venerdì 26 settembre 2014

Semi, terra, cibo e democrazia - Vandana Shiva

Ogni anno che passa, l’interconnessione tra le crisi del nostro pianeta diventa sempre più chiara; in ogni parte del mondo stiamo facendo fronte alla rovina sociale, economica ed ecologica. L’agricoltura industriale ha degradato la nostra terra, distrutto la nostra biodiversità, e sradicato contadini/agricoltori dai loro mezzi di sostentamento e dalla loro cultura. Avendo privatizzato e brevettato le sementi, la vecchia economia ha creato una crisi ecologica ed ha portato ad un disastro economico. E’ di vitale importanza reclamare i nostri semi, la nostra terra, e la nostra eredità culturale quali beni comuni. Ogni anno che passa il bisogno d’azione collettiva diventa più urgente, mentre le soluzioni a queste crisi diventano più chiare. Unisciti a noi nell’impegno di difendere la libertà dei semi.
Giornate Chiave di Azione
Il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha indetto, per il 23 settembre prossimo, un Summit sul Clima a New York. Qui, già a partire dal 21 Settembre cominceranno a riunirsi i movimenti di attivisti per diffondere il messaggio, che la libertà dei semi e l’agricoltura biologica sono la soluzione migliore per affrontare il cambiamento climatico, sia perché riducono le emissioni, sia perché rafforzano la resilienza. Quando salviamo i nostri semi, ne salviamo la capacità di resilienza ai cambiamenti climatici, che la natura e gli agricoltori hanno sviluppato nei secoli. L’Industria Biotecnologica vorrebbe solo appropriarsene attraverso l’emissione di brevetti. Sostieni questo movimento dando vita un ‘Giardino della Speranza’, ovunque ti trovi. Grandi problemi possono essere affrontati a piccoli passi da milioni di persone unite.
Il 29 Settembre   si festeggierà  la Giornata Nazionale del Mais assieme alla popolazione del Messico, dove movimenti sociali intensificano la loro resistenza contro il governo e il potere delle grandi multinazionali, allo scopo di proteggere i più sacri tra gli innumerevoli doni autoctoni ed incontaminati che il Messico ha offerto al mondo. Salvando i nostri semi, stiamo automaticamente salvando i semi della nostra diversità culturale. Festeggiamo questa giornata celebrando le sementi ed i cibi speciali che caratterizzano la nostra identità culturale.
Il 2 Ottobre è l’anniversario della nascita di Gandhi, che ci ha lasciato in eredità lo “Swaraj” – la libertà di autogoverno e il “Satyagraha”, ovvero la forza della verità. In questo giorno significativo, noi celebriamo un universale “Satyagraha dei Semi, rinnovando il nostro impegno alla disobbedienza civile contro leggi ingiuste sulle sementi.

Il 13 Ottobre è il “Columbus Day”, che i popoli indigeni hanno dichiarato “Giorno delle Popolazioni Indigene”. In questa data onoriamo i nostri semi, in quanto essi sono inseparabili dalla madre terra, dal paese natìo e dal suolo, che sono le basi per una nuova economia locale e sostenibile. Unisciti ai vari movimenti che stanno proteggendo il pianeta e spargi semi di speranza per creare nuove economie. Diventa anche tu co-creatore e co-produttore insieme alla Terra.
Il 16 Ottobre è la Giornata Mondiale dell’Alimentazione. Fai sapere al mondo che la Libertà dei Semi è la base della Libertà del Cibo e della Sovranità Alimentare. Fai sapere al mondo che l’agroecologia è una scienza di gran lunga più sofisticata ed olistica della biotecnologia. Dichiara anche tu che il diritto degli agricoltori di salvare e scambiare i propri semi e il diritto dei cittadini di conoscere e scegliere ciò che mangiano sono i principi fondanti della democrazia alimentare.
Esprimi solidarietà ai cittadini del Vermont, minacciati dalla Monsanto dopo essere riusciti a far approvare una legge dello Stato che impone l’etichettatura dei prodotti OGM.

Festeggia con l’altro 99% degli agricoltori nel mondo che hanno scelto di essere liberi dagli OGM. 18 milioni sono gli agricoltori che coltivano OGM in 27 diversi Paesi: una cifra che rappresenta meno dell’1% della popolazione agricola mondiale. Tre delle colture OGM si trovano in sei Paesi (il 92% del raccolto globale OGM) e questi Paesi coltivano principalmente solo quattro varietà di OGM: soia, mais, colza e cotone. Festeggiamo il fatto che l’88% del terreno coltivabile nel mondo rimane libero dagli OGM.
Ribadiamo con forza le nostre vittorie passate: abbiamo fermato leggi ingiuste sui semi, che avrebbero criminalizzato la diversità e la libertà delle nostre sementi, e continueremo a mantenere alta l’attenzione. La spietatezza della macchina pubblicitaria, scatenata per attaccare scienziati ed attivisti impegnati a difendere l’integrità dei semi, del cibo e del sapere scientifico, è una prova del fatto che l’industria biotech riconosce di non essere stata in grado di mantenere nessuna delle promesse fatte dalla propria tecnologia.
Tutto quel che resta adesso all’industria biotech è proprio quella macchina pubblicitaria, come evidenzia il nostro report “The GMO Emperor Has No Clothes” («L’imperatore OGM è nudo »)
C’è molto da celebrare, ma molto di più ancora da fare. I nostri semi sono i semi della resistenza: piantiamoli insieme! Unisciti a noi nel mese d’Azione per i Semi, il Cibo e la Democrazia sulla Terra (i Diritti della Madre Terra).

venerdì 19 settembre 2014

viva la Guardia ambientale Indigena!

Stanchi di subire le invasioni dei taglialegna nei loro territori tradizionali, nell’indifferenza delle istituzioni, gli indigeni amazzonici Ka'apor hanno mandato i loro guerrieri a espellere i ladri di legname. Il fotografo Lunae Parracho ha seguito e documentato la spedizione dei guerrieri Ka'apor durante la loro spedizione nella foresta amazzonica alla ricerca dei taglialegna illegali, nel territorio indigeno dell’Alto Turiacu, nel bacino amazzonico. 
I Ka'apor, insieme ad altre quattro tribù, sono gli abitanti tradizionali del territorio, del quale sono custodi ai sensi della legge.
Il governo brasiliano ha dichiarato lo scorso anno che la distruzione della foresta amazzonica è aumentata del 28 per cento, dopo quattro anni consecutivi di declino. Sulla base delle immagini satellitari, si stima che 5.843 chilometri quadrati di foresta pluviale sono stati abbattuti tra l’agosto 2012 e il luglio 2013.
La foresta amazzonica è considerata una delle più importanti difese naturali del pianeta contro il riscaldamento globale a causa della sua capacità di assorbire enormi quantità di anidride carbonica. La deforestazione è responsabile di circa il 75 per cento delle emissioni del Brasile, a causa degli incendi e della biomassa lasciata a marcire: circa 400 milioni di tonnellate di anidride carbonica rientrano in atmosfera ogni anno, rendendo il Brasile, il sesto paese per emissioni di anidride carbonica.

QUI delle foto bellissime, per farsi un’idea


martedì 16 settembre 2014

Claudia, selargina nel Ciad: “Ho letto di Sadali e ho provato rabbia e sconforto…”

“Mi è scesa una lacrima, di rabbia e conforto”. Comincia cosi la lettera che mi scrive Claudia, selargina, dal Ciad, in Africa.
“Ho letto l’articolo su Sadali e le parole di quelle madri (“fuori, fuori, anche i nostri bambini muoiono di fame”), mi hanno impressionata. Con tutto il rispetto per quelle madri, quei padri, che si trovano in grande difficoltà economica, che non vedono futuro dignitoso e che probabilmente sentono minata la propria dignità, sento il bisogno di dire che dubito ci siano casi di malnutrizione nella nostra Sardegna. Che non ci sono casi di bambini deceduti per la diarrea, che qui, in Africa,  ancora uccide. Non sminuisco affatto le difficoltà del nostro popolo sardo, che conosco bene. Ho una famiglia anch’io, ho amici , ho i miei affetti”.  Così Claudia dal Ciad.
Nel suo libro “Bilal“, un giornalista di nome Fabrizio Gatti ci racconta il viaggiare, lavorare e morire da clandestini; lo racconta in maniera minuziosa: la disperazione, il viaggio sino all’Italia, la traversata del deserto, di migliaia e migliaia di giovani donne, uomini, bambini:
Mi sono sempre chiesto cosa stia accadendo intorno ad una persona nel momento in cui la sua mente decide di partire. Mesi o anni prima che il corpo si metta in viaggio o ne sia solo consapevole, quale sia il fatto , l’istante, il motivo per cui il ragionamento s’accorge che non restano alternative’“.
Il punto di non ritorno in cui la testa comincia silenziosamente il percorso, il viaggio. Muoversi o soccombere. E soccombere qui non significa necessariamente morire. C’è di peggio della morte. C’è una vita di stenti. Di elemosina. Di fatica a scaricare camion o a selezionare rifiuti nelle discariche e rivenderli per pochi spiccioli. C’è il pianto affamato dei più piccoli, tutti i giorni e tutte le notti. C’è l’immagine portata dai viaggiatori, dai giornali che rivela l’esistenza di un mondo ricco e irraggiungibile. C’è la sconfitta personale e intima davanti alle fidanzate, alle mogli, ai propri padri. E davanti alle proprie ambizioni”.
Con un aggravante , queste persone scappano da situazioni che noi non riusciamo neanche ad immaginare: guerre, fame, repressione, sfruttamento nel nome del dio petrolio. Scappano dalla miseria che noi creiamo giorno dopo giorno, per continuare a soddisfare Il nostro egoismo.
Claudia Mocci è di Selargius, classe 1987. Si trova attualmente in Ciad, nel villaggio di Aboudeia , regione del Salamat, dove svolge per conto della  Fondazione Acraccs  il ruolo di amministratrice di un progetto sul rinforzo delle capacità delle popolazioni dei 5 cantoni intorno al Parco Nazionale Zakouma nei settori della sicurezza alimentare e della gestione delle risorse naturali. Il progetto, iniziato nel 2012, terminerà nel 2015.
 E’ arrivata in Ciad nell’Ottobre 2011 con una progetto chiamato Eurosha, atto alla creazione dei corpi volontari europei di aiuto umanitario, finanziato dalla Commissione Europea. Nello specifico riguarda la realizzazione di una cartografia opensource delle zone ad alto rischio di crisi umanitaria. Con altri 6 volontari hanno lavorato all’interno dei campi rifugiati al confine con la Repubblica Centrafricana, gestiti dall’Unhcr.
“Mia madre”, mi racconta ancora Claudia, “è assistente volontaria di un ragazzo rinchiuso nel Cara di Elmas (Centro di accoglienza per richiedenti asilo). Io invece vivo e lavoro in quella parte del mondo in cui il viaggio di certi migranti ha inizio. Ancora prima di mettersi in viaggio, materialmente, il viaggio inizia nella testa , nello spirito, nell’intimo di queste persone. Vivo quella disperazione che spinge questi cristiani ad affrontare le traversate nel deserto, tra le impetuose onde del  mare, sui quei barconi di speranza e morte. L’ Italia  è solo l’ultimo approdo drammatico di questa odissea, di quell’umiliazione che inizia molto prima di mettersi in viaggio. La fame, che vedo tutti i giorni ma che non provo, il senso di colpa e impotenza che aumenta e lacera il mio cuore. Ho letto il suo articolo su Sadali, mi è scesa una lacrima. Una lacrima di rabbia ma anche di conforto.” Grazie Claudia.
Gianluigi Piras

domenica 14 settembre 2014

hanno ammazzato Edwin Chota (e Jorge Ríos Pérez, Leoncio Quinticima Melendez e Francisco Pinedo)

Quattro leader Ashéninka famosi per il loro lavoro contro il disboscamento illegale dell’Amazzonia sono stati uccisi vicino al proprio territorio nel Perù orientale.
Gli uomini – Edwin Chota, Jorge Ríos Pérez, Leoncio Quinticima Melendez e Francisco Pinedo – erano partiti dalla loro comunità di Saweto, al confine peruviano, per partecipare a un incontro con altri leader indigeni in Brasile.
Una squadra di ricerca avrebbe trovato i corpi degli uomini con ferite mortali di arma da fuoco lo scorso 1 settembre.
Le vedove hanno viaggiato per tre giorni nella foresta e lunedì scorso sono arrivate a Pucallpa, il capoluogo di regione, per chiedere alle autorità peruviane di intervenire immediatamente e assicurare gli assassini alla giustizia.
“Ora noi donne Ashéninka di Saweto guideremo la comunità per continuare a lottare in difesa del territorio per i nostri figli” ha detto alla stampa Ergilia Ríos.
Edwin Chota era un famoso attivista indigeno, ha dedicato la sua vita a cercare di impedire al disboscamento illegale dilagante di distruggere la sua Amazzonia.
Negli ultimi anni Chota aveva ricevuto minacce di morte dai taglialegna ma, secondo l’Organizzazione degli Indiani amazzonici AIDESEP, le autorità “non hanno fatto nulla” per proteggerlo.
Il Ministro della Cultura peruviano ha dichiarato che un team governativo si recherà a Saweto per indagare sugli omicidi.

Luisa Elvira Belaunde, especialista en etnografía de los pueblos amazónicos,  explica que, desde que les otorgaron el título de propiedad de sus tierras, todo fue mucho más difícil para los asháninkas en esta zona del Perú. Los madereros ilegales amenazaron mucho más a la comunidad indígenas, la que por 10 años exigió al gobierno regional de Ucayali que formalice su situación sobre los más de 650 kilómetros cuadrados de selva, desde Saweto hasta la frontera con Brasil, área que conforma sus tierras. En todo ese tiempo sus bosques fueron saqueados ferozmente por los madereros ilegales, dejándolos sin sus árboles más preciados.
En varias ocasiones, Edwin Chota y los demás dirigentes habían manifestado su preocupación por las amenazas proferidas contra su seguridad física. Después de años de lucha legal, habían conseguido la titulación de su comunidad nativa pero sus denuncias contra las actividades de los maderos en sus tierras y alrededores no recibieron el respaldo oportunopara garantizar la protección efectiva de sus tierras y de sus personas.
Su monstruoso asesinato a sangre fría se viene a sumar al escenario de violencia generalizada vigente en la zona fronteriza. Una vez más, la población indígena asediada por colonos criminales está abandonada a su suerte por el Estado, de cuya integridad han demostrado una y otra vez ser los mejores defensores.
Chota era la última línea de defensa de nuestra amazonía frente a los madereros ilegales. Y lo asesinaron.

La esposa de Edwin Chota Valera, jefe de la comunidad y fundador de Aconamac, asesinado del 1 de setiembre, solicitó apoyo con víveres, pues no solo su hijo de ocho años se ha quedado huérfano, sino que se encuentra embarazada.


Per Edwin Chota e i suoi compagni assassinati - Antonio Devicienti

Sono figlio della foresta
– nudo, mi vesto di bellezza:
ricopro il corpo d’argilla
piume metto sulle braccia e sul dorso e sul capo
bracciali di salice ai polsi, alle caviglie
e danzo. Danzo il respiro della foresta che mi respira
danzo nel vento piumato di luce
danzo la pioggia i tamburi danzo
sono forte
anche se gli elicotteri mitragliano a volo radente
anche se le autoblindo sorvegliano l’ingresso dei villaggi
anche se la benzina incendiata lambisce il sonno.
Il canto saprà salvare la foresta?
da qui


giovedì 11 settembre 2014

hanno ammazzato Daniza, gli facciano a loro la telenarcosi, così per provare

Complimenti al Presidente della Provincia autonoma di Trento Ugo Rossi, al Vice-Presidente Alessandro Olivi e a tutti coloro che hanno attivamente collaborato all’epicacaccia all’orso dell’estate 2014.
Sono riusciti ad ammazzare la povera Orsa Daniza, colpevole d’aver difeso i propri orsacchiottida un cercatore di funghi tanto curioso quanto sprovveduto.
Complimenti a questi amministratori pubblici per il grande ritorno d’immagine che han procurato alla loro Provincia.
Una splendida figura di melma epocale, un’uccisione idiota quanto assurda.    Fa benissimo ilMinistro dell’ambiente Gian Luca Galletti a chiedere chiarimenti e fa ancor meglio il Corpo forestale dello Stato ad avviare un’indagine penale in proposito su quella che appare un’operazione ben poco chiara.
Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

Nessuna fatalità, Daniza è stata uccisa. Per questo denunciamo per violazione dell’articolo 544 bis del Codice Penale - reato di animalicidio che prevede fino a 2 anni di reclusione – il Presidente della Provincia di Trento Rossi, il Vice Presidente Olivi, l’Assessore-veterinario alla caccia Dalla Piccola e ogni altro responsabile di questa vera e propria esecuzione.
Chiediamo al Procuratore Capo della Repubblica Amato - che ha colpevolmente cestinato tutti gli esposti a tutela degli orsi presentati nelle ultime settimane – l’immediato sequestro probatorio del cadavere di Daniza, e il sequestro preventivo dei suoi cuccioli – troppo piccoli per sopravvivere senza la mamma – nonché di tutti gli Orsi del Trentino, per la loro messa in sicurezza evitando così nuove esecuzioni. 
Le indagini vanno affidate al Nucleo specializzato Nirda del del Corpo Forestale dello Stato, dal momento che la guardia forestale coinvolta in questa caccia all’orso - specie protetta e patrimonio indisponibile dello Stato, per legge! – dipende proprio dalla Provincia di Trento.
Inoltre, chiediamo che l’autopsia sul cadavere di Daniza sia immediatamente affidato all’Istituto Forense di Medicina Veterinaria del Ministero della Salute, dal momento che la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato, per accertare ogni responsabilità di questa uccisione per “telenarcosi”.
“Non si tratta di un errore, ma di una esecuzione avallata proprio dalle Istituzioni che dovrebbero tutelare la Fauna selvatica, in primis il Ministro dell’Ambiente Galletti – afferma la LAV – le stesse che prima hanno voluto e avallato i progetti di reintroduzione degli Orsi, con tanto di operazioni di marketing e beneficiando di 12 milioni di fondi UE, per poi organizzare una scandalosa caccia all’orso al primo presunto “fastidio”, senza alcuna sensibilità ambientale e senza alcuna considerazione per l’opinione pubblica, anche trentina, dalla parte di Daniza, degli animali, della civiltà”.

lunedì 8 settembre 2014

anche se non capisci lo svedese

Un gruppo di ragazzi svedesi si è chiesto se, di fronte a un uomo che chiede l'elemosina, la reazione delle persone possa essere diversa a seconda del quartiere in cui ci si trova. Per trovare una risposta, uno di loro si è finto mendicante in due differenti zone di Stoccolma: Stureplan, quartiere bene della capitale, e Rinkeby, sobborgo popolare. Il video realizzato in quell'occasione mostra come gli abitanti del quartiere benestante siano molto restii a regalare qualche spicciolo al giovane, a differenza dei rioni poveri dove i passanti sembrano sempre disposti a donare qualche centesimo.

sabato 6 settembre 2014

Una cittadinanza onoraria ai passeri - Roberto Papetti

I passeri sono fra tutti gli animali che vivono accanto all’uomo quelli più comuni e quotidiani,
paradossalmente così comuni che nessuno quasi li nota. Sembrerebbe impossibile se non fosse palese evidenza che zampettano accanto a noi e riescono a vivere nel marasma del mondo di oggi con compassata decenza. Se ne incontrano in tutte le stagioni dell’anno, ora a far bagni di polvere, ora a far “passeraio” dentro la chioma di un albero. Quando li si vede saltabeccare e bere in una fontana, si prova una gaia contentezza.
L’elogio che qui si vuol fare dei passeri è una dimessa allegoria che non esclude il dire qualcosa sulla sua ecologia e biologia. “Passer domesticus” – ovvero passero domestico – è un uccello che vive in tutti i Paesi del mondo di clima temperato. Il maschio si riconosce per il vertice del capo grigio, la nuca castana, la gola nera e le guance biancastre. La femmina e i giovani sono bruno sporco sopra il capo e bianco grigiastro sotto, senza particolari segni di riconoscimento. Voce: garrula e variata. Habitat: le aree coltivate con costruzioni, raramente lontano dalle abitazioni. Nidifica sotto i coppi dei tetti delle case o fra arbusti e piante rampicanti dei cortili.
I passeri possiedono la qualità rara della compostezza esistenziale che fa vivere con poco. Nessuno come loro sa tenere occhi e orecchie ben aperti, usando i sensi con giudizio e in modo perspicace, affrontando i problemi di ogni giorno con prontezza e semplicità. Tutti i giorni questi uccelletti benevoli spazzolano i rimasugli di cibo fra i tavolini dei bar o ai margini dell’entrata di qualche negozio; sui balconi si appoggiano per spiccare il volo verso i tetti e atterrano sulle strade per qualche veloce ricognizione. Più di tanti altri animali, possiedono l’uso del comune, cioè “quello che serve per quel tanto che basta”, senza azzardare o speculare, per esempio nella finanza. Infatti non si è mai sentito di una passerotto che quota in Borsa la sua riserva di granaglie. Il passero anche quando saltella si sente che ha le ali, che c’è in questo modo di essere terra/aria una sapienza fantasticante che porta in alto, pur tenendo solidi legami con la realtà. Detto in altro modo, il senso comune del passero è leggerezza e praticità. Come ha osservato Saul Bellow il mondo è pieno di idioti con un alto quoziente di intelligenza; fra questi, lo scrittore esclude i passeri che infatti non brillano di qualche particolare intelligenza, non sono consiglieri governativi, non fanno i giornalisti televisivi, non scrivono libri tipo «La Bibbia e i passerotti» o «Management e passeritudine», non cinguettano sui social network.
Il senso pratico dei passeri non è solo strettamente pragmatico, è il senso più ampio e popolarmente filosofico della sagacità, cioè acutezza, avvedutezza e grazia dell’uso del comune. Con i detti di un tempo il senso pratico vuol dire: “avere la testa a posto”, “non farsi imbambolare dai dispositivi che catturano”, “non comprare monetine di legno”, “stare dalla parte di ciò che non si può domare”, “lasciare che i morti seppelliscano i morti”, “vivere senza correr dietro alle fanfallucche degli imbonitori”.
I passeri non sono sentenziosi sebbene ci sia qualche eloquenza nel loro cinguettare. Il loro è tutto un sentito dire, un passarsi le voci e i cip cip, magari raccontandosi le storie e la saggezza del passeraio.
E’ per questo pot-pourri di nozioni disparate che possiamo dire dei passeri tutto il bene possibile, così come lo diciamo dei sistemi di senso comune in generale, che ci permettono di cogliere la grande uniformità della vita nel mondo.
Può esserci una vicinanza fra passeri e umani che vada al di là della indifferente convivenza? Si raccontano storie in Romagna di un vecchio venditore di giornali che dava ricovero nella sua edicola a una famiglia numerosa di passerotti. Magro e sottile, con una barbetta ispida e mal rasata, l’edicolante stava fra mucchi di giornali da vendere, conteggiando le rese con grande fatica, per via della scarsa vista. Sui cappelli arruffati e bianchi si posavano i passeri. Si racconta che avesse sbollito una febbre terzana sudando fra due materassi e annusando nafta, con i passeri che lo stavano a guardare preoccupati. Era il vanto del paese, insieme alla fontana dell’acqua di un pozzo artesiano, di fronte alla sua edicola, che prendeva fuoco per via del metano che saliva dal sottosuolo. La sua edicola era attorniata da ombrelloni, panchine, vasi, fioriere. Dietro, in un piccolo cucinotto, preparava il pasto di mezzogiorno su un fornellino.
Per i passeri teneva da parte rimasugli di pane e pasta che offriva con molte cerimonie e moine. I passerotti arrivavano quando lui li chiamava, si mettevano in fila sul suo braccio e uno per uno saltellando, arrivavano sulla sua mano per raccogliere briciole con piccoli colpi di becco. Li apostrofava con discorsetti umoristici o proverbiali. “L’uccello mattiniero piglia i vermi” rimproverava i pigri; “Chi ha fretta beve il the con la forchetta” diceva agli impazienti. I passeri lo guardavano con attenzione e lui si sentiva come il re del paese delle fiabe e dei boschi, ritenendo lo sguardo di passero una fatagione. Quando il vecchio andava a giocare a biliardo, lo accompagnavano attraversando la piazza del paese in volo fino alla porta del bar, per poi ritornare sul tetto dell’edicola, dove aspettavano il suo ritorno. Il vecchio suonava il violino con disdicevole genialità, i passerotti non sapevano apprezzare e qualche volta si allontanavano costernati. Molti passanti, automobilisti, massaie e anche piccoli mendicanti si radunavano accanto alla sua edicola a chiacchierare e osservare i volteggi degli uccelletti. Per questa ragione aveva qualche problema con le autorità del paese che gli imputavano di sottrarre spazio al parcheggio delle macchine.
A un viaggiatore che conosceva numerosi continenti fu chiesto qual era la cosa che riteneva più straordinaria di tutte. Lui rispose: il fatto che ci siano i passeri.
Ho scoperto che la passione per i passerotti accomuna viaggiatori e poeti, vecchi rimbambiti e strambi, giocattolai e bambini.
«Passero, delizia della mia fanciulla, col quale è solita giocare». (Catullo)
«Passero mai solitario in alcun tetto non fui quant’io». (Francesco Petrarca)
«Ormai nei nidi di ieri non c’è più passeri». (Miguel Cervantes)
«Tu pensoso in disparte il tutto miri». (Giacomo Leopardi),
«Quanti propositi vani, che sicumera farnètica e buffa e che sussulti di passero».(A. M. Ripellino)
«Ci sono alcuni passeri. Ma come si fa a intrattenere un rapporto costruttivo con un passero?» (Giorgio Manganelli).
«Passeri, indiani dalla testa nera». (Peter Handke)
«Una strada senza passeri, un giocattolo senza bambini». (Peter Handke)
«I passeri sono grandi incapaci». (H. Michaux ).
«Guardo un passero che becchetta una merda fresca, straordinario come è facile campare per un passero». (Henry Miller )
In un calendario dedicato a Mario Quintana, il poeta brasiliano dei passerotti secondo Rubem Alves, c’è un cielo azzurro con una enorme luna piena e il profilo del vecchietto sorridente, con un bastone e un passerotto in mano. Non è comune che i passerotti si posino in mano, a contatto con gli esseri umani, in Brasile. Gli uomini sono coloro che hanno perso la fiducia degli uccelli. Mario Quintana è il poeta che crede nei passeri e ha dedicato loro la più deliziosa fra tutte le sue poesie. E’ noto che Quintana ha scritto per vendicarsi dei suoi assassini, lui è stato ucciso diverse volte: «La prima volta che mi hanno ucciso, ho perso il sorriso che avevo… Dopo, ogni volta che mi uccidevano hanno portato via qualcosa di me…». E’ un testo triste che sanguina. Quando l’ha scritto sentiva ancora il dolore provocato dal coltello. Dopo, con il tempo, ha imparato che ridere è l’arma che uccide più della rabbia. E’ stato allora che ha trovato la fine del proprio caso.
Poemino del contrariato
«Tutti quelli che ingombrano la mia strada,
loro passeranno…io passerotto».


mercoledì 3 settembre 2014

Domande e risposte sui popoli incontattati


Survival risponde alle domande più frequenti sulle tribù incontattate del mondo.

Esistono tribù “sconosciute” o “perdute”?
No, si tratta solo di mero sensazionalismo. È estremamente improbabile che esistano tribù la cui esistenza sia completamente sconosciuta a qualcun altro.
Cosa si intende per “incontattate”?
Quando si parla di “tribù incontattate” ci si riferisce a gruppi umani che non hanno contatti pacifici con nessun membro delle culture o delle società dominanti. Nel mondo esistono circa 100 tribù incontattate.
Questo significa che non hanno contatti con nessun altro in assoluto?
No, tutti i popoli hanno dei vicini, anche quando sono molti distanti, e sanno della loro esistenza. Nel caso delle tribù incontattate, questi vicini potrebbero essere i membri di un’altra tribù, con cui potrebbe avere o meno relazioni amichevoli.
Potrebbero aver avuto contatti in passato?
Probabilmente sì. Alcune tribù potrebbero essere state in contatto con la società colonialista in passato, magari nei secoli scorsi, e poi essersi ritirate per sfuggire alle violenze veicolate dal contatto. Alcuni gruppi facevano parte di popoli più grandi, da cui si sono separati durante la fuga.
Alcune tribù che oggi vivono solo di caccia e raccolta, in passato coltivavano gli orti. Potrebbero aver smesso di coltivare perché costretti alla fuga continua.
Continuano a vivere nello stesso modo in cui vivevano nei secoli passati?
Assolutamente no, nessuno di loro. Grazie al commercio inter-tribale, alcuni gruppi amazzonici hanno cominciato ad usare le armi prima di incontrare i non-Indiani. Moltissime tribù incontattate fanno uso di utensili di metallo trovati, rubati o scambiati con i loro vicini, da molti anni, se non addirittura da generazioni. I popoli incontattati delle Isole Andamane usano pezzi di metallo provenienti da vecchi relitti. La patata dolce, l’alimento principale delle tribù polinesiane da molto prima del loro contatto con gli Europei, proviene dal Sud America.
Esistono società “incontaminate” o “originali”?
Tutti i popoli cambiano nel tempo, costantemente e in tutte le epoche, e così anche le tribù incontattate. Survival non parla di tribù o culture “incontaminate”. Non sono arretrate né primitive. Semplicemente, vivono in modo diverso.
Da quanto tempo vivono là?
Generalmente i popoli tribali vivono sulle loro terre da molte generazioni, se non da millenni.
Alcuni sostengono che l’esistenza delle tribù incontattate sia una menzogna.
Alcuni “primi contatti” vengono messi in scena a beneficio dei turisti, ma esistono veramente tante tribù realmente incontattate, e se ne scoprono continuamente di nuove. Spesso sono sorprendentemente vicine a gruppi umani con cui sono state in contatto per decenni, o anche più a lungo.
Cosa pensa Survival dell’ingresso nei loro territori?
Survival ritiene che nessuno dovrebbe avvicinare tribù che non siano già in regolare contatto con gli esterni. È pericoloso per tutti. Rendiamo pubblica, a grandi linee, la loro posizione solo se e quando è necessario per proteggere le loro terre.
I Brasiliani usavano compiere spedizioni di “primo contatto”. Cosa ne pensa Survival?
Chi ha guidato tali spedizioni se né è pentito. Credeva che il contatto fosse necessario per salvare gli Indiani, ma spesso la tribù finiva con l’essere annientata in ogni caso. Oggi, l’opinione illuminata è quella che gli Indiani debbano essere lasciati soli e che lo sforzo debba concentrarsi sulla protezione del loro territorio.
Volare sulle loro terre non è comunque un tipo di contatto?
A volte è necessario farlo per verificare se si sono spostati altrove o se stanno subendo attacchi e invasioni. Può rivelarsi anche molto importante per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla loro situazione, e persino per dimostrarne l’esistenza. È necessario quando l’obiettivo è salvarle dalla distruzione, ma ovviamente, non si deve mai sorvolarle per piacere o turismo.
Ma il vedere gli aerei non condiziona la visione che le tribù hanno del mondo?
Le tribù incontattate vedono gli aerei passare sopra le loro terre da tanto tempo. L’idea che questo possa danneggiare la loro immagine di sé o le loro religioni è pura fantasia, basata sulla falsa supposizione che le loro culture siano fragili. L’esperienza dimostra che sono, in realtà, forti e capaci di adattarsi. A distruggere i popoli tribali non sono la vista o l’introduzione di oggetti esterni, bensì le violenze e le malattie che accompagnano l’invasione delle loro terre.
Come reagiscono ai sorvoli?
Si nascondono o mostrano ostilità. Ci fanno chiaramente capire che vogliono essere lasciati soli.
Forse si isolano perché non vedono i lati positivi del “nostro” stile di vita?
Se li conoscessero, forse si unirebbero a noi…
Non ne avrebbero l’opportunità. In realtà, il futuro che gli viene offerto è solo quello di entrare a far parte della nuova società al livello più basso possibile – spesso come mendicanti e prostitute. La storia dimostra che solitamente i popoli tribali precipitano in una condizione molto peggiore dopo il contatto, e spesso si tratta della morte.
Perché sono in pericolo?
Gli stranieri vogliono la loro terra o le sue risorse. Vogliono sfruttarne il legname o i minerali, costruire dighe e strade, aprire allevamenti, insediamenti di coloni e tanto altro. Di solito il contatto è violento e ostile, ma i sicari più infidi sono spesso malattie comuni da noi, come influenza e morbillo, verso cui i popoli incontattati non hanno immunità; spesso queste epidemie li uccidono.
Di cosa hanno bisogno?
Che le loro terre siano protette.
Non possiamo certo lasciarli soli per sempre!
Se l’alternativa è la loro distruzione, perché no? A chi spetta la scelta, a loro o a “noi”? Se un popolo vuole stabilire un contatto con una società più ampia, trova certamente il modo di farlo. Se pensiamo siano esseri umani, allora hanno anche dei diritti umani. Il problema è che è ancora molto diffusa l’opinione che si tratti di persone primitive e incapaci di decidere per se stesse.
Perché lottare tanto per la loro sopravvivenza?
Prima di tutto, perché sono i popoli più vulnerabili del pianeta. Se vogliamo difendere i diritti umani, dovremmo sicuramente preoccuparci di chi soffre le minacce più gravi.
Secondariamente, i loro stili di vita, le loro lingue, le loro conoscenze delle piante e degli animali del loro ambiente (incluse le piante medicinali), sono unici. Sanno cose che noi ignoriamo.
Infine, essendo i popoli “più diversi” dagli altri, contribuiscono in modo incalcolabile alla diversità della vita umana. Se la diversità è importante in ogni ambito, questa è certamente tra le più preziose.
Pensare di poterli salvare è solo utopistico romanticismo?
No, significa invece affermare il diritto dei popoli di decidere per loro stessi piuttosto che essere distrutti per mano di una società invadente. Nessuno può pensare che sia “romantico” opporsi al colonialismo, alla schiavitù, all’apartheid o alla morte.

martedì 2 settembre 2014

a ciascuno il suo

Raccogliere i rifiuti lasciati da bagnanti maleducati in spiaggia può costare caro agli amanti dell’ambiente: ne sa qualcosa Ilaria Montis, cagliaritana di 35 anni protagonista di una vicenda che ha del surreale.
Qualche giorno fa, mentre gettava a Cagliari bottiglie e altri oggetti in plastica “dimenticati” a Piscinas, è stata bloccata da una solerte squadra di poliziotti che le ha verbalizzato una multa di 167 euro. Il motivo? “Non residente a Cagliari, conferiva all’interno dei cassonetti stradali buste contenenti rifiuti”.
La Montis, archeologa con un contratto di ricerca all’Università di Cagliari e una grande passione per i temi dell’ambiente e della pace, è stata fermata a Cagliari davanti a un cassonetto in viale Poetto: colta sul fatto mentre gettava la spazzatura proveniente da lontano, un reato su cui evidentemente la Polizia municipale di Cagliari non transige.
“Domenica sera con un amico ci siamo fermati a fare un tuffo a Piscinas, andando via abbiamo deciso di pulire un po’ la spiaggia, cosa che mi capita di fare spesso, e abbiamo riempito un’intera cassetta di rifiuti vari tra cui bottiglie e flaconi abbandonati da altri bagnanti sulla sabbia. Guardandoci attorno ci siamo resi conto che non c’erano contenitori o cestini, così abbiamo caricato la cassetta in macchina. Il giorno dopo la Polizia di Cagliari mi ha visto mentre gettavo tutto e mi ha fatto la multa perché utilizzavo i cassonetti del comune di Cagliari pur non essendo residente in città. E’ vero, ho la residenza nel comune di Baratili San Pietro in provincia di Oristano, ma non sapevo di non poter gettare i rifiuti a Cagliari, del resto sui cassonetti non c’è alcun divieto. Sono rimasta sconcertata, ho spiegato che era spazzatura di altri raccolta in spiaggia a Piscinas e che stavo anche differenziando la plastica ma sono stati inflessibili: ho rifiutato dia ciascuno il suo firmare il verbale, uno dei vigili si è alterato e mi ha insultato minacciando di portarmi in caserma e denunciarmi. Ho ritirato la multa, 167 euro da pagare entro 60 giorni”.
Ilaria Montis, che da anni è impegnata come volontaria nell’organizzazione di eventi dedicati a pacifismo, ambiente e meditazione (l’ultimo è il Wesak del Mediterraneo, attualmente è impegnata nella giornata di Meditazione per la pace e il disarmo che si terrà a Capo Frasca il prossimo 13 settembre) ha deciso di non fare ricorso: “Non racconto questa brutta storia per narcisismo ma per far riflettere sulla questione dei rifiuti in Sardegna: la mancanza di cassonetti stradali è un grave problema in tutta l’isola perché in tanti, Sardi e turisti, spesso lasciano i rifiuti dove capita non sapendo dove buttarli, e lo vediamo da spiagge, strade e cunette sporche e piene di spazzatura. Episodi come questo fanno pensare che forse è il caso di andare oltre le divise, oltre la burocrazia, oltre le regole e oltre le ideologie per usare il nostro buon senso quando le circostanze lo richiedono. Per tornare alle cose semplici e sensate in un momento in cui tante belle iniziative che nascono dal cuore, senso etico e senso civico delle persone vengono soffocate dall’eccessiva burocrazia che le rende inattuabili”.
Francesca Mulas