lunedì 30 gennaio 2012

Una società mineraria brasiliana vince il Nobel della vergogna

Dopo 21 giorni di serrata disputa, il colosso minerario brasiliano Vale nel fine settimana appena trascorso ha vinto il Public Eye Award, il riconoscimento per la peggior impresa del pianeta in ambito ambientale e dei diritti umani assegnato ogni anno con il voto della società civile mondiale dalle organizzazioni Greenpeace Svizzera e Berne Declaration durante il Forum economico mondiale (Wef) di Davos.
Per quello che viene anche definito il “Nobel della vergogna”, la Vale se l’è dovuta vedere con Barclays, Freeport, Samsung, Syngenta e Tepco. Sembra che nei giorni che hanno preceduto la decisione ci sia stato un acceso testa a testa tra la Vale e la giapponese Tepco, candidata per il disastro nucleare di Fukushima: la prima si è imposta con 25.041 voti. Il fatto di essere presente in 38 paesi, con numerosi conflitti ambientali e sociali pendenti, ha ampliato il numero dei votanti: l’ingresso della Vale, nel 2010, nel consorzio Norte Energia, responsabile per la costruzione dell’idroelettrica Belo Monte sul fiume Xingu, nello stato settentrionale amazzonico brasiliano del Pará, è stato considerato dagli organizzatori il fattore determinante per il suo ingresso tra le finaliste.

“Per migliaia di persone, in Brasile e nel mondo, che soffrono degli abusi di questa multinazionale, che sono stati sfrattati, hanno perso le case e le terre, che hanno visto familiari e amici uccisi tra i binari della ferrovia Carajás, che sono oggetto di persecuzione politica, che sono stati minacciati da sicari e uomini armati, che si sono ammalati, hanno visto figli e bambini sfruttati, sono stati licenziati o lavorano in pessime condizioni e subiscono tante altre conseguenze, concedere alla Vale il riconoscimento di peggiore società del pianeta è molto di più che vincere un premio. E’ la possibilità di mostrare agli occhi del mondo le loro sofferenze e attrarre centinaia di nuovi attori e forze nella lotta per i loro diritti e contro gli eccessi commessi dalla società” hanno dichiarato gli organismi che hanno presentato la candidatura.

Il premio è stato consegnato a Davos alla presenza del Nobel per l’economia statunitense Joseph Stiglitz.

giovedì 26 gennaio 2012

Etiopia, un esodo forzato - Paola Desai

Il governo etiopico lo definisce un «programma di villaggizzazione»: trasferire circa un milione e mezzo di abitanti di zone rurali entro il 2013 in nuovi villaggi dove avranno «accesso alle infrastruture socio-economiche fondamentali», dall'acqua ai servizi sanitari e le scuole. Un esodo massiccio, cominciato nella regione occidentale di Gambella: le autorità dicono che 70mila persone sono state trasferite a tutto il 2011, in modo volontario, beneficiando così di migliori condizioni di sviluppo economico e culturale. Il programma sarà presto esteso alle regioni di Afar, Somali, e Benishangul-Gumuz. Fin qui la versione governativa. L'organizzazione per i diritti umani Human Rights Watch è andata a vedere come si sono svolte le cose nel primo anno e ne parla in tutt'altro modo: un programma di trasferimento forzato in cui la popolazione, soprattutto dei gruppi etnici Anuak e Nuer, è costretta sotto la minaccia di violenza a spostarsi in villaggi dove manca dei mezzi di sopravvivenza. Non solo: sembra proprio che le terre così sgomberate siano tra quelle che il governo vuole dare in concessione a grandi imprese straniere per progetti di sfruttamento agricolo intensivo: un altro aspetto del land grabbing, accaparramento di terre...
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giovedì 19 gennaio 2012

petrolio in casa

...Il fine dell’articolo 20, spiega la relazione allegata, è “consentire nell’immediato di realizzare investimenti di sviluppo pari, nella sola Regione Basilicata, a 6 miliardi di euro, garantendo una produzione aggiuntiva di idrocarburi nei prossimi 20 anni per un valore economico di almeno 30 miliardi di euro ed entrate aggiuntive per lo Stato (tra royalties e entrate fiscali) pari ad almeno 17 miliardi”. La produzione nazionale passerebbe, per questa via, da 80mila a 104mila barili al giorno.

La vera botta, però, è il successivo articolo 21: al comma 2 si decide, infatti, che il limite spaziale per le perforazioni off shore – vale a dire in mare – passa da 12 a 5 miglia marine, praticamente sottocosta. Non bastasse si prescrive anche che la linea di riferimento per le misurazioni non è più quella “di base”, ma quella “di costa”: un modo furbetto di recuperare qualche altro metro. Roba che – se è consentita un po’ di dietrologia – pare fatta apposta per il famigerato progetto di trivellazione alle isole Tremiti, in Molise. Sarà il caso di ricordare, peraltro, che la sicurezza per l’ambiente delle perforazioni off shore è stata al centro di mille polemiche neanche due anni fa, quando un incidente su una piattaforma della British petroleum nel Golfo del Messico devastò l’intera costa della Louisiana. Nella relazione allegata – liquidata la questione ecosistema affermando che “resta, in ogni caso, protetto dalle stringenti normative nazionali” – curiosamente si sottolinea come le agenzie di rating siano sensibili a questo genere di provvedimenti: “Si rileva che tra le ragioni che hanno indotto, lo scorso 9 settembre, Standard & Poor’s ad alzare il rating di Israele ad ‘A+’ da ‘A’, c’è stata proprio la decisione del governo israeliano di sviluppare le attività di ricerca e prospezione degli idrocarburi nelle proprie acque territoriali”...





per la frutta di stagione

1) Impronta ecologica disastrosa
Frutta e verdura fuori stagione possono essere prodotte solo in due modi: o in serre riscaldate o a migliaia di chilometri dalle nostre tavole. In ogni caso si tratta di un forte impatto per l’ambiente. Nel primo caso le serre per la produzione fuori stagione sono quasi sempre riscaldate e per far questo consumano importanti quantità di energia non rinnovabile. Non solo: la coltura in serra prevede l’uso di ingenti quantità di sostanze chimiche (fertilizzanti, antiparassitari ecc.) che vanno a ad accumularsi nell’ambiente.
Nel secondo caso niente rende bene l’idea come fare alcuni esempi di prodotti fuori stagione tratti da una tabella di Coldiretti pubblicata qualche tempo fa, le distanze percorse, i chilogrammi di petrolio consumati e la conseguente anidride carbonica (uno dei principali gas a effetto serra) prodotta per ogni kg trasportato:
  • un chilo di ciliege del Cile percorre 12 mila chilometri, consuma quasi 7 kg di petrolio e produce 21 kg di CO2;
  • un chilo di mirtilli argentini percorre 11 mila km, consuma 6,4 kg di petrolio e produce 20 kg di CO2;
  • un chilo di cocomero brasiliano percorre 9 mila km, consuma 5,3 kg di petrolio e produce 16,5 kg emessi.
L’elenco potrebbe continuare a lungo ma già si comprende come l’impronta ecologica di questi commerci non possa che essere disastrosa per il Pianeta e quindi per tutti noi.
2) E che prezzi!
Sia che si tratti di coltura in serra riscaldata, sia che si tratti di coltivazioni distanti migliaia di km, il costo economico dell’ingente energia impiegata per coltivare e/o trasportare questi prodotti ricade tutto sulle nostre tasche. E che costo! Basta provare a comprare frutta e verdura non di stagione e ci si rende subito conto che il prezzo non è proibitivo ma poco ci manca… Se al contrario si trovano prodotti fuori stagione a prezzi bassi può voler dire che da qualche parte del Pianeta qualcuno sfrutta e sottopaga i lavoratori del luogo...

giovedì 12 gennaio 2012

Le meraviglie dell’orto sinergico - Antonio De Falco

Antonio De Falco, ex impiegato di banca, lascia l’ufficio per la terra nell’82. Dieci anni dopo scopre in Andalusia l’agricoltura sinergica e si fa allievo di Emilia Hazelip, nella convinzione che nella terra ci sia tutto, che tutto parta da lì. Antonio parte dalla constatazione che i contadini contemporanei non sono più liberi, ma si trovano in una condizione di dipendenza dal mercato, dall’industria chimica che ha fatto perdere loro il piacere e la creatività insiti nel contatto diretto e quotidiano con la terra, e con il prezioso e buon cibo che essa può dare se lasciata lavorare indisturbata. La rivoluzione dell’agricoltura sinergica permette all’uomo di diventare un contadino contemporaneo: un uomo libero e consapevole che è ritornato ad essere scienziato, profondo conoscitore dei meccanismi della natura e fiducioso di essi.
L’abbiamo incontrato nel maggio scorso, in occasione del corso sull’orto sinergico che ha tenuto alla Fattoria dell’Autosufficienza: ascoltiamo le sue parole!

Chi è Antonio?

Mi sento un individuo in cammino. Un’anima alla ricerca di un senso.
Ho avuto la fortuna di incontrare persone straordinarie e di fare esperienze inusuali, per cui mi trovo a conoscere cose che la maggior parte delle persone che incontro ignorano o di cui hanno una conoscenza superficiale.
Vivo cercando di trasmettere ciò che ho ricevuto: il pezzetto di amore che in me risuona come la mia piccola parte di luce, di verità.
Mi sento un essere desideroso di comunità, di pace, di scambio con gli altri, di sinergia, di amore. Cerco di dare agli altri ciò che vorrei per me e sogno che tutto il mondo possa diventare una comunità di mutuo soccorso.

Cos'è per Antonio l’orto sinergico?
Potrei dire che è una passione, un amore ma nella ricerca della sua essenza si sta rivelando come una strada, la mia strada.
È un campo in cui ogni giorno mi posso incontrare con l'energia creativa, con il miracolo, l'inconoscibile, il grande mistero, con Dio. È una creatura da amare ed accudire e da cui trarre godimento, meraviglia e insegnamento, oltre ovviamente la propria sussistenza. È ciò che mi ha fatto fare il passo da artista ad ortista ed è diventato la mia espressione, la mia opera d'arte, la mia offerta al cosmo, il mio tempio, la mia terapia, il mio modo di vivere e di rapportarmi con il mondo, il mio modo di sentirmi in comunione ed armonia con la Grande Madre, con la Natura...
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Siamo ancora qui (val Maira)

 La valle confina a nord con la valle Varaita, che corre parallela; a sud confina nella bassa valle con la valle Grana e nell'alta valle con la valle Stura di Demonte; ad ovest confina con la Francia e ad est ha il suo sbocco sulla pianura padana.
È lunga circa 45 km ed è tagliata a metà dal torrente che le dà il nome: il Maira.
L'intera valle presenta un orientamento pressoché costante lungo la direttrice di Est-Ovest ed è delimitata da due massicce catene montuose che si originano a partire dal compatto rilievo del Brec de Chambeyron formando dei definiti spartiacque con le valli dell'Ubayette (in territorio francese) a ovest, della Stura di Demonte e Grana a sud e Varaita a nord...
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Avete mai sentito parlare del film “Il vento fa il suo giro” di Giorgio Diritti? Probabilmente no perché, come molti film indipendenti, è stato distribuito poco e male nelle sale italiane a partire dal 2007, nonostante abbia fatto il giro di una ventina di festival italiani e stranieri vincendo una mezza dozzina di premi.
Eppure questo film, ambientato nella Valle Maira, è stato molto apprezzato da quei pochi che l’hanno visto e, a parte questo, ha più di una peculiarità che da sola basterebbe a far parlare di sé:
- non ha usufruito di finanziamenti statali né televisivi;
- è stato prodotto in cooperativa: la troupe e gli interpreti sono entrati in coproduzione, garantendosi una quota dei guadagni;
- è stato girato nell'alta valle Maira (Cuneo) al confine con la Francia durante 3 stagioni e sottotitolato perché parlato in 3 lingue: francese, occitano, italiano;
- oltre a coprire i ruoli comprimari, gli abitanti delle valli hanno messo a disposizione mezzi, animali, oggetti di scena, ambiente, persino cibo;
- tutti gli interpeti, compreso il protagonista (che nella vita fa lo scenografo) sono non-attori (fonte: Il Morandini)...
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sabato 7 gennaio 2012

Anche loro hanno bisogno di sangue - Oscar Grazioli

A qualcuno, ne sono certo, la notizia strapperà più di un sorriso. Qualcun altro ne rimarrà quasi scandalizzato. Adesso anche la banca del sangue per i cani. Fra un po’ ci troveremo gli asili nido per cuccioli e le scuole d’appoggio per cani portatori di handicap.

Roba vecchia, già sentita mille volte. Ancora oggi sentirete qualcuno che si chiede se portare un gatto dal veterinario e, per di più pagarlo, sia moralmente accettabile, con tutti i problemi che abbiamo, a partire dalla crisi ovviamente. Magari qualcuno potrebbe chiedersi se sia moralmente accettabile pagare parlamentari e portaborse varie centinaia di migliaia di euro l’anno ( comprendendo benefit vari, vitalizi, pensioni doppi e tripli stipendi e via andare), ma di sicuro spendere duecento euro per la vita di un gatto, ancora oggi, sembra a molti un delitto

Non ne ho mai parlato, ma anche i cani (molto meno i gatti) necessitano di sangue talvolta. La maggior parte per avvelenamento da topicidi, spesso messi, come esche, da delinquenti che invidiano il cane che trova i tartufi (mentre il loro trova funghi matti) o vogliono eliminare quel botolo che ogni tanto abbai, disturbando la quiete pubblica (mentre le moto da cross emanano melodie stile Pink Floyd). Se i cani hanno bisogno di sangue è logico che nascano banche del sangue, in quanto anche loro hanno gruppi sanguigni. La prima è nata diversi anni fa a Bologna con tanto di permessi, animali testati, donatori e riceventi...

venerdì 6 gennaio 2012

Dichiarare illegale la povertà e non i poveri




Sono trascorsi oltre vent’anni da quando la Banca Mondiale iscrisse l’eradicazione della povertà ai primi posti dell’agenda politica internazionale. All’epoca molte persone, fra cui io stessa, furono molto sorprese e allo stesso tempo molto liete di costatare che le tanto vilipese istituzioni di Bretton Woods avessero finalmente sviluppato una coscienza sociale. Perché, negli anni ’80 vennero introdotti i ‘programmi di aggiustamento strutturale’ in tutti i paesi del Terzo Mondo alle prese con un debito estero troppo elevato e questa situazione aveva causato una vera e propria “strage sociale”: licenziamenti di massa, tagli ai servizi sociali quali il sistema sanitario e l’istruzione, abolizione dei sussidi agricoli, privatizzazione delle imprese statali, libera circolazione di beni e capitali… In America Latina, in Africa e in Asia le conseguenze furono: disoccupazione, crescita selvaggia del sommerso, afflusso massiccio di donne sul mercato del lavoro, e chiusura delle imprese che non erano in grado di far fronte alla concorrenza estera senza protezione…

quello che non si mangia

... dalla vigilia di Natale a Capodanno, sono finite nei cassonetti 440 mila tonnellate di cibo, per un valore complessivo di 1,32 miliardi di euro, il 20% della spesa complessiva. Uno sperpero di risorse e un danno rilevante per l'ambiente, 'costato' più di 50 euro a famiglia. Poco consola il fatto che, rispetto all'anno scorso, lo spreco si è ridotto del 12%, dovuto peraltro alla generale contrazione della spesa alimentare: si tratta comunque, evidenzia un'indagine della Cia (Confederazione italiana agricoltori) di cifre notevoli.

Carne, uova, latticini e pane i più sacrificati. 
"A passare con più facilità dal piatto alla pattumiera -sottolinea la Cia - sono stati latticini, uova e carne (43%), seguiti da pane (22%), frutta e verdura (19%), pasta (4%) e dolci (3%)". Un fenomeno dalle dimensioni insostenibili, che tocca puntualmente il suo apice durante le festività di fine anno. A finire nel bidone dell'immondizia è stato quasi un quinto delle portate preparate per le tavole delle feste.

A Natale gli sprechi più grandi. "Gli sprechi maggiori si sono concentrati a ridosso di Natale (cene e pranzi del 24, 25 e 26 dicembre), quando gli italiani avrebbero gettato nei cassonetti - secondo l'indagine - quasi 90 milioni di euro, poco meno di 40 euro a famiglia. Mentre, più di 10 euro a nucleo familiare sono stati dissipati tra il cenone del 31 e Capodanno. Uno scempio dal punto di vista etico ed economico, oltre che ambientale: basti pensare, infatti  - ricorda la Cia- che una sola tonnellata di rifiuti organici genera 4,2 tonnellate di anidride carbonica"...



Dove va a finire tutto quello scarto che appena esce dal  supermercato diventa subito spreco? Normalmente dentro camion diretti verso le discariche.
C’è qualcuno però che ha pensato che tutto quel cibo, ancora in gran parte commestibile, potesse, anzi dovesse, essere utilizzato: si tratta di un gruppo di ricercatori della Facoltà di Agraria dell’Università di Bologna, guidati dal Prof. Andrea Segré.
Da questa intuizione è nato il Last Minute Market.
Il meccanismo è così semplice da sembrare banale… Mettere in collegamento l’impresa che "dona" il prodotto prossimo alla scadenza con le Associazioni no profit che lo "ricevono" per preparare pasti a persone in condizioni di disagio economico o sociale.
I primi ci guadagnano perché così abbattono i costi di trasporto e smaltimento, i secondi perché possono contare su alimenti validi e buoni a costo zero.

guerrilla gardening

La prima volta che viene usato il termine guerrilla gardening è nel 1973, da parte di Liz Christy e il suo gruppo Green Guerrilla (It. Guerriglia verde), nella area di Bowery Houston a New York. Questo gruppo trasformò un derelitto lotto privato in un giardino. Dopo trent'anni questo spazio è ancora ben tenuto. Se ne prendono ancora cura alcuni volontari, ma ora gode della protezione del dipartimento parchi di New York.
Due celebrati giardinieri di questo tipo, attivi prima del conio del termine Guerrilla gardening, erano
Gerald Winstanley ed i Diggers (gli zappatori) nel Surrey in Inghilterra nel 1649, e John Chapman soprannominato seme di mela nell'Ohio nel 1801.

un sito italiano



giovedì 5 gennaio 2012

Le sette vite di Luca. Una fiaba ecologica - Joumana Haddad

una fiaba, ma mica tanto.
per bambini, ma non solo
è poesia, ma anche altro
a me è piaciuto molto
non privatevene - francesco


dice Joumana:

"Negli ultimi tempi una cosa strana mi succedeva ogni notte, quando andavo a letto. Non riuscivo a dormire, perché appena chiudevo gli occhi sentivo pianti e gemiti. Non sapevo da dove venivano. L’unica cosa che sapevo era che qualcuno era triste. Molto triste. Poi finalmente ho capito. Non era un essere umano. Era la Terra, questo meraviglioso pianeta che ci accoglie,ci nutre e ci fa crescere. E chi lo stava tormentando? Noi stessi. Con il nostro egoismo, la nostra avidità, la nostra mancanza di rispetto. Ci voleva un eroe. Cosi è nato Luca. Luca, caro lettore, cara lettrice, sei tu. Sono io. Siamo tutti noi. Non dimentichiamolo mai".

mercoledì 4 gennaio 2012

a proposito di etichette - Pierpaolo Corradini

...Tutto ciò che si trova su un'etichetta è un compromesso tra quanto desidera il produttore e quanto impone il legislatore. Se non fosse che il produttore fa spesso pressione sul legislatore affinché il proprio pensiero diventi quello predominante. È il caso della Confederazione europea di industrie agroalimentari (Ciaa), tra cui compaiono, in ordine alfabetico, Barilla, Cadbury, Campbell, Cargill, Coca-Cola, Danone, Ferrero, General Mills, Heineken, Heinz, Kellogs, Kraft Foods, Mars, Nestlè, Pepsico, Procter & Gamble, Südzucker, Tate & Lyle, Ülker, Unilever. Pur essendo accusata di svolgere attività di lobby anche tramite importanti agenzie di consulenza specializzate come la Fleishman Hillard di Bruxelles, in passato la Ciaa aveva sempre negato questo suo aspetto poco conosciuto, fino a che nel dicembre 2010 si è iscritta nel Registro volontario delle lobby attive a Bruxelles. Tra gli esempi più eclatanti che dimostrano la potenza e l'efficacia delle azioni di lobby compiute dalla Ciaa, che lo scorso giugno ha cambiato nome in FoodDrinkEurope, certamente il boicottaggio della cosiddetta etichetta “a semaforo”. Questo tipo di etichetta nutrizionale, già in uso su base volontaria in vari Paesi europei, sembrerebbe di facile e immediata comprensione, perché indica con un colore oltre che con un numero il livello di calorie, grassi, zuccheri, ecc. (verde = bassa percentuale, va bene; arancione = media percentuale, attenzione; rosso = alta percentuale, molta attenzione). Secondo il Corporate Europe Observatory (Ceo, un'organizzazione che si occupa dell'influenza che le grandi lobby industriali hanno sulla legislazione e sulle politiche europee), la Ciaa ha speso 1 miliardo di euro per opporsi all'etichetta a semaforo. Il sito www.corporateeurope.org lo scorso 16 agosto è stato soggetto ad atti di pirateria che hanno seriamente danneggiato l'archivio. Fino ad allora era possibile leggere come la Ciaa, ma anche importanti consorzi come Ibc o Eda (industrie della carne e dei prodotti caseari) o aziende quali la Nestlé, avessero inviato una lunghissima serie di e-mail ai vari parlamentari con “raccomandazioni di voto” su quali emendamenti sostenere e quali bocciare. Lo scorso luglio è passata la proposta relativa alle nuove regole di etichettatura (vedi la prossima apertura) e l'etichetta a semaforo è stata bocciata a favore di quella contenente le GDAs, Guideline Daily Amounts, le quantità giornaliere indicative. Le GDA sono state ufficializzate nel 2009 dall'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) che ha sede a Parma, ma solo sulla base di quelle elaborate dalla Ciaa nel 2006. Sono, cioè, indicazioni create dall'industria per dare un aiuto al consumatore. 
Secondo una ricerca condotta su consumatori inglesi, francesi e tedeschi, oltre l'80%  riesce a valutare la salubrità di un prodotto grazie alle GDA. Peccato che questa ricerca sia stata condotta da Eufic, un ente senza scopo di lucro di cui attualmente fanno parte Barilla, Cargill, Cereal Partners, Coca-Cola HBC, Coca-Cola, Danone, DSM Nutritional Products Europe Ltd., Ferrero, Kraft Foods, Louis Bonduelle Foundation, McCormick Foods, Mars, McDonald's, Nestlé, Novozymes, PepsiCo, Pfizer Animal Health, Südzucker, e Unilever. Troppe coincidenze se questo elenco si confronta con quello delle aziende che fanno parte della Ciaa. Eppure l'eurodeputata tedesca del Ppe Renate Sommer, firmataria del rapporto grazie a cui vengono approvate le nuove regole dell'etichettatura, spiega che l'azione di lobby da parte delle associazioni di consumatori è stata maggiore rispetto a quella dell'industria. A suo parere la soluzione del semaforo ingannerebbe il consumatore, mentre quella della GDA non sarebbe adeguata per vari motivi. Secondo il socialista unghereseCsaba Tabajdi, etichetta a semaforo e GDA non sono modelli che si contraddicono, ma dovrebbero anzi integrarsi per offrire il massimo dell'informazione al consumatore. Fatto sta che i due terzi del Parlamento europeo hanno bocciato l'etichetta a semaforo a favore di quella con le sole GDA. 
Tra 5 anni, con l'entrata in vigore della legge, sarà obbligatorio dichiarare in etichetta che i valori della GDA “si riferiscono a un adulto medio (2.000 kcal)”, senza dunque considerare  sesso, peso, altezza, livello di attività fisica e altri fattori ancora. Sempre meglio di niente. Ma sulle merendine per bambini i valori continueranno ad essere quelli di un adulto moderatamente attivo.



L'a, b, c delle nuove etichette alimentari
Le etichette alimentari di tutti i Paesi europei cambieranno, in meglio, nel corso dei prossimi anni. Dopo quasi 4 anni di lavoro e circa 3.000 emendamenti presentati, lo scorso 6 luglio il Parlamento Europeo ha infatti approvato le nuove regole di etichettatura relative «alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori». Regole che si applicheranno a tutti gli alimenti destinati al consumatore finale, e che dovranno essere rispettate non solo da piccoli negozi e grandi supermercati, ma anche da ristoranti, mense, ecc. Ecco le principali novità. Finalmente i caratteri con cui vengono scritte le etichette dovranno avere un'altezza minima per risultare leggibili a tutti: le minuscole dovranno essere di almeno 1,2 mm per tutte le confezioni, oppure di 0,9 mm se la superficie totale è inferiore a 80 cm2. Se invece la confezione ha una superficie inferiore ai 10 cm2 allora sarà sufficiente riportare la denominazione di vendita, gli eventuali allergeni, il peso netto, il termine minimo di conservazione o la data di scadenza. Gli allergeni, nello specifico, dovranno essere evidenziati con un carattere diverso per tipo, per colore, per spessore o con altra modalità grafica. Seconda importante novità è quella relativa agli oli e ai grassi vegetali, che dovranno essere sempre esplicitati. Non basterà più un semplice “olio vegetale”, ma sarà necessario indicare se tale olio è di colza, di cocco, di arachidi, ecc. e si potrà così decidere più liberamente se comprare un prodotto con grassi saturi dannosi che fanno innalzare il colesterolo e che per essere prodotto contribuisce alla distruzione delle foreste pluviali dell'Indonesia (olio di palma), o un più sano e rispettoso olio di girasole. Dovrà anche essere precisato se tali oli e grassi vegetali sono idrogenati (parzialmente o totalmente), a differenza di quanto succede attualmente, con i produttori che scrivono solo quando i grassi non sono idrogenati, a dimostrazione del fatto che l'idrogenazione è pericolosa (i grassi idrogenati aumentano il rischio di patologie cardiovascolari). Novità anche per l'indicazione di origine di molti prodotti, a cominciare dall'obbligo di informare su nascita, allevamento e macellazione degli animali che viene esteso dalla carne bovina a suini, ovini, caprini e polli, sia freschi che congelati. Se poi un filetto, una fetta o una porzione di carne o pesce potrebbero indurre il consumatore a pensare trattarsi di un unico pezzo di animale, in questo caso sull'etichetta dovrà comparire la dicitura “carne ricomposta”“pesce ricomposto”. Altre novità anche per quanto riguarda gli insaccati, la cui etichetta dovrà avvertire il consumatore della commestibilità o meno del budello di cui sono ricoperti, e per la data di scadenza, che dovrà essere riportata non solo sulla confezione esterna, ma anche sui singoli prodotti dentro la scatola principale, così da permetterne la lettura senza bisogno di conservare l'intero imballaggio. Una serie di nuove regole insomma che offrono qualche criterio in più per una scelta consapevole, dalle eloquenti diciture “Non raccomandato per bambini e donne in gravidanza o nel periodo di allattamento” per le bibite con più di 150 mg/l di caffeina, ai meno evidenti elenchi di ingredienti preceduti dalla parola “nano”, che sta ad indicare un elemento contenente nanomateriali e che per il momento non è obbligatorio citare. Entro ottobre il testo di questo regolamento torna al Consiglio europeo e forse già alla fine del mese potrebbe essere pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. A quel punto i Paesi membri avranno 3 anni di tempo per adeguarsi alle nuove regole (5 per la sola etichetta nutrizionale) e i prodotti già confezionati potranno essere venduti fino ad esaurimento delle scorte. Sperando che non succeda come per le buste di plastica, le cui scorte dovevano esaurirsi il 30 aprile e che invece si trovano ancora in moltissimi negozi di generi alimentari.

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martedì 3 gennaio 2012

Andrea Segrè e lo spreco

"non basta stringere la cinghia a Natale, serve una sobrietà consapevole. La religione del Pil ci ha portato alla recessione"
da qui


Quanti paradossi nel negozio del fruttivendolo. Solo nel mese di novembre la frutta fresca è aumentata del 4,3 per cento. Da due anni i milanesi reagiscono alla crisi nel peggiore dei modi: consumando meno frutta e verdura. E comprando straniero. Perché - per quanto possa sembrare assurdo - arance e pomodori spesso sono meno cari proprio quando arrivano da lontano. In particolare, da Spagna, Olanda e Nord Africa. Nonostante i portafogli chiusi per crisi, poi, frutta e verdura continuano a essere sprecate. Se si considera quanto buttato da famiglie, Ortomercato, distribuzione piccola e grande, a Milano si può stimare che ogni giorno finiscano nella spazzatura addirittura 465 tonnellate di prodotto.
da qui