venerdì 29 marzo 2024

Sovranità alimentare e Palestina - Verónica Villa

Da molti anni contadine e contadini palestinesi per coltivare devono chiedere un permesso, che molto spesso viene revocato. In un territorio coperto per quasi la metà ulivi, grazie a cui sopravvivevano più di 100 mila famiglie, dal 2000 le forze israeliane hanno sradicato più di tre milioni di alberi. Nello stesso periodo, da quando hanno iniziato a costruire il muro in Cisgiordania, è stato impedito l’accesso alle tradizionali fonti d’acqua al 95 per cento della gente in Palestina. Dal 2008, inoltre, l’occupazione israeliana ha istituito un sistema di “conteggio calorico” progettato per diminuire i consumi alimentari degli abitanti di Gaza a livelli appena sopra il limite della fame. I 32 mila morti sono oggi la superficie di ciò che subiscono i palestinesi da molti anni. Migliaia in questi giorni continuano a morire di fame, sete, mancanza di cure mediche e altre forme di violenza. Ciò che accade in Palestina è tremendamente familiare ai popoli indigeni e contadini di altri angoli del mondo… La liberazione della Palestina è la liberazione del mondo

 

Distruggere la produzione di alimenti è una tattica storicamente utilizzata dai colonizzatori per sradicare culture e creare dipendenza. Alimentazione, territori e libertà vanno di pari passo, lo sa bene il collettivo di comunicazione A Growing CultureAGC fornisce informazione e strumenti al servizio delle resistenze contadine di tutto il mondo. Sanno che l’attenzione delle persone è il nuovo campo di battaglia e si impegnano perché più gente possibile si unisca alla lotta per la sovranità alimentare.

Quella che segue è una dichiarazione di AGC approfondita e pungente sul genocidio del popolo palestinese.

Furto di terre

Fin dall’inizio Israele si è accaparrato più dell’85 per cento della terra che storicamente apparteneva agli abitanti della Palestina. Durante la Nakba (l’esodo dei popoli palestinesi causato dalla nascita dello stato di Israele nel 1948) furono distrutte più di 700 mila comunità palestinesi. Da allora Israele ha costruito insediamenti e zone militari separando uomini e donne palestinesi dalla loro terra. Nel 60 per cento del versante occidentale, a noi noto come Cisgiordania, contadini e contadine per coltivare devono chiedere un permesso, che molto spesso viene revocato dalle autorità israeliane.

L’autorità di Israele distorce una legge di epoca ottomana, progettata per promuovere l’agricoltura assegnando le terre a riposo a chi voleva coltivarle. Manipolando questa legge, Israele distrugge campi e boschi palestinesi per confiscare le terre. Questa strategia deriva dallo sfruttamento di circa il 40 per cento della sponda occidentale del fiume Giordano (fonte: Ufficio centrale di statistica palestinese delle Nazioni Unite).

Separare le comunità dalle loro acque

La costruzione del muro in Cisgiordania ha impedito l’accesso alle tradizionali fonti d’acqua al 95 per cento della gente in Palestina, che è costretta a consumare acqua controllata da aziende israeliane. Israele nega ai palestinesi ogni accesso al fiume Giordano e controlla più dell’85 per cento delle riserve idriche del versante occidentale. Gli insediamenti israeliani consumano in media sei volte più acqua delle comunità palestinesi.

Già da prima dell’assedio che ha seguito il 7 ottobre era impossibile bere più del 90 per cento dell’acqua di Gaza, a causa della sistematica distruzione delle infrastrutture per mano di Israele. Più di due milioni di abitanti di Gaza subivano la permanente carenza di acqua prima di Ottobre 2023. L’unica fonte idrica a Gaza è una falda contaminata da acque di scarico, chimiche e marine. L’agricoltura palestinese dipende molto dall’irrigazione, e la crisi idrica aumenta la dipendenza dagli aiuti alimentari e dalle importazioni (fonti: Al Jazeera, Amnesty International e The Guardian).

La distruzione dell’agricoltura

Più del 70 per cento dei palestinesi sussistevano grazie all’agricoltura prima della colonizzazione israeliana. Nel 1967 la produzione agricola della Palestina competeva con quella di Israele. I contadini in Cisgiordania producevano tanto da esportare l’80 per cento della verdura e il 45 per cento della frutta.

Nel 1985 il ministro della difesa israeliano Yitzhak Rabin dichiarò che il governo di Israele non avrebbe favorito lo sviluppo dei territori occupati, né ci sarebbero stati permessi per espandere l’agricoltura o l’industria che avrebbero potuto essere di competenza dello stato israeliano. Come risultato di questa politica, il contributo dell’agricoltura Palestinese al Prodotto Interno Lordo calò del 28 per cento, arrivando al 4.8 nel 1993 e al 2.6 nel 2018. Dal 2007 più del 77 per cento dei residenti di Gaza dipende dagli aiuti alimentari (fonti: McMaster University and Econometric Research Limited, Applied Research Institute di Gerusalemme, OIT, GRAIN).

La dieta della morte

Dal 2008 l’occupazione israeliana ha istituito un sistema di “conteggio calorico” progettato per diminuire i consumi alimentari degli abitanti di Gaza a livelli appena sopra il limite della fame. Dov Weisglass, consigliere dell’ex primo ministro israeliano Ehud Olmert, ha dichiarato che “l’idea è mettere i palestinesi a dieta senza che muoiano di fame”.

Nel 2022 le Nazioni Unite hanno riferito che più del 64 per cento degli abitanti di Gaza erano in stato di severa o moderata insicurezza alimentare. Molti bambini nati e cresciuti sotto l’occupazione soffrono di ritardo nello sviluppo, insufficienza renale, denutrizione, malnutrizione, anemia e carenza di micronutrienti. Oggi tutta Gaza soffre di severa insicurezza alimentare (fonte: Nazioni Unite).

Estirpare gli alberi alla radice

La produzione di olive è centrale nella cultura e nell’economia della Palestina. Lungo il versante occidentale del Giordano e nella striscia di Gaza, il 45 per cento dei terreni agricoli è coperto da ulivi, grazie a cui sopravvivevano più di 100 mila famiglie. Dall’anno 2000 le forze israeliane hanno sradicato più di tre milioni di alberi. Più del 70 per cento degli alberi estirpati in Cisgiordania erano ulivi.

Israele ha spruzzato quotidianamente erbicidi e pesticidi e gettato rifiuti pericolosi nei territori palestinesi. Si concentra sui frutteti e cerca di degradare i terreni e di contaminare l’acqua, in modo che l’agricoltura sia impossibile da praticare (fonti: Nazioni Unite, Al Jazeera, Reliefweb, +972 Magazine).

Bloccare le vite di donne e uomini palestinesi

Nel 2007 Israele ha trasformato Gaza in una prigione a cielo aperto imponendo il blocco delle esportazioni e importazioni, restringendo l’accesso a cibo, sementi, mezzi di produzione agricoli e combustibili. Allo stesso tempo è aumentato il flusso verso la Palestina di beni israeliani di basso costo, cosa che distrugge la fragile economia dei prodotti locali. Le esportazioni dalla Palestina invece sono diventate costosissime per via dei requisiti commerciali, stabiliti da Israele, alle frontiere e alle dogane. Come effetto di blocco, sanzioni e restrizioni Israele controlla più del 58 per cento delle importazioni palestinesi e l’86 per cento delle esportazioni.

Israele ha anche limitato la pesca a una distanza di 11 chilometri dalla costa, tagliando l’accesso all’acqua migliore per uomini e donne palestinesi, minacciando o assassinando pescatori e confiscando le loro barche e attrezzature (fonte: International Trade Administration, Ufficio centrale di statistica palestinese delle Nazioni Unite e Grassroots International).

L’attuale genocidio dei popoli palestinesi è giustificato come risposta ai fatti del 7 ottobre. Questo discorso nasconde la realtà che gli abitanti della Palestina vivono sotto un brutale colonialismo di Stato da più di 75 anni, spiega A Growing Culture. I 30 mila morti sono solo la superficie della violenza che subiscono. Migliaia di altri continuano a morire di fame, mancanza d’acqua, di cure mediche e altre forme di violenza messa in atto dai tempi della Nakba. La Nakba è un processo continuo che cerca di eliminare il popolo palestinese dalla faccia della terra strappandogli territori, diritti e sovranità.

La distruzione dell’alimentazione e dei sistemi agricoli è una tattica molto usata dai colonizzatori per sterminare popoli e culture. Lo sanno molto bene le comunità di tutto il mondo. Ciò che accade in Palestina è tremendamente familiare per i popoli indigeni e contadini dell’America Latina e per chiunque resista all’oppressione del sistema. La liberazione della Palestina è la liberazione del mondo.


Dalla pagina Instagram e Facebook di A Growing Culture.


Pubblicato su desinformemonos.org con il titolo Soberanía alimentaria, comunicación y Palestina (Verónica Villa fa parte del Grupo ETC)

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