lunedì 29 novembre 2010

Breve storia della felicità: dal ’700 a Malthus a Kennedy - Serge Latouche

Per concepire e costruire una società di abbondanza frugale e una nuova forma di felicità, è necessario decostruire l'ideologia della felicità quantificata della modernità; in altre parole, per decolonizzare l'immaginario del pil pro capite, dobbiamo capire come si è radicato.
Quando, alla vigilia della Rivoluzione francese, Saint-Just dichiara che la felicità è un'idea nuova in Europa, è chiaro che non si tratta della beatitudine celeste e della felicità pubblica, ma di un benessere materiale e individuale, anticamera del pil pro capite degli economisti. Effettivamente, in questo senso, si tratta proprio di un'idea nuova che emerge un po' ovunque in Europa, ma principalmente in Inghilterra e in Francia. La Dichiarazione di indipendenza del 4 luglio 1776 degli Stati Uniti d'America, paese in cui si realizza l'ideale dell'Illuminismo su un terreno ritenuto vergine, proclama come obiettivo: «La vita, la libertà e la ricerca della felicità». Nel passaggio dalla felicità al pil pro capite si verifica una tripla riduzione supplementare: la felicità terrestre è assimilata al benessere materiale, con la materia concepita nel senso fisico del termine; il benessere materiale è ricondotto al «ben avere» statistico, vale a dire alla quantità di beni e servizi commerciali e affini, prodotti e consumati; la stima della somma dei beni e dei servizi è calcolata al lordo, ossia senza tenere conto della perdita del patrimonio naturale e artificiale necessaria alla sua produzione...

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