sabato 30 aprile 2011

Chernobyl


Durante la trasmissione di Annozero il professor Battaglia dice:

“Chernobyl è una colossale mistificazione mediatica. Se si chiede quante morti ha causato quell’evento disastroso di Chernobyl alla popolazione in questi venticinque anni, io non ho timore di rispondere: zero”. Nel corso del ragionamento poi però si contraddice: qualche secondo dopo 31 è il numero di morti immediate” e alla fine del ragionamento: “l’incidente di Chernobyl ha causato 50 morti”.

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giovedì 28 aprile 2011

Aspartame


L'aspartame causa danni "lenti e silenziosi" in tutte quelle persone che sono così sfortunate da non avere reazioni immediate e che non hanno quindi un motivo per evitarlo. Potrebbero volerci una, cinque, dieci, quarant'anni, ma alla lunga si manifesteranno gravi problemi (alcuni reversibili e altri no) per tutte quelle persone che ne fanno uso abituale.
METANOLO (alcool metilico/veleno) (contenuto nell'aspartame almeno al 10%).
Il metanolo è un veleno mortale. Alcune persone ricorderanno che il metanolo causò la morte e la cecità di molti consumatori di vino qualche anno fa. Il metanolo viene liberato gradualmente nel piccolo intestino quando il gruppo metilico dell'aspartame incontra l'enzima chimotripsina.
L'assorbimento di metanolo nel corpo è accelerato considerevolmente quando viene ingerito metanolo libero. Il metanolo libero si forma nell'aspartame quando viene riscaldato oltre i 30° C. Questo avviene quando un prodotto contenente aspartame viene immagazzinato e conservato impropriamente o quando viene riscaldato (per esempio, come componente di un qualsiasi prodotto alimentare).
All'interno del corpo il metanolo si trasforma in acido formico ed in formaldeide. La formaldeide è una neurotossina mortale. Una valutazione dell'EPA (Enviromental Protection Agency - Agenzia per la protezione ambientale - USA) sul metanolo dichiara che il metanolo "viene considerato un veleno ad accumulo, grazie al bassissimo tasso di escrezione una volta assorbito. Nel corpo, il metanolo viene ossidato in formaldeide ed in acido formico; entrambi questi metaboliti sono tossici." I ricercatori dell'EPA raccomandano un limite massimo di consumo di 7,8 mg al giorno. Un litro di bevanda dolcificata con aspartame contiene circa 56 mg di metanolo. I consumatori abituali di prodotti contenenti aspartame consumano fino a 250

mg di metanolo al giorno, 32 volte il limite massimo suggerito dall' EPA.
I problemi da avvelenamento di metanolo maggiormente conosciuti sono i problemi relativi alla vista. La formaldeide è un agente cancerogeno ben conosciuto e causa danni alla retina, interferisce con la riproduzione del DNA e causa difetti di nascita…

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L'aspartame il dolcificante artificiale per antonomasia, introdotto nel mercato nel 1981 dal Commissario dell'FDA Arthur Hulla Hayes, ignorando i suggerimenti del comitato scientifico e le preoccupazioni dei consumatori. L'aspartame è una neurotossina che interagisce con gli organismi viventi nella stessa maniera dei farmaci, producendo una larga fasciahttp://i.ixnp.com/images/v6.59/t.gif di problematiche salutistiche, disordini e sindromi. Ma chi ha eletto questo commissario che legiferò andando contro la commissione e i consumatori? Donald Rumsfeld, CEO della GD Searle, produttore dell'Aspartame. Rumsfeld faceva parte della squadra di transizione di Reagan e il giorno successivo al suo insediamento, elesse il nuovo Commissario dell'FDA per poter difendere i suoi affari con uno dei più eclatanti casi di "profitto contro sicurezza" mai registrato nella storiahttp://i.ixnp.com/images/v6.59/t.gif. L'aspartame è oggi quasi onnipresentehttp://i.ixnp.com/images/v6.59/t.gif, nascondendosi dietro i prodotti "light" e "senza zucchero" e più in generale negli alimenti, bevande, farmaci e prodotti per i bambini. Recentemente è stato rinominato nel più gentile e suadente "AminoSweet"…

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mercoledì 27 aprile 2011

dice Markku Envall


Al giorno d'oggi le minacce del futuro sono la cosa peggiore. La seconda peggiore e' che si materializzano oggi.

La volpe a custodia del pollaio, l'uomo del paradiso, l'industria dell'ambiente.

Se tutti gli uomini si gettassero in mare, i mari comincerebbero immediatamente a ripulirsi.



martedì 26 aprile 2011

La Bicicletta - Radici nel Cemento

Ode alla bicicletta - Pablo Neruda

Iba
por el camino
crepitante:
el sol se desgranaba
como maíz ardiendo
y era
la tierra
calurosa
un infinito círculo
con cielo arriba
azul, deshabitado.

Pasaron
junto a mí
las bicicletas,
los únicos
insectos
de aquel
minuto seco del verano,
sigilosas,
veloces,
transparentes:
me parecieron
sólo movimientos del aire.

Obreros y muchachas
a las fábricas
iban
entregando
los ojos
al verano,
las cabezas al cielo,
sentados
en los
élitros
de las vertiginosas
bicicletas
que silbaban
cruzando
puentes, rosales, zarza
y mediodía

Pensé en la tarde cuando los muchachos
se laven,
canten, coman, levanten
una copa
de vino
en honor
del amor
y de la vida,
y a la puerta
esperando
la bicicleta
inmóvil
porque
sólo
de movimiento fue su alma
y allí caída
no es
insecto transparente
que recorre
el verano,
sino
esqueleto
frío
que sólo
recupera
un cuerpo errante
con la urgencia
y la luz,
es decir,
con
la
resurrección
de cada día.

Andavo
per la strada
crepitante:
il sole si sgranava
come mais ardente
la terra era calda
un infinito circolo
con cielo in alto
azzurro, disabitato.


Passarono
vicino a me
le biciclette,
gli unici insetti
di quel minuto
secco dell’estate,
riservate,
veloci,
trasparenti:
mi sembrarono
soltanto
movimenti dell’aria.


Operai e ragazze
alle loro fabbriche
andavano
consegnando
gli occhi all’estate,
le teste al cielo,
seduti
sulle elitre
delle vertiginose
biciclette
che fischiavano
attraversando
ponti, rosai, rovi
e mezzogiorno.


Pensai al pomeriggio
quando i ragazzi
si lavano,
cantano, mangiano,
alzano
una coppa di vino
in onore
dell’amore e della vita,
e alla porta
aspettava
la bicicletta
immobile
perché soltanto
di movimento è la sua anima
e lì caduta
non è insetto trasparente
che percorre l’estate,
ma scheletro freddo
che solo recupera
un corpo errante
con l’urgenza e la luce,
cioè,
con la resurrezione
di ogni giorno.


da qui e da qui

A Narmada Diary (un altro film sulle dighe del Narmada)


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Narmada Bachao (un film sulle dighe del Narmada)



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giovedì 21 aprile 2011

La storia dell'acqua in bottiglia - Annie Leonard




Per il nostro Paese si può parlare di una “rivoluzione culturale” avvenuta negli ultimi trent’anni, visto che “nel 1980 cioè prima della creazione di un reale mercato nazionale di acqua imbottigliata, il consumo medio era di 47 litri annui”, spiegano la chimica Valentina Niccolucci e i colleghi del Gruppo di Ecodinamica dell’Università degli Studi di Siena.
Ma perché approviggionarsi di acqua al supermercato piuttosto che direttamente a casa propria? È un fenomeno che la Niccolucci attribuisce anche ad un fattore economico: “Da noi l’acqua in bottiglia costa poco rispetto ad altri Paesi”. Il prezzo è crollato appunto negli ultimi decenni con l’introduzione delle bottiglie in PET (materiale plastico), ma il mercato italiano rimane uno dei più fiorenti ed aggressivi. Inoltre, spiega ancora la ricercatrice senese, “l’acqua in bottiglia è considerata più ’sicura’, esente da contaminazioni varie, e più buona”.

L’acqua imbottigliata è presente su quasi ogni tavola italiana ma costa da 500 a 1000 volte di più rispetto a quella pubblica del rubinetto, e contribuisce (lavorazioni, imballaggi, trasporti, ecc.) ad inquinare l’atmosfera. Lo affermano Niccolucci e colleghi nello studio appena pubblicato sulla rivista Environmental Science & Policy. Il gruppo senese di studiosi ha elaborato i valori di “impronta di carbonio” delle acque minerali rispetto a quella che scorre negli acquedotti pubblici. L’impronta di carbonio è la misura delle emissioni di gas serra causate direttamente o indirettamente da prodotti industriali dell’intera filiera produttiva, compresi la produzione degli imballaggi e il trasporto.
Prendendo il caso di Siena (55mila abitanti), i ricercatori hanno confrontato sei importanti produttori di acqua minerale rispetto all’acqua pubblica. L’impronta di carbonio della bottiglia supera di 250 volte quella dell’acquedotto. Il 46% delle emissioni si crea per produrre le bottiglie in PET (materiale plastico).
Dissetarsi con l’acqua di casa sarebbe allora una opzione per l’ambiente. Per esempio, “scegliendo l’acqua pubblica gli abitanti di Siena risparmierebbero l’emissione di 9000 tonnellate di CO2 all’anno”, conclude il rapporto. Una cifra che da sola potrebbe dire poco, ma che, fanno notare gli autori, “equivale alle emissioni di 5.000 automobili che coprissero ciascuna 15mila chilometri in un anno.”
Anche il mito della qualità è da sfatare. Infatti un confronto su campioni di “minerale” e “acquedotto pubblico” della Università di Cagliari ha dimostrato che pur con bilanci ridotti all’osso (sia per la costruzione di nuovi acquedotti che per la manutenzione dei vecchi), il servizio pubblico è ancora a basso costo e spesso eccellente. Nello studio, pubblicato sulla rivista Journal of Food Composition and Analysis, si legge che “i risultati sugli acquedotti-campione in Italia mostrano un buon adempimento dei limiti fissati dalla Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per i metalli pesanti nell’acqua potabile”. Viceversa, non tutte le “minerali” analizzate hanno dimostrato la purezza vantata e dichiarata.
“La scelta dei consumatori di bere acqua in bottiglia ha ripercussioni importanti sul bilancio delle emissioni di CO2″, conclude Niccolucci. “Anche per questo occorrerebbe fare in modo che l’acqua pubblica sia un bene comune, perché la differenza di prezzo rispetto all’acqua in bottiglia riflette anche quella in termini di emissioni nocive”.

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qui si fa politica: il 12 e il 13 giugno ricordati di votare e far votare - francesco


giovedì 14 aprile 2011

Papalagi - Discorsi del Capo Tuiavii di Tiavea delle Isole Samoa


L'ho letto tanti anni fa, nelle edizioni "Millelire", una scoperta bellissima. Ne ho regalato qualche decina di copie nel tempo, nessuno ha mai protestato. Se non lo conosci o vuoi fare un ripasso, puoi leggerlo o scaricarlo qui.
(il Papalagi, scoprirai leggendo, è l'uomo bianco o civilizzato) - francesco


Introduzione
Non era mai stata intenzione di Tuiavii presentare in Europa o dare al/e stampe questi discorsi: erano stati pensati esclusivamente per i suoi fratelli polinesiani. Se io trasmetto i discorsi di quest'indigeno al pubblico dei lettori europei, senza che lui ne sia a conoscenza e sicuramente contro la sua volontà, lo faccio nella convinzione che possa essere importante anche per noi, bianchi e colti, vedere la nostra civiltà con gli occhi di una persona ancora strettamente legata alla natura. Questi discorsi non sono altro che un'esortazione a tutti i
popoli primitivi dei mari del sud, a tenersi lontani dai popoli illuminati del continente europeo. Tuiavii, lo spregiatore dell'Europa, viveva nella profonda convinzione che i suoi antenati avevano commesso un errore enorme a farsi incantare dalle luci dell'Europa.
Tuiavii aveva nella massima misura la capacità di guardare le cose senza pregiudizi. Niente poteva abbagliarlo,
nessuna parola poteva distoglierlo dalla verità. Vedeva, per così dire, la cosa in sé.
Lui, l'isolano incolto, considera un errore, un vicolo cieco, tutte le conquiste della cultura europea. Non riesce a capire in cosa consista l'alto valore della cultura europea, dal momento che allontana l'uomo da se stesso, lo rende inautentico, innaturale e peggiore. «Credete di portarci la luce, e in realtà vorreste trascinarci nella vostra oscurità. »
A mio avviso il valore dei discorsi di Tuiavii, e la ragione della loro pubblicazione, sta per noi Europei nella loro
schiettezza e totale mancanza di riguardi, alla maniera dei fanciulli.


…Viene comunicato tutto quello che avviene e cosa fanno e non fanno gli uomini; i loro pensieri buoni e cattivi, e anche se hanno macellato un pollo o un maiale o se si sono costruiti una nuova canoa. Non avviene niente in tutto il paese, che questa stuoia non racconti coscienziosamente. Il Papalagi lo chiama: «Essere ben informato su tutto». Vuoi essere informato su tutto quello che avviene nel suo Paese da un tramonto all'altro. Si infuria se gli sfugge qualcosa. Ingoia tutto avidamente. Anche se si tratta di atrocità di ogni tipo, che chi è sano di mente preferisce dimenticare in fretta. E invece proprio queste cose brutte e dolorose vengono descritte fin nei minimi particolari, più di quelle belle, come se non fosse molto più importante e gratificante comunicare il bene piuttosto che il male.

Quando leggi il giornale non c'è bisogno che tu vada fino ad Apolima, Manono o Savaii per sapere cosa fanno, pensano o festeggiano i tuoi amici. Puoi startene steso tranquillamente sulla tua stuoia e le molte carte ti raccontano tutto. Questo sembra molto bello e comodo, ma è un'idea sbagliata. Perché se quando incontri il tuo fratello avete tutti e due la testa nelle molte carte, nessuno avrà da dire all'altro niente di nuovo o di particolare, perché ognuno ha nella testa le stesse cose, e allora state zitti oppure vi ripetete solo quel che hanno detto le carte. Ma è sempre un'esperienza più forte gioire insieme di una festa o soffrire per un dolore, anziché farsi raccontare tutto da bocche estranee senza aver visto niente con i propri occhi.

Ma a danneggiare il nostro spirito non è tanto il fatto che il giornale ci racconti cosa succede, ma che ci dica anche cosa dobbiamo pensare di questo e di quello, dei nostri grandi capi o di quelli degli altri Paesi, di tutto quel che succede e di quel che fanno gli uomini. Il giornale vorrebbe che tutti pensassero come se avessero la stessa testa, e combatte contro la mia testa e il mio pensiero.

Vuole che ognuno abbia la sua stessa testa e il suo stessopensiero. E ci riesce. Se la mattina leggi le molte carte, a mezzogiorno sai cosa ha in t e s ta e cosa pensa ogni Papalagi. Il giornale è anche una specie di macchina: produce quotidianamente molti nuovi pensieri, molto più numerosi di quanto possa fare una sola testa. Ma la maggior parte dei pensieri sono deboli, senza fierezza e senza forza, riempiono la nostra testa di tanto nutrimento, ma non la rafforzano. Potremmo riempire la nostra testa di sabbia con gli stessi risultati. Il Papalagi colma la sua testa con quest'inutile nutrimento di carta. Prima che sia riuscito ad allontanarne uno, ne assorbe già uno nuovo. La sua testa è come le paludi delle mangrove, che soffocano nella loro stessa fanghiglia e nelle quali non cresce più niente di verde e fecondo, dove salgono solo odori disgustosi e ronzano insetti pungenti.

Il luogo della finta vita e le molte carte hanno reso il Papalagi quel che è: un uomo debole e confuso, che ama ciò che non è reale, e che non riesce più a riconoscere quel che è reale, che confonde l'immagine della luna con la luna stessa e uno stuoia scritta con la vita stessa…

da qui

Le dighe del Narmada (2)


Un lungo e interessante intervento di Arundhati Roy - francesco

La Narmada è il nome di un fiume indiano (in lingua indi i nomi dei fiumi sono rigorosamente al femminile) sulla quale da 19 anni si stanno costruendo numerosissime dighe (30 grandi e migliaia di dimensioni minori).

Queste costruzioni hanno implicato ed implicano tuttora l'esproprio delle terre dei contadini che popolano la valle della Narmada, tra le più fertili della terra (Narmada infatti significa "il fiume d'oro) e massicce dislocazioni, praticamente senza indennizzo, di migliaia di persone.
Oltre agli spostamenti coatti di intere famiglie (si parla di milioni di persone), il problema si aggrava a causa dell'installazione di industrie, sia nazionali che multinazionali, come Bayer e Pepsi, che aumentano vertiginosamente l'inquinamento ed il costo dell'acqua.
Ma Narmada è anche il simbolo della lotta popolare, diffusa e spontanea contro queste dighe, una lotta condotta in primo luogo dalla resistenza pacifica delle donne della Narmada Valley, guidate dalla biologa indiana Medha Patkar: " Il governo dice che non ha terra da dare agli sfollati, può
risarcire solo in denaro. La nostra posizione è chiara: le popolazioni non se ne andranno, se non avranno altra terra a compensare quella persa. Quella che chiamano riabilitazione va basata sulla terra, non sul denaro".

da qui

Let me say at the outset that I'm not a city-basher. I've done my time in a village. I've had first-hand experience of the isolation, the inequity and the potential savagery of it. I'm not an anti-development junkie, nor a proselytiser for the eternal upholding of custom and tradition. What Iam, however, is curious. Curiosity took me to the Narmada Valley. Instinct told me that this was the big one. The one in which the battle-lines were clearly drawn, the warring armies massed along them. The one in which it would be possible to wade through the congealed morass of hope, anger, information, disinformation, political artifice, engineering ambition, disingenuous socialism, radical activism, bureaucratic subterfuge, misinformed emotionalism and, of course, the pervasive, invariably dubious, politics of International Aid.

Instinct led me to set aside Joyce and Nabokov, to postpone reading Don DeLillo's big book and substitute it with reports on drainage and irrigation, with journals and books and documentary films about dams and why they're built and what they do.

My first tentative questions revealed that few people know what is really going on in the Narmada Valley. Those who know, know a lot. Most know nothing at all. And yet, almost everyone has a passionate opinion. Nobody's neutral. I realised very quickly that I was straying into mined territory.

In India over the last ten years the fight against the Sardar Sarovar Dam has come to represent far more than the fight for one river. This has been its strength as well as its weakness. Some years ago, it became a debate that captured the popular imagination. That's what raised the stakes and changed the complexion of the battle. From being a fight over the fate of a river valley it began to raise doubts about an entire political system. What is at issue now is the very nature of our democracy. Who owns this land? Who owns its rivers? Its forests? Its fish? These are huge questions. They are being taken hugely seriously by the State. They are being answered in one voice by every institution at its command - the army, the police, the bureaucracy, the courts. And not just answered, but answered unambiguously, in bitter, brutal ways…

http://www.narmada.org/gcg/gcg.html



lunedì 11 aprile 2011

Povera Mc Italia


McDonalds lancia Mc Italy, un panino 100% italiano, con il patrocinio del ministero delle Politiche Agricole. Operazione quanto meno discutibile: ecco perché.

Entriamo e l'ambiente è surreale. Festoni con la bandiera tricolore dappertutto, dipendenti che ci accolgono con magliette su cui troneggia il logo del ministero delle Politiche agricole. Siamo a una fiera zootecnica. O, per avvicinarci meglio al contesto, alla sede dell'associazione italo-americana di Brooklyn.

Niente di tutto questo
Siamo da Mc Donalds, che ha lanciato proprio in questi giorni il primo panino 100% italiano con l'appoggio, molto reclamizzato, del ministro Zaia. Un connubio a dir poco singolare: il colosso del cibo spazzatura vuole convincerci che si è redento e ha trovato come spalla un alto rappresentante del nostro governo.

Il panino della svolta "italiana", ci spiegano, è fatto con prodotti certificati made in Italy: farina, insalata e carne 100% italiani, formaggio Asiago Dop, crema di carciofi italiani, pane all'olio extravergine d'oliva dei Monti Iblei Dop. Fanno da contorno altre preparazioni con la filiera certificata tricolore (insalata, crocchette ecc…). Il tanto vituperato fast food si è forse trasformato nella summa del mangiar bene tipico della nostra terra?

Magari…
Peccato che le cose non stiano proprio così. Semmai è vero il contrario: le nostre materie prime scendono dal podio della qualità (se mai ci fossero salite) per comporre l'ennesimo panino dal sapore omologato e dalle caratteristiche nutrizionali a dir poco discutibili. Abbiamo fatto i conti in tasca a questo "gioiello" tricolore.

Calorie
Ben 715, ovvero il 36% del fabbisogno quotidiano di una donna. Tenete presente che un pasto completo dovrebbe fornire un terzo, cioè il 33% delle calorie quotidiane. Questo panino è evidentemente troppo calorico.

Sale
Lo sa, il collega di Zaia, cioè il ministro della Salute Fazio, che il Mc Italy fornisce 3,3 grammi di sale, cioè il 66% del fabbisogno quotidiano (l'Oms consiglia max 5 grammi al dì)?

Da solo, questo panino ci dà più della metà del sale che dovremmo assumere nell'arco di un'intera giornata. E se poi questo panino viene mangiato insieme alle patatine fritte (così è proposto nel Mc menù, alla faccia del "mangiare italiano") il consumo di sale schizza a 4,6 grammi cioè il 92% di ciò che dovremmo assumere giornalmente.

Meglio il Big Mac
Il vero paradosso? È meglio il Big Mac. Facendo il confronto tra i valori nutrizionali del Mc Italy e del classico Big Mac, il panino ministeriale non ne esce vincente. Il Big Mac, infatti, è meno calorico (495 calorie, il 25% del fabbisogno quotidiano) e contiene meno sale (2,3 grammi, ovvero il 46% del fabbisogno quotidiano). Quanto al sapore, permetteteci di dare un parimerito.
da qui

domenica 10 aprile 2011

Adotta un orto

Adottare un orto richiede una donazione di 900 euro, che copriranno i costi delle attrezzature, corsi di formazione, materiale didattico, assistenza tecnica, contributi per i giovani studenti e assistenza finanziaria per i rappresentanti di questi progetti per partecipare al meeting Terra Madre. La Fondazione Slow Food per la Biodiversità gestirà i fondi e coordinerà le attività in Africa. Per adottare un orto in Africa o ricevere ulteriori informazioni, contatta Elisabetta Cane, Tel. +39 0172 419756 – ortiafrica@terramadre.org Se vuoi saperne di più, scarica qui la descrizione completa del progetto:

Mille orti in Africa.pdf

da qui


Stiamo coltivando un piccolo grande sogno: realizzare orti in tutte le comunità africane di Terra Madre. Quest’anno, in occasione di Terra Madre 2010 (Torino, 21-25 ottobre), abbiamo lanciato questa sfida: creare mille orti nelle scuole, nei villaggi, nelle periferie delle città africane. Non un orto qualsiasi Gli orti saranno coltivati secondo tecniche sostenibili (compostaggio, preparati naturali per la difesa da infestanti e insetti, gestione razionale dell’acqua) con varietà locali e secondo i principi della consociazione fra alberi da frutta, verdure ed erbe medicinali. L’idea dei “Mille orti in Africa” non è nuova, ma parte da numerose esperienze (agricole e didattiche) già in corso. Esempio ne sono gli orti scolastici realizzati da Slow Food in Kenya,Uganda e Costa d'Avorio. Cosa significa sostenere questa iniziativa Il progetto “Mille orti in Africa” garantisce la formazione a contadini e giovani, favorisce la conoscenza dei prodotti locali e della biodiversità, il rispetto dell’ambiente, l’uso sostenibile del suolo e dell’acqua, trasferisce i saperi degli anziani alle nuove generazioni, rafforza lo spirito di collaborazione. Fare un orto, inoltre, significa garantire alle comunità locali la disponibilità quotidiana di cibo sano e fresco, promuovere un’agricoltura sostenibile, migliorare la qualità della vita quotidiana, fare economia…


continua qui


per avviare un orto secondo Slowfood


Negli anni 60 e 70 i Paesi africani esportavano cereali e riso e ne producevano a sufficienza per il consumo interno. Ora importano l’80-90% di quanto consumano. Nei mercati, si trova riso thailandese e brasiliano, frutta e verdura europea che costa la metà di quella locale. «Slow Food sostiene i contadini con piccoli progetti concreti e replicabili, e favorisce le reti fra diversi soggetti. In Africa i contadini hanno problemi di tipo tecnico e economico, ma uno dei principali è l’isolamento. Un modo di romperlo è attraverso la rete internazionale: le dieci donne che allevano polli in Kenya in questo momento sono aiutate da un gruppo di allevatori toscani. Non sono né docenti né grandi esperti ma le stanno aiutando a risolvere problemi molto concreti»…


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sabato 9 aprile 2011

con moderazione ed equilibrio


ecco la mia opinione, nessuno si senta offeso. - francesco

Super Size Me - Morgan Spurlock

All'inizio del suo McAttack, Spurlock è stato controllato da tre dottori, che lo hanno seguito per tutta la durata dell'esperimento, registrando tutti i cambiamenti e gli effetti occorsi nel mese dell'esperimento. Tutti e tre i dottori avevano predetto a Spurlock di essere perfettamente nella media come stato fisico, che avrebbe riscontrato effetti negativi sul suo corpo, ma nessuno dei tre si sarebbe aspettato niente di così drastico (uno dei tre aveva anche detto che "il corpo umano si adatta molto facilmente"). Spurlock inizia il mese con una colazioneMcBreakfast nella sua natia Manhattan, dove esiste un McDonald's per ogni 0.7 km², effettuando al tempo stesso quasi tutti i suoi spostamenti in taxi, per diminuire i passi effettuati al giorno ai circa 2500 di un americano medio. Le abitudini alimentari di Spurlock durante l'esperimento sono state dettate da precise e severe regole:

- deve mangiare tre pasti McDonald's al giorno;

- deve assaggiare almeno una volta ogni opzione dei menu McDonald's;

- non deve acquistare nulla che non sia sul menu;

- deve accettare di avere il menu Super Size (ovvero quello più grande) solo se invitato a farlo.

Il secondo giorno Spurlock mangia il suo primo menu taglia Super Size, ed ha il suo primo McStomachache (mal di stomaco), come lo chiama lui con un gioco di parole. Si presentano i primi episodi di nausea. Dopo cinque giorni Spurlock ha già guadagnato 5kg. Non è passato molto che Spurlock si trova già in un inspiegabile stato di depressione, e ancora più inspiegabilmente la sua depressione, la letargiaed i mal di testa vengono attenuati solo da un altro pasto McDonald's. Secondo uno dei tre dottori che lo seguono, Spurlock è diventato "dipendente". Presto guadagna altri 5kg, portando il suo peso a 92kg. Per la fine del mese, il suo peso sarà di 95kg, un incremento di quasi 11kg, che ha richiesto cinque mesi per essere smaltito. La fidanzata e futura moglie di Spurlock, uno chef vegetariano, lo ha aiutato nei mesi successivi a "disintossicarsi" con una dieta accuratissima, ed ha attestato il fatto che Spurlock ha perso molta della sua energia e libidodurante l'esperimento. Attorno al 20º giorno Spurlock avverte dei casi di tachicardia. Un consulto con uno dei tre medici, il Dr.Daryl Isaacs, rivela che, secondo le parole testuali del dottore, "il fegato di Spurlock si sta trasformando in paté", e gli chiede di interrompere quello che sta facendo per evitare seri problemi cardiaci. Paragona Spurlock con il protagonista di Via da Las Vegas che deliberatamente beve fino alla morte per un periodo simile di tempo. Spurlock arriva comunque al trentesimo giorno, raggiungendo il suo obiettivo di essere Supersized nove volte durante il corso della prova (cinque delle quali in Texas, lo stato americano con i maggiori problemi di obesità secondo alcuni studi). Tutti e tre i dottori sono sorpresi dallo stato di deterioramento della salute di Spurlock. La massa grassa raggiunta, 18%, è comunque inferiore rispetto alla media americana del 22%. Accanto ai travagli personali di Spurlock, vengono indagati i diversi fattori che portano gli Stati Uniti ad avere il tasso di obesità più alto del mondo. La discussione si punta sulla mancanza di cibo sano in molte scuole, il potere negativo della pubblicità sui giovani, come i parchi giochi ed i clown di McDonald's, come se la ricerca del massimo profitto cancellasse le preoccupazioni delle grandi compagnie dell'industria alimentare riguardo alla salute dei propri clienti. Il film tratta, quindi, del "lato oscuro" dell'industria dei fast food, e suggerisce come una prolungata consumazione di questi cibi, pur non estremizzata come nell'esperimento di Spurlock (ma il regista fa notare come molta gente mangi questo cibo più volte a settimana), possa portare a effetti negativi sulla salute…

da qui

…Super Size Me è un documentario molto rigoroso, nonostante l’apparenza da bancarella dei panini. Il regista/cavia si sottopone ad una dieta/tortura di un mese sotto il preciso sguardo di medici, di dietologi, di un personal trainer, di uno psicologo e della fidanzata (vegetariana!). Nulla a che vedere con l’ingombrante figura di Micheal Moore, Spurlock non è un rompiscatole che assedia come una iena le porte degli uffici dei responsabili di Mc Donald’s, Taco Bell o KFC. Sceglie invece di partire dal basso, di analizzare la questione per le strade, in mezzo a quella gente che poi, finita l’intervista, andrà in un fast-food a prendere una porzione maxi di anelli di cipolle.

Il documentario coglie nel segno, risveglia nello spettatore uno spirito critico nei confronti di ciò che mangia, permettendogli di rendersi conto di quanto la nutrizione influisca non solo sullo sviluppo fisico del nostro corpo ma anche su quello psicologico, provocando sindromi depressive e dipendenze patologiche da zuccheri e caffeina. La domanda che sorge spontanea (come nei film di Moore) è se un documentario del genere riesca a raggiungere in grande pubblico e non solo coloro i quali già pensano come Spurlock…

da qui

inizia così:


segue su youtube, se non hai il dvd...

giovedì 7 aprile 2011

Le dighe del Narmada (1)

Ogni sera, quando fa scuro, nei 12 gruppi di case che compongono il villaggio di Bilgaon si accendono le lampadine. E' una notizia: fino a pochi mesi fa non c'era luce elettrica a Bilgaon, sulle colline di Satpuda, nella valle del fiume Narmada, stato del Maharashtra, India centrale. Tutto è cambiato con la diga. Non la diga di Sardar Sarovar, alta ormai 100 metri (nei progetti arriverà a 136) e costata parecchie centinaia di milioni di dollari, che produce energia elettrica per le città dello stato del Gujarat. E neppure le altre grandi dighe che hanno tagliato il fiume Narmada costringendo quasi un milione di persone a spostarsi o cercare altra terra da coltivare. E' un semplice terrapieno alto due metri che ha fornito energia elettrica a Bilgaon. E' stato realizzato dagli stessi abitanti del villaggio, con la People's School of Energy (Scuola popolare dell'energia) del Kerala, stato dell'India meridionale, e gli attivisti della Narmada Bachao Andolan, «Campagna per salvare la valle di Narmada» (dalle mega dighe). E' un esempio delle «attività di ricostruzione» di cui parla (anche in questa pagina) Medha Patkar, leader riconosciuta del movimento contro le dighe di Narmada. Il lavoro è cominciato circa un anno fa, a metà del 2002. Sei mesi dopo, il primo esempio di «villaggio elettrificato» è stato inaugurato dal ministro per lo sviluppo rurale del Maharashtra (è uno dei tre stati rivieraschi del Narmada. La diga è nel territorio del Gujarat, ma la gran parte del'area sommersa dal lago artificiale si trova negli stati del Madhya Pradesh e in misura minore Maharashtra). Il progetto «hydel» usa l'energia prodotta da una cascata naturale su un piccolo affluente, il fiume Uday. Il terrapieno permette di immagazzinare in un reservoir 150.000 litri d'acqua, che poi è incanalata in una cisterna capace di 30mila litri. L'acqua ne defluisce al ritmo di 400 litri al secondo da un'altezza di 8 metri per azionare una turbina, che a sua volta fa funzionare un generatore al ritmo di 1.500 rotazioni per minuto. Questo basta per dare elettricità a tutte le 12 padas (agglomerati di case) da cui è composto il villaggio, tutti nel raggio di 4 chilometri. Nei mesi in cui il fiume è in piena, il villaggio ha elettricità 24 ore al giorno. Nei mesi di secca l'elettricità è garantita per 4 ore al giorno, dopo l'imbrunire...
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Martoriata da cicloni e monsoni (l' ultimo dei quali, a fine luglio, ha devastato lo Stato del Maharashtra offrendo al mondo immagini apocalittiche di distruzione e di morte), l' India ha sempre dovuto fare i conti con l' acqua. Ma sempre più spesso la violenza della natura è assecondata dagli interventi dell' uomo, responsabile del mutamento climatico cui vanno in parte attribuite le catastrofi naturali: come nel subcontinente indiano, dove - avvertono i 2.500 scienziati del «Panel on Climate Change» - questa collaborazione ha «firmato» i super-cicloni che hanno investito gli Stati dell' Orissa (1995)e dell' Andhra Pradesh (1996), quest' ultimo, il più grave, con un bilancio di duemila morti. Mentre da sempre la minaccia di inondazioni incombe pesantemente, per il surriscaldamento e l' innalzamento del mare, sulle regioni del Golfo del Bengala dove confluiscono in groviglio il Gange, il Brahmaputra e il Meghna. In questo immenso, paludoso estuario si getta anche il Narmada che, con i suoi 1.300 chilometri di percorso, viene annoverato di diritto fra i grandi fiumi dell' India. Ma da parecchi anni, per le popolazioni che vivono lungo le sue sponde, su questo sentimento di sacralità e devozione mistica si è andato via via sovrapponendo un senso, sempre più acuto, di paura: la paura di essere inondati, anzi sommersi dalle sue acque. La costruzione della mastodontica diga di Sardar Sarovar (altezza finale prevista, 138 metri) e di altre dighe - 30 grandi, 135 medie e quasi 3.000 piccole - volute dal governo di Nuova Delhi per attuare «il più vasto e ambizioso progetto per lo sviluppo di una valle mai concepito nella storia dell' uomo» ha intensificato, invece di attenuare, il timore di imminenti catastrofi, essendo ogni struttura di sbarramento inadeguata a contenere la tremenda forza d' urto dell' acqua sprigionata di continuo dai ghiacciai himalayani...

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L'arresto di Medha Patkar, in sciopero della fame contro il “piano Narmada” (Narmada Valley Development Project) è solo l'ultimo episodio di una lotta lunga ormai venti anni contro la distruzione di centinaia di villaggi e di intere vallate e foreste.
Lo sfruttamento delle risorse idriche in India sta portando alla realizzazione di 3.200 dighe sul fiume Narmada e i suoi affluenti. Verso la fine dell'anno scorso è stato celebrato il ventesimo anniversario dell'inizio della resistenza popolare contro questi devastanti progetti che, insieme alla dignità e ai diritti dei nativi, calpestano ogni rispetto per l'ambiente naturale. Interi villaggi sono già scomparsi sotto le acque dei bacini, mentre contadini e popolazioni tribali scompaiono negli slums delle città, cessando di esistere come comunità. A fianco di Medha Paktar si è schierata la scrittrice Arundhati Roy, da sempre in prima linea contro le dighe e per la difesa dei nativi....
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Mentre la maggior parte di noi sono come mesmerizzati dai discorsi sulla guerra e sul terrorismo e sulle guerre contro il terrore - ma si può andare in guerra contro un sentimento? - nello stato di Madhya Pradesh una piccola zattera di fortuna ha dispiegato le vele nel vento. Su un marciapiede di Bhopal, in una zona chiamata "Tin Shed" [Tettoia di lamiera], un piccolo gruppo di persone si è imbarcato in un viaggio di fede e speranza.

Non c'è niente di nuovo in ciò che stanno facendo. Ciò che è nuovo è il clima in cui lo fanno.

Oggi è il ventitreesimo giorno dello sciopero della fame di quattro attivisti del Narmada Bachao Andolan [Salvate il Movimento del Narmada, ndt]. Hanno digiuato due giorni più a lungo di Ganhdi nei suoi digiuni durante la lotta per la libertà. Le loro richieste sono più modeste di quanto lo siano mai state le sue. Stanno protestando contro lo sfratto forzoso da parte del governo del Madhya Pradesh di oltre mille famiglie adivasi per far posto alla diga del Maan. Tutto ciò che chiedono è che il governo metta in atto una propria politica per fornire terra in cambio di terra agli sfollati per la diga. Non vi sono controversie. La diga è stata costruita. Gli sfollati devono essere reinsediati prima che il bacino si riempia con i monsoni e sommerga i villaggi...

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mercoledì 6 aprile 2011

Rapporto Survival sulle grandi dighe


Vale certamente la lettura, per sapere e per capire, che sono sempre i primi passi verso eventuali decisioni e azioni - francesco


Le dighe idroelettriche hanno portato immense sofferenze ai popoli indigeni che, oltretutto, raramente possono

godere dei loro potenziali benefici.

I finanziamenti e il sostegno internazionali garantiti alla costruzione di nuove dighe cominciarono a diminuire alla

fine del XX secolo, quando gli impatti negativi di progetti idroelettrici mal ideati e mal eseguiti divennero sempre più evidenti.

Dieci anni fa, la Commissione Mondiale sulle Dighe riconobbe che le grandi dighe avevano “portato

impoverimento e sofferenza a milioni di individui”, e stabilì standard e linee guida molto fermi per la realizzazione

delle opere future - tra cui la necessità di subordinare i progetti al consenso libero, prioritario e informato dei popoli tribali coinvolti.

L'entusiasmo per le grandi dighe sta tuttavia riemergendo oggi, sospinto dalla lobby internazionale delle dighe

impegnata con tutte le sue forze a dipingere la propria industria come una panacea al problema dei cambiamenti

climatici. La lezione dolorosamente appresa nel scorso secolo è stata ignorata e i popoli indigeni di tutto il mondo

si ritrovano nuovamente messi da parte, con i loro diritti violati e le loro terre distrutte….

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peggio del colonialismo

In Etiopia è in gioco la sopravvivenza di oltre 200.000 persone che abitano la Valle dell’Omo così come tutto l’eco-sistema della zona per via di un’enorme diga in fase avanzata di progettazione. La struttura andrà ad alterare il corso del fiume e le sue tradizionali esondazioni che rendono fertile la piana e permettono alla popolazione di coltivare le terre .L’impatto della diga è invece stato giudicato positivo da parte dell’impresa italiana Salini che se ne è aggiudicata l’appalto!

Il fiume omo scorre per 760 km tra Etiopia, Kenya e Tanzania e dà sostegno economico a diverse tribù, è fonte di alimentazione per miglialia di animali e ha creato un ambiente adatto alla proliferazione di varie specie vegetali. La gigantesca diga alta ben 240 metri, progettata per produrre energia elettrica in un paese, l’Etiopia, che è poverissimo e ha la maggior parte della popolazione sotto la soglia di povertà, si preannuncia faraonico e fuori-scala...

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La diga, che secondo il governo etiope sarebbe già costruita al 40%,fermerà i cicli naturali delle esondazioni da cui dipendono i metodi di coltivazione delle tribù della valle dell’Omo. Benché il governo affermi di poter risolvere il problema ricreando delle “piene artificiali”, lo scorso anno i costruttori della diga hanno svelato dei progetti che prevedono che le tribù “passino a forme più moderne (sic!) di coltivazione” dopo “un periodo di transizione”.

L’imposizione di un cambiamento di questo tipo si rivelerà senza dubbio disastrosa perché comporterà l’eliminazione delle già inadeguate “piene artificiali” in un panorama di totale mancanza di garanzie di mezzi alternativi di sopravvivenza.

“Noi ci nutriamo di quello che ci dà il fiume Omo. Dipendiamo dal pesce che è come il nostro bestiame. Se le piene dell’Omo cessano, moriremo tutti” ha dichiarato un membro della tribù dei cacciatori raccoglitori Kwegu…

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… L’impatto delle grandi dighe sui popoli indigeni è spesso taciuto e profondissimo. La tribù amazzonica degli Enawene Nawe ha appreso che le autorità brasiliane progettano di costruire 29 dighe sui fiumi che scorrono nelle loro terre. Nella sola Amazzonia, i popoli incontattati che saranno colpiti dai progetti idroelettrici sono 5.

I Penan del Sarawak rischiano lo sfratto a causa della diga di Murum mentre la contestata diga GibeIII costruita dall’italiana Salini Costruttori potrebbe condannare le tribù etiopi della bassa Valle dell’Omo alla dipendenza dagli aiuti alimentari. “La nostra terra è diventata cattiva. Hanno chiuso i rubinetti e noi abbiamo fame. Aprite la diga e lasciate scorrere l’acqua” chiede disperato un uomo Kwegu.

Centinaia di indigeni brasiliani si riuniranno in settimana per protestare insieme contro la controversa diga Belo Monte, che minaccia le terre di molte tribù e le fonti di cibo indispensabili alla loro sopravvivenza…

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domenica 3 aprile 2011

Il pescatore e il turista - Heinrich Böll


secondo me, questo racconto potrebbe essere il manifesto della decrescita o la decrescita spiegata ai non economisti - francesco


In un porto della costa occidentale europea un uomo vestito poveramente se ne sta sdraiato nella sua barca da pesca e sonnecchia.
Un turista vestito con eleganza sta appunto mettendo una nuova pellicola a colori nella sua macchina fotografica per fotografare quella scena idilliaca: cielo azzurro, mare verde con pacifiche, candide creste di spuma, barca nera, berretto da pescatore rosso.
Clic. Ancora una volta: clic, e siccome non c’è due senza tre, ed è sempre meglio essere sicuri, una terza volta: clic.
Quel rumore secco, quasi ostile sveglia il pescatore mezzo addormentato, che si drizza pieno di sonno, cerca, pieno di sonno, il suo pacchetto di sigarette, ma prima di averlo trovato lo zelante turista gliene mette già un altro sotto il naso, gli ha infilato una sigaretta non proprio in bocca ma tra le dita, e un quarto clic, quello dell’accendino, conchiude quella sollecita cortesia. Quell’eccedenza quasi impercettibile, assolutamente indimostrabile di scattante cortesia ha provocato un irritato imbarazzo che il turista, il quale conosce la lingua locale, cerca di superare entrando in conversazione.
- Oggi lei farà una buona pesca.
Il pescatore scuote la testa.
- Perché? Non uscirà al largo?
Il pescatore scuote la testa; crescente nervosismo del turista. Deve stargli proprio a cuore il bene di quell’uomo poveramente vestito, e certo lo tormenta il pensiero di quell’occasione perduta.
- Oh, lei non si sente bene?
Finalmente il pescatore passa dal linguaggio dei segni alla parola articolata.

- Mi sento benone, - dice. - Non mi sono mai sentito meglio - .

Si alza, si stira come per far vedere l’atleticità del suo fisico. - Mi sento una cannonata.

Il volto del turista assume un’espressione sempre più infelice, non può più reprimere la domanda che, per così dire, minaccia di fargli scoppiare il cuore:

- Ma allora perché non esce al largo? La risposta arriva subito, asciutta.

- Perché l’ho già fatto stamattina.
- E’ stata una buona pesca?
- Talmente buona che non ho bisogno di uscire un’altra volta, ho preso quattro aragoste, quasi due dozzine di maccarelli…
Il pescatore, finalmente sveglio, ora si scioglie e dà qualche rassicurante pacca sulla spalla al turista. La sua faccia preoccupata gli sembra l’espressione di un’ansia magari fuori posto ma commovente.
- Ne ho persino abbastanza per domani e dopodomani, -dice per sollevare l’animo dello straniero.

- Fuma una delle mie sigarette?
- Sì, grazie.
I due mettono in bocca le sigarette, un quinto clic, lo straniero si siede scuotendo la testa sul bordo della barca, mette da parte l’apparecchio fotografico perché adesso gli servono tutte e due le mani per dare forza al suo discorso.
- Io non voglio immischiarmi nei suoi affari privati, - dice, - ma immagini di uscire al largo, oggi, una seconda, una terza, magari una quarta volta e di pescare tre, quattro, cinque, forse addirittura dieci dozzine di maccarelli… se lo immagini un po’.
Il pescatore annuisce.
- Faccia conto, - continua il turista, - che non solo oggi, ma domani, dopodomani, in ogni giorno favorevole lei esca al largo due, tre, magari quattro volte… lo sa che cosa succederebbe?

Il pescatore scuote la testa.
- In un anno al massimo lei potrebbe comprarsi un motore, entro due anni una seconda barca, fra tre o quattro anni lei potrebbe forse avere un piccolo cutter, con le due barche o il cutter lei naturalmente pescherebbe molto di più. Un bel giorno lei avrebbe due cutter, e allora… -

L’entusiasmo gli strozza la voce per qualche istante.

- Allora lei si costruirebbe una piccola cella frigorifera, magari un affumicatoio, più tardi una fabbrica di pesce in salamoia, andrebbe in giro nel suo elicottero personale, scoprirebbe dall’alto le schiere di pesci e lo comunicherebbe via radio ai suoi cutter. Potrebbe acquistare il diritto alla pesca del salmone, aprire un ristorante specializzato in pesce, esportare direttamente a Parigi, senza intermediari, le aragoste;
e poi… -

Ancora una volta l’entusiasmo impedisce allo straniero di parlare. Scuotendo il capo, afflitto nel profondo del cuore, avendo già quasi perso il piacere delle vacanze, guarda le onde che avanzano dolcemente e dove è tutto un allegro guizzare di pesci non pescati.
- E poi, - dice, ma ancora una volta l’eccitazione lo rende muto.
Il pescatore gli batte sulla schiena come a un bambino a cui sia andato un boccone di traverso.
- Che cosa? - gli chiede sottovoce.
- E poi, - dice lo straniero con un entusiasmo estatico, - e poi lei potrebbe starsene in santa pace qui nel porto, sonnecchiare al sole… e contemplare questo mare stupendo.
- Ma questo lo faccio già, - dice il pescatore, - me ne sto in santa pace qui nel porto e sonnecchio, è solo il suo clic che mi ha disturbato.
Il turista così ammaestrato se ne andò via pensoso, perché un tempo anche lui aveva creduto di lavorare per non dover più lavorare un giorno, e in lui non restava traccia di compassione per quel pescatore poveramente vestito, solo un poco d’invidia.


sabato 2 aprile 2011

Ode al limone - Pablo Neruda

Da quei fiori
sciolti
dalla luce della luna,
da quell’odore d’amore
esasperato,
immerso nella fragranza,
sorse
dall’albero del limone il giallo,
dal suo planetario
discesero i limoni sulla terra.

Tenera merce!
Si riempirono le costiere, i mercati,
di luce, di oro silvestre,
e aprimmo due metà
di miracolo,
acido congelato
che scorreva
dagli emisferi
di una stella,
e il liquore più intenso
della natura, intrasferibile,

vivo, irriducibile,
nacque dalla freschezza
del limone,
della sua casa fragrante,
dalla sua acida, segreta simmetria.

Nel limone i coltelli
han tagliato
una piccola cattedrale
l’abside nascosto
aprì alla luce le acide vetrate
e in gocce
scivolarono i topazi,
gli altari,
la fresca architettura.

Così, quando la tua mano
impugna l’emisfero
del tagliato
limone sul tuo piatto,
un universo d’oro spargi,
una coppa gialla
con miracoli,
uno dei capezzoli profumati
del petto della terra,
il raggio della luce ch’è diventato frutta,
il fuoco minuto di un pianeta.


aquì en español

venerdì 1 aprile 2011

popoli dello Xingu


se il cinema potesse...- francesco

Da Avatar all’Amazzonia, dalla fantascienza alla realtà più drammatica. Quella del polmone verde del pianeta minacciato dalla deforestazione e dallo sfruttamento selvaggio delle sue risorse naturali. Un pianeta Avatar, ma vero, in pericolo. James Cameron, regista visionario e pieno di talento, padre del campione di incassi Avatar, ha voluto incontrare i veri «uomini azzurri», gli indios brasiliani sulle rive di uno dei fiumi simbolo dell’Amazzonia, il Rio Xingu. Molti di loro hanno percorso decine di chilometri in canoa per incontrarlo. Ma ne è valsa la pena. Appena arrivati si sono infatti trovati davanti al regista, uno degli uomini d’oro di Hollywood, con il viso disegnato come il loro, con linee orizzontali arancioni che simboleggiano il serpente che lotta per afferrare la sua preda.

«Il serpente uccide lentamente», ha spiegato Cameron alla platea di indios attorno a un gigantesco albero amazzonico. «È così che il mondo occidentale avanza lentamente dentro la foresta impossessandosi di tutto». E neanche a farlo apposta un serpente velenoso, come in un film, pochi secondi dopo è caduto per terra a pochi metri dal punto in cui era seduta la moglie del regista. Grida, panico, ma poi il serpente viene ucciso dagli indios, che poi per ringraziare gli spiriti si mettono a danzare coinvolgendo Cameron e consorte...