giovedì 14 aprile 2011

Papalagi - Discorsi del Capo Tuiavii di Tiavea delle Isole Samoa


L'ho letto tanti anni fa, nelle edizioni "Millelire", una scoperta bellissima. Ne ho regalato qualche decina di copie nel tempo, nessuno ha mai protestato. Se non lo conosci o vuoi fare un ripasso, puoi leggerlo o scaricarlo qui.
(il Papalagi, scoprirai leggendo, è l'uomo bianco o civilizzato) - francesco


Introduzione
Non era mai stata intenzione di Tuiavii presentare in Europa o dare al/e stampe questi discorsi: erano stati pensati esclusivamente per i suoi fratelli polinesiani. Se io trasmetto i discorsi di quest'indigeno al pubblico dei lettori europei, senza che lui ne sia a conoscenza e sicuramente contro la sua volontà, lo faccio nella convinzione che possa essere importante anche per noi, bianchi e colti, vedere la nostra civiltà con gli occhi di una persona ancora strettamente legata alla natura. Questi discorsi non sono altro che un'esortazione a tutti i
popoli primitivi dei mari del sud, a tenersi lontani dai popoli illuminati del continente europeo. Tuiavii, lo spregiatore dell'Europa, viveva nella profonda convinzione che i suoi antenati avevano commesso un errore enorme a farsi incantare dalle luci dell'Europa.
Tuiavii aveva nella massima misura la capacità di guardare le cose senza pregiudizi. Niente poteva abbagliarlo,
nessuna parola poteva distoglierlo dalla verità. Vedeva, per così dire, la cosa in sé.
Lui, l'isolano incolto, considera un errore, un vicolo cieco, tutte le conquiste della cultura europea. Non riesce a capire in cosa consista l'alto valore della cultura europea, dal momento che allontana l'uomo da se stesso, lo rende inautentico, innaturale e peggiore. «Credete di portarci la luce, e in realtà vorreste trascinarci nella vostra oscurità. »
A mio avviso il valore dei discorsi di Tuiavii, e la ragione della loro pubblicazione, sta per noi Europei nella loro
schiettezza e totale mancanza di riguardi, alla maniera dei fanciulli.


…Viene comunicato tutto quello che avviene e cosa fanno e non fanno gli uomini; i loro pensieri buoni e cattivi, e anche se hanno macellato un pollo o un maiale o se si sono costruiti una nuova canoa. Non avviene niente in tutto il paese, che questa stuoia non racconti coscienziosamente. Il Papalagi lo chiama: «Essere ben informato su tutto». Vuoi essere informato su tutto quello che avviene nel suo Paese da un tramonto all'altro. Si infuria se gli sfugge qualcosa. Ingoia tutto avidamente. Anche se si tratta di atrocità di ogni tipo, che chi è sano di mente preferisce dimenticare in fretta. E invece proprio queste cose brutte e dolorose vengono descritte fin nei minimi particolari, più di quelle belle, come se non fosse molto più importante e gratificante comunicare il bene piuttosto che il male.

Quando leggi il giornale non c'è bisogno che tu vada fino ad Apolima, Manono o Savaii per sapere cosa fanno, pensano o festeggiano i tuoi amici. Puoi startene steso tranquillamente sulla tua stuoia e le molte carte ti raccontano tutto. Questo sembra molto bello e comodo, ma è un'idea sbagliata. Perché se quando incontri il tuo fratello avete tutti e due la testa nelle molte carte, nessuno avrà da dire all'altro niente di nuovo o di particolare, perché ognuno ha nella testa le stesse cose, e allora state zitti oppure vi ripetete solo quel che hanno detto le carte. Ma è sempre un'esperienza più forte gioire insieme di una festa o soffrire per un dolore, anziché farsi raccontare tutto da bocche estranee senza aver visto niente con i propri occhi.

Ma a danneggiare il nostro spirito non è tanto il fatto che il giornale ci racconti cosa succede, ma che ci dica anche cosa dobbiamo pensare di questo e di quello, dei nostri grandi capi o di quelli degli altri Paesi, di tutto quel che succede e di quel che fanno gli uomini. Il giornale vorrebbe che tutti pensassero come se avessero la stessa testa, e combatte contro la mia testa e il mio pensiero.

Vuole che ognuno abbia la sua stessa testa e il suo stessopensiero. E ci riesce. Se la mattina leggi le molte carte, a mezzogiorno sai cosa ha in t e s ta e cosa pensa ogni Papalagi. Il giornale è anche una specie di macchina: produce quotidianamente molti nuovi pensieri, molto più numerosi di quanto possa fare una sola testa. Ma la maggior parte dei pensieri sono deboli, senza fierezza e senza forza, riempiono la nostra testa di tanto nutrimento, ma non la rafforzano. Potremmo riempire la nostra testa di sabbia con gli stessi risultati. Il Papalagi colma la sua testa con quest'inutile nutrimento di carta. Prima che sia riuscito ad allontanarne uno, ne assorbe già uno nuovo. La sua testa è come le paludi delle mangrove, che soffocano nella loro stessa fanghiglia e nelle quali non cresce più niente di verde e fecondo, dove salgono solo odori disgustosi e ronzano insetti pungenti.

Il luogo della finta vita e le molte carte hanno reso il Papalagi quel che è: un uomo debole e confuso, che ama ciò che non è reale, e che non riesce più a riconoscere quel che è reale, che confonde l'immagine della luna con la luna stessa e uno stuoia scritta con la vita stessa…

da qui

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