venerdì 30 giugno 2017

vita da albero

Tambours - Alberto Chicayban

Dati choc su Portovesme, Deliperi: “Un crimine sotto gli occhi di tutti”


“Il crimine è sotto gli occhi di tutti. Passa il tempo ma sul disastro ambientale di Portovesme si assiste ad una attività ignava di silenzio organizzato, soprattutto da parte della pubblica amministrazione e della politica. Che, al contrario, vuole autorizzare la ripresa delle attività inquinanti e l’ampliamento di un disastro permanente come il bacino dei fanghi rossi”. Così Stefano Deliperi, del Gruppo di intervento giuridico, commenta la pubblicazione dei dati sul livello di inquinamento della falda che corre sotto l’area industriale di Portovesme. Tra le concentrazioni di sostanze nocive, spiccano il cadmio (30mila volte sopra soglia), ma anche l’arsenico, l’alluminio, il fluoro, il piombo.
“La situazione è sotto gli occhi di tutti – insiste Deliperi – nessuno può far finta di niente. Qui si sta decidendo di lasciare ai figli un’eredità pesantissima, la piombemia, giusto per fare un esempio, non provoca solo tumori ma anche deficit intellettivi. Noi come associazione possiamo dare un impulso per un’inversione di rotta, per l’individuazione di un’alternativa. Ma miracoli, quelli no: non li possiamo fare. È la pubblica amministrazione, da una parte, a doversene occupare. Dall’altra, c’è la magistratura. Va poi considerato che in Sardegna, a Portovesme c’è la situazione peggiore, anche rispetto a Porto Torres o di Ottana (con la presenza di amianto)”.

Ma come è possibile che la politica, conoscendo i dati choc del report Arpas, con i rilevamenti effettuati nel 2014, niente abbia detto? “Il silenzio e la posizione della politica rispetto al disastro di Portovesme? Sinceramente è la cosa che mi meraviglia di meno. Onestamente l’audacia dell’assessore regionale all’Ambiente Donatella Spano non l’ho mai vista, nemmeno nel recentissimo caso della Fluorsid, una cosa incredibile. E dire che nel 2012 il presidente Francesco Pigliaru disse cose condivisibili e anche alle elezioni si è presentato con questa immagine. Oggi invece si è allontanato dalle posizioni precedenti. Nel frattempo, registriamo la presentazione, in consiglio regionale, di una mozione firmata da 33 onorevoli di maggioranza e opposizione per chiedere all’esecutivo di accelerare l’iter di approvazione dell’ampliamento della discarica della Portovesme srl. C’è un approccio lassista, si continua ad insistere su un modello che si è ampiamente dimostrato negativo. Al contrario, io un appello della politica contro l’inquinamento non l’ho mai sentito”.
(a cura di Pablo Sole)

giovedì 29 giugno 2017

Cattiva politica in Sardegna – Massimo Dadea

In Sardegna, il sistema politico è malato. Non potrebbe essere altrimenti visto che il Consiglio regionale, la giunta regionale e il suo Presidente sono il prodotto illegittimo di una legge elettorale incostituzionale; che una parte importante del ceto politico è interessata da una questione morale che spesso sconfina in una vera e propria questione “giudiziaria”.
Ma questi, a ben vedere, sono solo i sintomi di una patologia che riconosce una eziologia ben precisa: la cattiva politica. Quella politica, piccola, piccola, che non perde occasione per manifestare il suo disprezzo della pubblica opinione. Quella cattiva politica che, dopo aver contribuito ad incancrenire i drammatici problemi in cui si dibatte la Sardegna, aver approvato tutte le azioni del governo regionale – dalle leggi finanziarie e di bilancio alle politiche ambientali, da quelle paesaggistiche a quelle energetiche, dalla cosiddetta riforma degli enti locali a quella sanitaria – decide di tirarsi fuori dal disastro che essa stessa ha determinato.
Un comportamento che ricorda quei bambini viziati e dispettosi che quando vedono che la partita si mette male prendono il pallone e scappano via. La stessa cattiva politica che, non avendo vincoli di coerenza, può tranquillamente sostenere indifferentemente giunte e politiche di destra o di centro-sinistra. Quella che pensa che basti assumere una nuova identità, per potersi presentare, lindi e pinti e con le mani libere, tra due anni o forse prima, ai cittadini sardi, sperando che abbiano poca memoria e sopratutto che non riconoscano, sotto quel nuovo look, la vecchia politica trasformista.
Ma la cattiva politica assume spesso il volto cinico e freddo del burattinaio che dalla ovattate stanze di una qualche Fondazione tira le fila del potere. Grazie, anche, alle risorse di cui dispone, condiziona le istituzioni, la vita interna dei partiti, ma anche e sopratutto l’economia, la cultura, gli affari. Oggi il potere in Sardegna ha le sembianze rassicuranti di un grande filantropo che distribuisce con generosità incarichi e prebende: presidenze, assessorati, autorità varie.
Ai predestinati si richiedono fedeltà e obbedienza, il merito e la competenza sono spesso degli optional. Un potere che disprezza la volontà popolare e che vorrebbe addirittura coartarla, come nel caso di quel sindaco della capitale del capo di sopra a cui niente è stato risparmiato per impedirgli di amministrare. Il sistema politico sardo è una palude stagnante, tutto rimane immobile sotto una cappa di aria mefitica. La Sardegna ha bisogno di uno scossone forte, violento.
C’è l’urgenza di avviare un processo di profondo rinnovamento. La Sardegna ha necessità di aria pulita, fresca, limpida, trasparente, che spazzi via i tanti, troppi, “gattopardi” della politica. La Sardegna ha bisogno della buona politica.

dice Gerald Jampolsky

Come è semplice rendersi conto che tutta la preoccupazione del mondo non può controllare il futuro. Come è semplice vedere che possiamo essere soltanto essere felici ora. E che non ci sarà mai un tempo che non sia il momento attuale.

Sarà un’estate meno cafona in Sardegna? - Stefano Deliperi


Moto, quad e auto fin a due passi dal mare, gas di scarico e perdite d’olio nei boschi, taglio della macchia mediterranea per aprire nuovi sentieri per mountain bike, flotte di barche nelle calette, migliaia di turisti “vomitati” da barconi in doppia fila, passaggi “selvaggi” resi più comodi con picconate…
Sembrano incubi irreali e inesistenti in Sardegna, però sono regolarmente realizzati più o meno abusivamente sotto gli occhi ignavi di Regione autonoma della Sardegna e Comuni o pubblicizzati dai tanti che offrono Wild Sardinia a pagamento. Ma sì, che male fanno una decina di quad au pied de la mer, se non c’è la sabbia, così si blocca il turismo e tante amenità simili.
Ecco che ne pensa Gavino Meloni, esperta guida turistica ambientale: “…ma si parla di questo quando il Comune di Baunei permette (a pagamento) di arrivare in migliaia a Pasquetta a Goloritzè solo per danaro? Dei misteriosi scolpitori di gradini a Mariuolu e Biriola? Del Comune di Urzulei e Orgosolo che lo gestiscono che tranquillamente scivolano sopra il fatto che a Pasquetta di due anni fa sono arrivate più di 500 paganti a Gorropu pagando l’ingresso alle casse comunali…
Che sulle cime del M.Albo si trastullano con le moto. Che diversi sentieri su tutto il territorio vengono percorsi regolarmente dalle moto come il percorso per Cala Luna da Baunei nonostante una chiara e ben esposta Ordinanza Comunale. E se chiami il 1515 i forestali sono sempre impegnati in operazioni così pure i vigili di Baunei….
Devo continuare????? In tanti anni di lavoro come guida ambientale devo constatare che siamo mooolto lontani da un sistema di tutela ambientale che funziona… Inoltre da quest’anno ci sono altre due barche che fanno le crociere nel Golfo di Orosei, è facile immaginare cosa siano diventate le belle calette ben pubblicizzate vuote, piene di oleandri e magari con le foche monache che nuotano. Poveri turisti!”
Come non esser d’accordo? Spesso e volentieri, le norme di tutela ambientale esistono, ma vengono disinvoltamente ignorate. Solo qualche esempio: “In località Cala Biriala e nella caletta limitrofa sono state rilevate lavorazioni edili (scalinate, passaggi pedonali, ecc.)” in relazione alle quali “non risultano pervenute istanze di autorizzazione paesaggistica … o istanze per l’accertamento della compatibilità paesaggistica” ai sensi delle specifiche disposizioni di cui al decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i. Così afferma il Servizio Tutela del Paesaggio e Vigilanza di Nuoro della Regione autonoma della Sardegna (nota prot. n. 22167 del 6 giugno 2017), dopo aver svolto congiuntamente al Comune di Baunei un sopralluogo, in seguito alla richiesta di informazioni ambientali e adozione degli opportuni provvedimenti inoltrata (28 maggio 2017) dall’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus.
Ovviamente non sono arrivati da Parigi e nemmeno da Valdobbiadene i picconatori delle rocce: evidentemente, secondo alcuni, si favorisce il turismo picconando le attrattive naturali che attirano i turisti, in puro autolesionismo: sembra che le autorizzazioni siano latitanti, così come la vigilanza sul territorio. Ancora. L’ordinanza regionale balneare 2017 inibisce esplicitamente l’accesso alle spiagge in tutto l’anno a “veicoli, a motore e non, di qualsiasi genere”, eppure venerdi 2 giugno 2017 nove quad e una ventina di persone sono a una ventina di metri dal mare di Canal Grande, splendida perla del litorale iglesiente. C’è chi dice che quella non è una spiaggia, perché formata da sassi, rocce, ciottoli. Al di là delle opinioni personali, la giurisprudenza è concorde nell’individuare quale “spiaggia (ivi compreso l’arenile) … comprende quei tratti di terra prossimi al mare, che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie“, non importando la natura geologica del sito (sabbia, ghiaia, ciottoli, rocce, ecc.).
Piaccia o no, lì i veicoli a motore non possono andarci e, per mera curiosità, sarebbe interessante sapere che cosa impedisca a questi sportivi di lasciare indietro i quad e fare un centinaio di metri a piedi. Ma non finisce qui. Talvolta emerge che attrattive turistiche esistenti da tempo e ampiamente pubblicizzate siano completamente prive di uno straccio di autorizzazione, come la nota Ferrata del Cabirol, lungo le falesie di Porto Conte, in area naturale protetta e tutelata con vincolo paesaggistico e a rischio idrogeologico. Tutte le amministrazioni pubbliche competenti lo sanno, ma nessuna fa nulla.
Anche questo per non danneggiare il turismo…fin quando nessuno si fa male sul serio. Solo alcuni esempi di quanto accade in queste splendida Isola nel bel mezzo del Mediterraneo, solo alcuni esempi di quanto si dovrebbe evitare semplicemente con il buon senso e una reale vigilanza sul territorio. Qualche altro anno di cafonaggine, ignavia, deregulation (per non dire altro), avidità e la Sardegna attirerà sempre meno turisti. Quando si volterà pagina?

mercoledì 28 giugno 2017

appello per lo stop alle forniture militari all’Arabia Saudita

L’appello ai parlamentari italiani presentato il 21 giugno alla Camera da Reti e associazioni della pace, dei diritti umani e dell’intervento umanitario.
Le bombe italiane fanno stragi di civili in Yemen, alimentando uno dei conflitti più drammatici e gravi al mondo.


Iniziativa e appello promossi da: 
Amnesty International Italia
Fondazione Finanza Etica
Movimento dei Focolari in Italia
Oxfam Italia
Rete Italiana per il Disarmo
Rete per la Pace




Dal 26 marzo 2015 è in corso in Yemen, in violazione del diritto internazionale, un conflitto armato che ha provocato migliaia di vittime tra i civili, milioni di sfollati oltre all’insorgere nelle ultime settimane di una violenta epidemia di colera tra la popolazione stremata.
Ormai è confermato ed incontrovertibile: da almeno due anni continuano a partire dall’Italia forniture di bombe destinate all’Arabia Saudita, Paese che è intervenuto a capo di una coalizione militare nel conflitto in atto in Yemen, senza alcun mandato delle Nazioni Unite. Gli ordigni sono prodotti nello stabilimento della RWM Italia Spa (azienda italiana con sede a Ghedi e controllata dal gruppo tedesco Rheinmetall) di Domusnovas, vicino a Cagliari.
Al contrario il “Rapporto finale del gruppo di esperti sullo Yemen” inviato lo scorso 27 gennaio 2017 al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dichiara che «Il conflitto ha visto diffuse violazioni del diritto umanitario internazionale da tutte le parti in conflitto. Il gruppo di esperti ha condotto indagini dettagliate su questi fatti ed ha motivi sufficienti per affermare che la coalizione guidata dall’Arabia Saudita non ha rispettato il diritto umanitario internazionale in almeno 10 attacchi aerei diretti su abitazioni, mercati, fabbriche e su un ospedale». Il rapporto, tra le altre cose, documenta l’utilizzo di ordigni italiani nei bombardamenti sulle aree civili in Yemen evidenziando che queste azioni militari «may amount to war crimes» («possono costituire crimini di guerra»).
I parlamentari italiani intendono continuare a rimanere indifferenti alle sofferenze della popolazione dello Yemen evitando di dichiarare la propria contrarietà all’utilizzo di sistemi militari italiani nel conflitto? Possibile che si approfitti dello svantaggio economico e dello scarso sviluppo produttivo di alcune aree del nostro Paese – come la Sardegna – per avallare operazioni commerciali in aperta violazione della normativa italiana (legge 185/90) e del Trattato sul Commercio delle Armi ratificato dall’Italia nel luglio 2014?
Non dare risposte e non impostare politiche alternative alla produzione e esportazione di ordigni significa lasciare interi territori davanti al ricatto tra lavoro e concorso alla guerra. Senza una vera riconversione economica si rischia solo di fare del facile moralismo che scarica il peso della responsabilità politica sulle spalle degli operai e della popolazione di una regione, come la Sardegna, colpita duramente dalla crisi economica.
Ci rivolgiamo pertanto alle convinzioni profonde di ciascun deputato e senatore affinché nel tempo più breve, prima che termini questa legislatura, prenda una posizione netta ed esplicita per:
• Bloccare l’esportazione di armi all’Arabia Saudita e a tutti Paesi coinvolti nel conflitto armato in Yemen, come prevedono recenti Risoluzioni del Parlamento Europeo, la normativa nazionale (legge 185/90) e il Trattato Internazionale sul Commercio di Armamenti (ATT);
• Attivare e finanziare il fondo per la riconversione previsto nella stessa legge 185/90 contemporaneamente ad una discussione pubblica sull’impatto del complesso militare-industriale italiano sulla instabilità geopolitica di questo periodo e nella definizione della politica estera e di sicurezza dell’Italia;
Ci impegniamo a rendere pubblica la presa di posizione, compresa l’omissione, di ogni persona eletta nel Parlamento rispetto alla nostra richiesta di votare in maniera conforme alla Risoluzione del Parlamento Europeo del 25 febbraio 2016 sulla situazione umanitaria nello Yemen (2016/2515(RSP)) – ripresa da ulteriore votazione il 15 giugno 2017 – che ha invitato ad avviare «un’iniziativa finalizzata all’imposizione di un embargo da parte dell’UE sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita». Alleghiamo a questo nostro messaggio una proposta concreta di mozione parlamentare, modellata sul testo al Parlamento europeo votato anche da diversi gruppi politici della delegazione italiana, che chiediamo di sottoscrivere e presentare senza modifiche come primo passo concreto.
Chiediamo ai parlamentari italiani di seguire l’esempio dei loro colleghi europei per fare in modo che la drammatica situazione dello Yemen trovi spazio nel dibattito all’interno dei loro partiti e movimenti politici e nell’agenda politica parlamentare come un’urgenza da affrontare.
Confidiamo nel senso di umanità e di responsabilità di ciascun parlamentare e chiediamo loro di dare piena attuazione all’articolo 11 della nostra Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa della libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.
La Camera/il Senato
–  viste le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sullo Yemen, in particolare le risoluzioni 2216 (2015), 2201 (2015) e 2140 (2014),
–  viste le dichiarazioni sullo Yemen del 10 gennaio 2016 e dell’8 gennaio 2016 del portavoce del Segretario generale delle Nazioni Unite
– considerando che l’attuale crisi nello Yemen è il risultato dell’incapacità dei governi che si sono succeduti di rispondere alle legittime aspirazioni del popolo yemenita alla democrazia, allo sviluppo economico e sociale, alla stabilità e alla sicurezza; che tale incapacità ha creato le condizioni per lo scoppio di un violento conflitto, in quanto non si è riusciti a dare vita a un governo inclusivo e a garantire un’equa ripartizione dei poteri e sono state sistematicamente ignorate le numerose tensioni tribali, la diffusa insicurezza e la paralisi economica del paese;
– considerando che l’intervento militare a guida saudita nello Yemen, richiesto dal presidente yemenita Abd Rabbuh Mansur Hadi, compreso l’uso di bombe a grappolo bandite a livello internazionale, ha portato a una situazione umanitaria disastrosa che interessa la popolazione in tutto il paese, ha gravi implicazioni per la regione e costituisce una minaccia per la pace e la sicurezza a livello internazionale; che membri della popolazione civile yemenita, già esposta a condizioni di vita terribili, sono le principali vittime dell’attuale escalation militare;
– considerando che i ribelli houthi hanno in passato posto sotto assedio la città di Ta’izz, la terza città dello Yemen, ostacolando la fornitura di aiuti umanitari; una situazione per cui secondo Stephen O’Brien, sottosegretario generale delle Nazioni Unite per gli affari umanitari e coordinatore degli aiuti d’emergenza, i circa 200 000 civili intrappolati nella città hanno un disperato bisogno di acqua potabile, cibo, cure mediche e altri tipi di assistenza di primo soccorso e protezione;
– considerando che dall’inizio del conflitto sono state uccise oltre 10.000 persone (dei quali circa 4.700 civili), e 40.000 sono rimaste ferite (oltre 8.000 civili); che tra le vittime si contano centinaia di donne e bambini; che l’impatto umanitario sulla popolazione civile degli attuali scontri tra le diverse milizie, dei bombardamenti e dell’interruzione della fornitura dei servizi essenziali sta raggiungendo proporzioni allarmanti;
– considerando che 2 milioni di persone sono attualmente sfollate internamente ai confini a causa dei combattimenti; 2 milioni di bambini non hanno la possibilità di andare a scuola; 18,8 milioni di persone, tra cui 9,6 milioni di bambini, necessitano di assistenza umanitaria, compresi cibo, acqua, rifugio, carburante e servizi sanitari. Oltre a questo, circa 1500 bambini sono stati bambini reclutati come soldati
– considerando che, secondo molteplici segnalazioni, gli attacchi aerei della coalizione militare a guida saudita nello Yemen hanno colpito bersagli civili, tra cui ospedali, scuole, mercati, magazzini cerealicoli, porti e un campo di sfollati, danneggiando gravemente infrastrutture essenziali per la fornitura degli aiuti e contribuendo alla grave carenza di generi alimentari e di carburante nel paese; che il 10 gennaio 2016 è stato bombardato nello Yemen settentrionale un ospedale finanziato da MSF e ciò ha provocato la morte di almeno sei persone e il ferimento di una dozzina, tra cui membri del personale di MSF, oltre a danneggiare gravemente le strutture mediche; che si tratta dell’ultimo di una serie di attacchi ai danni di strutture mediche; che anche numerosi monumenti storici e siti archeologici sono stati distrutti o danneggiati irrimediabilmente
– considerando che, stando all’organizzazione Save the Children, in almeno 18 dei 22 governatorati del paese gli ospedali sono stati chiusi o gravemente danneggiati a causa dei combattimenti o della mancanza di carburante; che, in particolare, sono stati chiusi 153 centri sanitari che in precedenza fornivano nutrimento a oltre 450.000 bambini a rischio, insieme a 158 ambulatori che erogavano servizi di assistenza sanitaria di base a quasi mezzo milione di bambini al di sotto dei cinque anni;
– considerando che, secondo l’UNICEF, il conflitto nello Yemen ha avuto pesanti ricadute anche sull’accesso dei bambini all’istruzione, che ha smesso di funzionare per quasi 2 milioni di minori, con la chiusura di 3.584 scuole, ossia una su quattro; che 860 di tali scuole sono danneggiate oppure sono utilizzate come rifugio per gli sfollati;
– considerando che la situazione nello Yemen comporta gravi rischi per la stabilità della regione, in particolare nel Corno d’Africa, nel Mar Rosso e nel resto del Medio Oriente; che al-Qaeda nella penisola araba (AQAP) è riuscita a sfruttare il deterioramento della situazione politica e di sicurezza nello Yemen, espandendo la propria presenza e aumentando il numero e la portata dei propri attacchi terroristici; che il cosiddetto Stato islamico (ISIS)/Daesh ha consolidato la propria presenza nello Yemen e ha sferrato attacchi terroristici contro moschee sciite, uccidendo centinaia di persone;
– considerando che alcuni Stati membri dell’UE hanno continuato ad autorizzare il trasferimento di armi e articoli correlati verso l’Arabia Saudita dopo l’inizio della guerra; che tali trasferimenti violano la posizione comune 2008/944/PESC sul controllo delle esportazioni di armi, che esclude esplicitamente il rilascio di licenze relative ad armi da parte degli Stati membri laddove vi sia il rischio evidente che la tecnologia o le attrezzature militari da esportare possano essere utilizzate per commettere gravi violazioni del diritto umanitario internazionale e per compromettere la pace, la sicurezza e la stabilità regionali;
– considerando che lo scorso 27 gennaio è stato trasmesso al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il “Rapporto finale del gruppo di esperti sullo Yemen” che evidenzia che “I bombardamenti aerei condotti dalla coalizione guidata dall’Arabia Saudita hanno devastato le infrastrutture civili in Yemen, ma non sono riuscite a scalfire la volontà politica dell’alleanza Houthi-Saleh a continuare il conflitto”. E soprattutto riporta che “Il conflitto ha visto diffuse violazioni del diritto umanitario internazionale da tutte le parti in conflitto. Il gruppo di esperti ha condotto indagini dettagliate su questi fatti ed ha motivi sufficienti per affermare che la coalizione guidata dall’Arabia Saudita non ha rispettato il diritto umanitario internazionale in almeno 10 attacchi aerei che diretti su abitazioni, mercati, fabbriche e su un ospedale”.
– considerando che nel medesimo Rapporto trasmesso al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si dimostra il ritrovamento, a seguito di due bombardamenti a Sana’a nel settembre 2016, di più di cinque “bombe inerti” sganciate dall’aviazione saudita contrassegnate dalla sigla “Commercial and Government Entity (CAGE) Code A4447”. Quest’ultima è riconducibile all’azienda RWM Italia S.p.A. del gruppo tedesco Rheinmetall, con sede legale in via Industriale 8/D a Ghedi, in provincia di Brescia. Secondo gli esperti delle Nazioni Unite, “l’utilizzo di queste armi rivela una tattica precisa, volta a limitare i danni in aree in cui risulterebbero inaccettabili”. Gli esperti spiegano inoltre che “una bomba inerte del tipo Mk 82 ha un impatto pari a quello di 56 veicoli da una tonnellata lanciati a una velocità di circa 160 km all’ora” (cfr. pp. 171-172 del Rapporto).
– considerando che secondo recenti notizie di stampa (riportate in particolare dall’Ansa e da Avvenire) e grazie alle informazioni trasmesse dall’Ong yemenita Mwatana è stato recuperato in Yemen un frammento di ordigno con sigla ‘A4447’, che indica la provenienza  dalla Rwm Italia. Il numero di matricola, trasmesso all’ufficio Ansa di Beirut, è stato rinvenuto a Der al Hajari, nella regione nord-occidentale di Hodeida teatro di un attacco aereo condotto alle 3 di notte dell’8 ottobre 2016: almeno sei civili uccisi, tra cui 4 bambini.
– considerando che negli scorsi mesi sono stati esportati materiali di armamento per 257.215.484 € (tra cui in particolare bombe RWM MK82) verso l’Arabia Saudita, a capo di una coalizione (composta da EAU, Oman, Bahrain, Egitto, Qatar, Marocco, Kuwait)
– considerando che secondo l’ultima Relazione al Parlamento ex legge 185/90 per l’anno 2016, depositata in parlamento il 26 aprile, si legge che RWM Italia è salita al terzo posto per giro d’affari nel settore difesa in Italia. Dal 1° gennaio al 31 dicembre 2016 RWM ha ottenuto 45 nuove autorizzazioni per l’esportazione di armamenti dal Ministero degli Esteri italiano, per un totale di 489,5 milioni di euro: 460 milioni di euro in più rispetto al 2015, quando la società aveva ricevuto nuove autorizzazioni per 28 milioni di euro.  La relazione del governo italiano mette in evidenza in particolare una commessa di RWM, per un totale di 411 milioni di euro, che riguarda l’esportazione di 19.675 bombe in totale (Mk 82, Mk 83 ed Mk 84). Non è però indicato il committente. Non sappiamo quindi verso quale Paese siano state esportate le bombe. Nella Relazione Finanziaria di Rheinmetall per l’anno 2016 leggiamo che c’è stato un ordine “molto significativo” di “munizioni” per 411 milioni di euro da parte di un “cliente della regione MENA (Medio-Oriente e Nord Africa)”. Di queste 19.675 bombe autorizzate nel 2016 (e di quelle relative ad altre licenze precedenti) ne sono già state effettivamente esportate solo lo scorso anno circa 2.150 per un controvalore di 32 milioni di euro.
– considerata la Risoluzione del Parlamento Europeo del 25 febbraio 2016 sulla situazione umanitaria nello Yemen (2016/2515(RSP)), e in particolare l’invito “al VP/AR ad avviare un’iniziativa finalizzata all’imposizione da parte dell’UE di un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita, tenuto conto delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale da parte di tale paese nello Yemen e del fatto che il continuo rilascio di licenze di vendita di armi all’Arabia Saudita violerebbe pertanto la posizione comune 2008/944/PESC del Consiglio dell’8 dicembre 2008”.
– considerata la Risoluzione del Parlamento Europeo del 15 giugno 2017 sulla situazione umanitaria nello Yemen (2017/2727(RSP)) che richiama la precedente in merito alla proposta di embargo sulle armi e invita ad una soluzione negoziale del conflitto riaffermando “la necessità che tutti gli Stati membri dell’Unione applichino rigorosamente le disposizioni sancite nella posizione comune 2008/944/PESC del Consiglio sull’esportazione di armi; ricorda, a tale riguardo, quanto indicato nella sua risoluzione del 25 febbraio 2016”;
– valutato quanto riportato dal sito “Viaggiare sicuri” del MAECI che, a proposto dello Yemen, affermava fino ad alcuni mesi fa che “le condizioni umanitarie stanno divenendo insostenibili per larga parte della popolazione civile, come indicato nei report delle Nazioni Unite, che hanno documentato anche arresti arbitrari e violazioni del diritto umanitario da ambe le parti coinvolte nello scontro armato”.
TUTTO CIO’ PREMESSO
1.  esprime profonda preoccupazione per l’allarmante deterioramento della situazione umanitaria nello Yemen, caratterizzata da una diffusa insicurezza alimentare e una grave malnutrizione in alcune parti del Paese, da attacchi indiscriminati contro civili, personale medico e operatori umanitari e dalla distruzione delle infrastrutture civili e mediche a causa del preesistente conflitto interno, dell’intensificarsi degli attacchi aerei ad opera della coalizione guidata dall’Arabia Saudita, dei combattimenti a terra e dei bombardamenti, nonostante i ripetuti appelli per una nuova cessazione delle ostilità; deplora profondamente la perdita di vite umane causata dal conflitto e le sofferenze delle persone rimaste coinvolte negli scontri, ed esprime il proprio cordoglio alle famiglie delle vittime; riafferma il proprio impegno a continuare a sostenere lo Yemen e il popolo yemenita;
2.  esprime grave preoccupazione per gli attacchi aerei da parte della coalizione a guida saudita e il blocco de facto da essa imposto allo Yemen, che hanno causato la morte di migliaia di persone, hanno ulteriormente destabilizzato il paese, stanno distruggendo le sue infrastrutture fisiche, hanno creato un’instabilità che è stata sfruttata dalle organizzazioni terroristiche ed estremiste, quali l’ISIS/Daesh e l’AQAP, e hanno aggravato una situazione umanitaria già critica; condanna fermamente anche le azioni destabilizzanti e violente condotte dai ribelli houthi, che sono sostenuti dall’Iran, compreso l’assedio della città di Ta’izz, che ha avuto, tra l’altro, conseguenze umanitarie disastrose per gli abitanti;
3.  sottolinea la necessità di un’azione umanitaria coordinata sotto la guida delle Nazioni Unite ed esorta tutti i Paesi a contribuire a far fronte alle esigenze umanitarie; esorta tutte le parti a consentire l’ingresso e la distribuzione di generi alimentari, farmaci e carburante di cui vi è un urgente bisogno nonché di altre forme di assistenza necessaria, tramite le Nazioni Unite e i canali umanitari internazionali, al fine di soddisfare le necessità impellenti dei civili colpiti dalla crisi, secondo i principi di imparzialità, neutralità e indipendenza; chiede una tregua umanitaria affinché l’assistenza di primo soccorso possa essere fornita con urgenza alla popolazione yemenita; ricorda che è pertanto essenziale facilitare ulteriormente l’accesso delle navi mercantili allo Yemen;
4.  invita tutte le parti a rispettare il diritto umanitario internazionale e il diritto internazionale in materia di diritti umani, a garantire la protezione dei civili e ad astenersi dall’attaccare direttamente le infrastrutture civili, soprattutto le strutture sanitarie e gli impianti idrici; esige un’indagine indipendente su tutte le accuse di abusi, torture, uccisioni mirate di civili e altre violazioni del diritto internazionale in materia di diritti umani e del diritto umanitario internazionale;
5.  ricorda a tutte le parti che gli ospedali e il personale medico sono esplicitamente tutelati dal diritto umanitario internazionale e che un attacco deliberato contro i civili e le infrastrutture civili costituisce un crimine di guerra; chiede un’indagine imparziale e indipendente su tutte le presunte violazioni del diritto umanitario internazionale e del diritto internazionale in materia di diritti umani, come pure sui recenti attacchi che hanno preso di mira le infrastrutture e il personale umanitario; invita tutte le parti a rispettare i diritti umani e le libertà di tutti i cittadini yemeniti e sottolinea l’importanza di migliorare la sicurezza di tutti coloro che lavorano per le missioni umanitarie e di pace nel paese, compresi gli operatori umanitari, i medici e i giornalisti;
6.  chiede all’Italia e all’UE di promuovere con efficacia il rispetto del diritto umanitario internazionale, come stabilito nei pertinenti orientamenti dell’UE; sottolinea in particolare la necessità che l’Italia e l’UE mettano in evidenza, nel proprio dialogo politico con l’Arabia Saudita, l’esigenza di rispettare il diritto umanitario internazionale e, qualora tale dialogo risulti infruttuoso, che consideri ulteriori misure in conformità degli orientamenti dell’Unione volti a promuovere l’osservanza del diritto umanitario internazionale;
7.  invita il Governo Italiano ad avviare un’iniziativa finalizzata all’imposizione da parte dell’UE di un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita, tenuto conto delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale da parte di tale paese nello Yemen e del fatto che il continuo rilascio di licenze di vendita di armi all’Arabia Saudita violerebbe pertanto la posizione comune 2008/944/PESC del Consiglio dell’8 dicembre 2008;
8.  ritiene che l’Arabia Saudita e l’Iran siano la chiave per risolvere la crisi, ed esorta entrambi a operare in modo pragmatico e in buona fede per porre fine ai combattimenti nello Yemen;
9.  sottolinea che soltanto una soluzione al conflitto politica, inclusiva e negoziata può ripristinare la pace; esorta tutte le parti a impegnarsi quanto prima, in buona fede e senza condizioni preliminari, in un nuovo ciclo di negoziati di pace sotto l’egida delle Nazioni Unite, anche superando le loro divergenze attraverso il dialogo e le consultazioni, rifiutando gli atti di violenza finalizzati al raggiungimento di obiettivi politici e astenendosi da provocazioni e da tutte le azioni unilaterali volte a compromettere la soluzione politica.

Una scuola oltre le mura - Paolo Mottana e Giuseppe Campagnoli


Abbiamo bisogno di comunità, non ci stanchiamo di ripeterlo, ma dovremmo tutti chiederci ogni giorno, mentre tentiamo di crearle, di quali comunità parliamo e di come possiamo rigenerarle prima di tutto nelle città. Ad esempio, se per una volta adottiamo il punto di vista dei più piccoli e dei più giovani possiamo domandarci come coltivare un tessuto sociale nel quale tutti e tutte siano in grado di imparare e in cui ogni forma di apprendimento possa sbocciare. Forse hanno ragione gli autori de La Città educante. Manifesto della educazione diffusa, si tratta di sperimentare le piazze, i cortili, i boschi, le botteghe, i mercati qualsiasi spazio sociale e culturale come luoghi di apprendimento e di abitare in modo diverso gli edifici scolastici. Si tratta di vivere il territorio e la “scuola diffusa”, dove scuola è prima di tutto scoperta, ricerca comunitaria, tempo liberato dalle ossessioni imposte dal mercato. Se la scuola non è più solo quella in aule e tra i banchi e se le materie vengono sostituite da un apprendimento per argomenti, idee, curiosità allora il quadro potrebbe cambiare radicalmente, bambini e ragazzi avrebbero un po’ di più in mano il proprio destino, e anche le architetture e le città si trasformerebbero


[GC] È assolutamente necessario ricorrere a un po’ di fantasia e utopia e anche a un po’ di realtà per provare a cambiare, mentre ahimè quasi tutti, esperti compresi, restano ancora aggrappati all’edificio e timidamente si spingono a superare il concetto di aula, arredo, corridoio. Tutte cose tra l’altro ampiamente contestate a inizio del 900 sia dalle pedagogie nuove, con i loro laboratori, le aule all’aperto, le tipografie ecc., o più radicalmente da figure, tra le molte, come quella di Giovanni Papini, nel suo Chiudiamo le scuole del 1912. Perché non raccogliere la sfida di una scuola oltre le mura e senza le mura?
Come quando, un tempo, forse più di oggi, le vere aule erano il campo, il ruscello, il cortile, la strada, la piazzetta e i nostri mèntori erano tanti altri maestri oltre a quello ufficiale, formale, non scelto.
Realisticamente l’edificio scolastico attuale potrebbe divenire la porta di accesso a tanti e diversi luoghi dove apprendere per ogni cittadino in fase di educazione formale o informale che sia.
Ogni città potrebbe avere un “monumento” che conduce a diversi spazi culturali del territorio urbano, rurale, montano, marino, reale o virtuale, in un sistema complesso dove si applichi il motto mai superato “non scholae sed vitae discimus” . Sgombriamo il campo dall’equivoco secondo cui esistono solo spazi specializzati e funzionalmente dedicati all’apprendimento e alla cultura anche istituzionali.
Ecco allora la “scuola diffusa”, intendendo per “scuola” il tempo dedicato alla scoperta, alla ricerca, al gioco, al tempo libero, alla crescita.
È tempo di una nuova “scuola dell’arte” e di un’“arte della scuola”: questo accadrà quando la mente sarà libera da burocrazie quotidiane e pianificazioni scolastico-aziendali e si riuscirà a pensare che la “memoria” dei veri maestri del fare “poeticamente” l’architettura della scuola anch’essa ahimè divenuta preda del mercato, è la stessa del “fare scuola”.
Progettare con la storia, con l’amore per l’anima dei luoghi e con quell’idea dell’imprevisto prevedibile e poetico, dell’immaginazione e della creatività è l’agire più prossimo alla relazione umana che della scuola deve essere il fondamento.
La scuola è infatti spazio fisico e intellettuale autonomo culturalmente e giammai asservibile a una efficienza meccanica: un ambito della scoperta e dell’introspezione, della comunicazione, del dialogo come della esigenza di solitudine e di riflessione che non sono più l’aula e il corridoio ma forse la piazza e la strada, il portico e il cortile.
Come in qualsiasi azione presente fin dall’origine dell’uomo che si è evoluto con l’apprendimento e la relazione non sono indifferenti i segni tangibili dell’“intorno” in cui si apprende: poteva essere una foresta o una caverna, una capanna, un portico e un cortile, un chiostro, una basilica o un’abbazia: oggi può essere, altrettanto significativamente, uno spazio “nuovo” anche perché “antico” e ricolmo dei segni della storia dell’insegnare e dell’imparare a vivere.
[PM] Noi dobbiamo molto cambiare per poter giungere a qualcosa di simile, il volto del mondo deve molto cambiare per reimparare ad ospitare questi corpi in violento sviluppo, questi sguardi ancora aperti, queste espressioni ancora non conformate completamente, questa “facce ancora non da fotografo”, Questi “vortici nei capelli” per citare Peter Handke (1987).
Dobbiamo mutare profondamente, dobbiamo restituire loro ospitalità, creare le condizioni per riceverli, perché vivano con noi, partecipino con noi, decidano con noi, siano finalmente membri a pieno titolo dello spazio e del tempo comune e non figure impoverite, fuori gioco, in prova, in panchina.
L’energia che questa popolazione reclusa potrebbe imprimere alla vita sociale è incalcolabile, se solo si potesse metterla davvero in moto e non tenerla in scacco, stagnante, incatenata.
Se provassimo a rimuovere dal nostro campo di abitudini mentali quel luogo di detenzione che si dice a fin di bene e che chiamiamo scuola, potremmo vedere prendere forma un altro mondo, un altro mondo possibile, un mondo giovane, dai bagliori imprevedibili, un mondo ricco, colorato, carico di futuro.
È pensando a un mondo così che occorre oltrepassare i muri della scuola e guardare diversamente, verso ciò che qui vorremmo chiamare, come già detto, educazione dell’esperienza diffusa, o, più semplicemente, educazione diffusa, o ancora scuola ma scuola diffusa.
Si potrebbe mantenere il termine “scuola”, rimanendo però fedeli al suo etimo nativo di libertà e tempo libero e quindi di spazio oltre i limiti di qualsiasi manufatto architettonico definito e delimitato (come un carcere, un convento, un nosocomio, una chiesa, un museo), senza cadere nelle ipocrite palliative innovazioni e flessibilità tecnologiche delle pareti mobili, delle scuole verdi, degli spazi di aggregazione, delle architetture per educazione e cultura simili a centri commerciali o open spaces in chiave archistars.
 [GC] Già per Adolf Loos, architetto fuori dal coro nella Vienna del primo novecento, quando un uomo incontra in un bosco un tumulo di terra che segnala una trasformazione “poetica” della natura quella è architettura.
Il locus è un concetto ben più profondo del luogo. Esso è un concentrato di significati d’uso, di memoria, di racconti, di amore… Anche la scuola dovrebbe essere un locus: uno spazio pieno di storia e di poesia, senza tempo e senza confini e artifici e, per questo, potrebbe essere un bosco, una piazza, un campo, una radura. Oltre l’urbanistica, oltre l’edilizia e anche oltre la scuola che sono i termini burocratici per gerarchizzare i luoghi, le persone e le loro menti.
Anche per un maestro di architettura come Aldo Rossi, i luoghi e le architetture erano indifferenti a una funzione cristallizzata e ripetitiva ma dovevano cambiare in un dialogo continuo con la città e con chi li frequenta, quando li frequenta. Architettura è il segno dell’uomo in ogni luogo, anche un segno non permanente, flessibile e una specie di non luogo che evolve, si muove e si trasforma.
Un circolo in un campo dove tanti ragazzi o adulti leggono e si scambiano idee su ciò che leggono e riflettono e pensano diventa una biblioteca, un’aula, un museo e un insieme di momenti di appredimento e di crescita. E allora è architettura ed è scuola insieme.
Sulla scia della “discreta organizzazione”, in una città, si può cominciare ad immaginare la nuova scuola e la nuova educazione in diverse dimensioni: quella storica e architettonica, quella logistica, quella organizzativa e quella pedagogica e culturale, senza scindere più tra spazi per apprendere, per comunicare, per esibire, per documentare, per vivere. Questo sarà il teatro di un nuovo racconto fatto di parole, disegni e storie. La narrazione non sarà una descrizione della costruzione di un progetto architettonico ma quella di una giornata scolastica nella città dal punto di vista del bambino, dell’adolescente, dello studente universitario, dei docenti, del preside, del sindaco, accompagnata, sullo sfondo, dalle scenografie degli spazi dedicati ad apprendere e ad “errare” ma non solo e non sempre.
Se si trasformano gli edifici scolastici per un uso misto, flessibile (museo e scuola, biblioteca e scuola, terziario e scuola,…) e mimetico; se si usano gli spazi di cultura e di lavoro, pubblici e privati della città per un diverso “fare scuola”, non scandalizzerà l’educazione persino nei bar, nei negozi e negli aborriti centri commerciali, nuove piazze del consumismo e del passeggio; se si abolissero le materie e si apprendesse per argomenti, idee, curiosità e racconti, il quadro potrebbe cambiare radicalmente e anche le architetture e le città si trasformerebbero.
Una rete di luoghi per apprendere comprenderebbe anche parte dei vecchi edifici scolastici (il restante numero sarebbe demolito, alienato o riutilizzato per altre funzioni) trasformati e resi fruibili anche per attività a tempo pieno, pubbliche o private che siano: una rete collegata da nodi costituiti dagli accessi distinti per ogni ordine di esperienze di apprendimento.
(Tratto dal libro La Città educante. Manifesto della educazione diffusa (Asterios)


martedì 27 giugno 2017

Miami e il terrore della luna piena - Maria Rita D’Orsogna

A Miami i cambiamenti climatici sono già arrivatiE assieme a loro allagamenti e pompe. Progetti per elevare le strade. Muri di contenimento. Cambio nei codici di costruzione. Si stima che il 12,5 per cento delle case della Florida sarà colpito dai cambiamenti climatici. Costi inestimabili.
Un giorno hanno trovato un polipo in un garageE così l’uber turistica Miami Beach sta progettando un sistema complesso di protezione delle coste che costerà in totale cinquecento milioni di dollari. Ma non è così semplice fermare l’alta marea che spesso da un momento all’altro pervade le strade, i giardini, le case. Ogni anno un po’ di più. È l’acqua salata che pian piano inizia a risalire dai tombini, che a volte resta per vari giorni ad allagare un pochino le vie e le case, e che trenta anni fa non esisteva.
Le previsioni sono che entro i prossimi cento anno il livello del mare in Florida si innalzerà di circa due metri. Il che vuol dire due centimetri l’anno. Il che vuol dire che queste maree continueranno.
E cosi, nella zona residenziale di Shorecrest di Miami, una delle più vulnerabili si pensa a un’altra soluzione, radicale. Abbattere le case di miliardari e dei più poveri che vivono qui e restituire la terra al mare. Imparare a convivere con il mare. E questo perché non è pensabile né realistico portare in alto tutte le strade, perché l’allagamento persiste anche nei giorni di sole, perché i costi per salvare tutto sarebbero astronomici e perché la battaglia sarebbe persa dall’inizio: alla fine vincerà la natura. Che fa l’altro abbiamo messo noi umani in azione.


Si tratterebbe di una compravendita volontaria fra i privati e il governo, che trasformerebbe l’area in una sorta di parco-spugna dove l’acqua potrebbe essere assorbita nei periodi di alta marea, proteggendo in modo più naturale l’entro terra.
La città ha già iniziato a comprare terre e case. In alcuni casi si pensa di costruire delle banchine elevate su cui passeggiare, e usare pompe, in caso di eccessiva marea. Altrove ci vorranno muri di contenimento; alcune strade saranno ricostruite più elevate.
Anche la comunità di Arch Creek, nella contea di Dade, la stessa di Miami si pensa di comprare e demolire le case più vicine alle zone che allagano con maggior frequenza. Già tredici proprietari hanno chiesto di poter partecipare. Funzionerà a grande scala? Non si sa perché il tutto è volontario, perché i prezzi delle case in riva al mare sono astronomici e non tutti vogliono cedere le loro abitazioni per fare la zona umida. Ma i problemi continuano e occorre agire. A Miami e dintorni i King Tide si fanno sempre più problematici.

Cos’è il King Tide? È un periodo collegato all’arrivo della luna piena, in cui le maree sono più persistenti. Le zone allagano anche senza la pioggiaIl King Tide del novembre del 2016 è durato almeno due settimane, un record, con l’acqua dappertutto. In alcuni casi l’acqua, diciamo, non era di qualità migliore, era mescolata a sostanze inquinanti e a volte anche a rifiuti fognari. Fra i problemi più o meno gravi associati al King Tide: la vegetazione muore, le macchine arrugginiscono, la viabilità è limitata, l’acqua viene schizzata ovunque sui vestiti mentre si saltella da un marciapiede all’altro, i bidoni dell’immondizia vengono rovesciati dall’acqua.
Il King Tide non colpisce solo Miami, ma anche altre città della zona: Fort  Lauderdale è stata inondata come non mai prima del 2016. In alcune località si parla di un King Tide al mese. Ci sono pure delle app per avvertirti.
Per la cronaca elevare una strada di quindici centimetri costa circa un milione di dollari al chilometro. Intanto, il l governatore della Florida, il repubblicano Jim Scott ha vietato l’uso dell’espressione cambiamenti climatici. 
http://comune-info.net/2017/06/miami-terrore-della-luna-piena/

domenica 25 giugno 2017

Devo uscire da ‘sta pagina maledetta - Alessandro Ghebreigziabiher


Svelto.
Devo esser svelto, prima che sia troppo tardi.
Prima che la cosa si abitui e decida di restare.
La cosa, già, non devo darle un nome, altrimenti diviene familiare, vicina, mia.
Non me lo posso permettere, non ora, non io.
E cosa posso fare, io?
Eccola, la guardo solo per un istante, con sentimenti e pensieri rigorosamente a tempo determinato.
Una donna che seppellisce una creatura di soli tre anni, la sua, sotto un cespuglio.

Fatto.
Adesso, velocemente, prendo l’immagine e la nascondo.
Dove? Dove, cavolo?
Ah, lì, là sotto, c’è un mucchio di cose come questa, in quell’angolo della memoria che prima o poi svuoterò da qualche parte.
Bene, sotto a tutto, perfetto, a posto così.
Un momento…
No, come al solito, ho fatto questo errore!
Ma perché ci casco sempre?
Adesso c’è un’altra immagine a tormentarmi.
Io, ci sono iocon in mano la foto incriminata ed evocata dall’abituale orrenda notizia, mentre mi impegno a occultarla dove potrò più facilmente dimenticarla.
Rapido, devo essere rapido.
Ormai dovrei esser bravo a far tutto con estrema celerità.
Prendo la compromettente immagine che raffigura il sottoscritto, il quale seppellisce quella della madre che fa lo stesso con la figlia senza vita, per farle entrambe sparire.
Dove?
Ma sempre lì, laggiù, nel lato cieco della comune coscienza collettiva che, come un social network di ignavi profili, ci dice dove guardare e cosa censurare.

Oh, caspita… ma sono impazzito?
E’ un incubo, è letteralmente un incubo, ciò di cui sto scrivendo e che vorrei disperatamente depennare dai miei più recenti ricordi.
Sì, perché sono finito nell’ennesimo, paradossale loop morale.
Mi basta chiudere gli occhi e vedere la cosa, che diventa sempre più grande e intollerabile.
La scena in cui, illuso di non esser visto, mi accingo a eliminare dal mio personale orizzonte l’immagine dove tento di far lo stesso con quella nella quale mi sono macchiato del peccato originale tra le fughe dalla realtà.
Ovvero, nascondere in tempo reale, confondere me, distrarre il sottoscritto laddove si illuda di tener lontano il lato scomodo dello schermo dagli occhi e il cuore.
Svelto, devo esser svelto a raggiungere il punto.
Devo uscire da questa pagina maledetta al più presto.
Dove tu, donna e madre che seppellisci vita, ci guardi.
E vedi tutto…

Sì alle auto elettriche ma anche alle discariche tossiche: la deriva psichiatrica della giunta Pigliaru – Vito Biolchini




Per chi vuole capire le cose del mondo, la lettura dei giornali è sempre qualcosa di altamente istruttivo. Perché le notizie, anche se pubblicate a distanza di pagine o su quotidiani diversi, dialogano tra di loro, aprendoci nuovi scenari e suggerendoci chiavi di lettura originali.
“Fondi regionali per auto elettriche” leggiamo ad esempio nella prima pagina di oggi dell’Unione Sarda. “Progetti innovativi per adeguare i trasporti dell’Isola alla tutela dell’ambiente. È l‘obiettivo della giunta regionale” puntualizza il quotidiano, ed è oggettivamente una buona notizia che denota una sensibilità nei confronti dei temi della sostenibilità da parte del centrosinistra che governa alla Regione.
Chi invece legge la notizia pubblicata sulla Nuova Sardegna a pagina 14 (“Portovesme, incontro con Pigliaru. Si cerca una soluzione per la nuova discarica: senza permessi stop agli impianti”) sarebbe indotto a farsi un’idea completamente diversa. Dell’ambiente a questa giunta e a questa maggioranza che governa la Regione non importa un granché visto che stanno cercando in tutti i modi di autorizzare l’ennesimo ampliamento della discarica di Genn’e Luas (“giunta ormai al nono argine” ci avverte l’Unione Sarda a pagina 28), che dovrebbe ospitare gli scarti di lavorazione della fabbrica che produce piombo e zinco. Una discarica di rifiuti tossici altamente nocivi.
Dodici giorni fa il Coordinamento per l’attuazione del Piano Sulcis (“dietro la regia del responsabile Salvatore Cherchi”, si legge nel comunicato stampa), ha redatto un rapporto “sulle bonifiche dei suoli e della falda nell’area Industriale di Portovesme che riepiloga le principali azioni di bonifica e/o di messa in sicurezza dei suoli e della falda acquifera realizzate nell’area industriale di Portovesme, con investimenti a carico totale delle aziende che le hanno in attuazione (Alcoa, Portovesme srl, Eurallumina, Enel, Ligestra)”.
La Portovesme Srl spenderà 29 milioni dei complessivi duecento milioni di euro che verranno spesi per bonificare l’area. E mentre tutto questo avviene, la politica (quella stessa politica che si vanta di portare avanti le bonifiche) preme perché quel territorio venga ulteriormente inquinato.
E quando anche il decimo argine (sempre che venga autorizzato) sarà esaurito, cosa succederà? Si farà una battaglia per l’undicesimo? Fino a quando la Portovesme Srl intende realizzare discariche su discariche?
Il buonsenso vorrebbe che si smettesse di inquinare una zona già interessata da operazioni di bonifica: invece no. Per la Giunta Pigliaru è normale continuare a inquinare un territorio soggetto a interventi ambientali così poderosi.
Una persona che vuole una cosa e il suo contrario sarebbe invitata caldamente a chiarirsi le idee incontrando qualche specialista. In Sardegna invece questa è la normalità della politica: sì alle auto elettriche ma anche alle discariche di rifiuti tossici.
Le politiche ambientali sono credibili solo se vergono portate avanti con coerenza, valore che questa amministrazione Pigliaru (accompagnata da Confindustria e sindacati, sia chiaro) sembra non conoscere. Le auto elettriche sono solo un penoso specchietto per le allodole perché le scelte cruciali assunte da questa giunta hanno sempre preso la strada opposta a quella della sostenibilità.
La Sardegna vuole tutto e il suo contrario (e gli esempi li potete trovare voi stessi). Così un’opinione pubblica già esausta, tramortita da queste contraddizioni, finisce al tappeto e non pensa più, non ragiona più, subisce tutto, si arrende.
E alla fine, stanca della politica, non va a votare.

sabato 24 giugno 2017

L’orrore della fretta di produrre cibo - Gustavo Duch


Nella provincia di Toledo, un’impresa è in grado di produrre ogni giorno un milione di hamburger di manzo e 350.000 di pollo. La maggiore multinazionale nella produzione di bovini, che consente il consumo a basso costo del “fast food” di hamburger come quello citato, nei soli Brasile e Argentina lavora 22.600 capi di bestiame al giorno. L’allevamento di mucche da latte più grande al mondo si trova negli Stati Uniti, con circa 30.000 mucche. Vicino a Soria, vogliono raggiungere il secondo posto della “classifica” e si sta predisponendo un impianto al fine di contenerne circa 20.000. Una dietro l’altra, sarebbe una fila indiana di mucche sull’autostrada da Barcellona fino a Sitges. Il record nella produzione di pane, sembra che lo detenga uno stabilimento di Guadalajara, che si vanta di produrre 15.000 pezzi di pan carré all’ora.

E potremmo continuare così, con esempi che esprimono molto bene una delle caratteristiche del modello alimentare dominante: produrre il massimo alla massima velocità possibile, senza considerare i problemi che questo può comportare. Se divento leader europeo nella produzione di latte, mi importa poco che spariscano alcune migliaia di stalle in Galizia o nella cornice cantabrica; se con 50 persone produco tonnellate di un pane inalterabile per i supermercati, sono molto più efficiente di un forno artigianale come quello del mio villaggio che ne sforna pochi chili ma crea tre fonti di sostentamento; e se devo sacrificare acque incontaminate perché un paese come il Cile produca milioni di salmoni, ben venga la strategia.

Antibiotici e prodotti chimici
In questa follia di sistemi alimentari progettati come fabbriche, il Cile e la Norvegia sono grandi potenze nella produzione di salmoni, con la capacità di servire una razione giornaliera per tutte le persone che vivono, ad esempio, in Catalogna. Una barbarie che si ottiene a partire dall’installazione di alcune gabbie nel mare, come grattacieli rovesciati. Secondo Greenpeace, sono “come recinti della dimensione di un campo da calcio e di 20 piani in profondità”, dove, in condizioni di sovraffollamento, si ingrassano, con mangimi, milioni di animali immobili. In questi modelli di carcere, sembra del tutto necessario l’uso di antibiotici e di altri prodotti chimici per evitare grandi morie. Il loro abuso è causa del fatto che, oltre a diffondersi nelle acque (e sembra essere responsabile di danni ad altri esseri viventi come il delfino australe), raggiunge la catena alimentare aggravando il problema sanitario di malattie batteriche comuni che diventano resistenti agli antibiotici.
In questi ultimi mesi, la produzione di salmoni è caduta. In Cile, l’eccesso di liquami, assieme ai cambiamenti climatici, ha favorito una grande proliferazione di alghe che riducono i livelli di ossigeno. In Norvegia, continua inarrestabile l’infestazione di piccoli crostacei che, come zecche, si attaccano sul salmone per alimentarsi di esso.
Due realtà con lo stesso schema, fretta per guadagnare soldi.
Pubblicato su Palabre-ando, il blog di Gustavo Duch, con il titolo La prisa mata
Traduzione per Comune-info di Daniela Cavallo