Un servizio delle Iene ha
mostrato cosa sia Blue Whale, l’infernale
fenomeno nato in Russia e sbarcato anche in Italia “grazie” alla Rete. Il
giorno dopo il servizio di Matteo Viviani, i miei alunni sono arrivati a scuola
e hanno iniziato a tempestarmi di domande: “Maestro ci parli
della Balena Blu? Lo sai che ci sono cinquanta prove estreme
prima di arrivare al suicidio? Mio cugino è su un social dove ne parlano. Ma tu
maestro lo conoscevi?”. E via con una serie di interrogativi, affrontati uno ad
uno a partire dall’esperienza dei miei ragazzi. Intanto fuori dall’aula, la cronaca
racconta giorno dopo giorno di casi di ragazzini che compiono atti di
autolesionismo e li mostrano sui social. A Udine una famiglia ha sporto denuncia perché si è resa conto
che la figlia minorenne aveva tagli sulle braccia. A Ravenna una ragazzina ha postato su Facebook le foto dei tagli che si era inferta ad
un braccio e i suoi insegnanti hanno avvertito la famiglia.Aver parlato di Blue Whale ha certamente un “merito”: quello di
aver fatto suonare un
campanello d’allarme sul malessere dei nostri ragazzi. La cronaca ha il vizio di farci parlare di un
fenomeno per qualche giorno per poi farcelo scordare con uno nuovo, ma il
“male” dei nostri ragazzi non conosce data, giorno e ora. Resta. Qualche mese fa
una mamma mi ha contattato su Facebook per chiedermi aiuto perché aveva
scoperto che sua figlia attraverso un altro social, Wattpad, era entrata in contatto con una coetanea che
la incitava a tagliarsi.Le domande da porci sono altre: che cosa sta accadendo ai nostri ragazzi? Perché sono arrivati al punto di non credere al
valore della loro esistenza? Quali “luoghi” o “non luoghi” hanno dove potersi
confidare, parlare? Chi
ha orecchie per loro? Chi ha tempo
per restare accanto a loro? Per scendere dal piedistallo del “te l’ho detto”
per cominciare a pronunciare un “dimmi”.
.
Non ho “la” risposta a questi quesiti, ma ho tante risposte che provo a condividere con voi, per comprendere insieme. Senza arroganza. Quando un ragazzo di dodici-tredici anni arriva a disprezzare la propria esistenza al punto di negarla, di farsi del male, di ferirsi, in realtà sta emettendo un urlo fortissimo. Grida: “Sono qui. Perché non mi vedete? Perché non mi ascoltate?”.
Non ho “la” risposta a questi quesiti, ma ho tante risposte che provo a condividere con voi, per comprendere insieme. Senza arroganza. Quando un ragazzo di dodici-tredici anni arriva a disprezzare la propria esistenza al punto di negarla, di farsi del male, di ferirsi, in realtà sta emettendo un urlo fortissimo. Grida: “Sono qui. Perché non mi vedete? Perché non mi ascoltate?”.
Un campanello d’allarme che ogni generazione ha fatto
suonare, ma che quest’ultima, figlia della Rete e di una famiglia che di fatto
è cambiata (spesso in peggio), vive con ulteriore svantaggio. Si presenta al
cospetto del fenomeno Blue Whale di
turno disarmata, analfabeta, senza
strumenti, senza un dizionario, anche minimo, per comprendere. E se da una parte dobbiamo prendere atto
che non sempre la famiglia (di qualsiasi tipo essa sia) ha saputo svolgere il
suo ruolo c’è anche una scuola che ha totalmente fallito. La dico in un
altro modo: a parlare di Blue Whale non
dovevano essere le Iene, ma la scuola.
.
Il primo suicidio sospetto si era registrato mesi fa a Livorno, ma nessuno è
intervenuto. Siamo di fronte ad una scuola che non affronta le sfide, che
arriva in ritardo, che non intercetta, che spesso non conosce.
Ancora una volta Balena Blu ci
interpella, ci chiama: abbiamo
bisogno di maestri/e e professori/professoresse che sappiano essere uomini e
donne in grado di guardare negli occhi quando insegnano, aperti nel cogliere il
malessere, capaci di intercettare, desiderosi, per primi, di formare e
informarsi.
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