sabato 27 giugno 2015

Schiavi nelle vigne a 3 euro l’ora: la nostra inchiesta sul caporalato - Giancarlo Gariglio

La raccolta dei pomodori in Puglia o Sicilia, delle arance in Calabria o delle mele in Trentino ha accesso i riflettori su moderne forme illegali di reclutamento e organizzazione della manodopera. Purtroppo a pochi chilometri da casa nostra, nel basso Piemonte, ci sono forme di sfruttamento, che pensavo non potessero investire un settore agricolo di eccellenza come la viticoltura.
In Langa e nel Monferrato se non ci fossero i macedoni si fermerebbe tutto. Sarebbe peggio della grandine. Un’apocalisse. La loro presenza è massiccia sia tra i dipendenti fissi delle cantine sia tra i membri delle cooperative, che sopperiscono a gran parte del lavoro in vigna nel periodo caldo dell’anno. È su queste cooperative che voglio porre l’attenzione e sul sistema che alcune di esse hanno costruito.
Vorrei fare una premessa: l’inchiesta che abbiamo realizzato non è tesa a screditare il sistema delle cooperative e a criminalizzarne il ricorso. Questo non è il nostro obiettivo e il lettore deve esserne consapevole, perché se salta il meccanismo virtuoso che sta alla base di tutto salta la viticoltura piemontese e forse italiana. La maggioranza dei produttori e delle cooperative agisce secondo le regole e la legge. Abbiamo scoperto, grazie a interviste ai vignaioli, a registrazioni vocali, a fotografie, che questo sistema ha acquisito dimensioni così grandi che è piuttosto frequente la presenza di distorsioni. Ci sono lavoratori sfruttati a tutti gli effetti, percepiscono salari da fame e dipendono da connazionali arrivati prima di loro, che si arricchiscono alle loro spalle sfruttandone le prestazioni.
Tutto è partito da una telefonata di un produttore: «Voi che sbandierate tanto la sostenibilità ambientale perché non vi interessate un po’ di quello che avviene in vigna ai lavoratori stranieri?». Dopo tre settimane di indagini, effettuate telefonando a diversi produttori di Langa e Monferrato e seguendo le briciole di pane disseminate dai loro racconti e confessioni, sono giunto a queste 3 differenti conclusioni.

1) Partiamo dal costo orario
Da un incontro sotto falso nome col direttore di una cooperativa considerata virtuosa e dalle tabelle che ci ha fatto vedere un vignaiolo, sappiamo che il costo orario “ufficiale” e fatturato di un manovale delle cooperative è di 10 euro più Iva l’ora (tutti i prezzi sotto riportati si riferiscono a un’ora di lavoro).
Sempre la cooperativa “virtuosa”, dietro nostra precisa richiesta, ci ha fatto sapere che in nero potevamo spendere 8 euro tutto compreso. Alcuni produttori ci hanno fatto capire che se l’azienda in questione è grande e richiede molto lavoro si può arrivare a 6 euro.
Nel caso di lavoro regolare, il manovale macedone percepisce 6 euro orari se è esperto e 4 euro se invece è alle prime armi. Questo ce l’ha rivelato un ex dipendente di una cooperativa, che ora lavora per un vignaiolo.

2) Lavoro a cottimo
Questa è indubbiamente la formula più utilizzata dalle aziende e dalle cooperative. Per esempio, nel mese di maggio bisogna sfemminellare, ecco allora che il preventivo delle cooperative è fatto in base alla superficie lavorata, nel caso nostro si parla di “giornata piemontese” (3.810 metri quadrati). Per un compito di questo tipo la tariffa è di 120 euro. Un produttore interrogato su questo punto mi ha detto che il costo dei suoi dipendenti per la stessa superficie è di 800 euro. Una bella differenza! Questa formula obiettivamente è quella che permette più ampi margini di manovra perché si tratta di un lavoro chiavi in mano, in cui l’azienda vinicola non mette becco, non è tenuta a controllare, non è responsabile di nulla, se non del lavoro finito, e quindi non si preoccupa più di tanto delle condizioni dei lavoratori impiegati. Per questi operai, ad esempio, l’orario prevede anche la fase più calda della giornata, tra le 12 e le 15, che determina numerosi casi di svenimento in vigna. Chi ha un mancamento viene “gentilmente” rimpatriato e non più richiamato. Sul lavoro a cottimo anche la cooperativa ha margini di manovra molto ampi, perché si assume i rischi di impresa ma può spremere di più i suoi “soci”. Così facendo si abbattono ancora di più i salari: quando un operaio lavora in nero la cifra arriva a 3 euro (in Sicilia, sempre grazie a una telefonata, abbiamo scoperto che si arriva a 2,5 euro).
Con il lavoro a cottimo entrano tra i filari soprattutto le squadre non regolari delle cooperative, quelle che annoverano tra le file lavoratori macedoni con permessi turistici. Questi gruppi operano soprattutto nei week end, quando il rischio di controlli delle autorità è minimo. Capita, di sabato e domenica nei mesi di aprile, maggio e inizio giugno, girando in auto nelle strade di campagna di Langa e Monferrato, di vedere grandi gruppi di persone impegnate tra i filari.

3) “Bianco” e “nero” convivono in questo sistema distorto
Il sottobosco che si è creato con il tempo prevede la presenza di soggetti differenti che collaborano e ingrossano il traffico di manodopera. Ci sono cooperative regolari, anche piuttosto strutturate e con uffici fisici, che hanno due tariffari differenti: bianco (10 euro + Iva) e nero (da 8 euro in giù). Queste fatturano a ora o a cottimo, in base al tipo di lavoro richiesto. Esistono poi cooperative di servizio più piccole, meno semplici da individuare per noi, che hanno tariffe ancora più basse (da 6 euro a scalare). Infine, ci sono dei veri e propri caporali (che lavorano per altre cooperative e quindi sanno che esistono punte di richiesta di manodopera), che assoldano per periodi molto brevi i propri connazionali e spesso forniscono anche il passaggio in Italia. In questo caso non esiste fatturazione, si fa tutto in nero e le tariffe calano fino ai 3 euro l’ora, anche per 10 ore di lavoro giornaliero. I caporali alcune volte riforniscono di manodopera le cooperative regolari, e così guadagnano anche una percentuale.
La tratta di questi “schiavi” comprende l’offerta di un letto in camerate sovraffollate a 200 euro il mese. Il pacchetto “turistico” prevede anche la creazione di servizi di trasporto tra Macedonia e Italia a prezzi concordati (70 euro andata e ritorno).
Uno dei produttori di Langa, che si serve saltuariamente di cooperative, mi ha detto testualmente questo: «Se venisse mai Report in Langa qui salterebbe tutto, perché è davvero uno schifo». Per una volta questa funzione d’inchiesta l’abbiamo voluta svolgere noi. Ci sono tre aggettivi a cui siamo particolarmente affezionati: buono, pulito e giusto. Il terzo ha la stessa dignità degli altri due. Non è l’ultima ruota del carro, come non lo sono le persone che creano i vini che tanto amiamo e che tanto celebriamo.
Se la situazione di schiavitù è così nel basso Piemonte, si può facilmente immaginare cosa accada nel resto d’Italia, magari in regioni in cui il prezzo delle uve e del vino è sensibilmente più basso…

Non aver paura! - Jacopo Cullin

venerdì 26 giugno 2015

TrivAdvisor

"Trivellazioni magnifiche"
http://www.greenpeace.org/italy/Global/italy/code/2015/trivadvisor/img/voto4.png 02/09/2020
Finalmente io e la mia famiglia abbiamo potuto vedere questo panorama di petrolio di cui avevamo tanto sentito parlare: le trivellazioni sono proprio a pochi chilometri dalla costa!...perfetta per i bambini che possono passare il tempo a contare i pozzi! Da tornare
"Niente esplosioni, peccato!"
http://www.greenpeace.org/italy/Global/italy/code/2015/trivadvisor/img/voto3.png 21/08/2020
Sono partito perché mi avevano parlato molto degli airgun, di come siano incredibili le esplosioni sott'acqua...ma niente, c'era troppa gente a fare la fila per i pedalò per vedere le esplosioni

"Brutto tempo, non ho visto la piattaforma"
http://www.greenpeace.org/italy/Global/italy/code/2015/trivadvisor/img/voto3.png 26/06/2020
Penso che dovrò tornare perché il tempo era bruttissimo e non si vedeva la piattaforma...soldi buttati, prima di andare È NECESSARIO guardare il meteo!!!


La costa orientale siciliana è stretta tra due aree di intervento dei petrolieri: una a sud, fino a ridosso di Capo Passero, l'altra a est, nel tratto  che divide l'isola dalla Calabria, al largo delle coste di Catania ed Acireale. Le trivelle premono soprattutto da sud: un permesso di ricerca di petrolio, un'area di 337 chilometri quadrati, arriva fino all'Isola delle Correnti.

Firma ora per un futuro senza trivelle.




Ti sembra uno scherzo? Purtroppo non lo è, e stavolta abbiamo voluto comunicarlo in un modo inusuale: abbiamo ideato il sito “TrivAdvisor, perché tutti possano conoscere il panorama che ci mette di fronte lo Sblocca Italia,  quello delle trivellazioni offshore nei nostri mari, e mobilitarsi per chiedere un cambiamento!
La strategia energetica italiana, in modo inspiegabile e paradossale sia dal punto di vista ambientale che da quello energetico ed economico, ha infatti scelto lo sfruttamento degli idrocarburi dei nostri mari. Nuove concessioni sono già realtà sia nel Canale di Sicilia che nell’Adriatico e nello Ionio; altre sono già all’orizzonte.
È un’idea miope che porterà profitti solo nelle tasche dei petrolieri, scaricando tutti i rischi sulle comunità, sull’ambiente, sulla fauna ittica, senza nemmeno soddisfare il fabbisogno energeticodel Paese! Le riserve certe di petrolio sotto i nostri fondali infatti equivalgono a meno di 2 mesi dei consumi nazionali, quelle di gas a circa 6 mesi.  Le ricadute occupazionali e le entrate fiscali previste sono modestissime, mentre possiamo immaginare cosa accadrà a turismo e pesca sostenibile.
Con lo Sblocca Italia il Governo, semplificando gli iter autorizzativi ed esautorando le amministrazioni locali, ha scelto la sua strada, quella della petrolizzazione del mare. Ma si tratta di una via a senso unico: non si torna indietro. Nessuno può escludere un disastro ambientale...e in Italia, è bene ricordarlo, il rischio di uno sversamento grave non è neppure previsto nelle valutazioni di impatto ambientale!

È ora di cambiare registro, ma per essere più forti dei petrolieri serve anche la tua voce:unisciti a noi, firma per liberare il mare dalle trivelle!


giovedì 25 giugno 2015

Sette proposte per l’agricoltura sostenibile del futuro - Greenpeace

I sette principi per un’agricoltura sostenibile descritti nel rapporto di Greenpeace sono:

1. restituire il controllo sulla filiera alimentare a chi produce e chi consuma, strappandolo alle multinazionali dell’agrochimica;

2. sovranità alimentare. L'agricoltura sostenibile contribuisce allo sviluppo rurale e alla lotta contro la fame e la povertà, garantendo alle comunità rurali la disponibilità di alimenti sani, sicuri ed economicamente sostenibili;

3. produrre e consumare meglio: è possibile già oggi, senza impattare sull’ambiente e la salute, garantire sicurezza alimentare e, contemporaneamente, lottare contro gli sprechi alimentari. Occorre diminuire il nostro consumo di carne e minimizzare il consumo di suolo
per la produzione di agro-energia. Dobbiamo anche riuscire ad aumentare le rese dove è necessario, ma con pratiche sostenibili;

4. incoraggiare la (bio)diversità lungo tutta la filiera, dal seme al piatto con interventi a tutto campo, dalla produzione sementiera all’educazione al consumo;

5. proteggere e aumentare la fertilità del suolo, promuovendo le pratiche colturali idonee ed eliminando quelle che invece consumano o avvelenano il suolo stesso;

6. consentire agli agricoltori di tenere sotto controllo parassiti e piante infestanti, affermando e promuovendo quelle pratiche (già esistenti) che garantiscono protezione e rese senza l'impiego di costosi pesticidi chimici che possono danneggiare il suolo, l'acqua,
gli ecosistemi e la salute di agricoltori e consumatori;

7. rafforzare la nostra agricoltura, perché si adatti in maniera efficace il sistema di produzione del cibo in un contesto di cambiamenti climatici e di instabilità economica.

Per contribuire alla crescita dell’agricoltura sostenibile, Greenpeace collabora con agricoltori e comunità rurali.

http://www.greenpeace.org/international/Global/international/planet-2/graphics/2007/4/act-arrow.png Leggi la sintesi in italiano
http://www.greenpeace.org/international/Global/international/planet-2/graphics/2007/4/act-arrow.png Leggi il rapporto integrale in inglese

martedì 23 giugno 2015

Marganai, addio a 33 ettari di bosco. Per una questione di pellet - Pablo Sole

E alla fine l’arcano venne svelato: dietro il progetto di radere al suolo centinaia di ettari di lecceta nel compendio naturalistico protetto (SiC!) del Marganai, oltre alla mera produzione di legna da ardere c’era una semplice, banalissima questione di pellet. E qualcosa lo si poteva intuire già nel novembre scorso, quando il sindaco di Domusnovas Angelo Deidda decise di marciare su Cagliari e far la voce grossa sotto le finestre dell’assessorato regionale all’Ambiente e dell’Ente foreste. “Ostacolano i nostri progetti e non ci fanno sfruttare il nostro territorio”, si lamentò il primo cittadino. Dove persfruttare il territorio intendeva tagliare alberi. Al suo fianco, qualche decina di manifestanti e Giuseppe Vargiu, presidente della cooperativa Agricola mediterranea che dal 2011 ha tagliato a raso 33 ettari di lecceta in tre anni.Il via libera è arrivato dall’Ente foreste, che in cambio del legnatico ha ottenuto circa 180mila euro. Sembran tanti? Proprio no, visto che vanno spalmati su 35 anni, ovvero il tempo stimato per la rigenerazione degli alberi abbattuti. Per l’Ente foreste non pare proprio un buon affare. Per la cooperativa invece, che nella zona industriale di Domusnovas ha realizzato un impianto per la produzione di pellet…
Quando si dice innovazione: produrre pellet
Nel 2008 Agricola mediterranea annuncia la realizzazione di un impianto per la produzione di pellet che, a regime, avrebbe assicurato decine di posti di lavoro. Nella bontà del progetto credette pure la Sfirs, che assicurò una parte del finanziamento, dicono le cronache dell’epoca. “L’impianto sarà alimentato con gli scarti di lavorazione dellefalegnamerie e i residui della pulizia del sottobosco“, disse Vargiu oltre sette anni fa. Tagliare tronchi d’albero non era ipotesi contemplata. Poi qualcosa dev’essere radicalmente cambiato. Forse perché ci si rese conto che per produrre pellet, pare sia indispensabile macinare qualcosina in più rispetto a trucioli, segatura e scarti del sottobosco:serve legna. E tanta. La coop insomma, si rende conto di aver costruito il tetto senza pensare alla solidità delle fondamenta, ovvero una quantità apprezzabile e costante di materia prima. Che fare, visto che importare legnatico è antieconomico? Occorre assicurarsi lo sfruttamento del Marganai anche dopo la scadenza della concessione triennale 2011/2013 (quella da 180mila euro) firmata dall’Ente foreste. Per ‘accelerare’ le cose, nel marzo 2014 un centinaio di lavoratori occupa il municipio di Domusnovas. “L’Ente foreste deve firmare un accordo con la cooperativa Agricola mediterranea per la gestione forestale di cento ettari – tuonò il sindaco Deidda – e la coop assumerà il personale. Ne ricaveremo legnatico, sughero, materia prima per il pellet”. Ma perché l’Ente avrebbe dovuto siglare un accordo proprio con l’Agricola mediterranea? Non si sa. E infatti il progetto si arena.
La “sinergia tra uomo e natura”. Dove l’uomo abbatte la natura
Un anno dopo l’occupazione del municipio, il 14 aprile scorso Vargiu presenta il progetto Ceppoc, ovvero “il primo pellet 100% prodotto in Sardegna”. Ma se ne avrà notizia solo un mese dopo grazie ad una nota stampa: fino ad allora, l’iniziativa era passata sotto silenzio. A foraggiare la cooperativa ci ha pensato anche la Regione, con unfinanziamento di 168mila euro nell’ambito del Piano di sviluppo rurale. Rimane l’interrogativo: la legna per produrre il pellet da dove arriverà? I canali di approvigionamento cambiano ancora: spariscono gli scarti delle falegnamerie, rimangono i prodotti della pulizia del sottobosco, compaiono gli eucaliptus e soprattutto le “biomasse a conduzione cedua”. Il territorio di riferimento? “Il Marganai”, dice Vargiu alla presentazione del 14 aprile. Domande: nessuna. Ammesso che qualche giornalista fosse in loco. Eppure gli interrogativi non mancherebbero. Per questo abbiamo contattato Vargiu, ma dopo un primo abboccamento i contatti si sono interrotti.
Se la Regione paga per disboscare
Al presidente della coop, ad esempio, avremmo voluto chiedere a che titolo l’Agricola mediterranea rivendica il diritto di tagliare gli ettari di foresta del Marganai, visto che le coop interessate alla ceduazione (e non solo quella presieduta da Vargiu) dovranno partecipare ai bandi che l’Ente foreste dovrebbe pubblicare per la concessione dialtri 33 ettari da buttare giù (nei prossimi anni si arriverà a un totale di circa 550 ettari). Quindi non è detto che a spuntarla sarà la Agricola mediterranea, come qualcuno dà per assodato. E se così fosse, la situazione sarebbe quantomeno curiosa, con la Regione che da una parte incassa (i 180mila euro appannaggio dell’Ente foreste come oneri di concessione) e dall’altra elargisce (i 168mila euro di finanziamento del progetto Ceppoc).
Tagli “nefasti”, cervi e cinghiali
L’unica certezza, finora, è che la campagna dei tagli condotta fino al 2013 ha prodotto effetti non proprio incoraggianti. Di più: “Nefasti”, li ha definiti il team di professionisti incaricato di aggiornare il Piano di gestione del Monte Linas – Marganai, che per mesi ha effettuato rilievi su rilievi. “Prendiamo l’erosione: aumenta di settimana in settimana”, sostengono le varie relazioni firmate dal team. Ma Ente foreste e Corpo forestale hanno minimizzato (“Ma quale erosione, la terra è smossa dal passaggio di cervi e cinghiali”), senza però presentare alcuno studio scientifico: solo un paio di pagine vergate dopo qualche sopralluogo, a vista. E i tagli vanno avanti. 

lunedì 22 giugno 2015

a proposito di energia e natura - Elisabetta Pau

Faccio parte del comitato sa nuxedda free, nato per opposizione ad una centrale solare termodinamica di 135 ha in terreno agricolo di Vallermosa. Il progetto  della centrale adesso è fermo perchè la ditta proponente non ha voluto sottoporlo alla V.I.A e rimbalza tra un ricorso al Tar, (ricorso giudicato recentemente inammissibile) e ora pare al consiglio di stato.. staremo a vedere, nel frattempo noi non abbiamo mai finito di riunirci, di informarci, di capire.
Io vivo per scelta nelle campagne di Vallermosa quasi di fronte a "sa nuxedda" la zona dove era previsto l'impianto, con mio marito coltivo e curo il terreno intorno alla mia casa. La mattina prendo il treno per arrivare a lavoro e spesso intorno alle 8 e mezzo mi capita di incontrarlo...
Lui è elegante, profumato, ieri aveva degli occhiali a specchio, i pantaloni dell'abito grigio con la piega perfetta, belle scarpe lucide con la punta squadrata e la suola in cuoio, la camicia bianca perfettamente stirata , cammina con passo sicuro... in una mano tiene la borsa, nell'altra quasi sempre il telefono all'orecchio. Tipico di un uomo d'affari. Lui è un imprenditore, è Alberto Scanu che presiede la società Sardinia Green Island ed è il proponente del progetto che noi combattiamo.
Camminiamo nel verso opposto venendoci incontro, a volte per un attimo da soli, io e lui, sembra  di vivere  una scena da film western, immagino di fare con lui un duello, senza armi, solo a parole e questo duello, sono sicura di vincerlo io. Perchè ho tante motivazioni per il mio no al progetto e la più forte di tutte è che la terra agricola deve rimanere tale perchè serve a produrre cibo.
Lui non sa che io faccio parte del comitato che ha decifrato, almeno ai nostri occhi e di chi ci segue, il moderno progetto capace di portare sviluppo, così dice, lui non sa che io ho ben capito che lui è un imprenditore e che il suo scopo è guadagnare quattrini, niente altro.
Mi chiedo, quando ci sfioriamo passandoci accanto quanto lui creda a questo sviluppo per la Sardegna, visto che ci vive, se crede davvero almeno un pò che questo porterà benessere alla comunità di Vallermosa. Veniamo da due mondi diversi, lui porta  con sè la borsa, io, oltre la borsa arrivo a Cagliari la mattina dalle campagne in cui vivo con le immagini che questa campagna mi regala e me le sento addosso, Questo è un periodo di grandi lavori nei campi, si taglia il foraggio, si ranghina, si imballa, si trasportano le balle di fieno sui trattori, c è un via vai continuo, un lavoro continuo, chissà cosa sa lui di tutto questo lavoro, mi chiedo, cosa sa lui di quanto sono belle le colline tosate come le pecore in questo periodo, di quanto è faticoso lavorare nei campi, di quante persone  hanno  investito lì, in questi luoghi, una vita in soldi e fatica. Troppo facile pensare di cancellare tutto per una sviluppo che non ci corrisponde e una crescita per andare dove non si sa, dove noi sacrifichiamo un bene prezioso la terra e lo sacrifichiamo  per sempre, sia chiaro, perchè  non si può tornare indietro " a sicut erat non torrat mai ".

Ma l 'imprenditore fa il suo lavoro, per quanto trovi sbagliato il modo di procedere:  promesse, poca chiarezza sul progetto, totale ambiguità sui posti di lavoro, cose di cui non ci sarebbe la necessità se il progetto fosse valido come dice. Dice anche che valorizzerebbe la zona "sa nuxedda" che confina con un insediamento nuragico e come, mi chiedo io, devastando prima la zona con la deviazione dei corsi d acqua, fondazioni in cemento, livellamento dei terreni che non sono piani, per poi regalarci una torre alta 200 metri trasformando la zona in zona industriale?
Ma il mio sdegno non va tanto a lui, il mio sdegno va a chi ci governa ai vari livelli comuni e regione, per la mancanza di informazioni che danno alla cittadinanza, perchè abbiamo dovuto organizzare noi comitati le assemblee informative, per la superficialità con cui hanno accolto questi progetti fortemente impattanti, come se si trattasse di cosucce da niente, senza capirli, forse nemmeno loro, mi arrabbio per la mancanza di coraggio che hanno dimostrato a rifiutarli, a dire no, noi per il nostro territorio abbiamo altri progetti altre idee che ben si sposano con la storia e con quello che su questi territori c è, sia agricoltura sia pastorizia, eppure non sono soli ci sono i comitati dalla loro parte...i comitati, la voce libera dei territori, che si oppongono a questo sbagliato utilizzo delle terre agricole che si oppongono ad un ulteriore consumo di suolo troppo spesso inutile, sbagliato, dannoso e gli esempi li abbiamo, basta vedere cosa è successo a Cossoine, a  Narbolia, a Villasor, solo per citarne alcuni.
Ma il mio rimprovero più grande va alla popolazione, ai cittadini di questi luoghi, abbagliati dal luccichio promesso, che non vogliono capire quanto sia importante questo momento in Sardegna quanto sia importante impegnarsi per difendere il territorio, non vogliono capire nonostante vivano in quest'isola che ha già i segni evidenti di ferite ancora sanguinanti parlo di siti minerari, militari, industriali o folli lottizzazioni immobiliari . Quanto terreno ancora la gente di Sardegna dovrebbe sacrificare? perché non capiamo che è ora di dire basta, perché non vogliamo percorrere il futuro con la dignità di aver rifiutato l'ennesima servitù, l ennesima speculazione, in questo caso energetica? l'ennesimo progetto calato dall'alto? Eppure per noi sardi è un dejavù dovremo averlo imparato perché l'abbiamo già vissuto anche se adesso è tinto di verde, green economy la chiamano, energie rinnovabili giustissime ma non in questi luoghi e a queste condizioni. È tempo che rivolgiamo lo sguardo altrove, non in alto aspettando che arrivi la manna dal cielo ma in basso alle nostre terre, non con arrendevolezza, ma con coscienza e stima.
 Come dicono saggiamente gli africani a proposito del land grabbing ...se l' uomo bianco per avere le nostre terre ci propone tanti soldi vuol dire che esse valgono molto di più.  Ecco forse non abbiamo capito il valore della terra...la terra è un bene prezioso, che dobbiamo imparare a difendere, perchè la sua salute è fragile la sua capacità di rigenerarsi è lentissima, per produrre uno strato di suolo fertile alto 2,5 cm servono 500 anni, eppure ogni anno ne consumiamo più di quanto ne produciamo. Un ettaro di suolo contiene 15 tonnellate di organismi viventi: 1,5 chili per metro quadro. Eun dato che non andrebbe sottovalutato perché nel suo insieme il suolo conserva una quantità di carbonio molto superiore rispetto allatmosfera e indebolire la sua vitalità significa minacciare la stabilità climatica.
Dobbiamo porci il problema dell'utilizzo dei suoli, dobbiamo combattere insieme per salvare ciò che è rimasto, la terra, il paesaggio, la nostra ricchezza, la fortuna che abbiamo, una terra  bellissima , preziosa, con la sua varietà di paesaggi che raccontano la nostra storia, che sono la nostra storia e che sarà il nostro futuro se sapremo gestirlo con consapevolezza e intelligenza.  Questo dobbiamo chiedere e pretendere dai nostri politici, altrimenti siamo anche noi complici del disastro che si compirà. E  quando parlo del paesaggio, lo faccio dando un senso ampio al termine, il paesaggio vero, non quello da cartolina e mi aiuta a definirlo un pensiero dello scrittore ormai scomparso Giovanni Arpino:

...Condizionato dalluomo, il paesaggio è lunica cornice che ci rimane di ciò che fummo e siamo. Il paesaggio è la nostra memoria palpabile, non un fondale, non un copione già recitato, non una quinta di teatro.
Pacifico e demoniaco, tormentato e sonnacchioso, figlio di grandi vuoti, di rocce immense, di colori mai fermi, di fuochi e di ghiacci, sotto cieli che si dilatano e lo mutano continuamente, il paesaggio [...] ha la sacralità che solo un barbaro, un imbecille non notano. Si disvela e nasconde mille volte, offre pecore e ville, corvi e torri, lapidi e vulcani, erbe e polvere, solitudine e grumi di vitalità eccessiva, mercati e portici, sa di zolfo e di menta, ha la forma affaticata duna mano contadina e il profilo dun sapiente antico. Equesto paesaggio[...] ad incantare. Ancora ed ancora. Malgrado tutto. A dispetto di tutti.

                                                                                           Elisabetta Pau comitato Sa Nuxedda free

Pale eoliche e trivelle: assalto in Sardegna - Domenico Finiguerra

 

Sardara. La salita per arrivare alla sommità della collina è abbastanza agevole con il fuoristrada della Protezione Civile. I lavori di sistemazione della strada panoramica sono incompiuti. Così come incompleti sono il restauro e la messa in sicurezza dell’intero Castello di Monreale (1.309). E dire che il Comune di Sardara, uno dei pochi “comuni virtuosi” di Sardegna, avrebbe anche le risorse per proseguire i lavori. Ma il giovane sindaco Peppe Garau ci spiega che i quattrocento mila euro sono bloccati dal Patto di Stabilità, la regola più stupida partorita dai sedicenti sapienti della finanza che dettano legge in tutta Europa. E le piccole imprese del settore edile di Sardara restano a bocca asciutta, lasciando a spasso giovani che potrebbero lavorare al recupero del Castello.
Il Comune di Sardara (provincia di Medio Campidano) è una cartina di tornasole di come le cose potrebbero funzionare meglio e di come invece logiche sbagliate e speculative possono deviare il destino di una comunità verso falsi paradisi. In questo piccolo borgo, collocato lungo il confine tra regno d’Arborea e regno di Cagliari, sono concentrate bellezze paesaggistiche e archeologiche che in altri Paesi avrebbero creato centinaia di posti di lavoro. Dal Castello di Monreale si domina la piana del Campidano e nelle giornate serene si arriva ad ammirare il Golfo di Oristano e quello di Cagliari. Attorno al Castello si notano i primi scavi, anch’essi sospesi, per riportare alla luce il borgo sottostante. A poche centinaia di metri ci sono le terme, per fortuna attive e funzionanti, che presto porteranno nelle casse del Comune preziose risorse. Nel centro storico troviamo il Civico Museo Archeologico “Villa Abbas” che da solo vale una visita per le sue testimonianze della civiltà Punica e della misteriosa epoca dei Nuraghi. Nei pressi della chiesa di Sant’Anastasia ci si imbatte in un affascinante santuario nuragico con tempio a pozzo. L’assessore Andrea Caddeo ci spiega che l’acqua del pozzo era considerata miracolosa contro i dolori ed ha le stesse proprietà dell’acqua di Vichy. Alla bellezza e alla storia, si devono aggiungere sapori e colori unici: un vitigno come il Semidano, una marmellata di bovale introvabile altrove, uno zafferano che dal 1.500 colora il Medio Campidano.
Eppure quali sono i grandi interventi che vengono prospettati in questa bella piana che dovrebbe attirare le migliaia di turisti che affollano le coste sarde? I grandi parchi eolici! Mostri alti più di cento metri, in fila uno dietro l’altro, proprio nella piana dominata dal Castello. Pale eoliche per produrre energia in un Regione che già oggi produce il 40 per cento in più del proprio fabbisogno. E non ci sono solo pale. Incombono anche trivelle per la ricerca di idrocarburi. Per fortuna il Comune resiste insieme ai comitati.
I suoi giovani amministratori sanno qual è l’oro da preservare, continuano a partorire idee e a promuovere azioni sostenibili. Ad investire nel Museo, nelle attività artigianali e gastronomiche, nell’acqua sacra di Sardara.

domenica 21 giugno 2015

Immaginate i profughi all’Expo - Domenico Finiguerra

Immaginate i profughi all’Expo. L’expo 2015 avrebbe finalmente l’opportunità di nutrire davvero il pianeta, quello che fugge, disperato, affamato da questo modello di sviluppo che saccheggia risorse naturali, alimenta guerre tra impoveriti ed in paesi impoveriti, coltiva l’odio (leggi anche L’odio di Alain Goussot), esalta e promuove l’individualismo competitivo.
Sarebbe la dimostrazione che le belle parole dello slogan non sono solo un titolo vuoto di contenuti, che a prevalere sono davvero le esigenze di tutti gli abitanti del pianeta e non quelle delle multinazionali.
La retorica del cibo troverebbe finalmente uno sbocco positivo.
E l’esposizione universale metterebbe in mostra veramente tutte le contraddizioni del nostro tempo. Di più. Le metterebbe fisicamente di fronte agli Stati e alle imprese multinazionali che sono responsabili del governo del pianeta.

Tutorial per Migranti







Fino al 20 giugno sono tre i video messi on line. I Tutorial per Migranti sono delle guide paradossali che “insegnano” come sopravvivere, come comportarsi nella nostra “accogliente” società. Nei video viene affrontato il razzismo, la paura che porta i migranti a nascondersi, il lavoro e il diritto alla cittadinanza.
Il linguaggio artistico che viene utilizzato nei Tutorial ha un taglio surreale. Le provocazioni video sono ispirate alle opere dei Monty Python, alle web serie contemporanee, al gusto del paradosso nella comicità di Daniel Pennac. “Come si affronta un razzista? Si può dialogare? Ci sarà una discussione?” e ancora “Chi sono i bravi cittadini oggi? Chi rispetta le regole? Chi cerca la convivenza civile?”. Queste sono le domande che i primi due video si pongono.
Iscrivetevi al canale youtube per essere aggiornati.
Buona visione.
da qui

sabato 13 giugno 2015

l'ultimo viaggio di Denali

Il fotografo americano Ben Moon e il cane Denali sono amici. Sono stati inseparabili per 14 anni e insieme hanno fatto tante cose, visto tanti luoghi. Così quando Denali si è ammalato, Ben ha deciso di "scrivergli" un epitaffio di natura molto particolare, che ha commosso il web. Ben ha filmato l'ultimo viaggio insieme e lo ha raccontato dal punto di visto del suo cane. La voce che narra infatti è Denali.

giovedì 11 giugno 2015

intervista al direttore dell'ospedale greco Theodoros Giannaros - Giuseppe Sarcina

Theodoros Giannaros tiene gli occhi fissi sul computer e una sigaretta tra le dita. Guarda le immagini di alberi, di spiagge. È talmente assorto da non accorgersi che la cenere sta coprendo la tastiera. Compare l’immagine di un giovane. Bello, sorridente. «È mio figlio, si è tolto la vita pochi giorni fa. Aveva 26 anni. Quando l’ho saputo non sono riuscito a fare altro che questo video». Atene, Ospedale Elpis: un complesso di palazzine bianche nel centro della città. È un giorno festivo, ma il dottor Giannaros si fa trovare nel suo ufficetto di direttore. Siede lì dal 2010. È un biologo molecolare, specializzato in genetica. Ha studiato a Karlsruhe, in Germania, a San Francisco e a Vienna. Da anni è un punto di riferimento assoluto per tutta la Grecia. Quando interviene sui giornali o in tv nessuno si permette di contraddirlo. Fruga ancora nel pacchetto di nazionali, tira fuori l’ennesima sigaretta e un’altra sassata: «Mio figlio è solo l’ultimo di una lista interminabile. Da quando è iniziata la crisi in questo Paese si sono suicidate 10 mila persone. Sì ha capito bene: 10 mila. È come se una grande città fosse stata cancellata dalla carta geografica della Nazione». 
Giannaros ha un passato nelle truppe speciali: mostra le foto delle sue ultime missioni, in mimetica, immerso in un fiume fino alle ginocchia. È come se avesse bisogno di una pausa, vuole raccontare ancora qualcosa della sua famiglia, degli altri due figli, 24 e 28 anni. «Anche il più piccolo è un soldato». Lo dice con un sottinteso chiaro: lui si è salvato. Ma quanti sono i giovani senza speranza? Le statistiche si afflosciano come svuotate di senso al cospetto della forza, della dignità di quest’uomo. «Appena arrivato qui incontravo pazienti che mi chiedevano: ma quanto devo pagare per operarmi qui? Quanto per una lastra? Nulla, rispondevo, questo è un ospedale pubblico. Poi mi sono fatto portare il registro delle prenotazioni e ho capito. La lista d’attesa risultava sempre infinita, ma con una buona “fakelaki” si poteva comodamente saltare la fila». “Fakelaki”, la bustarella. «In cortile ho fatto mettere dei cartelli con una busta sbarrata con una grande x rossa. Significa che qui non si accettano tangenti»…

ONU brava gente

Sesso in cambio di cibo, telefonini, scarpe e profumi: secondo un rapporto choc dell’Onu, condotto dall’Oios, i servizi di investigazione interna del Palazzo di Vetro, i caschi blu hanno commesso «in modo abituale» abusi nei Paesi in cui sono stati schierati, pretendendo prestazioni sessuali in cambio di denaro o oggetti “lussuosi”. «Le prove emerse in due missioni di peacekeeping dimostrano che le richieste di prestazioni sessuali sono piuttosto comuni ma tenute sotto traccia», denuncia il documento, che è datato 15 maggio e di cui l’Associated Press è entrata in possesso. Le denunce di abusi sessuali sono 480 in un periodo compreso fra il 2008 e il 2013 e riguardano soprattutto le missioni nella Repubblica Democratica del Congo, in Liberia, Haiti, Sudan e Sud Sudan. Secondo il rapporto, inoltre, un terzo dei casi di sfruttamento e abusi coinvolge minori di 18 anni…

lunedì 8 giugno 2015

W Sama e Lola

Sama sembra un faraone, insieme a Lola (il Sudan era Egitto, no?) - francesco


Lola, poco meno di un anno, è la prima gattina nella storia dell'immigrazione dall'Africa alle coste italiane a raggiungere Lampedusa. Ha fatto il viaggio insieme alla sua padroncina Sama, 24 anni, dal Sudan, fino alla Libia e poi si è imbarcata con altre 200 persone che sono state soccorse dal pattugliatore britannico "Protection" che ieri notte li ha sbarcati, sani e salvi, nel porto di Lampedusa.  Sama ha vissuto con Lola sin dalla partenza dal suo paese in Sudan, è sfuggita ai controlli dei doganieri di vari paesi ed anche ai trafficanti di essere umani in Libia dove Sama e Lola hanno vissuto per oltre due mesi prima di essere trasferiti sul barcone che li avrebbe portati in Sicilia. L'ha tenuta nascosta in una borsa da viaggio dove Sama aveva praticato dei fori per farla respirare e quando ieri notte sono sbarcati a Lampedusa i militari inglesi e quelli italiani hanno scoperto che assieme agli altri migranti c'era anche Lola.
Tutto è venuto alla luce quando dal pattugliatore Protection sono cominciati a scendere sulla banchina di Lampedusa i primi migranti, prima le donne ed i bambini e poi gli uomini. Ed una volta a terra molti hanno ringraziato il cielo di essere arrivati in Italia, erano stanchi ma felici, tranne Sama che ha cominciato a gridare ed a disperarsi perché non voleva scendere dalla nave. "Voglio Lola, voglio Lola" gridava mentre alcuni suoi parenti cercavano di farla sbarcare. Ma Sama non voleva saperne e quasi a forza ha toccato terra dove ha continuato ad invocare il nome della sua gattina che era rimasta a bordo della nave per motivi sanitari…

Chi non ottempera agli ordini di demolizione perde anche la proprietà - Grig

 "sempre come correttamente precisato dal Tar, “l’inottemperanza all’ordine di demolizione comporta di diritto l’acquisizione gratuita dell’area a favore del Comune; il che priva il respon-sabile dell’abuso del titolo dominicale necessario a legittimare qualsiasi ulteriore istanza inerente al rapporto pubblicistico, ormai definito, correlato alla domanda di condono”…

mercoledì 3 giugno 2015

L'importanza di leadership davvero democratiche - Roberto Mancini

La stupidità al potere. Sembrerebbe una legge di natura, ma non può essere, vista l’intelligenza della medesima. Si tratta invece di una di quelle fatalità solide eppure soltanto costruite per l’effetto incrociato delle inerzie, delle mediocrità, dell’incuria degli umani nella misura in cui disattendono la loro umanità. Intelligenza e potere sono inversamente proporzionali. Lo si può constatare in ogni ambiente: nelle scuole e nelle università, nelle comunità religiose e nelle istituzioni politiche, nei media e nelle aziende. Non esistono eccezioni, giacché quando una persona intelligente e buona giunge a un ruolo di grande responsabilità, allora è il potere a essere trasformato: diviene servizio, cura del bene comune, gestazione di migliori condizioni di vita, “arte di produrre fatti nuovi” come diceva Danilo Dolci. 

I grandi leaders spirituali e politici che hanno alimentato la speranza nella storia non si sono lasciati schiavizzare dal potere, piuttosto lo hanno spezzato come si spezza il pane, lo hanno condiviso e trasfigurato, facendone un mezzo di liberazione per risolvere i problemi comuni. Certo, sono esempi ancora rari. Per lo più a prendere le decisioni rilevanti per le collettività trovi quasi sempre non la persona più illuminata, ma individui specializzati nelle attitudini del potere verticale, quello che si usa al di sopra degli altri. Parlo dell’abilità nel calcolare i vantaggi per sé, della furbizia, della spregiudicatezza, dell’opportunismo, del senso tattico, della durezza di cuore e, -naturalmente- della competitività. Si potrebbe ritenere che tale fatalità sia inesorabile nel campo dell’economia, ma a me sembra che essa pesi soprattutto nell’ambito della politica. Una delle principali cause della desertificazione in questo campo sta proprio nella stupidità degli individui che comandano -qui questo brutto verbo è d’obbligo-, cosicché la partecipazione democratica, la capacità di cooperare e la facoltà di prendere decisioni insieme senza fare vittime restano inibite in partenza.
È un problema che dev’essere affrontato, poiché senza una sintesi politica e un processo democratico che traduca in atto le migliori intuizioni, non c’è progetto di altreconomia che possa realizzarsi. Non è un caso che molti programmi di transizione in tale direzione -da quello della bioeconomia di Nicholas Georgescu-Roegen a quello dell’economia sostenibile di Herman Daly sino al progetto della decrescita di Serge Latouche- mancano di indicazioni proprio nella parte relativa al cambiamento politico. Quando si arriva a questa frontiera sinora invalicata tutti balbettano. È tempo di trovare soluzioni inedite evitando la tentazione di disinteressarsi della politica. Ma come avviare un’azione efficace di democratizzazione?

Quanto ho detto sinora sembra chiudere ogni spiraglio. Eppure questa lettura sarebbe sbagliata. Si può pur sempre invertire la tendenza partendo dalle esperienze più vicine a noi. Si tratta infatti di svolgere pazientemente il percorso contrario: se la passione per il potere rende stupidi, la tenace costruzione di percorsi di trasformazione della vita civile risveglia il pensiero collettivo e fa sorgere persone-guida democratiche. Quando partecipiamo a una rete di tutela dei beni comuni, a un movimento di liberazione, a una vicenda politica di effettiva risposta ai diritti delle persone, stiamo bene attenti a riconoscere le persone-guida. Affianchiamole, aiutiamole a mantenersi lontane dall’ambizione narcisista, sollecitiamo gli altri a comprendere quanto sia importante la loro funzione. 

La costruzione dal basso di una leadership democratica diffusa, anziché la delega a un capo autoritario, è una dinamica a cui di rado si presta attenzione, ma coltivare questa possibilità è decisivo. Del resto non è detto che l’emergere di molte guide democratiche sia destinato a restare un fenomeno locale, disseminato esclusivamente nei mondi vitali quotidiani. Non è un dato trascurabile il fatto che oggi ai vertici delle istituzioni repubblicane (dalla Presidenza della Camera a quella del Senato, sino alla Presidenza della Repubblica) e anche al vertice della stessa Chiesa cattolica ci siano persone autorevoli per intelligenza etica, capacità di servizio e lealtà verso il bene comune. Unita alla rigorosa adozione di un metodo di giustizia sistematica verso la dignità di chiunque, la crescita di persone di riferimento per l’azione collettiva potrà trasformare l’ambito oggi più resistente alla democratizzazione: la politica.

martedì 2 giugno 2015

Rinnovabili, da un motore dell'800 il fotovoltaico più efficiente del mondo – Diana Orefice

Un motore dell'800 e due grandi girasoli di metallo. Nasce così il sistema fotovoltaico più efficiente del mondo, creato dall'azienda svedese Ripasso nel deserto del Kalahari in Sudafrica. Da anni la società detiene il record globale per tasso di conversione dell'energia solare in energia elettrica: 32%, circa il doppio dei pannelli solari standard. Per ora il sistema viene utilizzato a scopo militare, ma il futuro è la commercializzazione.
L'impianto è costituito da due specchi circolari del diametro di 12 metri l'uno, che ruotano seguendo la luce del sole. I raggi vengono convogliati in un punto di raccolta al centro dei dischi e azionano il motore Stirling. Si tratta di un sistema di combustione inventato nel 1816 dallo scozzese Robert Stirling, un pastore protestante che voleva creare un'alternativa ai motori a vapore. Funziona grazie ad un pistone e un cilindro pieno di gas: quando il gas viene riscaldato, si espande e spinge il pistone verso un'area più fredda; raffreddandosi si contrae e il pistone torna indietro. Il ciclo continuo del movimento del pistone produce energia…