venerdì 27 marzo 2015

Decalogo del paesologo provvisorio - Franco Arminio

Pensa che si muore e che prima di morire tutti hanno diritto a un attimo di bene.
Ascolta con clemenza.
Guarda con ammirazione le volpi, le poiane, il vento, il grano.
Impara a chinarti su un mendicante, ad accarezzare un cane.
Cerca continuamente parole migliori.
Impara a sentire l’energia del dolore, della vecchiaia, della povertà e della disperazione.
Coltiva il tuo rigore e lotta fino a rimanere senza fiato.
Vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo, dai tutto te stesso, senza avarizia, senza remore.
Diffida della ragione, dei ragionamenti, della freddezza stitica, dei cuori rinsecchiti.
Non limitarti a galleggiare, scendi verso il fondo anche a rischio di annegare.
Sorridi di questa umanità che si aggroviglia su se stessa e cedi la strada agli alberi.

giovedì 19 marzo 2015

#SalvaUnAgnello – La campagna per chi non può difendersi

Giovanni ricorda qui la campagna #SalvaUnAgnello.



Animal Equality è in prima fila in questa opera "cristiana", fra quelli che uccidono l'agnello di Dio e quelli che lo difendono (qui il loro sito e qui la campagna #SalvaUnAgnello)

anche i cattolici vegetariani (qui il loro sito) non frequentano mattatoi e macellerie.









martedì 17 marzo 2015

Agrihood, fattoria comunitaria - Beth Buczynski

Avete mai desiderato vivere in un Community Supported Agriculture (CSA)? O spostarvi in un quartiere dove tutti sono entusiasti come voi di poter avere cibo fresco e sano?
Negli Stati Uniti la popolazione sta abbracciando la produzione alimentare locale in un modo nuovo ed esaltante: si tratta degli agrihoods, nuovi quartieri in cui la la filiera (corta!) di produzione alimentare, gestita in modalità cooperativa, è realmemte a KM0. Invece di essere costruiti intorno ad una piscina o a un campo da tennis, i comprensori vengono realizzati, spesso dai residenti stessi, avendo come centro la fattoria, creando così un sistema alimentare sostenibile per l’intera comunità.
Naturalmente gli orti comunitari, l’agricoltura urbana, e il co-housing non sono nulla di nuovo, ma come dimostra la rapida crescita degli agrihoods, le famiglie sono desiderose concertare i proprio sforzi per creare un nuovo assetto abitativo, spesso a prezzi uguali o inferiori a quelli di un tradizionale quartiere di periferia.
Anche se sono appena nati, gli agrihoods si stanno diffondendo in tutti gli Stati Uniti; abbiamo raggiunto una dozzina di comunità già attive o in via di sviluppo in modo da poter capire meglio come questa tendenza incoraggi la condivisione, la collaborazione e l’adozione di una dieta più sana e più rispettosa dell’ambiente.

I 12 Agrihoods che stanno generando Comunità sostenibili...

domenica 15 marzo 2015

DNA, salute e prevenzione - Giovanni Peronato

basta prenotare una prescrizione medica»: così «Corriere del Veneto» (qui)
La prevenzione costa meno della cura, è lapalissiano. Così, conoscendo in anticipo le malattie cui andremo incontro durante il resto della vita, potremo batterle sul tempo. Il ragionamento sembra non fare una piega. Con queste premesse si è arrivati a una metodica innovativa che viene dal privato: «è triste che ci si debba sostituire alla sanità pubblica» dice Massimo Delledonne, ideatore della procedura che avrà un notevole risvolto commerciale.
Ma fermiamoci un attimo a ragionare. Alcuni anni fa negli Usa era stato proposto un test (ipotetico) completamente gratuito per conoscere il rischio di andare incontro a un tumore al pancreas. Il 60% del campione aveva accettato ma dopo aver ricevuto l’informazione che comunque non c’era alcuna terapia valida solo il 13% rimaneva intenzionato a sottoporsi al test.
Ognuno di noi “ospita” qualche anomalia nel proprio Dna. Ognuno di noi è più o meno a rischio per qualche malattia: saperlo in anticipo ci renderebbe tutti malati con una forte probabilità di sovradiagnosi. Sapere in anticipo se abbiamo più rischi di andare incontro a maculopatia degenerativa, piuttosto che diabete o infarto, ci renderà più sani? Sapere che andremo incontro a un cancro alla mammella aumenterà le mastectomie bilaterali alla Angelina Jolie? Sapere che andremo incontro a un cancro della prostata vuol dire che passeremo il resto della vita impotenti e incontinenti dopo una prostatectomia preventiva? Quanta ansia quando sapremo e dovremo agire di conseguenza con amare decisioni, per non parlare di una vita passata in attesa di una malata incurabile!
Conoscere il nostro genoma è la vera strada verso la prevenzione, verso una salute migliore?
Ognuno è libero di scegliere ma la vera prevenzione si fa innanzitutto attuando uno stile di vita corretto: forse prima di sborsare 3.500 € per la lettura del genoma dovremmo porci qualche domanda.
(*) Giovanni Peronato è medico reumatologo, già internista ospedaliero, e fa parte del coordinamento del gruppo «No grazie» che opera contro il conflitto di interessi fra medicina e industria farmaceutica. Info su www.nograzie.eu

Come portare a scuola i bimbi mendicanti - Jemy Harianto

Ci sono 98 studenti nella Skb. Sono tutti bambini provenienti da zone degradate, che non hanno avuto la possibilità di seguire la normale formazione nelle scuole pubbliche. Hanno dai 3 ai 17 anni e lavoravano come mendicanti, spazzini o raccoglitori d’immondizia.
Seppur nata da soli due anni, la Sekolah Khatulistiwa Berbagi (scuola equatoriale della condivisione) o Skb conta già molti simpatizzanti tra cittadini, studenti, attivisti e professionisti, che s’impegnano a dare una mano per garantire la formazione dei bambini.
La scuola nasce dall’idea di una ragazza di 26 anni, Anggia Anggraini, preoccupata per la sorte dei bambini poveri nella città di Pontianak. “Sono ancora così piccoli, hanno un futuro davanti a sé. Non devono vivere per strada e diventare mendicanti o spazzini. Non sono solo poveri, ma si vedranno strappati dai loro sogni. Non può essere così. Dobbiamo aiutarli. Perché sono vittime innocenti della discriminazione portata avanti da un sistema educativo così materialista”.
Quando decise di buttarsi nel sociale, Anggia frequentava la facoltà di medicina a Jogjakarta. Decise di fermarsi al quarto semestre per tornare e dedicarsi al suo villaggio natale. Da sola, utilizzando le proprie risorse nelle zone più povere per insegnare ai bambini.
Inizialmente è stato molto difficile cambiare il modo di pensare dei bambini, già di piccolissimi abituati a lavorare e guadagnare denaro.
“Molto difficile davvero. Oltre ai bambini, anche i genitori non davano loro il permesso, per vari motivi. Ma ho cercato di capire, e non ho voluto rinunciare,” afferma Anggia.
Alla fine, la giovane donna ha provato un altro metodo. Sapeva che il fattore economico era la ragione per cui la gente rifiutava la sua campagna ed il suo programma. Per questo, ogni qualvolta si dedicava all’insegnamento, portava con sé beni come riso, cibo ed altro, da donare alle famiglie.
“Accettai la sfida. All’inizio, quando la mia scuola aprì, era circondata dalla spazzatura,” racconta Anggia. La Sekolah Khatulistiwa Berbagi sopravvisse per soli tre mesi in quel villaggio. Le attività didattiche venivano contestate dai residenti della zona e Anggia fu accusata d’insegnare una forma di pensiero fuorviante. “Lo capisco. La buona volontà è sempre vista con cinismo. Ma io non mi sono arresa, perché anche questo fa parte della mia lotta”, sorride Anggia.
Alla ricerca di un posto fisso, attualmente la scuola si trova all’interno dell’edificio di una scuola dell’infanzia privata, nel centro della città di Pontianak.
Ai bambini è vietato utilizzare i servizi di questa scuola, poiché non pagano la retta, e c’è anche la possibilità che il proprietario li mandi via. Eppure lo stabile in cui ora sorge la Sekolah Khatulistiwa Berbagi era una ex costruzione abbandonata, in condizioni precarie. Prima che, lentamente, venisse ristrutturata da Anggia ed i suoi amici.
“Ci intenerisce vedere questi bambini. Ma questa è la prova che c’è ancora discriminazione nel nostro paese, nei confronti dei bambini poveri,” afferma la giovane donna, nata nel 1988.
Per soddisfare le esigenze dei piccoli studenti dell’SKB, oltre ad utilizzare una parte consistente del proprio denaro, Anggia riceve anche donazioni da volontari e dalla gente locale che ha a cuore l’educazione offerta, anche se di natura non continuativa.
“I miei amici e volontari mi aiutano a raccogliere fondi ogni mese. Mentre le donazioni che ricevo dalla comunità della zona consistono solitamente in oggetti, quali libri, vestiti, beni di base e quant’altro,” spiega Anggia.
Il metodo di studio
La Sekolah Khatulistiwa Berbagi segue un modello di insegnamento che prevede il gioco anche nell’educazione formale. I bambini più piccoli sono seguiti da un gruppo di dieci volontari che insegnano loro a leggere e contare.
“Sono soddisfatta dei miei amici volontari. Sono così motivati. Anche se hanno avuto un background formativo e lavorativo molto diverso, sono sempre professionali. Loro sanno che cosa dev’essere fatto,” dichiara Anggia.
Secondo la giovane fondatrice, il modello d’insegnamento della sua scuola non può essere equiparato all’educazione degli studenti nelle scuole normali. I bambini ai margini che frequentano la scuola richiedono un trattamento speciale in grado di cambiare il loro atteggiamento con fermezza e compassione. La formazione del loro carattere è una priorità nella loro educazione. Ma “non bisogna dimenticare che qui insegniamo anche le lingue straniere”.
I bambini, inoltre, sono incoraggiati a continuare poi la loro educazione presso una delle regolari scuole pubbliche. Ed alcuni bambini già lo hanno fatto.
“Questo è il nostro obiettivo. La nostra scuola prepara i bambini, noi poi lottiamo affinché possano frequentare le scuole pubbliche. I risultati sono incredibili. I ragazzi della scuola che si sono inseriti negli istituti di formazione regolare hanno sempre mostrato buone prestazioni in aula”, esclama Anggia.
Educare alla tolleranza
I bambini della Sekolah Khatulistiwa Berbagi provengono da gruppi etnici e religiosi differenti. Oltre ai ragazzi musulmani, che costituiscono la maggioranza, vi sono anche molti cristiani, induisti e buddisti. Per questo motivo l’SKB educa alla tolleranza. Non solo in modo teorico, ma anche pratico.
Per esempio, nel mese del Ramadan, i bambini che professano altre religioni sono tenuti a rispettare i bambini musulmani che digiunano. Ed allo stesso modo, quando i bambini che professano altre fedi digiunano, gli alunni musulmani devono portare il massimo rispetto.
“Io sono musulmana, ma alcuni miei parenti sono cristiani. Così noi chiediamo sempre ai bambini di rispettarsi l’uno con l’altro. E una vita fondata sulla tolleranza è una realtà stupenda,” sorride Anggia mentre ricorda che ai bambini dell’SKB viene chiesto di ricordarsi a vicenda i precetti dei culti altrui.
“C’è solo una conseguenza che applichiamo ai bambini che non ricordano i comandamenti delle religioni altrui. Essi sono tenuti a leggere i Testi Sacri fra di loro. E lo fanno sempre con entusiasmo,” spiega.
Inoltre, viene fornita anche una formazione professionale ai bambini, come corsi di cucina, di agricoltura e di pesca. Ma non basta, in futuro vorrebbe avere un edificio di sua proprietà per aiutare i bambini a raggiungere i loro sogni, e della terra, per lasciarli fare pratica. “Perché siamo stanchi di essere espulsi e sballottati da un luogo all’altro. E le nostre speranze in un aiuto dal governo, per ora, sono state vane”.
da qui

martedì 10 marzo 2015

Gaza abile diversamente - Chiara Cruciati

Nella Striscia 34 donne disabili lanciano micro imprese per uscire dall’assedio sociale e da quello israeliano. Allevamenti, centri estetici e ricamo per superare l’embargo e abbattere le barriere culturali e l’assenza di servizi.– La strada è vuota. Gli squarci lasciati dai missili sui muri delle case sono quanto resta dell’attacco della scorsa estate. Lungo questa via polverosa in poche ore morirono un centinaio di persone, rappresaglia contro Rafah per la presunta cattura di un soldato israeliano, ci dice Abed mentre arriviamo di fronte alla casa di Heyam. Il padre ci accoglie nel cortile, alberi da frutto e viti. Heyam arriva e ci porta a vedere il suo tesoro. Tra fango e becchime, cammina soddisfatta in mezzo a 1.500 galline. Si piega un po’ e lancia altro becchime. Heyam è disabile da quando il marito l’ha picchiata così forte da mandarla in ospedale, compromettendole per sempre la schiena. Da allora è costretta a sedute di fisioterapia continue. La famiglia la sostiene nel nuovo lavoro che si è inventata: allevamento di polli, che vende al mercato. «Ho iniziato a settembre, con il finanziamento ricevuto ho comprato i primi 1.500 polli. Li ho venduti tutti e con il ricavato ne ho comprati altri 1.500. E così via». Il padre le resta sempre vicino: dopo il divorzio la sua grande famiglia l’ha riaccolta in casa e oggi tutti aiutano nel progetto del pollaio. «Senza l’appoggio di mio padre sarebbe stato difficile – continua Heyam – Ma i miei fratelli mi danno una mano. La crisi è dura: lavoravano nelle costruzioni ma di materiali a Gaza non ne entrano, i cantieri sono fermi. La mia famiglia sopravvive grazie alle mie galline». Una vittoria non da poco: per una donna disabile di Rafah è normale restare esclusa dalla società e dal mercato del lavoro. Una delle categorie più marginalizzate, per il ruolo che alla donna viene attribuito: la persona che si prende cura della casa e cresce i bambini .Su questo punta l’Ong italiana EducAid che a Gaza ha lanciato insieme a due partner locali un progetto di micro finanziamento per donne con disabilità: dopo un training in management, alle donne sono stati consegnati 2.500 euro con cui avviare la loro attività, diventare indipendenti economicamente, sostenere la famiglia, prendere consapevolezza dei propri diritti e capacità. Una sfida in un fazzoletto di terra massacrato dagli attacchi israeliani e dal doppio assedio di Tel Aviv e del Cairo, dove la disoccupazione è alle stelle e il ritorno alla normalità è uno sforzo quasi insopportabile. «Ho preso coscienza delle mie abilità – conclude Heyam – Prima ero quella che veniva sostenuta, oggi sono io a sostenere la mia famiglia. Prendo decisioni da sola e non ho più paura di affrontare la società fuori e le barriere che pone alle donne disabili». Barriere che potrebbero sembrare insormontabili. A El Amal, centro di riabilitazione di Rafah, lo sembrano di meno. Partner locale di EducAid, segue il progetto di micro finanziamento a sud della Striscia, a Rafah e Khan Younis. Fondata nel 1991, prima associazione a lavorare a sud con disabili, oggi è un fiore all’occhiello: una scuola per bambini non udenti, un asilo, una clinica per le diagnosi, un’altra per la terapia, programmi di formazione per sordi, un club per giovani che organizzano attività culturali e sportive. «Prima del 1991, a Rafah non esistevano centri per disabili – spiega al manifesto Darwish Abu Jihad, il direttore di El Amal – Durante la prima Intifada decidemmo di aprire un centro per persone con disabilità: ci presero per pazzi. Conducemmo una ricerca e accertammo la presenza di almeno 3.700 disabili solo a Rafah. Non è stato facile: molte famiglie tendono a nascondere la disabilità, la vivono come uno stigma, una punizione, e quindi la giustificazione all’esclusione sociale». «Oggi molte cose sono cambiate: sono le stesse famiglie a chiederci di far inserire i figli nei nostri programmi. Ma la partecipazione attiva è ancora scarsa: iscrivono i figli, ma non prendono parte al percorso per mancanza di tempo, denaro o per la semplice incapacità di compiere un passo in più. Lasciano che se ne occupino le Ong». A pagarne le spese sono soprattutto le donne, aggiunge Abu Jihad, già marginalizzate. E lo stato di assedio peggiora le cose: «La mancanza di fondi pubblici e l’insostenibilità economica della nostra società impedisce la creazione di servizi, infrastrutture accessibili, assenti spesso anche per i non disabili». Nel profondo sud di Gaza, nella città di confine di Rafah, l’assedio colpisce ancora più forte. Ponte di collegamento con l’Egitto, gli oltre mille tunnel che dopo il 2007 i gazawi hanno costruito per aprirsi al mondo e vincere l’embargo israeliano sono scomparsi. Bombardati o allagati dalle autorità egiziane guidate dal presidente anti-islamista al-Sisi, la cui crociata per distruggere i Fratelli Musulmani si traduce nel soffocamento dei civili gazawi. Le migliaia di lavoratori dei tunnel e dell’indotto hanno perso il lavoro e Rafah si è ripiegata su se stessa. La Gaza della miseria la incontriamo nel vicolo che porta alla casa di Nida’a. Un bambino in bicicletta alza la polvere, una donna stende i vestiti di fronte l’uscio di casa. Nida’a dal primo ottobre ha avviato il suo progetto, allevamento di conigli. La vendita va bene e Nidaa ha usato il denaro guadagnato per comprare anche piccioni e colombe. In mezzo all’odore di varichina, prende in braccio uno dei conigli: «Il giorno prima della vendita vado al mercato per capire i prezzi. La carne di coniglio costa di più di quella di pollo: 20-25 shekel al chilo. Li porto al mercato quando l’Autorità Palestinese paga gli stipendi, così la gente ha soldi da spendere» «Questi conigli per me rappresentano l’indipendenza, la possibilità di mostrare alla comunità che valgo. So cosa significa marginalizzazione. A causa delle continue operazioni non riuscivo a seguire le lezioni e restavo sempre un passo dietro gli altri. La mancanza di educazione e l’impossibilità di trovare un lavoro mi ha fatto sentire un’esclusa per anni. Ma ora produco, lavoro, gestisco la mia attività». È l’obiettivo di El Amal e EducAid: «Il progetto è partito ad aprile – ci spiega Doha, project coordinator dell’associazione palestinese – Abbiamo lanciato corsi di formazione su media e management finanziario. Poi abbiamo selezionato in tutta Gaza 34 donne disabili, a cui abbiamo consegnato il finanziamento per l’avvio delle attività: laboratori di ricamo, allevamento, negozi di accessori, centri estetici. È un successo: non si sentono più delle escluse, sono diventate economicamente indipendenti, molto spesso sono la fonte di sostentamento di un’intera famiglia. Prima la mancanza di denaro le estrometteva dall’accesso ai servizi. Cambia la prospettiva delle donne stesse: ora si percepiscono come un soggetto con un ruolo sociale, prima tendevano ad autoescludersi». EducAid, El Amal e Social Development Forum, il secondo partner locale a Gaza City, monitoreranno i progetti fino a marzo, poi le donne – che raccontano le loro storie nel magazine “Voice of Women” – proseguiranno le loro attività da sole. Tra loro anche Sawsan El Khalili, che a Gaza City ha aperto un negozio di ricamo. Da anni attiva nel settore della disabilità, è stata volontaria nella General Union for Disabled People e ha girato Europa e Medio Oriente a raccontare la condizione di vita dei disabili in Palestina. «Quando la mia attività sarà partita, assumerò un’altra donna disabile perché mi aiuti in negozio. È il mio modo per rivendicare i miei diritti e per combattere l’esclusione sociale che ti colpisce fin dai tempi della scuola. L’assedio completa il quadro: non entrano supporti motori, sedie a rotelle, medicinali. E se devi farti curare, uscire dalla Striscia è impossibile. Siamo vittime di troppi assedi: quello israeliano, quello sociale, quello dentro cui noi stesse ci chiudiamo. Io non ci sto: mi riconosco da sola i miei diritti perché ho mille abilità e sono un’opportunità per la comunità, non un peso».

sabato 7 marzo 2015

La vita di un maiale ai giorni nostri - Kyle Kelleher (13 anni)



da qui

coccodrilli e maiali

Braccato, messo all'indice, emarginato. Il porcetto diventa clandestino. Un simbolo a metà tra identità e pinguità, tra il cuore e lo stomaco, viene cancellato dalla gastrocrazia dell'Expo. Niente maiale sardo per gli stand di Milano.
Ma come se l’orgoglio culinario-identitario non fosse ferito a sufficienza, i beffardi burocrati dell’Expo danno il via libera alle braciole di coccodrillo e alle ciotole di insetti. Tutto vero. Tutto deciso a colpi di decreti del ministero della Salute. Perché nei prossimi mesi esportare il maiale sardo resterà vietato, importare la carne di coccodrillo no…


domanda:
e se non si mangiassero né coccodrilli né maiali?

martedì 3 marzo 2015

Non avere alcun diritto di piangere - Domenico Finiguerra

Voi che vi riempite la bocca di parole trite e ritrite: “crescita, sviluppo, competitività”. Ripetute come un mantra per nascondere il vuoto delle vostre idee. Dogmi imparati come scolaretti per essere promossi dalle maestrine di Confindustria e dei mercati finanziari.
Non avete alcun diritto di piangere! Voi che quando siete seduti sulle comode poltrone a Porta a Porta vi lanciate, l’uno contro l’altro le medesime ricette stantie: “Dobbiamo rilanciare le grandi opere, dobbiamo far ripartire l’edilizia, ci vuole un nuovo piano casa, forse anche un nuovo condono”.
Non avete alcun diritto di piangere! Voi che con il fazzoletto verde nel taschino avete chiesto il voto per difendere la pianura padana da invasioni di ogni genere e poi dagli assessorati comunali, provinciali e regionali avete vomitato sulle campagne padane la vostra porzione di metri cubi di cemento, insieme a tutti gli altri.
Non avete alcun diritto di piangere! Voi che avete giurato fedeltà alla Costituzione ma poi non ne rispettate l’art. 9: “La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione”, e approvate piani regolatori che hanno come unico obiettivo quello di svendere il territorio e di fare cassa con gli oneri di urbanizzazione.
Non avete alcun diritto di piangere! Voi che, con l’arroganza di chi non ha argomenti, denigrate chiunque si opponga alla vostra furia predatoria di saccheggiatori del territorio. Voi che, con il risolino di chi è sicuro del potere che detiene, ridicolizzate tutti i giorni i comitati, gli ambientalisti, le associazioni, i cittadini, che mettono in guardia dai pericoli e dal dissesto idrogeologico creati dalle vostre previsioni edificatorie.
Non avete alcun diritto di piangere! Voi che siete la concausa delle catastrofi alluvionali, dovute alla sigillatura e all’impermeabilizzazione della terra operate dalle vostre espansioni urbanistiche, dai vostri centri commerciali, dai vostri svincoli autostradali. Voi che avete costruito il vostro consenso grazie alle grandi speculazioni edilizie, ai grandi eventi, alle grandi opere o anche alla sola promessa di realizzarle.
Non avete alcun diritto di piangere. Nessun diritto di piangere le dieci vittimedell’ennesima alluvione ligure. Né le vittime di tutte le precedenti catastrofi causate anche dalla vostra ideologia. Perché voi, iscritti e dirigenti del Partito del Cemento, siete i veri estremisti di questo paese.
Siete i veri barbari di questo nostro paese. Siete la vera causa del degrado ambientale, della violenza al paesaggio e dello sprofondamento del paese nel fango.
No. Non avete alcun diritto di piangere.
Gli italiani dovrebbero cominciare a fischiarvi e cacciarvi dai funerali. E gli italiani dovrebbero smettere di pregare davanti alle vostre altissime gru, totem di un modello di sviluppo decotto e decadente, che prima di collassare, rischia di annientare i beni comuni di questi Paese, di questo pianeta.
da qui