Nella Striscia 34 donne disabili
lanciano micro imprese per uscire dall’assedio sociale e da quello israeliano. Allevamenti, centri estetici e ricamo per
superare l’embargo e abbattere le barriere culturali e l’assenza di servizi.–
La strada è vuota. Gli squarci lasciati dai missili sui muri delle case sono
quanto resta dell’attacco della scorsa estate. Lungo questa via polverosa in
poche ore morirono un centinaio di persone, rappresaglia contro Rafah per la
presunta cattura di un soldato israeliano, ci dice Abed mentre arriviamo di
fronte alla casa di Heyam. Il padre ci accoglie nel cortile, alberi da frutto e
viti. Heyam arriva e ci porta a vedere il suo tesoro. Tra fango e becchime,
cammina soddisfatta in mezzo a 1.500 galline. Si piega un po’ e lancia altro
becchime. Heyam è disabile da quando il marito l’ha picchiata così forte da
mandarla in ospedale, compromettendole per sempre la schiena. Da allora è
costretta a sedute di fisioterapia continue. La famiglia la sostiene nel nuovo
lavoro che si è inventata: allevamento di polli, che vende al mercato. «Ho
iniziato a settembre, con il finanziamento ricevuto ho comprato i primi 1.500
polli. Li ho venduti tutti e con il ricavato ne ho comprati altri 1.500. E così
via». Il padre le resta sempre vicino: dopo il divorzio la sua grande famiglia
l’ha riaccolta in casa e oggi tutti aiutano nel progetto del pollaio. «Senza l’appoggio
di mio padre sarebbe stato difficile – continua Heyam – Ma i miei fratelli mi
danno una mano. La crisi è dura: lavoravano nelle costruzioni ma di materiali a
Gaza non ne entrano, i cantieri sono fermi. La mia famiglia sopravvive grazie
alle mie galline». Una vittoria non da poco: per una donna disabile di Rafah è
normale restare esclusa dalla società e dal mercato del lavoro. Una delle
categorie più marginalizzate, per il ruolo che alla donna viene attribuito: la
persona che si prende cura della casa e cresce i bambini .Su questo punta l’Ong
italiana EducAid che a Gaza ha lanciato insieme a due partner locali un
progetto di micro finanziamento per donne con disabilità: dopo un training in
management, alle donne sono stati consegnati 2.500 euro con cui avviare la loro
attività, diventare indipendenti economicamente, sostenere la famiglia,
prendere consapevolezza dei propri diritti e capacità. Una sfida in un
fazzoletto di terra massacrato dagli attacchi israeliani e dal doppio assedio
di Tel Aviv e del Cairo, dove la disoccupazione è alle stelle e il ritorno alla
normalità è uno sforzo quasi insopportabile. «Ho preso coscienza delle mie
abilità – conclude Heyam – Prima ero quella che veniva sostenuta, oggi sono io
a sostenere la mia famiglia. Prendo decisioni da sola e non ho più paura di
affrontare la società fuori e le barriere che pone alle donne disabili».
Barriere che potrebbero sembrare insormontabili. A El Amal, centro di
riabilitazione di Rafah, lo sembrano di meno. Partner locale di EducAid, segue
il progetto di micro finanziamento a sud della Striscia, a Rafah e Khan Younis.
Fondata nel 1991, prima associazione a lavorare a sud con disabili, oggi è un
fiore all’occhiello: una scuola per bambini non udenti, un asilo, una clinica
per le diagnosi, un’altra per la terapia, programmi di formazione per sordi, un
club per giovani che organizzano attività culturali e sportive. «Prima del
1991, a Rafah non esistevano centri per disabili – spiega al manifesto Darwish
Abu Jihad, il direttore di El Amal – Durante la prima Intifada decidemmo di
aprire un centro per persone con disabilità: ci presero per pazzi. Conducemmo
una ricerca e accertammo la presenza di almeno 3.700 disabili solo a Rafah. Non
è stato facile: molte famiglie tendono a nascondere la disabilità, la vivono
come uno stigma, una punizione, e quindi la giustificazione all’esclusione
sociale». «Oggi molte cose sono cambiate: sono le stesse famiglie a chiederci
di far inserire i figli nei nostri programmi. Ma la partecipazione attiva è
ancora scarsa: iscrivono i figli, ma non prendono parte al percorso per
mancanza di tempo, denaro o per la semplice incapacità di compiere un passo in
più. Lasciano che se ne occupino le Ong». A pagarne le spese sono soprattutto
le donne, aggiunge Abu Jihad, già marginalizzate. E lo stato di assedio
peggiora le cose: «La mancanza di fondi pubblici e l’insostenibilità economica
della nostra società impedisce la creazione di servizi, infrastrutture
accessibili, assenti spesso anche per i non disabili». Nel profondo sud di
Gaza, nella città di confine di Rafah, l’assedio colpisce ancora più forte.
Ponte di collegamento con l’Egitto, gli oltre mille tunnel che dopo il 2007 i
gazawi hanno costruito per aprirsi al mondo e vincere l’embargo israeliano sono
scomparsi. Bombardati o allagati dalle autorità egiziane guidate dal presidente
anti-islamista al-Sisi, la cui crociata per distruggere i Fratelli Musulmani si
traduce nel soffocamento dei civili gazawi. Le migliaia di lavoratori dei
tunnel e dell’indotto hanno perso il lavoro e Rafah si è ripiegata su se
stessa. La Gaza della miseria la incontriamo nel vicolo che porta alla casa di
Nida’a. Un bambino in bicicletta alza la polvere, una donna stende i vestiti di
fronte l’uscio di casa. Nida’a dal primo ottobre ha avviato il suo progetto,
allevamento di conigli. La vendita va bene e Nidaa ha usato il denaro
guadagnato per comprare anche piccioni e colombe. In mezzo all’odore di
varichina, prende in braccio uno dei conigli: «Il giorno prima della vendita
vado al mercato per capire i prezzi. La carne di coniglio costa di più di
quella di pollo: 20-25 shekel al chilo. Li porto al mercato quando l’Autorità
Palestinese paga gli stipendi, così la gente ha soldi da spendere» «Questi
conigli per me rappresentano l’indipendenza, la possibilità di mostrare alla
comunità che valgo. So cosa significa marginalizzazione. A causa delle continue
operazioni non riuscivo a seguire le lezioni e restavo sempre un passo dietro
gli altri. La mancanza di educazione e l’impossibilità di trovare un lavoro mi
ha fatto sentire un’esclusa per anni. Ma ora produco, lavoro, gestisco la mia
attività». È l’obiettivo di El Amal e EducAid: «Il progetto è partito ad aprile
– ci spiega Doha, project coordinator dell’associazione palestinese – Abbiamo
lanciato corsi di formazione su media e management finanziario. Poi abbiamo
selezionato in tutta Gaza 34 donne disabili, a cui abbiamo consegnato il
finanziamento per l’avvio delle attività: laboratori di ricamo, allevamento,
negozi di accessori, centri estetici. È un successo: non si sentono più delle
escluse, sono diventate economicamente indipendenti, molto spesso sono la fonte
di sostentamento di un’intera famiglia. Prima la mancanza di denaro le
estrometteva dall’accesso ai servizi. Cambia la prospettiva delle donne stesse:
ora si percepiscono come un soggetto con un ruolo sociale, prima tendevano ad
autoescludersi». EducAid, El Amal e Social Development Forum, il secondo
partner locale a Gaza City, monitoreranno i progetti fino a marzo, poi le donne
– che raccontano le loro storie nel magazine “Voice of Women” – proseguiranno
le loro attività da sole. Tra loro anche Sawsan El Khalili, che a Gaza City ha
aperto un negozio di ricamo. Da anni attiva nel settore della disabilità, è
stata volontaria nella General Union for Disabled People e ha girato Europa e
Medio Oriente a raccontare la condizione di vita dei disabili in Palestina.
«Quando la mia attività sarà partita, assumerò un’altra donna disabile perché
mi aiuti in negozio. È il mio modo per rivendicare i miei diritti e per
combattere l’esclusione sociale che ti colpisce fin dai tempi della scuola. L’assedio completa il quadro: non entrano supporti motori, sedie a
rotelle, medicinali. E se devi farti curare, uscire dalla Striscia è
impossibile. Siamo vittime di troppi assedi: quello israeliano, quello sociale,
quello dentro cui noi stesse ci chiudiamo. Io non ci sto: mi riconosco da sola
i miei diritti perché ho mille abilità e sono un’opportunità per la comunità,
non un peso».
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