. Una storia, la sua, come quella di tanti altri accusati di essere scafisti, con un tentativo, quello dell’annullamento della sentenza, che potrebbe cambiare la storia di questi processi.

“L’unica cosa che mi ha dato la forza di sopportare 7 ingiusti anni di carcere è stato pensare alla giustizia che avrei cercato una volta uscito, voglio far sentire la mia voce anche se mi prende tutto il resto della vita” dice Alaji Diouf, 34 anni di origine senegalese arrivato in Italia nell’Ottobre del 2015. Dopo l’accusa di scafismo aggravato che l’ha costretto in carcere, oggi tenta la revisione del giudizio insieme all’associazione Baobab Experience che lancia una campagna ad hoc “Capitani Coraggiosi”. Questo processo è già storico: nessuno prima in Italia aveva mai provato a contestare l’accusa di scafismo e il caso di Alaji riporta il dibattito sulla questione. “La campagna Capitani Coraggiosi nasce con un triplice intento: sensibilizzare, tentare la revisione della condanna di Alaji e far modificare l’Art. 12 del Testo Unico sull’Immigrazione che regola il traffico di esseri umani”, spiega Alice Basiglini, vice presidente di Baobab e responsabile dell’iniziativa.

Un falso soccorso 

Ma come arriva una persona innocente in carcere? Il percorso di Alaji parte dal Senegal, la sua terra natale. Da lì si sposta per arrivare in Europa, attraversando le zone desertiche del Mali e del Burkina Faso, “ma il viaggio in mare è stato ancora più duro. Sono rimasto in piedi tutto il tempo, non c’era spazio” spiega il giovane, che nella notte tra il 18 e 19 ottobre di nove anni fa arriva sulle coste italiane in un’imbarcazione con altre 120 persone. Il sovraffollamento infatti causerà la rottura degli assi di legno e la morte di otto persone per asfissia. Due unità della Marina Militare e una di Msf riescono a soccorrere un totale di 633 persone, tra cui Alaji. 

Una volta approdati, un uomo che non aveva viaggiato sullo stesso gommone di Alaji, né tantomeno lo conosceva, punta il dito verso di lui, pare su richiesta delle forze dell’ordine. Un gesto sufficiente per riconoscerlo come la persona che ha guidato l’imbarcazione, il cosiddetto scafista. Quel dito, tradotto a livello giuridico, costa ad Alaji l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (Art. 12 del Testo Unico sull’Immigrazione). Nel suo caso sarà aggravata sia per la morte delle persone, che per i “fini di profitto”. Quando viene chiamato, nello scambio di parole in italiano tra i presenti, Alaji non è consapevole e segue gli ufficiali “credevo mi portassero in bagno – ricorda – ho riconosciuto dei ragazzi che avevo incontrato in Libia e pensavo di stare nel posto giusto”. “Poi è arrivata una signora che parla francese, inglese e arabo. Dopo, anche un mediatore della lingua wolof, che comunque non è la mia”. L’idioma di Alaji infatti è il mandinga e le figure che gli parlano lo stanno interrogando. Del poco che riesce a comprendere in wolof risponde “no” quando gli viene chiesto se ha guidato il gommone. Ma il suo diritto alla difesa è comunque compromesso. “Se avessi parlato italiano non sarei finito in carcere”, commenta il giovane che oggi lavora come piastrellista per giardini.

I metodi d’identificazione dello “scafista”, indicati nel manuale di Operazione Sophia di Frontex del 2017, sono vaghi, come guardare se la persona è “eccessivamente educata e collaborativa, oppure se dimostra segnali di essere nervoso e scomodo”. Il metodo principale rimane attraverso l’uso di testimoni, come nel caso di Alaji. Un ex Capitano della Guardia Costiera racconta ad Arci Porco Rosso, circolo antirazzista attivo a Palermo, che la parola d’ordine in quei casi è “trovate un colpevole”. Alaji, nonostante abbia paura del mare, viene così condannato per scafismo con rito abbreviato (senza ascoltare altri testimoni). Nella sentenza lui e gli altri condannati saranno definiti dei “disgraziati”. “Questo passo è una singolare anomalia – dice Francesco Romeo, avvocato del giovane – sono stati condannati per aver agito a scopo di profitto e non si capisce come mai, essendo dei disgraziati, dei poveracci, dove c’è stato questo profitto”.

L’angolo buio della figura dello scafista

Alaji, come molte delle altre 3mila persone fermate negli ultimi otto anni, secondo i dati raccolti da Arci Porco Rosso nel report “Dal mare al carcere”, è stato riconosciuto come uno scafista, una figura che viene equiparata al trafficante di esseri umani. Gli esperti, come Basiglini, sottolineano la differenza tra le due: “Le persone che guidano l’imbarcazione non hanno nulla a che vedere con la criminalità organizzata. Sono persone che sono state costrette dalle stesse milizie, dagli stessi trafficanti a guidare sotto violenza, minaccia e ricatto, oppure che attraverso la disponibilità a guidare l’imbarcazione ottengono il viaggio gratis, se non possono permetterselo”. Una confusione che trova le sue radici nell’art 12 del TUI che la campagna Capitani Coraggiosi propone di modificare. Guardando l’articolo non si trova nessuna differenza tra i trafficanti e chiunque abbia favorito in modo indiretto l’arrivo di persone sul territorio nazionale. Un errore che porta l’Italia ad identificare uno scafista ogni trecento persone sbarcate secondo Arci Porco Rosso, ma anche ad accusare Baobab di traffico illecito per aver pagato il biglietto dell’autobus a 9 migranti arrivati in Italia. Effetti sproporzionati che portano molti a sostenere che il concetto stesso andrebbe ripensato. “Vogliamo modificarlo ma la modifica sarebbe così radicale che si può chiamare abrogazione” dice Basiglini. 

“Una figura polisemica”. Così Romeo definisce lo scafista: “Ha molti aspetti. Da un lato è un nemico pubblico perché nell’immaginario collettivo lo scafista sfrutta i passeggeri, allo stesso tempo è un capro espiatorio, perché è colui o coloro sui quali ricadono tutte le responsabilità”. Lo scafista diventa così il responsabile dell’intero viaggio delle persone che entrano nei confini italiani, un capro espiatorio “da cercare in tutto il globo terracqueo” secondo la Premier Meloni. 

In carcere

In questo malfunzionante sistema di identificazioni e accuse, Alaji è colpevole per la legge italiana. Glielo comunica Bakari, un altro ragazzo accusato che parla inglese e gli traduce la notizia. “Venire a conoscenza di questo è stato orribile. Non sapevo come difendermi, che strumenti usare per far capire a queste persone che sono innocente – ricorda Alaji – ho visto diventare realtà tutto ciò a cui non potevo credere”. Il giovane una volta in carcere prova a manifestare lo stato d’ingiustizia. “Mi sono levato tutti i vestiti nel cortile, volevo mettermi a nudo, per dirgli ‘se mi potete sparare, fatelo. Basta che non rimango qui’. Mi hanno calmato poi, non so neanche con cosa”. Non c’è via d’uscita dal carcere per il giovane per quasi 7 anni, di cui per i primi due non gli è permesso il contatto con nessuno all’esterno. “Un giorno volevo chiamarli per fargli sapere che ero vivo, mi hanno chiesto dei soldi, ero frustrato. Ho provato a togliermi la vita con dell’olio bollente”, una sorte da cui l’amico Bakari lo salva, e non sarà l’unica. L’amico, che parla inglese, lo aiuta anche a spiegare la situazione agli altri detenuti. Questi scrivono una lettera in italiano per aiutarlo a comunicare nei tribunali. Un diritto alla difesa che tenta di acquisire in ogni modo, ma che continua ad essergli negato. “Non prendevano la lettera neanche in considerazione, poi mi hanno proprio impedito di portarla con me”, ricorda.

Ribaltare la storia

Negli anni di carcere, la rabbia che si accumula in Alaji si trasforma in un ardente desiderio di giustizia, che ricerca fin da subito. “Quando esce dal carcere e si rivolge a noi non aveva solo un decreto di espulsione dal Paese, ma anche una grande cartella. In quegli anni infatti aveva raccolto tutti i documenti – racconta Basiglini – e quasi subito ci spiega di averli tenuti nella speranza di usarli per provare la verità”. Ora con l’aiuto di Baobab e l’avvocato Francesco Romeo tenta una revisione della sentenza alla Corte d’Appello di Potenza. “Dobbiamo fare un’indagine al contrario di quella che fa la polizia. Mettere insieme le condizioni meteorologiche di quei giorni, gli orari, le distanze, altri testimoni” spiega l’avvocato impegnato a ricostruire i fatti dalla scorsa estate. 

Baobab chiede così alla Questura e al Prefetto di Taranto un elenco delle persone sbarcate e dei rispettivi centri di accoglienza. La Prefettura di Taranto a luglio replica che la richiesta è «poco efficace» in luce degli otto anni trascorsi dall’evento. Dopo un ulteriore passaggio con il Garante per la Privacy e l’avvocatura Distrettuale di Lecce in merito alle corrette modalità di condivisione della lista richiesta dall’Ong, accade l’inaspettato: i documenti non esistono più. La Prefettura risponde che «a seguito di ripetute ricerche anche negli archivi di deposito di questa Prefettura, non sono stati rinvenuti gli atti relativi allo sbarco di migranti avvenuto a Taranto in data 20/10/2015». Tuttavia, non ci sono tracce di sparizione di quei documenti nella data dello sbarco. “Questo è un impedimento al diritto di difesa” sostiene Romeo. In ogni modo, le ricerche continuano. “Dopo il lancio della campagna qualcuno che ha fatto quel viaggio si è messo in contatto con noi e adesso stiamo cercando di tirare questo filo per vedere dove ci porta” aggiunge. 

Una revisione favorevole comporterebbe l’annullamento della sentenza di condanna e quindi la proclamazione di innocenza e il risarcimento del danno subito. Ma soprattutto“sarebbe un precedente importante per sensibilizzare sulla figura dello scafista, e mostrare come questa sia costruita a tavolino” dice Romeo.

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giovedì 25 aprile 2024

Ecco come proteggere la salute dalle microplastiche

 

Non passa giorno senza che venga pubblicato uno studio scientifico sui danni che le microplastiche provocano a diversi organi e tessuti, oltre che all’ambiente

“In un’epoca in cui la coscienza ambientale e i temi di One Health sono al centro del dibattito globale quello delle microplastiche resta un problema ancora largamente sottovalutato e misconosciuto, anche se profondamente impattante – Queste minuscole particelle di plastica (le microplastiche hanno un diametro inferiore a 5 mm e le nanoplastiche inferiore a 1 micron), in genere invisibili a occhio nudo, hanno invaso ogni angolo del nostro pianeta, comprese le acque di fiumi e oceani e rappresentano una minaccia significativa per la salute dell’uomo, degli animali e di tutto l’ambiente. È dunque urgente mettere in campo azioni di consapevolezza e prevenzione”. Le microplastiche sono particolarmente insidiose anche per la loro capacità di accumulare sostanze tossiche come pesticidi, metalli pesanti e altri inquinanti. Queste tossine inquinano l’ambiente e trovano la loro strada nella catena alimentare, venendo in questo modo a rappresentare una minaccia diretta per la salute. Studi recenti hanno confermato l’allarmante grado di contaminazione da microplastiche del cibo e dell’acqua che consumiamo ogni giorno. L’ingestione di microplastiche provoca danni a tutti gli organi e apparati, determinando disturbi gastrointestinali e del microbiota, problemi riproduttivi, effetti cancerogeni, problemi neurologici (è dimostrato che compromettono l’integrità della barriera emato-encefalica) e cardio-vascolari. Microplastiche sono state isolate persino nei vasi, all’interno delle placche di aterosclerosi e possono aumentare il rischio di infarti e di ictus. Presenti anche nell’aria che respiriamo, possono essere inalate e arrivare profondamente nei polmoni, causando problemi respiratori e aggravando condizioni come asma e bronchite. Dovremmo cercare di adottare una serie di azioni individuali volte a limitare l’esposizione alle microplastiche, anche se è chiaro che servirebbero iniziative politiche di ampio respiro, coordinate a livello internazionale. Le azioni auspicate dalla comunità scientifica internazionale vanno da regolamentazioni rigorose per limitare la produzione e l’uso di plastica monouso, a investimenti in tecnologie avanzate di filtrazione per rimuovere le microplastiche dalle acque reflue, alla promozione di pratiche sostenibili di gestione dei rifiuti. “La consapevolezza del pubblico e l’educazione giocano un ruolo cruciale nel combattere l’inquinamento da microplastica. Migliorando la cultura di tutela ambientale e la consapevolezza dei rischi, si possono prendere decisioni informate mirate a ridurre il contributo delle singole persone all’inquinamento da plastica, adottando una serie di azioni volte a mitigare l’impatto delle microplastiche sulla loro stessa salute. Mancare l’appuntamento con azioni di prevenzione e mitigazione del rischio afferma il professor Sesti – potrebbe avere conseguenze terribili per le generazioni presenti e per quelle future”. 

un decalogo UN Le raccomandazioniLe raccomandazioni della SIMI per proteggerci dalle microplastiche

Ecco dieci azioni pratiche, proposte dagli esperti della Società Italiana di Medicina Interna, che tutti possono adottare per proteggere sé stessi e l’ambiente dalle microplastiche, facendo guadagnare in salute chi vive oggi e le generazioni future.

1.       

o    Riduci il consumo di plastica monouso e optare per alternative riutilizzabili come bottiglie/borracce termiche in acciaio inossidabile, contenitori di vetro, borse della spesa (shopping) in tessuto.

o    Scegliere per l’abbigliamento le fibre naturali. Nella scelta dei vestiti e dei tessuti, preferire sempre quelli in fibre naturali come cotone, lana, viscosa e canapa, rispetto a materiali sintetici come poliestere, poliammide, polipropilene e nylon (molto diffusi soprattutto nella fast fashion perché economici), che rilasciano microplastiche durante la produzione e il lavaggio.

o    Installa filtri contro le microplastiche nelle lavatrici per catturare le microplastiche rilasciate dai tessuti durante i cicli di lavaggio, impedendo loro di entrare nel sistema idrico; così si rispetta di più l’ambiente ad ogni lavaggio.

o    Evita prodotti cosmetici contenenti microplastiche. I microgranuli in polietilene (presenti in esfolianti, dentifrici, creme da barba e scrub a risciacquo) sono vietati dal 2020, ma i cosmetici possono contenere altri polimeri insolubili. Controlla dunque sempre l’elenco degli ingredienti in etichetta per assicurarti che non contengano PE (polietilene), PMMA (polimetil metacrilato), PET (polietilene tereftalato) e PP (polipropilene).

o    Consuma acqua filtrata. Investi in un sistema di filtrazione dell’acqua di alta qualità per rimuovere le microplastiche e altri contaminanti dall’acqua di rubinetto, o scegli acqua minerale e bibite in bottiglia di vetro. Evita invece quelle in bottiglie di plastica.

o    Previeni la contaminazione dei cibi con la plastica. Riduci al minimo l’acquisto di cibi confezionati in imballaggi e contenitori di plastica, optando per alternative in vetro, acciaio inossidabile, silicone o sacchetti di carta per ridurre il rischio di ingerire microplastiche. Anche in frigorifero, ridurre o eliminare l’uso di contenitori di plastica e pellicole.

o    Mangia alimenti freschi e integrali. Scegli alimenti freschi e integrali anzichè prodotti processati e confezionati; questi ultimi, oltre ad esser meno salutari, potrebbero contenere livelli più alti di contaminazione da microplastica (per imballaggi di plastica e modalità di lavorazione).

o    Sostieni pratiche di pesca sostenibili. Acquistando prodotti ittici provenienti da fonti sostenibili, riducendo la probabilità di consumare pesce e frutti di mare contaminati da microplastiche.

o    Smaltisci correttamente i rifiuti. Pratica lo smaltimento responsabile dei rifiuti, separando la plastica quando possibile e gettandola nei bidoni designati; è un altro modo per evitare che la plastica inquini l’ambiente e contamini cibo e acqua.

o    Sii ‘ambasciatore’ del cambiamento, dando il buon esempio e sensibilizzando familiari, amici e colleghi di lavoro sugli effetti dannosi delle microplastiche per la salute dell’uomo e dell’ambiente.

Ecco come le microplastiche danneggiano la nostra salute

L’inquinamento da plastica è una delle sfide ambientali e sanitarie più urgenti e impattanti del nostro tempo. La presenza pervasiva della plastica minaccia l’integrità dei nostri ecosistemi e la salute delle generazioni attuali e future. L’impatto delle microplastiche sulla salute umana è molteplice e richiede immediata attenzione. Queste sono alcune delle principali conseguenze per la salute, associate alle microplastiche, a seconda della via di penetrazione nell’organismo.

1.       

o    Ingestione: le microplastiche possono essere ingerite attraverso cibi e fonti d’acqua contaminate. Una volta ingerite si possono accumulare nel tratto gastrointestinale, dove e causare irritazione, infiammazione e disturbi gastrointestinali.

o    Disfunzione del microbiota intestinale: le microplastiche ingerite, giunte nel tratto gastrointestinale possono alterare l’equilibrio del microbiota intestinale, essenziale per mantenere la salute digestiva e del sistema immunitario, contribuendo a causare malattie infiammatorie intestinali, obesità e disturbi metabolici.

o    Effetti sull’apparato respiratorio: le microplastiche in sospensione nell’aria, possono essere inalate e causare dunque irritazione delle vie respiratorie e infiammazione, portando ad un peggioramento di condizioni come l’asma e la bronchite. L’esposizione cronica alle microplastiche nell’aria può anche compromettere la funzionalità respiratoria e aumentare la suscettibilità alle infezioni.

o    Assorbimento di sostanze chimiche tossiche: le microplastiche possono assorbire e concentrare sostanze chimiche tossiche come pesticidi, metalli pesanti e inquinanti organici persistenti (POP) presenti nell’ambiente. Queste tossine assorbite con le microplastiche una volta ingerite possono comportare un rischio di tossicità sistemica e provocare effetti a lungo termine sulla salute.

o    Effetti sul sistema immunitario: l’esposizione alle microplastiche e alle sostanze chimiche tossiche associate può compromettere la funzione del sistema immunitario, portando ad una maggior suscettibilità alle infezioni, alle allergie e alle malattie autoimmuni.

o    Effetti neurologici: recenti ricerche suggeriscono che le microplastiche possano attraversare la barriera emato-encefalica e andare ad accumularsi nei tessuti cerebrali, dove potrebbero causare effetti neurotossici. L’esposizione prolungata alle sostanze neurotossiche rilasciate dalle microplastiche potrebbe dunque contribuire allo sviluppo di patologie neuro-degenerative quali la malattia di Alzheimer e di Parkinson e contribuire al decadimento cognitivo.

o    Effetti sull’apparato cardiovascolare: un recente studio pubblicato su The New England Journal of Medicine, a firma di ricercatori italiani, ha dimostrato la presenza di microplastiche e nanoplastiche all’interno delle placche aterosclerotiche di alcuni pazienti. I soggetti con queste caratteristiche presentavano un rischio maggiorato del 450% di incorrere in un infarto, ictus o mortalità per tutte le cause, nell’arco dei successivi 2-3 anni, rispetto alle persone che non presentano microplastiche nelle placche.

o    Interferenza endocrina (endocrine disruption): alcune sostanze chimiche presenti nelle microplastiche, come ftalati e bisfenolo A (BPA), sono degli interferenti endocrini, possono cioè interferire con i sistemi ormonali nel corpo. L’esposizione prolungata a queste sostanze può contribuire a problemi dell’apparato riproduttivo, disturbi dello sviluppo e squilibri ormonali.

o    Genotossicità: le microplastiche in esperimenti di laboratorio hanno prodotto effetti genotossici, cioè danni al DNA e mutazioni. La genotossicità può aumentare il rischio di cancro e comportare altre gravi conseguenze per la salute.

https://smips.org/2024/04/22/ecco-come-proteggere-la-salute-dalle-microplastiche/

mercoledì 24 aprile 2024

Ti ammali ? Vieni demansionato o messo a zero ore senza stipendio - Federico Giusti


Il personale dichiarato inidoneo alla funzione per motivi di salute non dorme sonni tranquilli, la inidoneità può arrivare come un fulmine a ciel sereno e distruggere ogni certezza nella nostra vita.

Oggi i diritti degli inidonei sono ridotti a carta straccia, nel settore autoferrotranviario un tempo venivano collocati in altre mansioni oggi invece rischiano di trovarsi a casa senza stipendio.

Manca in tante aziende private la possibilità di percorsi formativi per ricollocare l’inidoneo ad altre mansioni e una recente Sentenza della Corte di Cassazione consente al datore di lavoro pubblico di inquadrare il lavoratore  in mansioni inferiori specie se lo stesso non ha presentato alcuna istanza per essere adibito ad altre mansioni previste dalla normativa contrattuale. Ma questa istanza può anche non essere avanzata specie se la inidoneità arriva in un momento di crisi aziendale o se interi settori sono stati nel frattempo oggetto di esternalizzazioni.

I contratti nazionali offrono ormai scarse tutele, se nel corso della visita periodica aziendale vengono riscontrate problematiche di salute incompatibili con la mansione svolta non esiste alcun automatismo che preveda la salvaguardia dei diritti pur con mansioni diverse specie se l’azienda è piccola e non sa ove ricollocare l’inidoneo.

Dopo la visita medica arriva il documento di idoneità alla mansione, in caso contrario inizia un autentico calvario per evitare il quale si va al lavoro cercando di occultare anche uno stato di salute precario. In teoria ogni lavoratore è obbligato a rilasciare dichiarazioni non fallaci sul suo stato di salute ma davanti al rischio di essere licenziati quanti di noi sarebbero disposti a dire la verità fino in fondo?

Molte volte la patologie riscontrate sono anche conseguenza di ritmi insostenibili, si contraggono patologie proprio per la tipologia del lavoro, per lo stress psico fisico a cui veniamo sottoposti. La Sentenza di Cassazione esclude il licenziamento del dipendente per inidoneità fisica o psichica prima di aver cercato di ricollocarlo ad altra mansione, ma se queste mansioni alternative non esistono in azienda cosa succederà?

Si potrà in teoria essere adibiti a mansioni diverse, mansioni compatibili con la stessa qualifica, ma ormai è acclarato che per conservare il posto di lavoro si subisce il ricatto dell’inquadramento in qualifiche inferiori che ormai è nelle potestà datoriali. E se nel pubblico è possibile che esista anche una carenza di posti e di mansioni alle quali adibire l’inidoneo, immaginiamoci cosa potrà accadere nel privato o negli appalti, nelle cooperative e in piccole aziende.

Il diritto del lavoro è ormai diritto del più forte a solo vantaggio della parte datoriale, la salvaguardia della salute e degli stessi diritti diventano un optional.

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martedì 23 aprile 2024

I più fessi d'Europa - Gilberto Trombetta


In Italia l'elettricità è più cara che in tutto il resto d'Europa. Perché? Le cause sono molteplici.


Innanzitutto la privatizzazione del settore energetico avvenuta durante gli anni 90, quelli della svendita dell'IRI: tra il 1992 e il 1995 l’ENI è stata prima trasformata in S.P.A. e poi privatizzata per il 70%, l’ENEL è diventata S.P.A. nel 1992 e privatizzata per il 75% nel 1999.


Poi è arrivata la liberalizzazione del mercato dei prezzi energetici imposta dall'Unione Europea a partire dal 1996, quando è stato approvato il primo "Pacchetto energia". In Italia sono stati i decreti Bersani del 1999 e Letta del 2000.


Poi ci sta il perverso meccanismo dell’asta marginale del mercato del giorno prima che fa si che tutta l'energia elettrica venga pagata al prezzo massimo offerto dai produttori energetici che partecipano all’asta.


Poi ci sono le pratiche scorrette di molti fornitori energetici che per aumentare i profitti non vendono l'elettricità nel mercato principale (quello del giorno prima) ma in quello del Servizio di Dispacciamento che può raggiungere prezzi anche del 600% superiori a quelli del mercato principale.


Ovviamente un contributo all'aumento dei prezzi lo hanno dato anche la transizione energetica targata UE (i costi dei permessi per l'emissione della CO2 sono passati dai 5,96 euro a tonnellata di 20 anni fa agli 83,5 del 2023) e le sanzioni alla Russia (che era il nostro maggiore fornitore di materie prime energetiche a basso costo).


Senza dimenticare che il peso di IVA e accise sulle bollette elettriche degli italiani vale tra il 10% e il 15%.

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domenica 21 aprile 2024

Il pianeta ha un clima diverso - Alberto Castagnola

 

Industria e criminalità organizzata estraggono ogni giorno immense quantità di sabbia dai fiumi e dalle coste, devastando ecosistemi e comunità, soprattutto in Marocco. La sabbia è la risorsa primaria per la produzione del cemento e il settore edilizio globale è in rapida crescita da decenni. Solo l’acqua supera questo consumo… Dietro il riscaldamento senza precedenti degli oceani, il ritiro dei ghiacciai e l’aumento degli eventi estremi registrati in tutto il mondo negli ultimi 14 mesi, a causa dei cambiamenti climatici, c’è anche quell’attività estrattiva

 

Sono ormai più di due anni che le temperature dei principali fenomeni climatici presentano dati in continuo aumento, ma le fonti ufficiali e il mondo economico dominante evitano accuratamente di affrontare questi eventi che richiederebbero immediate e strutturali misure economiche contrarie ai loro interessi di breve periodo. Ma procediamo ad analizzare con ordine i principali fenomeni in atto.

Negli ultimi 14 mesi (gennaio 2023 – febbraio 2024) numerosi sono gli eventi climatici che caratterizzano una trasformazione planetaria oramai in atto.

Oceani e ghiacciai

Il riscaldamento senza precedenti degli oceani. Quasi un terzo degli oceani, più esattamente il 32%, è stato colpito quotidianamente da una ondata di calore, misurabile in 10 punti percentuali in più rispetto al record precedente registrato nel 2016. Oltre il 90% degli oceani aveva fatto registrare ondate di calore durante l’anno.

Il ritiro dei ghiacciai. Nel 2023 è stata registrata la maggiore perdita di ghiaccio nei ghiacciai, mai prima registrati nelle rilevazioni effettuate a partire dal 1950. In particolare, le perdite maggiori si sono registrate in Nord America (9%) e in Svizzera (10%). La perdita di ghiaccio in  Antartico è stata la maggiore mai prima registrata, con un massimo di estensione di circa un milione di Kmq, equivalente ai territori di Francia e Germania.

Eventi estremi

L’Organizzazione Meteorologica Mondiale ha reso noto che l’avanzamento degli eventi estremi, legati al clima, come le inondazioni, i cicloni, i temporali, le ondate di calore, la siccità e gli incendi, hanno aggravato l’insicurezza alimentare, le migrazioni e in genere gli impatti sulle popolazioni più vulnerabili.

Secondo un rapporto dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (Iea), nel 2023 le emissioni globali di metano legate al settore dell’energia sono aumentati rispetto all’anno precedente, raggiungendo i 120 milioni di tonnellate e restando vicine al record toccato nel 2019. È da notare che si tratta solo di una parte delle emissioni di metano, e che il metano è un gas serra molto più potente dell’anidride carbonica.

In base ai dati dell’Osservatorio europeo sul cambiamento climatico (EOCC) quello del 2024 è stato il mese di febbraio più caldo di sempre. La temperatura media dell’aria sulla superficie della terra è stata 13,54 gradi, lo 0,81 in più rispetto alla media del periodo 1991 – 2020 e 0,12 in più rispetto al record precedente, risalente al 2016. È il nono mese consecutivo a risultare il più caldo mai registrato. La temperatura media della superficie dei mari ha toccato un nuovo record assoluto di 21,06 gradi. In alcune aree geografiche le temperature hanno raggiunto livelli molto elevati: in India 48,2 gradi centigradi, in Tunisia 49,0 gradi, ad Agadir in Marocco 50,4 e ad Algeri 49,2. In Brasile, al termine della stagione estiva, si sono registrati 42 gradi, con una umidità superiore al 70%. La temperatura “percepita” a Rio de Janeiro ha raggiunto il 62,3 gradi. La temperatura media globale del pianeta ha superato di 1,45 gradi centigradi quella registrata prima dell’inizio della fase industriale.

Una risorsa chiamata sabbia

Le mafie delle sabbie. La criminalità organizzata estrae sabbia dai fiumi e dalle coste, rovinando ecosistemi e comunità. Sono pochissime le persone che stanno procedendo ad esaminare da vicino il sistema illegale della sabbia o che richiedono di cambiarlo. Un problema sottovalutato? Il punto è che la sabbia può sembrare una risorsa di poco conto e illimitata, se si pensa solo a una mezza dozzina di grossi camion ribaltabili carichi di sabbia scura che venivano caricati in pieno giorno. Evidentemente l’azione era protetta da qualche grande impresa, o da personaggi altolocati, oppure, come spesso accade in Marocco, da trafficanti di stupefacenti. In questo paese esiste, grazie alle sue cave estese, la più vasta industria estrattiva del mondo. La sabbia è la risorsa primaria per la produzione del cemento e il settore edilizio globale è in rapida crescita da decenni. Ogni anno il mondo usa fino a 50 miliardi di tonnellate di sabbia, secondo un rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, UNEP. Solo l’acqua supera questo consumo. Uno studio del 2022 dell’Università di Amsterdam ha concluso che stiamo dragando la sabbia di fiume a ritmi che superano di molto la capacità della natura di ripristinarla, al punto che il mondo rischia di esaurire la sabbia adatta all’edilizia entro il 2050.

La domanda maggiore di questa materia prima viene dalla Cina, una richiesta (6,6 giga tonnellate), nel periodo 2021 – 2023,  che supera notevolmente le quantità che gli Stati Uniti d’America hanno utilizzato nel corso di tutto il XX secolo (4,5 giga tonnellate); il valore delle importazioni è arrivato a 1,9 miliardi di dollari nel 2018, man mano che nei paesi si esaurivano le risorse interne. Anche il solo commercio legale è difficile da tracciare e potrebbe aver superato gli 800 miliardi di dollari già nel 2018.

Un’altra fonte stima che l’importo globale del commercio illegale di sabbia sia compreso tra i 200 e i 350 miliardi di dollari l’anno: più delle attività relative a tagli degli alberi, estrazione dell’oro e pesca messi insieme. Gli impatti ambientali causati sono pesanti. Dragare i fiumi distrugge estuari e habitat e conseguentemente aggrava le inondazioni. Erodere gli ecosistemi costieri sconvolge la vegetazione, il suolo e i fondi marini e danneggia la vita dei mari. In alcuni paesi l’estrazione illegale costituisce un’ampia parte di quella totale e il suo impatto ambientale è spesso più grave di quello dovuto agli operatori legittimi, sostiene l’esperto Beiser.

La sabbia è costituita da varietà diverse di materiali duri in granuli, come sassi, conchiglie o altro, di diametro inferiore a 2 millimetri. Quella di qualità fine è usata per fare il vetro e quella ancora più fine per costruire i pannelli solari e i chip di silicio per l’elettronica. La più adatta per l’edilizia è quella a granelli spigolosi, che favoriscono la presa della miscela cementizia. La sabbia di fiume è preferita a quella costiera, anche perché quest’ultima, prima di essere utilizzata, va lavata per liberarla dal sale. Se viene meno questo ulteriore passaggio, si realizzano edifici meno durevoli e più pericolosi per chi ci vive. 

Gli impatti ambientali sono devastanti, perché si distrugge il sistema fisico con cui la natura trattiene l’acqua, le conseguenze sulle vite umane sono visibili quando si verificano i terremoti. La sabbia dei fiumi funziona come una spugna, contribuendo a ripristinare l’intero bacino dopo i periodi secchi, ma se viene rimossa in misura consistente, il ripristino naturale non basta più a sostenere il fiume, emergono così difficoltà di approvvigionamento idrico per uso umano e fa perdere vegetazione e fauna selvatica. Inoltre, portare via la sabbia dalle coste rende ancora più esposti quei territori che già subiscono gli effetti dell’aumento del livello del mare.

Un mondo senza barriere

Lo sbiancamento delle barriere coralline. Numerose sono le barriere coralline che risentono del cambiamento climatico. Uno studio recente, apparso su Internazionale del 15 marzo 2024, fornisce una serie di dati relativi a una di esse che rappresenta solo il 10% di questo tipo di realtà marine, ma gran parte della altre dovrebbe trovarsi in situazioni analoghe. Si tratta della grande barriera corallina presente sulla costa orientale dell’Australia: lo sbiancamento è dovuto al riscaldamento delle acque del Pacifico, che negli ultimi mesi hanno raggiunto temperature da record a causa del cambiamento climatico e degli effetti del Nino.

Lunga oltre 2.300 chilometri, larga da 60 a 250 chilometri, la grande barriera corallina rappresenta appunto il 10% di tutte le barriere coralline del mondo. Oltre alla scogliera di corallo comprende centinaia di isole. Ospita migliaia di specie, tra cui spugne, più di seimila varietà di molluschi, 1.625 tipi di pesci, rettili marini, squali, oltre trenta specie di delfini e balene.

Il sito patrimonio dell’Unesco, ha subito negli ultimi otto anni cinque episodi critici. Lo sbiancamento avviene quando i coralli, sottoposti a stress a causa della temperatura, espellono le alche con cui vivono in simbiosi e che gli forniscono energia e nutrimenti. I coralli così diventano bianchi e se la situazione continua, possono anche morire. Secondo la Great barrier reef marine park autority sono in corso esami per determinare la gravità e la profondità del danno, che probabilmente varia notevolmente da una barriera all’altra.

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sabato 20 aprile 2024

Pesticidi su frutta e verdura: un’analisi di Consumer Reports

 

Un recente rapporto di Consumer Reports ha evidenziato preoccupanti livelli di pesticidi in alcuni prodotti alimentari, tra cui i fagiolini che presentano tracce di sostanze non più permesse dal 2011.

Secondo l’analisi, frutta e verdura come angurie e fagiolini presentano un elevato rischio a causa di contaminanti come l’oxamyl, che gli esperti ritengono particolarmente pericolosi per la salute.

L’articolo scritto da Catherine Roberts per Consumer Reports, e ripreso da USA TODAY, rassicura che non è necessario evitare completamente la frutta e la verdura, ma consiglia un consumo moderato delle varietà più a rischio, suggerendo di limitarsi a mezza porzione giornaliera.

Nonostante la pulizia dei prodotti possa rimuovere alcuni residui superficiali, i pesticidi possono anche essere assorbiti dalla pianta rendendo impossibile eliminarli completamente solo con il lavaggio.

Inoltre, l’EPA ha testato circa 30.000 campioni di prodotti agricoli, trovando che il 99% aveva residui al di sotto delle soglie di sicurezza stabilite. Tuttavia, secondo Roberts, anche questi livelli potrebbero essere troppo alti, suggerendo che le normative potrebbero necessitare di aggiornamenti per garantire una sicurezza maggiore.

Roberts sottolinea anche i rischi specifici per popolazioni vulnerabili come bambini e donne incinte e richiama l’attenzione sulla pericolosità di alcuni pesticidi che possono interferire con il sistema endocrino.

La giornalista spinge per una maggiore adozione di pratiche agricole biologiche, che utilizzano pesticidi a basso rischio e sono meno dannose per i consumatori e l’ambiente.

In conclusione, il rapporto invita i consumatori a preferire prodotti biologici e sollecita l’EPA a rivedere le sue politiche sui pesticidi per una maggiore protezione della salute pubblica e dell’ambiente, riflettendo sul bisogno di misure più severe contro i pesticidi più nocivi come gli organofosfati e i carbammati.

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