«E ora dove andiamo?», si chiede e ci chiede un ragazzo del Bangladesh. Siamo arrivati davanti al magazzino 2A del porto vecchio di Trieste intorno alle 13:30 del 3 dicembre quando ormai da alcune ore è in corso uno sgombero delle persone in movimento provenienti soprattutto da Pakistan, Afghanistan, Nepal e Bangladesh che vivevano da tempo nella struttura. Sotto a una tettoia di cemento in diversi aspettano di capire il loro destino, mentre due operai montano delle grate e dei pannelli di compensato sulle porte e gli infissi del magazzino per impedire che venga rioccupato. Degli operatori della Protezione civile ripiegano dei gazebo, mentre alcuni poliziotti fanno capannello poco distanti. Passano tir che trasportano dei container. Se si guarda verso il mare si vedono delle persone che camminano, ci sono dei panni stesi.
Alcuni migranti vengono fatti salire su
dei furgoncini della polizia per essere identificati in questura. Altri sono
stati già trasferiti in altre regioni. Chi è rimasto ha spesso in mano un
documento dell’ufficio della questura di Gorizia che ha
ricevuto la loro domanda d’asilo: si tratta dell’invito a presentarsi per
formulare la domanda; i documenti che vediamo presentano diverse cancellazioni
e riscritture delle date per l’appuntamento. La questura di Trieste nelle
ultime settimane ha fatto resistenza alla presentazione di domande d’asilo e
questo ha spinto chi voleva iniziare la procedura ad andare a Gorizia o Monfalcone,
salvo poi non trovare posto nei sistemi di accoglienza di quella provincia.
Sono quindi rimasti a Trieste, senza poter più accedere ai posti
dell’accoglienza locale e sentendosi dire il giorno dello sgombero che la
questura di Trieste non è responsabile per quello che fanno altre questure. Ora
si chiedono perché loro che sono arrivati da più tempo qui siano stati messi da
parte, senza soluzioni abitative alternative ai vecchi magazzini.
Per chi arriva a Trieste dalla
rotta balcanica le problematiche sono molteplici: una è la gestione dei
trasferimenti verso altre regioni (più o meno frequenti a seconda del momento)
e la mancanza di un solido sistema di accoglienza locale in grado di fare
fronte ai flussi migratori da cui la città è interessata da anni. Quando i
trasferimenti diventano più rari i posti in accoglienza diventano insufficienti
e si crea l’impressione dell’“emergenza”. Chi arriva, sia che voglia rimanere
a Trieste sia che voglia andare via, deve trovare così delle
soluzioni autogestite. Per anni l’enorme Silos, un insieme di
due edifici ormai diroccati accanto alla stazione ferroviaria, ha rappresentato
il punto di approdo per chi si trovava in queste condizioni. Sgomberato per l’ultima volta il 21 giugno 2024, il Silos è ora al centro di un tentativo
di vendita da parte della Coop, proprietaria dell’immobile, e nel
frattempo è stato circondato da un parcheggio e da uno spiazzo cementificato
per fare spazio al Cirque du Soleil durante la scorsa estate.
Dopo lo sgombero del Silos le
persone in movimento che transitano per Trieste hanno trovato
proprio nel vicino porto vecchio una nuova soluzione abitativa. L’intera area,
estesa circa sessanta ettari e realizzata nella seconda metà dell’Ottocento
come infrastruttura logistica per sostenere lo sviluppo del porto, è stata in
disuso per decenni: si tratta soprattutto di grandi magazzini a più piani con
ballatoi che danno sull’esterno, rimasti inutilizzati dopo la diffusione dei
container come strumenti per spostare le merci.
Il porto vecchio è ora al centro di un
processo urbanistico che nei piani del Comune dovrebbe trasformarlo del tutto
nel giro di pochi anni. Al momento diversi lavori sono in svolgimento, ma la
maggior parte dei magazzini è rimasta ancora al di fuori degli interventi e
sono diventati così il rifugio per un numero imprecisato di persone. Il giorno
dello sgombero, in una nota il Consorzio italiano di
solidarietà di Trieste ha parlato di circa centocinquanta persone
coinvolte nell’operazione, con quaranta escluse dai trasferimenti, e ha
denunciato il mancato coinvolgimento delle realtà attive sul territorio
nell’accoglienza alle persone in movimento.
Lo sgombero è avvenuto dopo che nelle
ultime settimane erano stati segnalati nella stessa zona degli incendi la cui
causa è difficile ricondurre a fuochi accesi per riscaldarsi o per cucinare,
visto che sono avvenuti o all’esterno o in spazi non abitati. Questi episodi
potrebbero essere stati usati come motivo per accelerare lo sgombero, avvenuto
peraltro in un momento in cui le temperature si stanno abbassando e le giornate
di vento forte sono in aumento. Rimane però il fatto che gli altri magazzini
sono stati ignorati, facendo emergere ancora una volta la mancanza di un piano
organico per affrontare il problema dell’accoglienza e per non lasciare delle
persone al freddo e senza nessun tipo di servizio.
Questo carattere dell’operazione è emerso
con forza nel pomeriggio dello stesso 3 dicembre, quando è stata data la
notizia della morte di MagouraHichemBillal, un cittadino algerino
di trentadue anni. Il suo corpo è stato trovato da un suo compagno in un
edificio collocato a poca distanza dai magazzini sgomberati. Le circostanze
della morte non sono state ancora chiarite. L’Ics in un comunicato
ha parlato di morte annunciata e denuncia la mancanza di servizi a bassa soglia
capaci di intercettare chi si trova in difficoltà senza mettere barriere
d’accesso. Finora la scelta di chi amministra la città, e in particolare della
giunta del sindaco Roberto Dipiazza, è stata evitare
l’attivazione di strutture di questo tipo, sostenendo che avrebbero solo
attirato sempre più persone dalle rotte migratorie. La soluzione proposta è
stata quindi nascondere per quanto possibile il problema scaricando poi le
attività di assistenza ad associazioni come Linea d’Ombra, che da
anni si occupa dell’accoglienza di chi arriva dalla rotta balcanica, e ad altre
strutture legate alla Caritas o alla comunità di San
Martino al Campo che gestisce il cruciale centro diurno, un punto di
riferimento per chi si trova in situazione di difficoltà a Trieste.
Un reportage del quotidiano locale Il
Piccolo, pubblicato il 5 dicembre, ha avuto gioco facile nel
sottolineare la sporcizia e la precarietà dei luoghi in cui vivevano i migranti
all’interno del porto vecchio, dimenticando di sottolineare come precise scelte
politiche abbiano contribuito a creare questa situazione. La stessa cosa era
stata fatta anche all’indomani dello sgombero del Silos. La morte
di Magoura Hichem Billal arriva in un periodo che ha visto
altre tre morti di migranti in Friuli Venezia Giulia: Shirzai Farhdullah,
venticinque anni, a Pordenone; Nabi Ahmad,
trentacinque anni e Muhammad Baig, trent’otto, a Udine.
Tutti e tre sono morti per intossicazione da monossido di carbonio, avvenuta
mentre cercavano di scaldarsi.
Il porto vecchio rimane abitato in
mancanza di alternative mentre al di fuori i lavori avanzano e promettono di
dare una spinta ulteriore alla trasformazione di Trieste in una città sempre
più a misura di turista. Rimane anche la certezza che lo sgombero non risolve
un problema ormai strutturale di cui le istituzioni dovrebbero farsi carico con
un piano chiaro e di lungo periodo. Per il momento rimane, pesante, la domanda:
«E ora dove andiamo?».
https://napolimonitor.it/trieste-gli-sgomberi-di-migranti-nel-porto-vecchio/
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