di Giuseppe Leocata – medico del lavoro, esperto in disabilità e lavoro
La neurodiversità
è una ricchezza, non un limite. Così come la biodiversità garantisce la
stabilità di un ecosistema, la diversità nei modi di pensare, di agire e di
percepire il mondo può rendere più forti e resilienti le società e le
organizzazioni. Riconoscere e valorizzare i lavoratori
“neurodivergenti” – in particolare quelli con disturbo dello
spettro autistico – significa costruire ambienti di lavoro più sani,
accoglienti e produttivi per tutti.
Il punto di
partenza è il superamento del concetto tradizionale di disabilità. Non
si tratta solo di una condizione individuale, ma del risultato dell’interazione
tra una caratteristica personale e le barriere sociali e ambientali che ne
ostacolano la piena partecipazione. In questo senso, è la società che
deve adattarsi alla diversità, non il contrario.
Lavoro
mirato e ruolo delle aziende
Ogni persona
autistica è unica. Le loro caratteristiche possono riguardare difficoltà nella
comunicazione sociale e l’interazione sociale, interessi e comportamenti ristretti
e ripetitivi, difficoltà nella gestione dei cambiamenti, la diversa reattività
a stimoli sensoriali e/o la difficoltà nella coordinazione motoria. Ma non
esiste “un tipo” di autismo: le differenze tra due persone autistiche possono
essere maggiori di quelle tra una persona autistica e una cosiddetta “neurotipica”. Accanto
alle fragilità anche nel luogo di lavoro, ci possono essere pure dei punti di
forza: puntualità e frequenza, precisione nello svolgere i compiti, attenzione
per i dettagli, buona memoria e, talvolta, loro propositività.
Per
l’inserimento lavorativo è previsto l’avviamento mirato ai sensi della Legge
68/99, che richiede una valutazione clinico-funzionale e la redazione
di una relazione sulle “potenziali capacità lavorative”. Ma la vera sfida
arriva dopo, nel momento in cui il lavoratore entra in azienda. L’inserimento
non può ridursi a un adempimento burocratico: serve un dialogo
reale tra persona e organizzazione. Le imprese devono essere coinvolte sin
dall’inizio, chiarendo le proprie esigenze e valorizzando le competenze che il
lavoratore può offrire. Solo così si può passare da un’ottica di “obbligo” a
una di opportunità reciproca.
Adattare i
luoghi e i ritmi
Per i
lavoratori con autismo, l’ambiente fisico e organizzativo può fare la differenza.
Necessitano ambienti confortevoli, calmi, con pochi elementi di disturbo,
arredamenti sobri, numero ridotto di oggetti ‘a vista’ intorno a loro, poco
rumorosi e senza odori particolari; luci non aggressive; segnali di allarme
‘non disturbanti’; spazi non ridotti e non troppe persone intorno a loro né in
transito; i trasporti per raggiungere il posto di lavoro dovrebbero essere di
facile fruibilità. Dal punto di vista organizzativo sono opportuni: orari
flessibili e pause in luoghi tranquilli; comunicazioni chiare, istruzioni
semplici e tempi rispettosi delle modalità di elaborazione individuali. Anche
piccoli accorgimenti – come l’uso di agende visive o la
possibilità di anticipare i cambiamenti di routine – possono ridurre ansia e
stress.
La normativa
europea sulla sicurezza (direttiva 89/391/CEE) impone al datore di lavoro
pubblico e privato di adattare il lavoro alla persona, mettendo in atto le
misure di protezione particolari per i gruppi di lavoratori più vulnerabili,
quelli che potrebbero essere esposti a rischi maggiori nello svolgimento di un
compito a causa di fattori specifici. L’obiettivo non è solo prevenire
i rischi, ma creare condizioni di benessere per tutti i lavoratori e
valorizzazione delle competenze anche dei ‘neurodiversi’.
Gli
“accomodamenti ragionevoli” previsti dalla Direttiva 2000/78/CE e dalla
Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità non sono un costo, ma
un investimento: permettono di trattenere i talenti e migliorare il clima
aziendale. La loro attuazione deve essere proporzionata, ma
non può essere elusa.
Il ruolo del
Disability Manager
Nelle
imprese pubbliche e private, la figura del Disability Manager – prevista dal D.Lgs.
151/2015 – è fondamentale. È il punto di raccordo tra lavoratore con
disabilità, le diverse figure aziendali e gli enti esterni che si occupano di
disabilità e la sua attività è rivolta a conseguire i livelli più elevati raggiungibili
in termini di igiene e sicurezza del lavoro e di benessere complessivo dei
singoli e della stessa organizzazione, collaborando alla progettazione e
attuazione di soluzioni personalizzate, intervenendo sia sugli aspetti
strutturali del luogo di lavoro sia sugli aspetti organizzativi.
Accogliere
la neurodiversità significa ripensare il rapporto tra persona e lavoro. In
una società sempre più multietnica, multilingue, multiculturale, anche più
longeva e che può presentare tipologie diverse di disabilità, le aziende sono
sempre più lo specchio di queste pluralità. Le teorie organizzative aziendali
si orientano, quindi, sempre più al Diversity e al Disability Management, ossia
alla gestione di tutte le forme di diversità quali le
differenze di genere, età, provenienza geografica, abilità
fisica-sensoriale-psichica che, se affrontate in modo consapevole e
costruttivo, possono diventare leve strategiche per il bene dell’azienda e del
benessere di chi vi contribuisce con il lavoro quotidiano.
Gestire la
diversità non è solo una questione etica, ma di innovazione e sostenibilità. Un
ambiente di lavoro che sa riconoscere e valorizzare la pluralità delle menti è
un ambiente più equo, più produttivo e – semplicemente – più umano per tutti.
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