martedì 30 novembre 2010

Il piacere di mangiare - Wendell Berry

Spesso, alla fine di una conferenza sul declino della vita rurale e dell'agricoltura in America, qualcuno dell'uditorio chiede: "Cosa può fare chi abita in città?" "Mangiare responsabilmente" rispondo di solito. Naturalmente cerco di spiegare cosa intendo con questa espressione, ma mi sembra sempre di non aver detto abbastanza. Adesso vorrei cercare di offrire una spiegazione più ampia. Comincio dall'affermazione che mangiare è un atto agricolo ed ecologico. Mangiare conclude il dramma annuale dell'economia alimentare che inizia con la semina e la nascita. Molti mangiatori non sanno più che questo è vero. Pensano all'alimentazione come produzione agricola, forse, ma non si considerano parte dell'agricoltura. Si considerano "consumatori". Se pensano un po' più a fondo, devono riconoscere di essere consumatori passivi. Comprano quello che vogliono, o quello che sono stati persuasi a volere, nei limiti di ciò che possono comprare. Pagano, per lo più senza protestare, il prezzo che viene chiesto. E in genere non sanno nulla degli argomenti fondamentali sulla qualità e il costo di produzione di ciò che gli viene venduto: quanto sia veramente fresco, quanto sia puro o pulito, o libero da pericolose sostanze chimiche, da che distanza arriva e quanto il trasporto ha aggiunto al costo, quanto la trasformazione industriale, l'imballaggio e la pubblicità incidano sul prezzo. Quando l'alimento è stato trasformato, manipolato o precotto, che effetti queste operazioni hanno avuto sulla sua qualità, valore nutritivo e sul prezzo? La maggior parte degli abitanti delle città che fanno la spesa dicono che gli alimenti sono prodotti nelle aziende agricole. Ma in genere non sanno quali aziende agricole, o che tipi di aziende agricole, dove si trovano, né quali conoscenze e abilità sono in gioco in agricoltura. A quanto pare non hanno dubbi sul fatto che gli agricoltori continueranno a produrre, ma non sanno come né superando quali ostacoli. Per loro, perciò, l'alimentazione è un'idea parecchio astratta, una cosa che non conoscono né immaginano, finché non compare sulla tavola o sullo scaffale dei prodotti alimentari. La specializzazione della produzione provoca la specializzazione dei consumi. Per esempio, i clienti abituali dell'industria del tempo libero sono sempre meno capaci di intrattenersi da soli e sono diventati sempre più passivamente dipendenti dai fornitori di divertimenti a pagamento. Ciò è sicuramente vero anche dei clienti abituali dell'industria alimentare, che hanno sempre più la tendenza a diventare dei meri consumatori, passivi, acritici e dipendenti. Questo tipo di consumo può essere considerato sicuramente uno degli obbiettivi principali della produzione industriale. Gli industriali dell'alimentazione sono riusciti a persuadere milioni di consumatori a preferire alimenti già pronti. Coltivano, cucinano, vi portano i pasti e (proprio come la vostra mamma) vi supplicano di mangiare. Non vi offrono ancora di infilarvelo in bocca premasticato solo perché non hanno ancora scoperto un modo di farlo che permetta di aumentare i profitti. Possiamo star sicuri che sarebbero ben contenti di scoprirlo. Il consumatore industriale ideale sarebbe legato a una tavola con un tubo in bocca che va direttamente dall'impianto alimentare al suo stomaco.

Forse esagero, ma non di molto. Il mangiatore industriale infatti non sa che mangiare è un atto agricolo, non conosce più né immagina i collegamenti che esistono fra l'atto di mangiare e la terra ed è perciò necessariamente passivo e acritico, in parole povere, una vittima. Quando il cibo, nelle menti di coloro che lo mangiano, non è più legato all'agricoltura e alla terra, si soffre di un'amnesia culturale pericolosa e fuorviante. L'attuale visione della futura "casa di sogno" comprende il far la spesa "senza fatica" da una lista di beni disponibili su un monitor televisivo e mangiare cibo precotto attraverso il controllo remoto. Ovviamente tutto ciò dipende e implica una perfetta ignoranza della storia del cibo consumato. Esige che i cittadini rinuncino alla loro avversione ereditaria a comprare un maiale infilzato in uno spiedo. Desidera trasformare la vendita di maiali infilzati in un'attività onorevole e attraente. Il sognatore in questa casa di sogno per forza non saprà nulla della qualità di questo cibo, da dove viene, di come è stato prodotto e preparato, o quali ingredienti, additivi, e residui contiene, a meno che il sognatore non si impegni in un accurato e continuo studio dell'industria alimentare, nel qual caso potrebbe anche svegliarsi e giocare un ruolo attivo e responsabile nell'economia alimentare. Esiste perciò una politica alimentare che, come qualsiasi altra politica, mette in questione la nostra libertà. Ancora (ogni tanto) ci ricordiamo che non siamo liberi se le nostre menti e parole sono controllate da qualcun altro. Ma abbiamo omesso di capire che non possiamo essere liberi se il nostro cibo e le sue risorse sono controllate da qualcun altro. La condizione del consumatore passivo di alimenti non è una condizione democratica. Una delle ragioni per mangiare responsabilmente è di vivere liberi. Ma se esiste una politica alimentare, esiste anche un'estetica alimentare e un'etica alimentare, nessuna delle quali è separabile dalla politica. Come il sesso industriale, anche l'alimentazione industriale è diventata una cosa povera, degradante e meschina. Le nostre cucine e gli altri luoghi in cui si mangia assomigliano sempre più a distributori di benzina, e le nostre case somigliano sempre più a motels. "La vita non è poi molto interessante" sembriamo aver deciso. "Lasciamo che le sue soddisfazioni siano minimali, veloci e distratte". Attraversiamo di corsa i nostri pasti per andare a lavorare e attraversiamo di corsa il nostro lavoro per andarci a "ricreare" la sera, nei fine-settimana o nelle vacanze. E poi corriamo alla massima velocità possibile, nel rumore e nella violenza, attraverso la nostra ricreazione, perché? Per mangiare il miliardesimo hamburger in un qualche fast-food pronto a tutto per migliorare la "qualità" della nostra vita? E tutto questo si svolge nell'oblio più totale delle cause ed effetti, delle possibilità e degli scopi della vita del corpo in questo mondo. Si può riconoscere questo oblio rappresentato nella sua verginale essenza nella pubblicità dell'industria alimentare, nella quale il cibo si porta addosso la stessa quantità di trucco degli attori. Se ci si formasse una competenza alimentare su questa pubblicità (come alcuni presumibilmente fanno), non si saprebbe se i vari alimenti siano mai stati esseri viventi o che tutti vengono dalla terra, o che sono stati prodotti dal lavoro umano. Il consumatore americano passivo, seduto davanti a un pasto di alimenti precotti o di fast-food, vede un piatto ricoperto di sostanze inerti, anonime, che sono state trasformate, colorate, impanate, riempite di salsa, devitalizzate, macinate, spappolate, artificializzate, frullate, ingraziosite e igienizzate al di là di ogni somiglianza a qualsiasi parte di qualsiasi creatura sia mai vissuta su questa terra. I prodotti della natura e dell'agricoltura sono stati resi, all'apparenza, prodotti dell'industria. Sia chi mangia sia chi è mangiato viene così esiliato dalla realtà biologica. Ne risulta un tipo di solitudine senza precedenti nell'esperienza umana, in cui chi mangia può pensare al mangiare come una mera transazione commerciale fra lui e un fornitore e poi come uno scambio esclusivamente di appetito fra se stesso e il proprio cibo. E questa strana specializzazione dell'atto di mangiare è di nuovo ovviamente benefica per l'industria alimentare, che ha buone ragioni per oscurare i collegamenti fra alimenti e coltivazioni. Non sta bene far sapere al consumatore che l'hamburger che sta mangiando è fatto con pezzetti di carne che provengono da quaranta manzi diversi che hanno passato gran parte della loro vita in piedi camminando in uno spesso strato dei loro escrementi in un capannone di alimentazione e contribuendo a inquinare i corsi d'acqua locali, o che il vitello che ha prodotto la fettina nel suo piatto ha passato la vita in un box in cui non aveva lo spazio per girarsi...
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Mangiare è un atto politico - Wendell Berry

...e la gente, in città, non sa più qual è la stagione, se non per le vacanze, non sa che il pomodoro vuole tanto sole per maturare e lo acquista a Natale
il caldo chi gliel'ha dato al pomodoro? Quale stufa, alimentata da quale combustibile, costato magari chissà quale guerra, trasportato da chissà quale nave, che forse a volte s'incaglia su una scogliera e rovescia in mare qualche centinaio o migliaio di tonnellate di carburante – ma sempre, comunque, viene periodicamente, e allegramente, ripulito in mare aperto

tutto questo, il polistirolo, il cellophane, il combustibile, persino le guerre e le navi incagliate con conseguente disastro ambientale, generano PIL
la nave va a fondo? I salvataggi, la pulizia delle coste, le assicurazioni, tutto diventa giri di soldi, fatture, incremento del PIL
e le guerre? Per l'oppio o per il petrolio? Ah, già! E per le armi, gli aerei, le divise spaziali per i soldati, persino le bare, tutto fa crescere il PIL
e i governanti possono dire soddisfatti: “Il prodotto interno lordo è cresciuto del 2,6%”

più morti, più armi, più inquinamento uguale più PIL
crescita

e possiamo andare a dormire rassicurati, dopo aver bevuto un bel bicchiere d'acqua
ah, già, anche l'acqua! Anche per l'acqua si fanno le guerre e comunque la si imbottiglia, trasporta su e giù per il bel paese, e non solo! Una nota marca d'acqua (marca? D'acqua?) francese va forte a New York, ci si va a fare un bicchiere d'acqua, più cara del vino, tra gli yuppies
poi tutte queste belle bottiglie, stillate grondanti purezza dalle sorgenti alpine, vanno a finire sul ciglio delle strade o a galleggiare sul mare o sui laghi o, magari, nella pancia di qualche balena

c'è un'isola gigantesca di monnezza che naviga beata nei mari dell'Antartide
c'è una fossa nello stretto di Messina interamente riempita di sacchetti di plastica
ci vivranno ancora i pesci? I coralli? Le alghe, i polpi, i granchi, le stelle marine...?
...
che importa! Ogni sacchetto di plastica varrà due centesimi? Un milione di sacchetti? Bene, il PIL è cresciuto di 20.000 euro!
È poco, perdinci! Facciamo altri sacchetti ed una bella centrale che li bruci (inceneritore si chiama)
quella sì che fa crescere il PIL!
Quanto costerà? 10 milioni di euro? Bene! Facciamone 4, facciamone 50, facciamo il ponte: 6 miliardi di euro, o quanto? Boh!?

Non sono cifre per noi ortolani per passione o per professione
noi il Pil lo facciamo decrescere, siamo dei sabotatori della felicità nazionale
porto a mia mamma la cassetta con gli ortaggi appena raccolti, lei mi dà quella precedente con dentro le bucce e i gambi per il mio compost
niente scontrini, niente imballaggi, niente trasporti, niente monnezza, zero PIL
siamo infelicissimi!
...
Anche le amiche del gruppo di acquisto solidale che vengono a raccogliere la loro spesa e a volte a trapiantere le piantine si sentono in colpa nei confronti della nazione
d'altronde ne hanno ben donde, poiché si scambiano servizi e favori e non monetarizzano nulla
tutto senza scontrini, fatture, soldi circolanti, commercialista

maledetti sabotatori della felicità nazionale!

mah! Sono proprio pazzi questi!
Ed io sono proprio costernato!
Mentre ci rifletto un po' su, vado a raccogliere una lattughina, qualchefoglie di rucola, un paio di peperoni e pomodori, un paio di figlie di menta ed un limone, che m'è venuta fame e mi faccio un'insalata, vah!"

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Il manifesto del contadino impazzito - Wendell Berry


Amate il guadagno facile, l'aumento annuale di stipendio, le ferie pagate. Desiderate sempre più cose prefabbricate.
Abbiate paura di conoscere i vostri vicini, e di morire, e avrete una finestra nel pensiero. Nemmeno il vostro futuro sarà più un mistero, la vostra mente sarà perforata in una scheda e messa via in un cassetto. Quando vi vorranno far comprare qualcosa vi chiameranno. Quando vi vorranno far morire per il profitto ve lo faranno sapere.
Ma tu amico, ogni giorno, fa' qualcosa che non possa entrare nei calcoli. Ama il Creatore, ama la terra. Lavora gratuitamente.
Conta su quello che hai e sii povero, ama qualcuno anche se non lo merita. Non ti fidare del governo, di nessun governo. E abbraccia gli esseri umani. Nel tuo rapporto con ciascuno di loro riponi la tua speranza politica. Approva nella natura ciò che non capisci e loda quest'ignoranza, perché ciò che l'uomo non ha razionalizzato non ha distrutto. Fai le domande che non hanno risposta. Investi nel millennio. Pianta sequoie. Sostieni che il tuo raccolto principale è la foresta che non hai piantato e che non vivrai per raccogliere. Afferma che le foglie quando si decompongono diventano fertilità. Chiama questo "profitto". Una profezia così si avvera sempre. Poni la tua fiducia nei 5 centimetri di humus che si formeranno sotto gli alberi ogni mille anni. Stai a sentire come si decompongono i cadaveri: metti l'orecchio vicino e ascolta i bisbigli delle canzoni a venire. Aspettati la fine del mondo.
Sorridi, il sorriso è incalcolabile, sii pieno di gioia. Finché la donna non ha abbastanza potere, sostieni la donna più che l'uomo. Domandati: questo potrà dar gioia alla donna che è contenta di aspettare un bambino? Quest'altro disturberà il sonno della donna vicina a partorire? Vai col tuo amore nei campi. Stendetevi tranquilli all'ombra, posa il capo sul suo grembo... e vota fedeltà alle cose più vicine alla tua mente. Appena vedi che i generali e i politicanti riescono a prevedere i movimenti del tuo pensiero, abbandonalo. Lascialo come segnale per indicare la falsa traccia, la via che non hai preso. Sii come la volpe, che lascia molte più tracce del necessario, alcune nella direzione sbagliata.
Pratica la resurrezione.


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lunedì 29 novembre 2010

Breve storia della felicità: dal ’700 a Malthus a Kennedy - Serge Latouche

Per concepire e costruire una società di abbondanza frugale e una nuova forma di felicità, è necessario decostruire l'ideologia della felicità quantificata della modernità; in altre parole, per decolonizzare l'immaginario del pil pro capite, dobbiamo capire come si è radicato.
Quando, alla vigilia della Rivoluzione francese, Saint-Just dichiara che la felicità è un'idea nuova in Europa, è chiaro che non si tratta della beatitudine celeste e della felicità pubblica, ma di un benessere materiale e individuale, anticamera del pil pro capite degli economisti. Effettivamente, in questo senso, si tratta proprio di un'idea nuova che emerge un po' ovunque in Europa, ma principalmente in Inghilterra e in Francia. La Dichiarazione di indipendenza del 4 luglio 1776 degli Stati Uniti d'America, paese in cui si realizza l'ideale dell'Illuminismo su un terreno ritenuto vergine, proclama come obiettivo: «La vita, la libertà e la ricerca della felicità». Nel passaggio dalla felicità al pil pro capite si verifica una tripla riduzione supplementare: la felicità terrestre è assimilata al benessere materiale, con la materia concepita nel senso fisico del termine; il benessere materiale è ricondotto al «ben avere» statistico, vale a dire alla quantità di beni e servizi commerciali e affini, prodotti e consumati; la stima della somma dei beni e dei servizi è calcolata al lordo, ossia senza tenere conto della perdita del patrimonio naturale e artificiale necessaria alla sua produzione...

Penuria di cotone - Marinella Correggia

…Lo spettro della scarsità dovrebbe far riflettere. Forse è finita l'epoca dell'abbigliamento usa e getta, economico - quando non si aggiunge la «cresta» della firma - e subito rottamato per i continui cambiamenti di forma e colore dettati dalla «moda».
Gli abiti sono a buon mercato sia per le scarse paghe dei lavoratori tessili del Sud del mondo, sia per il basso prezzo della materia prima, che nasconde elevati costi ambientali e sociali. Il cotone ha in effetti virtù e difetti. È chiamato da un economista francese «il maiale della botanica», nel senso che della pianta si usa tutto, anche i semi per farne olio. Se coltivato in modo appropriato e su scala minore potrebbe essere davvero utile. Ma attualmente è una commodity internazionale a basso prezzo dalla quale spesso milioni di piccoli coltivatori del sud del mondo ricavano solo debiti con i venditori di semi e pesticidi - sono cotonicoltori molti dei contadini indiani che si tolgono la vita. Del resto la coltura richiede un elevato impiego di acqua e sostanze nutritive ed è molto sensibile ai parassiti (dunque è abbondantemente irrorata di pesticidi). In Uzbekistan, poi, è notorio il cotone è tuttora raccolto da lavoro infantile coatto.
Invece, nel cotone biologico ed equo la formazione del prezzo e addirittura l'ideazione delle collezioni parte dalla garanzia di un reddito sufficiente per i produttori e dall'individuazione di modi di coltivare sostenibili. Nel mercato convenzionale è il contrario: si cerca e si trova la fibra più a buon mercato. Una camicia di cotone bioequo di qualità contiene fino a 500 grammi di fibra, rispetto ai soli 50 di una maglietta ordinaria che contiene prodotti di finitura e colori chimici, talvolta così mefitici da essere in grado di inquinare le acque di intere città «tessili». La qualità ecoequa costa (parecchio) di più e dura di più: diversi anni anziché qualche lavaggio. Rimane in gran parte da esplorare anzi da riscoprire il mondo delle fibre tessili vegetali alternative al cotone: il «lino di Nuova Zelanda» (Phormium tenax) che è una pianta perenne - non annuale - e produce una fibra di alta qualità risparmiando acqua, degrado dei suoli e input chimici. E l'eterna canapa.
In ogni caso occorrerà che la moda universale cambi: meno abiti (dunque meno fibre), più durevoli e senza sfruttamento.

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domenica 28 novembre 2010

orti sociali

Gli orti sociali sono una realtà che comincia a svilupparsi anche nelle grandi metropoli del Nord del mondo tra cui Londra e New York. Ha fatto scalpore la notizia che Michelle Obama abbia creato un orto biologico per fornire cibo fresco e sano alle proprie figlie (e al consorte) dentro i giardini della Casa Bianca. In generale gli orti sociali potrebbero essere una delle vie per rivitalizzare socialmente le metropoli e riappropriarsi come citoyens dei non-luochi spersonalizzati che esse rappresentano. Questo nel momento in cui la maggioranza assoluta della popolazione mondiale, sia del Nord (paesi ex-sviluppati) sia del Sud del mondo, vive in grandi aggregati urbani, che definire città sarebbe eufemistico.
A Chiasso nella Svizzera italiana è partito un progetto di orti urbani permanenti aperti a giovani, famiglie, anziani, coppie di mezza età, rifugiati politici. La novità di questi nuovi 60 orti consiste nella loro progettazione come luogo condiviso di socializzazione per tutti i cittadini. Il tipo di socializzazione previsto è quello basato sulla convivialità: una grande tavolata di legno di castagno per mangiare assieme, un grill, pergolati fatti di legno di robinia locale, una grande pianta di gelso sotto i cui rami ripararsi e dialogare, un campo di bocce. Non sono previste recinzioni o cancelli tra una parcella e l'altra. Il terreno è stato regalato dalle Ferrovie Federali Svizzere ed ammonta a 2000 metri quadrati. La progettazione è curata dall'architetto Sophie Agata Ambroise dell'Officina del paesaggio di Lugano. Le coltivazioni saranno rigorosamente biologiche anche per non inquinare il terreno che si trova in una zona di captazione dell'acqua. Coloro cui verranno assegnati gli orti seguiranno dei corsi di tecnica di coltivazione biologica…
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…fra grandi tangenziali a quattro corsie, giganteschi e alienanti centri commerciali e uffici popolati da stuoli di frenetici impiegati si possono trovare scorci di vita che, pur nella loro apparente semplicità, costituiscono uno spiraglio di sopravvivenza non solo dal punto di vista ambientale, ma anche da quello comunitario, sociale e - perché no? - anche economico.
Stiamo parlando degli orti urbani. Di primo acchito si potrebbe pensare a questo tipo di strutture come il rifugio dell’umarell- l’omarello, il pensionato, il vecchietto - ma dietro a questo microcosmo urbano c’è molto di più. Un punto di vista ambientale, dicevamo; l’orto può costituire infatti, un’alternativa su piccola scala alla grande agricoltura intensiva, basata su ritmi di coltivazione innaturali, sull’ampio utilizzo di pesticidi, fitofarmaci, fertilizzanti, strumenti atti a conseguire - secondo la logica capitalistica della “crescita a ogni costo” - il massimo rendimento per ettaro in termini di produzione, merce e quindi guadagno…
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Nati nel 2000 da un’esigenza espressa da una buona parte della popolazione, gli orti sociali rappresentano un’importante sito di aggregazione sociale.
Questa proposta organizzativa rappresenta un’ importante occasione di aggregazione e riscoperta dei legami con la terra e con i frutti che essa produce.
I ritmi che caratterizzavano l’ambiente rurale possono essere nuovamente assimilati solo se vissuti in prima persona attraverso la cura di una coltura. Inoltre il legame terra-uomo risulterà rafforzato e valorizzato nel caso vengano consumati prodotti agricoli la cui crescita è stata assistita e favorita dal consumatore stesso.
La sfera della socialità ha un importanza preponderante in un questo contesto: l’orto diventa infatti luogo non solo di produzione ma anche di svago e di ritrovo: accanto alle proposte formative (come ad esempio la scuola di compostaggio e di agricoltura biologica) si possono organizzare feste campestri dal sapore antico, che potranno coinvolgere però tutte le generazioni…
…Chi si occupa di un piccolo appezzamento di terreno è inoltre responsabilizzato nei confronti di tutto il territorio pubblico, l’allestimento di orti sociali infatti è una delle occasioni più importanti per consentire ad ogni cittadino di percepire il terreno come bene comune che va salvaguardato e tutelato; per queste ragioni oltre alla funzione ricreativa per gli ortolani gli orti sociali rappresenteranno un centro di cultura agricolo-socio-ambientale di notevole interesse.
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protocollo fra Anci e Italia Nostra sugli orti urbani



dice Vandana Shiva

Gli ultimi anni hanno visto i paesi ricchi dimenticare il loro impegno per i poveri del mondo, ma anche per i poveri dei loro stessi Paesi. Lo smantellamento della sicurezza sociale e dei sistemi di welfare nel Nord, effettuato per ottenere adeguamenti strutturali al sistema neo-liberale, e l'atteggiamento di chiudere un occhio di fronte agli impegni globali per la cooperazione internazionale sono sintomi del fatto che ci sono Paesi ricchi che servono solo gli interessi dei ricchi.
L'unico modo per affrontare la fame è la riduzione dei costi della produzione alimentare e l'aumento della resistenza ai cambiamenti climatici. Questo significa adottare il metodo biologico. Inoltre, l'eliminazione della fame richiede un impegno per la sovranità alimentare e sistemi decentrati e diversificati per la produzione e distribuzione alimentare.
È necessario stoppare i brevetti e i diritti di proprietà intellettuale sulle sementi. Brevetto significa royalty, royalty significa povertà e povertà significa fame. La fame continuerà a esserci se le scarse risorse degli agricoltori e dei contadini verranno prosciugate dagli alti costi dei semi e dei prodotti chimici, pesticidi e fertilizzanti. La fame è il risultato degli elevati costi di produzione agricola e della distruzione della biodiversità necessaria per fornire alimenti e nutrizione.
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sabato 27 novembre 2010

Primo post

Questo piccolo blog nasce per diversi motivi:

raccontare di alimentazione e quello che c'è dietro, prendendo in parola Ludwig Feuerbach, quando dice "Siamo ciò che mangiamo",

diffondere informazioni su cose buone da mangiare e sui loro bravi produttori (sopratutto in provincia di Cagliari, ma non solo),

raccontare di libri su cibo e ambiente,

raccontare di un'associazione che si chiama "terraterra",

e per parlare di cose non menzionate nelle righe precedenti.

Buona lettura,
francesco