mercoledì 30 ottobre 2013

Uno studio belga sullo spreco alimentare nei supermercati: i consigli per ridurlo - Valentina Murelli

La quantità di cibo che si butta via è tutto sommato contenuta, ma si può ridurre ulteriormente. Sono queste in estrema sintesi le conclusioni di uno studio francese sugli sprechi da parte dei supermercati, realizzato dal Centro di ricerca e informazione delle organizzazioni dei consumatori del Belgio (Crioc). Si tratta di un’analisi qualitativa più che quantitativa, basata su una serie di interviste realizzate con i rappresentanti di 7 catene di supermercati situati nella regione di Bruxelles. Obiettivo: capire come si regola la grande distribuzione con i prodotti alimentari che, per varie ragioni (dalla prossimità alla data di scadenza a qualche difetto di confezionamento), non possono più esposti sugli scaffali.
Dalle risposte emerge una grande variabilità sul livello di sprechi delle catene: se alcuni affermano di non perdere praticamente nulla, per altri c’è ancora margine di miglioramento. Certo non è un dato quantitativo ma si tratta di un’indicazione generale, che sembra tuttavia in accordo con lo Studio preparatorio europeo 2010 sullo spreco alimentare, secondo cui i supermercati sarebbero responsabili soltanto del 5% di tutte le perdite. Del resto è logico che sia così. Per i supermercati gli sprechi sono costi e c’è tutto l’interesse a contenerli. Il primo passo è fare in modo che le derrate disponibili siano commisurate alla domanda dei clienti. Per ottenere questo risultato, la grande distribuzione si affida a sistemi logistici in grado di fare previsioni accurate sulle vendite e di gestire al meglio gli stock del magazzino. Non sempre queste procedure funzionano in modo ottimale, non riuscendo a valutare la riduzione dei clienti presenti a causa di condizioni climatiche particolari. Insomma, basta poco perché un punto vendita si ritrovi con un eccesso di prodotti freschi (pane, latte o altro) invenduti. I risultati dell’indagine pongono l’accento anche sull’abitudine molto diffusa di proporre ai clienti una discreta varietà di pane fresco alla sera che però rischia di restare invenduto…
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martedì 22 ottobre 2013

una mattanza dopo l'altra

I pescatori peruviani li chiamano sea-pig, maiali marini, e ne uccidono illegalmente a migliaia ogni anno allo scopo di farne esche per gli squali: un'indagine sotto copertura del giornalista inglese Jim Wickens per l'agenzia investigativa ambientale britannica Ecostorm, promossa dal Pulitzer Centre for Crisis Reporting in America, ha documentato una mattanza feroce e sistematica. In un'unica soluzione infatti, sullo stesso tratto di costa oceanica, si stermina una specie protetta, il delfino, al solo scopo di massacrarne un'altra, lo squalo, anch'essa minacciata e a rischio di estinzione. 
Imbarcati per alcuni giorni su un peschereccio, a seguito di lunga negoziazione con uno skipper che accetta di ospitare le riprese in cambio di carburante e la categorica promessa di mantenere segreta l'identità dei cacciatori di frodo, reporter e cameramen assistono impotenti all'avvicinarsi dei delfini. Un branco gioca festoso sulla scia della nave che lambisce il Pacifico, al largo della costa del Perù. L'allegria dei cetacei dura fino al primo arpione, che ne colpisce subito uno avvolgendo gli altri in una chiazza scura, fra le grida di giubilo dell'equipaggio. Tirato a bordo, l'animale viene fatto a pezzi mentre ancora si dibatte. Chenchos, maiali grassi! Grida la ciurma indicando i branchi di delfini in arrivo, pronti a essere trasformati in bocconi a costo zero e senza che i passeggeri possano obiettare…
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giovedì 17 ottobre 2013

Tecniche ingegnose dei popoli tribali (una bellissima galleria fotografica)

Millenni di immersione ininterrotta nella natura hanno permesso a molti popoli tribali di cogliere anche i segnali più impercettibili del mondo naturale.
Con acute osservazioni, le tribù hanno imparato a cacciare gli animali e a raccogliere radici e bacche commestibili, a percepire i cambiamenti climatici, a prevedere i movimenti delle lastre di ghiaccio, il ritorno delle oche migratrici e i cicli di fioritura degli alberi da frutto.
Alle sfide imposte da habitat diversi e spesso ostili, hanno risposto con sofisticate tecniche di caccia, inseguimento, allevamento e navigazione.
Lo sviluppo di queste conoscenze e abilità testimonia il potenziale creativo degli esseri umani e la loro straordinaria capacità di adattamento; ma ha permesso anche ai popoli tribali che possono continuare a vivere sulle loro terre utilizzando tecniche perfezionate nel corso delle generazioni, di essere generalmente sani, auto-sufficienti e felici.
Io sono l’ambiente ha detto Davi Kopenawa Yanomami. Sono nato nella foresta. La conosco bene.
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La plastica ritorna (indietro)

Uno studio bavarese dimostra come i rifiuti plastici rientrino nella catena alimentare, fino a tornare all'uomo. Tra i materiali maggiormente utilizzati nel campo degli imballaggi e dei materiali a contatto con gli alimenti c’è la plastica, grazie alle sue caratteristiche di versatilità e alla possibilità di impiego a diverse temperature. Ma prima o poi, anch'essa diventerà rifiuto, pericoloso se non gestito correttamente come dimostra una ricerca pubblicata qualche giorno fa sulla rivista scientifica Current Biology preceduta da un’analisi dell’Università bavarese di Bayreuth. Lo studio parla dei rifiuti dovuti alla plastica come di un problema crescente soprattutto per gli ecosistemi marini, ma non solo.
Le maggiori preoccupazioni riguardanol’abbondanza di analoghi microframmenti riscontrata all’interno del Lumbricus variegates, un vermicello parente del lombrico, che come habitat ha la superficie dei sedimenti delle acque dolci. Lo studio in questione ha preso in esame quelli che vivevano sulle spiagge lungo il lago di Garda. Un’abbondanza, secondo lo studio, paragonabile a quella che si riscontra negli oceani.
Il vermicello ha dimensioni ridotte (il trattino bianco in basso a destra equivale a mezzo millimetro e mostra la scala della foto), e piccoli o piccolissimi sono anche gli altri esseri viventi che abitano il Garda e che, hanno dimostrato i ricercatori, in laboratorio inghiottono i pezzettini di plastica così abbondanti nei sedimenti: pulci d’acqua, lumachine d’acqua…
Lungo la catena alimentare, la plastica ingerita dai vermetti e dagli altri piccoli insetti, passerà all’interno dell’animale che li catturerà e li mangerà, fino ad arrivare al vertice della catena alimentare: l’uomo, che ovviamente considera bocconi squisiti i pesci tipici del Garda: anguille, trote, coregoni…, come gli altri animali acquatici, sia d’acqua dolce che salata. Un rifiuto che viene rispedito al mittente insomma...

Dalle matite nascono i fior

“Piantate la matita nel vaso e dopo qualche giorno vedrete germogliare piantine di basilico, salvia, menta, timo, radicchio e persino fiori”. Non si tratta di una favola, ma quello che succede alla matita “Sprout”, progettata nel 2012 da un gruppo di cinque studenti della prestigiosa università Mit (Massachussets Institute of Technology) durante un corso di product design. L’idea è molto semplice: prendere una classica matita in legno di cedro e posizionare alla sua estremità, al posto della gomma da cancellare, una capsula con il seme di una pianta.
Quando la matita è quasi interamente consumata, invece di gettarla, si può inserire in un vasetto con un po’ di terra e, dopo avere innaffiato tutti i giorni, vedere nascere una piantina.
È molto importante – consigliano gli inventori – mantenere la terra umida, perchè la capsula si decompone a contatto con l’acqua e rilascia i semi iniziando così il processo di germinazione. Quando spunta il germoglio, il mozzicone di matita può essere rimosso o tenuto come etichetta, per ricordarsi il nome della pianta riportato sul legno…

venerdì 4 ottobre 2013

una telefonata speciale

"E' un mondo più bello quello in cui puoi abbracciare un Papa. Per me è stato come parlare a un amico". A ricevere la telefonata a sorpresa di Papa Francesco è Carlo Petrini, scrittore e fondatore di Slow Food. Venti minuti a parlare di ambiente, immigrazione, e degli umili del mondo.

Petrini, un'emozione non comune. 
"Sul cellulare mi è comparso all'improvviso un numero sconosciuto. Ho risposto, e dall'altra parte c'era Papa Bergoglio. Non ero affatto preparato, ma la semplicità con cui il pontefice è stato capace di instaurare un dialogo diretto mi ha messo subito a mio agio. Avevo inviato un libro al Papa...".

Il libro di Terra Madre?
"Sì, era il mese di luglio, quando il Papa è andato a 
Lampedusa. Assieme al libro gli avevo spedito anche una lettera e un articolo sui migranti piemontesi in terra d'Argentina, proprio come i genitori di Bergoglio. In un secolo, dal 1876 al 1976, dal nostro Paese sono partiti per l'estero 24 milioni di migranti. Di questi, 3 milioni hanno trovato casa in Argentina. Ed è esattamente ciò che avviene oggi con i nostri neri d'Africa: gli italiani morivano allora, come costoro muoiono oggi. Ma il Papa mi ha raccontato di suo padre...".

E cosa le ha raccontato?
"Nell'articolo parlo di un bastimento, il 'Principessa Mafalda', che nel 1927 partì da Genova e si inabissò poco lontano dalle coste brasiliane causando la morte di 314 migranti italiani. Bergoglio mi ha detto che suo padre sarebbe dovuto salire proprio su quella nave. Invece partì due anni dopo. Gli ho detto che io sono agnostico, ma che c'è un segno del destino se suo padre non salì sul Mafalda, di cui tutti, ancora oggi, in Piemonte hanno memoria"…

mercoledì 2 ottobre 2013

Grani naturalmente modificati e grani geneticamente modificati

mangio solo pane fatto con farina di grano  Senatore Cappelli, quando posso
scegliere io, quasi sempre, a anche la pasta, non troppe, ma ho scoperto chi
la produce.
chi non l'ha assaggiato, questo pane, ispirandomi a Beppe Viola, sono
"quelli che mangiano una pizza surgelata e, solo perche è prodotta in uno
stabilimento vicino a Napoli, credono che è la vera pizza napoletana".
ho fatto un collage di parole e link, sperando che chi legge si incuriosisca
e provi a dare un morso al pane che mi piace, certo qualcuno dirà che è
strano, come dicevano i miei alunni in gita a Londra, che lì parlano un
inglese strano, mica come la professoressa e come a scuola, ma poi tutto
diventa chiaro (speriamo).
mangiatene e godetene tutti - francesco


Il grano duro Senatore Cappelli

Si tratta di una varietà di grano duro. Ha preso il nome da Raffaele Cappelli, senatore che nei primi del Novecento promosse la riforma agraria e la ricerca sui grani duri e teneri. Per circa un secolo, questa varietà è stata molto coltivata. Negli anni ’70 scomparve quasi del tutto a causa della mutazione genetica cui fu sottoposto per ottenere la varietà Creso. Dopo un periodo di assenza, di recente la coltivazione è ricominciata in alcune regioni del Sud che puntano soprattutto alla salvaguardia della qualità. Il grano duro Senatore Cappelli può essere considerato un cereale “antico”, antenato del grano duro attuale, non contaminato da mutagenesi come molti altri cereali oggi coltivati. Per la sua altezza (160-180cm) e il suo apparato radicale sviluppato, soffoca le malerbe ed è quindi molto adatto per l’agricoltura biologica. La produzione è concentrata in Basilicata, Puglia e Sardegna.


dice Giuseppe Li Rosi, contadino siciliano
«Il consumatore – suggerisce Li Rosi – dovrebbe porsi una domanda, che è la stessa che si facevano gli uomini primitivi quando andavano alla ricerca del cibo: cos’è buono e cos’è cattivo, cosa mi permette di proliferare e cosa invece mi toglie energia». Il problema per l’agricoltore è che questa domanda non ce la si fa più «perché siamo talmente bombardati dalla pubblicità che ci siamo convinti di avere tutto il cibo a disposizione». Eppure, dice, «nessuno mai metterebbe nafta o benzina sporca nella propria macchina, ce ne guardiamo tutti bene, perché invece non pensiamo a cosa introduciamo nel nostro corpo?». E dà la colpa all’ingegneria sociale «che ha tagliato il rapporto con le tradizioni convincendo per 150 anni la gente che il prodotto industriale è quello più salubre, asettico, sano, e addirittura di moda, portandoci a comprare il cibo con gli occhi chiusi. Mentre prima si guardavano le mani di chi ti vendeva il pane e se aveva le unghia nere non lo si comprava».
Per Giuseppe Li Rosi scegliere i grani antichi significa dedicare più tempo alla ricerca del cibo. Invece di fare la corsa con i carrelli. «Ai primordi l’uomo dedicava tutta la giornata alla ricerca del cibo e fino a 60 anni fa si impiegavano ore in cucina. Oggi lo vogliamo portato fino a casa», dice. Lui concorda con il filosofo Ludwig Feuerbach che pensava che siamo ciò che mangi. «Infatti – dice – il nostro cervello si attiva in presenza di elementi chimici. Molti microelementi non si trovano più nel ciao e molte aree del nostro cervello sono disattivate. Per evolverci dobbiamo cambiare modo di vivere, pensare e di nutrirci».

(Siamo ciò che mangiamo - L.Feuerbach)

Per approfondire
http://www.glamfood.it/leggi_news.aspx?id=145