Una legislatura regionale consta di 60 mesi. Quella sarda è cominciata 20 mesi fa. Tenendo presente che l’ultimo anno è di campagna elettorale, e che i cambiamenti importanti hanno bisogno di tempo per essere realizzati, altrimenti rimangono sulla carta, la situazione è grigia. Sempre più elettori disertano le urne. La Sardegna vive un inverno demografico tra i più gravi d’Europa, con cause multifattoriali che agiscono sul breve, medio e lungo periodo. Lo Statuto sardo, a seguito della riforma del Titolo V, sostanzialmente non esiste, ed alla riforma del Titolo V si è aggiunto il processo di attuazione dell’autonomia differenziata (art. 116 Costituzione).
Questa
legislatura, in lieve peggioramento rispetto alle precedenti, si caratterizza
per una serie di leggi regionali – pur non numerose nel
complesso – sulle quali il governo statale solleva rilievi di costituzionalità
(ad esempio sul suicidio assistito). Da
ultimo, con la sentenza 184/2025, sulla legge sarda sulle aree idonee atte
ad ospitare impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, la Corte
costituzionale ha smantellato l’unica vera legge importante approvata dal
Consiglio regionale nel 2024. Un consiglio regionale che mi pare lavorare poco.
Solo per
rimanere alla strettissima attualità, è di questi giorni la scadenza dei 60
giorni (sessanta) entro i quali la Regione si doveva esprimere in relazione
all’ampliamento dello stabilimento di bombe e droni della RWM di
Domusnovas, attualmente bloccato in quanto irregolare. Si tratta di una scelta
di campo: o stai col piano di riarmo, o stai con la pace. La Giunta, divisa al
suo interno, ha deciso di non decidere, e di lasciare che il Tar nomini un
commissario. Intanto il governo nazionale sta tentando il colpo di
mano con un emendamento ad hoc alla manovra.
Ma allora la Regione a che serve, verrebbe da chiedersi.
Qualche
giorno prima l’Assessore più importante della Giunta, l’Assessore alla
Sanità, espressione dei Cinque Stelle, è stato defenestrato e lo
stesso assessore ha accusato il suo (ex) partito di avere ceduto al
clientelismo, ed ha anche affermato che fosse per lui avrebbe chiamato
solamente manager dal continente, in quanto in Sardegna non c’è nessuno capace.
Se volete sapere come sta la sanità, vi basti chiedere ad un qualunque sardo, o
basti il dato che i sardi che non si curano sono 1 su 6, nel resto d’Italia 1
su 10.
Da ultimo,
per mesi ci hanno detto che bisognava dare priorità alla sessione di
bilancio per approvarlo per tempo (ma quante leggi importanti si sono
fatte prima?), e poi come se niente fosse, senza un minimo di autocritica o
senza chiedere scusa, ci si prepara ad (almeno) un mese di esercizio
provvisorio. Nel frattempo, si spaccia per grande vittoria il fatto che lo
Stato ci ha reso una parte dei soldi che doveva ai sardi, dato che gliene
abbiamo abbuonato moltissimi.
Il problema non è Alessandra Todde. Può esserci lei o chiunque altra o altro. Il problema è sistemico.
Il rischio
concreto, come peraltro stiamo vedendo da 15 anni a questa parte, è che ogni
singola giunta sia peggiore di quella precedente, e che sempre meno persone
vadano a votare. D’altra parte, perché lo dovrebbero fare?
Una volta
passate le elezioni, prima delle quali si sentono slogan roboanti (“è il tempo
del noi” lo dovrebbero dire ai 211.000 sardi, una enormità, che nell’estate
2024 hanno firmato una proposta di legge sull’energia), Consiglio e giunta
diventano dei passacarte, molto attenti al piccolo orto elettorale, comprensivo
di consulenti, che alla Sardegna del XXI secolo.
Eventuali dimissioni, o elezioni, non risolveranno nulla.
La Sardegna
ha perso la bussola, la può ritrovare con un sardismo democratico diffuso,
coraggioso e impegnato. Chi è sceso in piazza per la Palestina, e l’anno scorso
contro la speculazione energetica, è una speranza su cui innestare
un processo inclusivo che sparigli.
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