martedì 28 dicembre 2010

Il Movimento delle citta' in Transizione (Transition Towns)

Il Movimento delle citta' in Transizione, o delle Transition Towns, nasce nel 2005 in un angolo dell'Irlanda, il paesino di Kinsale, idillica via di mezzo tra le brughiere del Nord e una specie di Cinque Terre con yacht e baia, resa unica dalla presenza di una scuola di Permacultura (se non sapete cos'e' la permacultura portate pazienza, ne parliamo la prossima volta).

Qui insegna un giovane ex-pubblicitario inglese, Rob Hopkins, che un giorno decide di far vedere ai suoi studenti un film di cui gli hanno parlato bene, una produzione americana che si chiama The End of Suburbia. Ed e' qui che il nostro eroe dalle orecchie a sventola ha il suo 'Peak Oil Moment': insieme a tutti i suoi studenti torna a casa sconvolto e depresso all'idea che il nostro mondo, cosi com'e', non puo' andare avanti.

Lo dicono i limiti fisici di un pianeta tondo su cui si cerca di fare lo sviluppo lineare. Lo dicono gli ambientalisti da decenni. Ma a molta gente, incluso Rob, il concetto che 'porta a casa' l'idea di quanto questo modello di sviluppo sia in crisi, e' capire come funziona il picco del petrolio…

…Una delle ultime realta' ad aderire, San Lazzaro di Savena, ha cominciato formando un gruppo di lettura per approfondire insieme il Manuale di Hopkins. In molte altre esperienze si e' partiti dai cineforum, incontrandosi per vedere e poi discutere di un documentario (geniali i Transition Kino di Ferrara), oppure sono stati i GAS ad aggiungere gruppi di transizione alle proprie attivita', mentre dalla rete nazionale si sono rese disponibili persone per tenere Transition Talks, ovvero incontri di presentazione (il contagio tra gruppi vicini e' fondamentale).

Ma a Lame, un quartiere di Bologna (eh gia' perche' ci sono Citta' di Transizione ma anche Transition Paesi, Isole... e Quartieri) sono invece partiti dal teatro, per cercare nella creativita' l'energia per progettare la discesa energetica e perche', come ho sentito dire in un'intervista da un membro di Transition Japan, 'if it's not fun, it's not sustainable' (se una cosa non ci fa stare bene, se non ci divertiamo facendola, ma come puo' essere sostenibile?)

http://www.criticamente.it/movimenti/19527-il-movimento-delle-citta-in-transizione

Lo scopo principale del progetto è quello di elevare la consapevolezza rispetto a temi di insediamento sostenibile e preparare alla flessibilità richiesta dai mutamenti in corso. Le comunità sono incoraggiate a ricercare metodi per ridurre l'utilizzo di energia ed incrementare la propria autonomia a tutti i livelli. Esempi di iniziative riguardano la creazione di orti comuni, riciclaggio di materie di scarto come materia prima per altre filiere produttive, o semplicemente la riparazione di vecchi oggetti non più funzionanti in luogo della loro dismissione come rifiuti. [3]

Sebbene gli obiettivi generali rimangano invariati, i metodi operativi utilizzati possono cambiare. Per esempio Totnes ha introdotto una propriamoneta locale, il Totnes pound, che è spendibile nei negozi e presso le attività commerciali locali. Questo aiuta a ridurre le "food miles" (distanza percorsa dal cibo prima di essere consumato, causa di inquinamento e dispendio energetico) e supporta l'economia locale.[4] La stessa idea di moneta locale verrà introdotta in tre Transition Towns gallesi. [5]

Fulcro del movimento delle Transition Town è l'idea che una vita senza petrolio può in realtà essere più godibile e soddisfacente dell'attuale. "Ragionando fuori dallo schema corrente, possiamo in realtà riconoscere che la fine dell'era di petrolio a basso costo è un'opportunità piuttosto che una minaccia, e possiamo progettare la futura era a bassa emissione di anidride cabonica come epoca fiorente, caratterizzata da flessibilità e abbondanza - un posto molto migliore in cui vivere dell'attuale epoca di consumo alienante basato sull'avidità, sulla guerra e sul mito di crescita infinita"…[6]

da wikipedia

Qualcuno leggerà questo post proprio perché ha pensato che potrebbe essere bello venire a vivere qui. A voi vorrei dire che probabilmente Monteveglio non è il posto che vi immaginate. Abbiamo già incontrato persone che sono venute a vedere di persona la situazione con l’idea di trasferirsi e quasi tutti quando arrivano dicono “non me lo immaginavo così”.

Monteveglio è un paesino di provincia con un parcheggio al posto della piazza, una struttura sociale polverizzata, aree dormitorio tipiche della provincia e tanti altre cose poco edificanti. Non abbiamo rinunciato alle auto, non mangiamo solo cibo biologico (anche se probabilmente ne mangiamo molto più della media nazionale), non abbiamo tutti l’orto (anche se ne abbiamo davvero tantissimi), non ci vogliamo tutti tanto bene, ecc.

Ci sono segmenti notevoli della popolazione che nessuno sa come contattare, nè noi, nè l’Amministrazione, nè altri. Ci sono tantissime persone che hanno saputo della Transizione solo attraverso Report e tantissime altre che ancora non sanno nemmeno cosa sia. Una grande fetta della popolazione non partecipa a nulla, non è interessata al concetto di comunità, si fa i fatti suoi come si usa nelle nostre società, niente di più niente di meno…

da qui

il blog di Monteveglio, citta in transizione

Città in Transizione su Google Maps

il sito di transitionitalia

alcuni siti interessanti in inglese

http://www.transitiontowns.org.nz/

http://transitionculture.org/

http://www.transitiontowntotnes.org/



continua su youtube...

venerdì 24 dicembre 2010

Il capitale delle relazioni

Da tempo contro il sistema del profitto e del consumo è in atto una ribellione. Come racconta Paul Hawken in Moltitudine inarrestabile (Edizioni Ambiente, 2009) in tutto il mondo milioni di persone e centinaia di organizzazioni si battono da anni per la giustizia sociale e la difesa dell’ambiente.

Secondo l’autore è la risposta collettiva che la Terra sta generando per affrontare le mille crisi locali e globali; il sistema immunitario dell’umanità reagisce a tossine quali la globalizzazione, il pensiero unico economico e il degrado ecologico. Il movimento dell’economia solidale è una di queste famiglie di “anticorpi”. Una ribellione non violenta, festosa e collettiva. Milioni di persone che non accettano più le regole del gioco della nostra vita imposte dalla società dei consumi e dal marketing che ci dicono cosa dobbiamo comprare, quanto, a quale prezzo. O perfino quali sono i nostri gusti, come dobbiamo vestirci, che cosa dobbiamo mangiare. Quanto dobbiamo lavorare e quanto guadagnare.

A chi vanno i soldi. E a chi resta solo il sudore.
Nelle storie di questo libro, curato dal Tavolo per la Rete italiana di economia solidale, coordinata da Andrea Saroldi, sono protagoniste persone che hanno spento la tv e sono uscite di casa; hanno riflettuto e formulato proposte; hanno cambiato le loro vite e il modo stesso di intendere il benessere; e hanno scoperto che è possibile fondare l’economia sulla condivisione e sulla gratuità invece che sul profitto. Ma soprattutto queste persone si sono incontrate. Il cuore di questa ribellione è proprio in questa parola: relazione. Nella “rivoluzione delle reti”, infatti, non ci sono più produttori, distributori, consumatori, ma cittadini con un volto, idee e valori che vogliono conoscere la storia dei prodotti, diventarne co-produttori e vivere la “legge” della convivialità, anziché quella di domanda e offerta.

Le sfide che le reti -dai gruppi d’acquisto ai distretti di economia solidale- hanno posto al sistema economico non hanno ancora grandi numeri, tuttavia stanno già costringendo multinazionali e grande distribuzione a fare i conti con la domanda di biologico, di filiera corta, di sostenibilità, di trasparenza. Parole che ormai sono patrimonio di tutti. Il “popolo” dei gruppi di acquisto solidali, delle botteghe del commercio equo, delle associazioni e dei mille gruppi informali ha scalfito il sistema. Le reti che hanno costruito sono dei veri e propri presìdi di partecipazione, e -in questo momento di difficoltà e di disaffezione politica- sono anche un’inedita forma di democrazia.
Troppe aspettative? Forse. Ma per quanto incerto sia il futuro, è questo il capitale che crediamo darà buoni frutti e su cui vale la pena investire: quello delle relazioni. Il capitale delle relazioni è proprio il veicolo per la trasmissione del “contagio positivo”. Nelle prossime pagine vi anticipiamo molte delle 50 storie di economia solidale contenute nel libro. Un vero e proprio manuale che descrive i punti di forza e gli aspetti critici di tutte le reti, dai Gas alle esperienze di filiera corta e co-produzione, dalle fiere solidali al turismo responsabile. E che -speriamo- fa venire voglia di moltiplicarle.

da qui

Cinquanta storie che raccontano come nasce un Gas, una “filiera corta” o un Distretto di economia solidale

In Italia sono ormai un migliaio i “gruppi d'acquisto solidali”: persone che fanno la spesa insieme, scegliendo prodotti “etici” e creando relazioni di fiducia con chi li produce. Ma i Gas sono solo la “rete” più nota: questo libro è una straordinaria raccolta di esperienze di “reti di economia solidale”, un movimento che si batte per trasformare l'attuale sistema e per una nuova economia, che abbia per base il “capitale delle relazioni”. Come avviare allora un Gas nel proprio condominio o ufficio, come progettare una “filiera corta” insieme al contadino del campo accanto, “saltando” gli intermediari? Quali sono gli strumenti essenziali per passare dai grandi centri commerciali a una “Piccola Distribuzione Organizzata”, e quali semplici passi muovere per organizzare nella propria città una fiera del consumo critico e sostenibile? Come formarsi e informarsi e soprattutto come “mettere in rete” queste iniziative, con l'obiettivo di costituire sul proprio territorio un vero e proprio “Distretto di economia solidale”? Uno sguardo concreto sull'economia delle relazioni in Italia.

Il Tavolo per la Rete italiana di economia solidale promuove lo sviluppo dei Des, Distretti di economia solidale, per favorire nascita e sviluppo di esperienze d'economia solidale.
Il libro raccoglie i contributi di 35 autori, rappresentativi del movimento italiano e globale.

per comprarlo

mercoledì 22 dicembre 2010

vegetariano

la filiera corta 1

La qualità e la sicurezza degli alimenti biologici sono strettamente correlate alla riduzione del tempo e del numero di passaggi intercorrenti tra produzione in campo e consumo in tavola. Risulta quindi prioritario organizzare una specifica logistica per i prodotti biologici destinati alla vendita diretta, costituendo Piattaforme di commercializzazione specifiche per le aziende che intendono realizzare esperienze di filiera corta.
La filiera corta rappresenta un eccezionale strumento di promozione del prodotto biologico, perché riesce a creare un rapporto fiduciario tra chi produce e chi consuma. Se infatti da un lato l’agricoltore risulta motivato a realizzare prodotti sempre più sani e qualificati, dall’altro il consumatore viene incentivato a sostenere un modello agricolo più rispondente alle proprie esigenze, non sentendosi più l’ultimo anello del sistema commerciale ma divenendo, anzi, protagonista principale di una scelta di qualità ed eco-sostenibilità.
La filiera corta crea la consapevolezza nei produttori biologici e nei consumatori responsabili di avere obiettivi comuni e li spinge a trovare nuove forme di incontro, scambio e collaborazione con la vendita diretta che limita intermediazioni, prezzi maggiorati ed anonimato delle produzioni, valorizzando territorialità e stagionalità delle produzioni.
I consumatori non sono più visti come “clienti” ma come persone, titolari del diritto ad una sana alimentazione ed alla conoscenza del lavoro e della qualità che stanno alla base dei prodotti offerti, con la possibilità di fornire suggerimenti, critiche, esigenze e scelte.
La vendita diretta, quindi, non è intesa solo come mera occasione commerciale ma come strumento utile a garantire la qualità, a rispondere alla voglia del consumatore di sapere cosa mangia e da chi e come viene coltivato, allevato, trasformato il prodotto acquistato…

nel link sotto trovi i


sabato 18 dicembre 2010

Gruppo di Acquisto Solidale (GAS)

Per iniziare, due definizioni:

Un Gruppo di Acquisto Solidale è un gruppo di persone che acquistano all'ingrosso prodotti alimentari o di uso comune, da ridistribuire fra loro.
Ma non è solo questo: la parola Solidale differenzia un G.A.S. da un qualsiasi altro Gruppo d'Acquisto perché aggiunge un criterio guida nella scelta dei prodotti.
La solidarietà parte all'interno del gruppo, fra i suoi membri, e si estende ai piccoli produttori che forniscono i prodotti, al rispetto dell'ambiente, ai popoli del sud del mondo.
Il G.A.S. realizza quindi una rete di solidarietà che diventa fondamento dell'esperienza stessa, permettendo di praticare quello che viene definito consumo critico.
Per gestire in modo efficiente una rete di acquirenti e fornitori serve un supporto software adeguato e questo sito cerca appunto di fornirvi gli strumenti più adatti per la gestione degli ordini…
da qui

Cosa sono i Gruppi di Acquisto Solidale (G.A.S.)?
Un gruppo d’acquisto e' formato da un insieme di persone che decidono di incontrarsi per acquistare all’ingrosso prodotti alimentari o di uso comune, da ridistribuire tra loro.
Si ma... perché si chiama solidale?
Un gruppo d’acquisto diventa solidale nel momento in cui decide di utilizzare il concetto di solidarieta' come criterio guida nella scelta dei prodotti. Solidarieta' che parte dai membri del gruppo e si estende ai piccoli produttori che forniscono i prodotti, al rispetto dell’ambiente, ai popoli del sud del mondo e a colore che - a causa della ingiusta ripartizione delle ricchezze - subiscono le conseguenze inique di questo modello di sviluppo.
Perché nasce un G.A.S.?
Ogni GAS nasce per motivazioni proprie, spesso però alla base vi è una critica profonda verso il modello di consumo e di economia globale ora imperante, insieme alla ricerca di una alternativa praticabile da subito. Il gruppo aiuta a non sentirsi soli nella propria critica al consumismo, a scambiarsi esperienze ed appoggio, a verificare le proprie scelte.
Come nasce un G.A.S.?
Uno comincia a parlare dell’idea degli acquisti collettivi nel proprio giro di amici, e se trova altri interessati si forma il gruppo. Insieme ci si occupa di ricercare nella zona piccoli produttori rispettosi dell’uomo e dell’ambiente, di raccogliere gli ordini tra chi aderisce, di acquistare i prodotti e distribuirli... e si parte!
Criteri solidali per la scelta dei prodotti
I gruppi cercano prodotti provenienti da piccoli produttori locali per avere la possibilita' di conoscerli direttamente e per ridurre l’inquinamento e lo spreco di energia derivanti dal trasporto. Inoltre si cercano prodotti biologici o ecologici che siano stati realizzati rispettando le condizioni di lavoro.
Una rete
I gruppi di acquisto sono collegati fra di loro in una rete che serve ad aiutarli e a diffondere questa esperienza attraverso lo scambio di informazioni. Attualmente in Italia sono censiti oltre 600 GAS.
da qui

Per imparare come si fa:

qui un sacco di informazioni http://www.retegas.org/index.php

qui i siti di tre GAS Biella Cagliari Parma

come funziona (due esempi):




Come si fa la contabilità:


da Report:


Un’intervista:

giovedì 16 dicembre 2010

Pawl Hawken


qualcosa del suo libro


Il lavoro ha, sempre più spesso, come unico obiettivo uno stipendio.
Non è importante che il lavoro sia utile, necessario per la società o per l’individuo che lo svolge.
Lo scopo di un’attività è, di solito, il denaro che se ne può ricavare.
Denaro che serve per comprare beni inutili, prodotti da altre persone che fanno altrettanti lavori inutili. Per rendere utili beni inutili, aumentare la salivazione dei consumatori, abbiamo inventato l’industria della pubblicità. Un inganno colossale, un’autoipnosi a fini di lucro.
C’è una perdita di senso, di scopo complessivo.

L’informazione e la pubblicità, una volta separate, si sono unite, compenetrate in una forma oscena che è ovunque, che giustifica tutto. La distruzione del pianeta, la cancellazione del tempo (nessuno ha più tempo..), la perdita di significato, la mancanza di valori al di fuori di quelli economici. Abbiamo allungato la vita per non poterla vivere, siamo troppo occupati a produrre. Avere, siamo drogati dall’avere, lavoriamo per avere. Abbiamo trasformato il mondo e noi stessi in un PIL, in prodotti a scadenza.
Abbiamo tutto, ma non abbiamo più nulla.

[Pawl Hawken]

mercoledì 15 dicembre 2010

ad Haiti

...Haiti. Primi di giugno. Ad Hinche, città di 100 mila abitanti nel cuore dell'isola, un gruppo di agricoltori tutti vestiti con la maglietta rossa ed il cappello di paglia ha invaso la piazza principale. Qui i ribelli hanno rovesciato a terra una gran quantità di semente di mais ibrido donato ad Haiti da Monsanto e gli hanno dato fuoco, invitando gli altri a fare lo stesso e chiedendo al governo di rifiutare ogni rifornimento.

Da allora è iniziata una protesta diffusa in tutta l'isola, dai toni talvolta aspri. A capeggiarla, il movimento contadino regionale Peyizan Mouvman Pápay (MPP), composto da circa 50 mila membri cui, man mano che la rivolta si estendeva, si è sostituito quello nazionale, di oltre 200 mila membri.

Per ricostruire il perché di questa rivolta dobbiamo fare qualche passo indietro. Iniziamo con il primo, di qualche mese, e torniamo al gennaio scorso. Haiti è stata appena scossa dal terribile terremoto magnitudo 7.0 Mw che ha causato oltre 200 mila vittime. La situazione è disperata ed il mondo intero si mobilita per inviare aiuti umanitari.

Ed ecco che anche Monsanto decide di inviare le sue sementi con l'obiettivo, dichiara, di “migliorare le condizioni di vita delle popolazioni rurali di Haiti”. Si tratta di un progetto, chiamato Winner, da 127 milioni di dollari, che prevede l'invio di 475 tonnellate di mais ibrido ed altre sementi vegetali. 130 sono già state recapitate, 345 arriveranno nei prossimi mesi.

Una iniziativa encomiabile. Eppure qualcuno non sembra credere alla favola raccontata dalla multinazionale. Ed il motivo di questa diffidenza ci spinge a fare qualche altro passo indietro. Negli anni '80 si diffuse fra i suini dell'isola un’influenza africana molto aggressiva. Il presidente degli Stati Uniti, Reagan, temendo che l'epidemia potesse attaccare anche i maiali americani, fece forti pressioni affinché si uccidessero tutte le bestie dell'isola.

I contadini si opposero – ai tempi i maiali erano una grossa fonte di sussistenza per la popolazione rurale – proponendo soluzioni alternative, ma invano. La dittatura di Duvalier impose drasticamente la volontà degli Stati Uniti.

Passiamo agli anni '90, presidente Bill Clinton. L'amministrazione Usa costringe Haiti a ridurre le tariffe sul riso fornito dagli USA sotto forma di sussidi per aiutare i coltivatori di riso nell'Arkansas, compromettendo la capacità dei coltivatori di riso haitiani di sfamare il proprio paese.

Si capisce dunque il motivo di tanta diffidenza verso gli aiuti esteri. Si teme che gli aiuti umanitari siano una sorta di grimaldello usato dalle multinazionali per entrare nell'economia già devastata del paese e prenderne facilmente possesso, soffiando via d'un colpo le colture locali frutto delle fatiche decennali dei contadini.

Ed ecco allora che si va in piazza, agguerriti. Sembrano musica le parole di Chavannes Jean-Baptiste, rappresentante dei contadini locali a capo della protesta.

Il nostro primo obiettivo è quello di difendere l'agricoltura contadina, un'agricoltura biologica che rispetta l'ambiente e lotta contro il degrado. Difendiamo le sementi locali e i diritti dei contadini sulle loro terre. Lavoriamo anche con i gruppi indigeni, e come loro crediamo che la terra abbia dei diritti che vanno rispettati, come per gli esseri umani

Insomma, ancora una volta pare che i diritti fondamentali dell'uomo siano più chiari alla povera, vessata America Latina che ai democratici Stati Uniti, seguiti dall'Europa come da un cane fedele. E per assurdo laddove le condizioni di vita sono peggiori, dove la fame si fa sentire e la terra detta ancora ritmi e leggi, pare che sia proprio dove le si vuol più bene, alla Terra. E chi se ne prende cura è disposto a lottare per difenderla, perché in fondo sa che sta difendendo se stesso.

Ma lasciamo la parola a Jean-Baptiste: “Le sementi rappresentano una sorta di diritto alla vita. Ecco perché oggi abbiamo un problema con la Monsanto e con tutte le multinazionali che vendono semi: semi e acqua sono patrimonio comune dell'umanità.

da qui

sabato 11 dicembre 2010

Se niente importa - Jonathan Safran Foer


se lo leggerai non ti farà diventare vegetariano, non avere paura;
magari mangerai la carne in modo diverso - francesco



Mr. Foer, che cosa l’ha spinta a scrivere questo libro?
«Credo che molti di noi non si pongano il problema di ciò che arriva in tavola. Non che non gliene importi. Preferiscono non farlo. Io ho capito di volerlo fare dopo la nascita di mio figlio. E più approfondivo le mie ricerche, più mi rendevo conto che ciò che stavo scrivendo aveva sì a che fare col dolore e la sofferenza degli animali, ma anche con altre cose: la qualità dell’acqua che beviamo e dell’aria che respiriamo, gli antibiotici che assumiamo senza saperlo, il riscaldamento globale, la fame nel mondo. Mangiare animali significa toccare tutte queste questioni. Che riguardano ciascuno di noi, e il futuro dei nostri figli».
Dopo aver letto il suo libro, l’attrice Natalie Portman, vegetariana da vent’anni, è diventata un’attivista vegana, rifiutando anche uova e latte. Lei invece è stato criticato per non averlo fatto. Se l’aspettava?
«Io e la mia famiglia facciamo la spesa biologica nei mercati dei contadini e sappiamo da dove proviene ciò che mangiamo, ma diventare vegetariani è una decisione molto complicata. Posso capire che qualcuno sia rimasto deluso perché non ho fatto una scelta ancora più radicale, ma non credo serva a qualcosa dire: noi vegani siamo dalla parte della ragione, tutti gli altri no. Penso invece sia utile far riflettere la gente sul fatto che occorre ridurre i consumi. Sia per tutelare la nostra salute, sia per i danni che il nostro stile di vita arreca alla biosfera, e nel caso della carne anche per via delle sofferenze che arrechiamo agli animali. Ma non è una questione di identità. Si tratta delle scelte che facciamo ogni giorno. Noi abbiamo la possibilità di scegliere ogni volta che entriamo in un supermercato o al ristorante. Il problema a monte è che non sappiamo che cosa avviene nell’industria zootecnica»…
da un’intervista


…Il discorso contro gli allevamenti industriali non riguarda solo il benessere degli animali ma anche quello dell’uomo: mangiare un pollo cresciuto in gabbia e imbottito di sostanze chimiche, oltre a essere moralmente discutibile è ancheprofondamente pericoloso per la nostra salute: secondo alcune indagini, la carne proveniente da allevamenti industriali renderebbe i nostri antibiotici meno efficaci, e sarebbe un fattore decisivo nella generazione della febbre aviaria e suina.
Inoltre, secondo Foer, non mangiare carne è una scelta che va anche a vantaggio dell’ambiente: gli allevamenti intensivi sarebbero responsabili dell’inquinamento del nostro pianeta e costituirebbero addirittura la prima causa del surriscaldamento globale.
Da non sottovalutare, infine, anche il fattore economico: si calcola infatti che con le produzioni di verdura e cereali destinate all’alimentazione del bestiame si potrebbe addirittura risolvere il problema della fame nelmondo, con un apporto proteico superiore a quello fornito dalla carne…
da una recensione




venerdì 10 dicembre 2010

Senatore Cappelli, il frumento

Il frumento "Senatore Cappelli" è una varietà di frumento creata da Nazareno Strampelli, che ebbe la maggior diffusione in Italia, fino al 1975, quando, attraverso una sua modificazione genetica, venne introdotta la varietà "creso", che pose a rischio di estinzione la Cappelli.

Negli ultimi anni il grano duro Cappelli è stato reintrodotto in alcune zone di poche regioni italiane, come la Basilicata che cercano di salvaguardare un prodotto di qualità.

Similmente a tutti i grani antichi, il grano Senatore Cappelli, con la sua altezza (160-180cm) e il suo apparato radicale sviluppato, soffoca le malerbe ed è quindi indispensabile in agricoltura biologica. Allo stesso tempo le spighe di questa varietà sono anche maggiormente soggette all'allettamento, cioè al piegamento e coricamento dovuti all'azione del vento e della pioggia…

da qui

La linea di confine dove si combatte l’ultima, forse decisiva, guerra del grano sardo passa nei campi tra Turri e Tuili, cuore di Marmilla, tocca il Campidano, sale fino alla Trexenta e al Sarcidano, ex granai convertiti in campi incolti. Sotto la Giara la spiga del Senatore , quella che fa buono, profumato (e bianco) moddizzosu e coccoi, si piega al leggero maestrale. Distese dorate che sembrano non finire mai, all’ombra dei nuraghi-fortezza e delle colline-mammelle. I chicchi sono gonfi e consistenti, lo stelo rigido e flessuoso allo stesso tempo, ricercatissimo dalle cestinaie di Sinnai. Era il frumento d’Italia, un tempo razza eletta, abbandonato negli anni Sessanta- Settanta, colpevole di basse rese e di crescere troppo (in altezza). LA RIVINCITA. Ora il Senatore Cappelli si è preso la rivincita. Sotto l’uragano dei prezzi-choc che si è abbattuto sull’ex granaio sardo, su trigu de su senadori sta vincendo la sfida. Della qualità e dei prezzi. «Quest’anno lo pagheremo ai produttori almeno 40 euro il quintale, prezzo base, garantito», dice Santino Accalai, sementiere, titolare della Selet di Tuili. Quasi un miracolo, se si pensa che le altre varietà di grano - quelle che hanno soppiantato e condannato il Cappelli - spuntano nell’estate 2010 una media di 14 euro il quintale: prezzo da fame che spiega la grande fuga dai campi. Un trionfo per su trigu dei nonni. Che non ha mai subito manipolazioni genetiche, né raggi gamma né trattamenti ogm. Un duro di natura, all’antica, che contiene meno glutine, più vitamine e minerali, di ottima digeribilità. E soprattutto dà al pane un gusto e un profumo unici: moddizzosu, civraxiu e coccoi non temono confronti. Come dire: l’arretratezza di ieri diventa un valore anche commerciale. La sorpresa è che lo difende un piccolo esercito di coltivatori, sementieri, panificatori, pastai, molitori, persino produttori di birra. Un drappello di custodi dei sapori antichi che tre mesi fa si è costituito in Comitato di valorizzazione e recupero del grano Senatore Cappelli. Atto di battesimo presso la sede Laore di Suelli, l’agenzia regionale che ha promosso l’iniziativa. Una battaglia per salvare, grazie al grano degli antnati, le piccole economie locali altrimenti destinate a scomparire. Soprattutto ora che l’Unione europea ha chiuso i rubinetti dei premi e degli incentivi. I produttori sanno che questa varietà ha molte controindicazioni: una resa inferiore alle altre più moderne (25 quintali per ettaro contro 35), cresce fino a quasi due metri d’altezza, quindi si piega, si croccara : e questo complica la mietitura…

da qui


Il nostro itinerario inizia nel centro di Orroli, presso il panificio kentos, un esempio di azienda moderna e funzionale ma con un forte legame alle tradizioni e al territorio. Qui verranno illustrate le fasi della panificazione e soprattutto verranno degustati i pani tradizionali preparati con semola di grano duro della varietà Senatore Cappelli proveniente da agricoltura biologica e lievito naturale. Quindi con una breve passeggiata ci sposteremo presso la casa-museo Omu Axiu, un’antica casa padronale appartenente alla famiglia Vargiu, in cui possiamo osservare gli utensili necessari per le attività quotidiano che si svolgevano in un passato nemmeno troppo lontano e che rivivono nelle stanze del museo etnografico allestito, seguendo la naturale vocazione e storia della casa. Dopo la visita al museo ci sarà un laboratorio sulla panificazione tradizionale, quindi il pranzo con i prodotti del territorio. Nel pomeriggio ci trasferiremo nel vicino centro di Nurri presso il mulino “la pietra e il grano”. Nel paese un tempo famoso per gli scalpellini che lavoravano le pietre per la costruzione dei mulini, Angelo Anedda continua la tradizione della sua famiglia, e ancora macina solo il grano duro sardo della varietà Senatore Cappelli certificato biologico…

da qui

Come ammalarsi di celiachia

Non si può certo dire che negli anni Settanta siano mancati fatti poco chiari e misteri che probabilmente nessuno riuscirà mai a svelare. Ma di solito quando si parla di queste cose non si pensa alla pastasciutta, a meno che non sia l’ora di pranzo. Invece a metà decennio, senza che nessuno se ne sia accorto, è accaduta una cosa che ha cambiato radicalmente la storia di questa “gloria nazionale”. Ancora oggi, nonostante su internet se ne trovino ampi – ma anche frammentari e contraddittori – stralci, non è facile ricostruire tutti i fatti.

Possiamo chiamare questa storia “Creso”, come il ricchissimo e mitico re della Lidia: è il nome con cui il 25 ottobre 1974 venne iscritta per decreto nel “Registro varietale” una nuova tipologia di grano duro che in pochissimo tempo avrebbe rivoluzionato la cerealicoltura italiana. Aveva tutti i numeri per vincere sulle altre: più produttiva, precoce, stabile qualitativamente, ricca di glutine. Tutte caratteristiche che l’industria della pasta cercava da tempo. In più la pianta era molto più bassa delle altre, che arrivavano anche al metro e sessanta ed erano sempre minacciate da vento e pioggia: un altro vantaggio non indifferente per la coltivazione estensiva meccanizzata. Va da sé che dopo qualche anno il Creso diventa la varietà più prodotta in assoluto: ancora oggi ha un posto di rilievo tra i dieci tipi di grano duro che vanno per la maggiore, quasi tutti selezionati negli ultimi 10 anni a partire proprio dal Creso…

da qui

Pochissime persone sanno che il grano o meglio il frumento da oltre vent’anni è mutato geneticamente (OGM) e attualmente non esiste alcuna norma che obblighi le industrie della pasta a riportare in etichetta la qualità e la tipologia di grano utilizzato per la produzione.

Questo potrebbe spiegare il motivo per il quale sono cresciute a dismisura le intolleranze e i casi di celiachia in questi ultimi anni!

Poiché vengono rilevati circa 65 mila nuovi casi di celiachia ogni anno (incredibile vero?) c’è chi pensa che questa tendenza sia causata dalle industrie del grano.

Ma in realtà siamo un po’ tutti intolleranti a questo tipo di grano anche se siamo inconsapevoli di questa cosa (molto inconsapevoli)!!

Tutto è iniziato nel 1974 con il bombardamento con i raggi gamma del grano originario che era poco produttivo (chiamato inizialmente grano Cappelli) appunto per rendere rapida, semplice e meno costosa la lavorazione, creando un nuovo grano (chiamato grano Creso).

Questo grano secondo molti sarebbe responsabile dell’alterazione del PH digestivo e tua della perdita della flora batterica autoctona e dell’incredibile aumento dei casi di celiachia…

da qui


…“Sembra fondata l’ipotesi, che la modifica genetica di questo frumento sia correlata a una modificazione della sua proteina, e in particolare di una sua frazione, la gliadina, che e’ una proteina basica, dalla quale per digestione peptica-triptica, si ottiene una sostanza chiamata frazione III di Frazer, alla quale e’ dovuta l’enteropatiainfiammatoria e quindi il malassorbimento.
E’ evidente la necessita’ di dimostrare scientificamente una differenza della composizione aminoacidica della gliadina del frumento nanizzato, geneticamente modificato, rispetto al frumento originario.
Quando questo fosse dimostrato, sarebbe ovvio eliminare la produzione di questo frumento, prima che tutte le future generazioni diventino intolleranti al glutine, cosi’ da costringere lo Stato ad accollarsi l’onere di fornire a tutti prodotti esenti da glutine, dalla farina alla pasta, ai biscotti (come peraltro gia’ ora avviene)”.
Il Cappelli mutato, oggi denominato Creso, rende conto di circa il 90% della pasta venduta in Italia ma gli ambientalisti continuano a nutrirsene e a cambiare argomento della conversazione quando qualche scriteriato come il sottoscritto ne cita le origini. In tutto il mondo circolano ormai migliaia di varietà di esteso consumo modificate mediante radiazione gamma".
Proprio quel grano e’ corresponsabile oltre ai vaccini, dell’enorme aumento della celiachia (e non solo, ma anche delle malattie degenerative tipo Distrofia,sclerosi ecc.), per l’alterazione del pH digestivo e la perdita di Flora batterica autoctona, che determinano anomale reazioni anche per l’aumento di Glutine che quel tipo di grano mutato geneticamente ha apportato all’alimentazione umana ! vedi

Il lavoro fatto dai genetisti e le concimazioni spinte con nitrati permettono anche di ottenere farine ricche di glutine. Ciò conviene all’industria alimentare perché si semplificano e si accelerano i processi di produzione del pane (addirittura oggi per la panificazione si usano farine addizionate di glutine) e della pasta.

Lo stesso non si può dire per il consumatore che, invece, vorrebbe prodotti ottenuti utilizzando farine pregiate e processi di lavorazione che non ne mortifichino la qualità.

L’aumento dei disturbi connessi al consumo di grano

Alcuni componenti del glutine appartenenti alle gliadine sono responsabili della celiachia (un tempo si chiamava “intolleranza al glutine”), un disturbo che colpisce soltanto persone predisposte. Le gliadine, e in misura minore le glutenine, contengono la maggior parte delle proteine responsabili dell’allergia alimentare al grano.
Il glutine è anche difficile da digerire e ciò spiegherebbe l’insorgenza dei disturbi di cui si lamentano molte persone dopo aver mangiato prodotti a base di farina (la cosiddetta intolleranza al grano).
Va sottolineato che l’aumento della quantità di glutine conseguito con il lavoro fatto dai genetisti moderni e con le pratiche colturali correnti è a carico soprattutto delle temibili gliadine…

da qui


vedi il post su giuseppe-li-rosi-contadino

mercoledì 8 dicembre 2010

Marraiafura, un sito interessante


Marrai a Fura – sostenibilità e partecipazione

http://marraiafura.com/

(segnalato da Davide, grazie)


Da sabato 11 a domenica 19 dicembre 2010 si terrà in provincia di Oristano il Sardinian Sustainability Film Festival, ilprimo Concorso Cinematografico Internazionale realizzato in Sardegna sulla Sostenibilità Ambientale e Sociale.

Il Sardinian Sustainability Film Festival si svolgerà dall’11 al 14 nel comune di Norbello e dal 15 al 19 in quello di Abbasanta.

I temi specifici dei film in concorso riguardano: l’inquinamento, l’uso del territorio, la biodiversità, l’edilizia, l’auto- produzione, il lavoro, i diritti umani, la solidarietà, l’integrazione. E’ istituita una sezione speciale per i film realizzati dalle Scuole.

Durante i nove giorni del Festival si svolgeranno diversi eventi sul tema della Sostenibilità. La partecipazione alle proiezioni e ai laboratori è gratuita. Il programma completo, con titoli dei film e orari delle proiezioni, è visibile nella brochure scaricabile a fine articolo.

Il Festival nasce con l’idea di svolgere, a livello locale, una forte azione di sensibilizzazione sulla Sostenibilità offrendo un’opportunità per confrontarsi, su questo tema, con idee di persone provenienti da ogni parte del mondo, promuovendo in questo modo valori, diffondendo saperi e tecniche, con la speranza di indurre comportamenti virtuosi, per un futuro sostenibile…

continua qui

pane carasau

Ho potuto mangiare il pane "antico" del panificio citato qui sotto, ed è di una bontà eccezionale (giudizio per difetto:), chi può lo provi, o cerchi qualche pane fatto con grano “senatore Cappelli” e sentirà la differenza - francesco


...Il Panificio Terra Sarda ha voluto valorizzare ulteriormente questo prodotto utilizzando per la sua preparazione esclusivamente materie prime prodotte in Sardegna e provenienti da agricoltura biologica certificata. La semola e la farina vengono forniti dal mulino di Angelo Anedda a Nurri dove si macina solo grano duro sardo certificato biologicamente e, tra gli altri, si macina anche il prezioso “senatore Cappelli” che è frutto di un’antica selezione di sementi.

Il grano utilizzato per il pane viene macinato tutto intero senza eliminare il germe, utilizzando una macina di pietra che ha la peculiarità di macinare a freddo mantenendo così inalterate tutte le proprietà nutritive del chicco...

da qui

qui sotto un filmato su come si fa il pane carasau


lunedì 6 dicembre 2010

calcola l'impronta ecologica

L' impronta ecologica (ecological footprint) rappresenta un semplice e meraviglioso indicatore di quanto gli esseri umani stanno sfruttando l'ecosistema del nostro pianeta.

L' impronta ecologica non è altro che l' area totale di ecosistemi terrestri ed acquatici necessaria ad una data popolazione umana

  • per produrre le risorse necessarie a mantenere un certo tenore di vita (cibo, vestiti, prodotti, servizi);
  • per assimilare i rifiuti che essa produce, tra cui il CO2 prodotto dalla combustione di benzina gas, ecc.

In pratica si tratta di rispondere alla domanda: quanta parte della superficie del pianeta serve per continuare a vivere come sto vivendo ora?...

continua qui


Tre calcolatori dell'impronta ecologica

uno

due

tre


Impronta ecologica è un termine con cui si indica il determinato "peso" che oguno di noi ha sulla Terra. L'impronta ecologica è un metodo di misurazione che indica quanto territorio biologicamente produttivo viene utilizzato da un individuo, una famiglia, una città, una regione, un paese o dall'intera umanità per produrre le risorse che consuma e per assorbire i rifiuti che genera.

Il metodo dell'impronta ecologica per misurare l'impatto pro capite sull’ambiente è stato elaborato nella prima metà degli anni '90 dall'ecologo William Rees della British Columbia University e poi approfondito, applicato e largamente diffuso a livello internazionale da un suo allievo, Mathis Wackernagel, oggi direttore dell'Ecological Footprint Network, il centro più autorevole e riconosciuto a livello internazionale.
guarda il sito


rapporto WWF sullo stato di salute del pianeta