venerdì 27 febbraio 2015

Siate generosi con chi lavora la terra - Franco Arminio

Finalmente sto meglio - sento di essere nuovamente legato alla terra!
Peter Handke

Non sono figlio di contadini. Non ho mai lavorato la terra, non vivo in campagna. Insomma, non ho molti titoli per parlare di agricoltura, vecchia o nuova che sia. In effetti io non conosco i nuovi agricoltori. Conosco gli anziani che una volta erano contadini. Li trovo sperduti, in paesi sperduti. Hanno le radici in un tempo lontano e adesso sono qui in un tempo che non capiscono, mi piace pensare che sono passati dalla civiltà della pietra a quella della piastrella. Sono in esilio. Hanno sguardi e posture che a volte commuovono: il lirismo degli sconfitti.
Tutto questo forse c’entra poco con le nuove attività agricole, sta di fatto che un vecchio contadino mi fa più simpatia di un vecchio borghese. E sento che la via della campagna è la via del futuro. Non si tratta di dismettere la civiltà industriale, ma di metterla al servizio del mondo agricolo. Non so se lavorare la terra servirà a salvare il mondo, ma ho fiducia in chi fa il formaggio, mi piacciono i filari delle viti, gli alberi di arance, le balle di fieno. E provo simpatia anche per le terre vuote, per i paesaggi inoperosi. Mi piacciono i sassi, le crete, mi piacciono i cardi e i fiori che spuntano ai bordi delle strade.
La nuova agricoltura significa anche che lo sfruttamento della terra non deve essere forsennato. Fare poco e bene. Sono per un agricoltura poetica, anche se non so bene cosa possa significare e in che misura possa esistere. Di certo alcune cose non mi piacciono del contadino che si fa imprenditore agricolo: non mi piacciono, solo per fare due esempi, le buste di concime lasciate nei solchi, il disordine intorno alle masserie.
Non mi piace che neppure il fatto che le campagne sono troppo spesso abitate da persone che non lavorano i campi, ma stanno lì solo perché hanno trovato lo spazio per dare sfarzo alle proprie villette. Io non amo chi dà le spalle al suo paese. Io amo il grano che cresce. Amo gli orti e chi porta agli amici i prodotti degli orti. Mi commuove un amico che mi regala una bottiglia di vino.

Nella terra dovrebbe avvenire una nuova alleanza. I giovani insieme agli anziani, gli uomini e le donne. Bisogna dare alla parola contadino un prestigio che non ha mai avuto. In televisione oltre all’andamento della borsa si dovrebbe parlare dello stato del raccolto. L’unica avvertenza che mi sento di introdurre è che la terra non deve diventare una nuova retorica e così pure l’ecologia o lo sviluppo sostenibile o la decrescita. Lavorare in agricoltura non risolve niente se l’idea di fondo rimane quella del ricavo, se l’economia rimane il centro di tutto. Quando parlo di nuovo umanesimo delle montagne vagheggio una società in cui l’uomo si decentra, dismette vecchie e nuove arroganze, facendosi creatura tra le creature e non velleitario padrone di tutto.
La nuova agricoltura serve ad allontanarci dall’egoismo e dal disincanto,dalle tossine della società della comunicazione che sta producendo sempre più una comunicazione senza società. Gli umani che stanno nella terra possono abbrutirsi come quelli che lavorano in borsa, dipende molto dall’aria che tira. Una nuova spinta rivoluzionaria è fondamentale per evitare che tutto alla fine si risolva in furbizie ed egoismi.
Ho sempre pensato che un uomo che sappia usare il computer e riconoscere un pero selvatico è un uomo interessante. So che c’è tanto lavoro da fare per dare lavoro ai giorni nel settore agricolo. Ma io non posso fingere di guardare la faccenda da questa prospettiva. A me non interessa il raccolto ma il grano che cresce, possibilmente coi papaveri dentro. Io non zappo, ma so che una passeggiata in campagna dà più energia di una passeggiata in città. So che abbracciare un albero dà energia. So che un cibo fatto con ingredienti sani e freschi ti dà molta più vita di una vincita in borsa.
Dobbiamo essere molto generosi con chi lavora nei campi e con chi sta pensando a come organizzare meglio questo lavoro, come avvicinare i giovani alle fatiche rurali. I prossimi anni avremo molte persone su questa strada, e sarà un affollamento benefico. Nella terra c’è posto. Le persone possono incontrarsi, possono formare delle piccole comunità, democratiche e calorose. Alla fine l’agricoltura è anche una forma di preghiera. C’è da pensare che la zappa ha qualche parentela lontana con la teologia. Contadini di tutto il mondo, ci sarebbe da pregare per voi, perché voi siete la più bella religione del mondo.
da qui

giovedì 26 febbraio 2015

a proposito di eutanasia

Eutanasìa, in greco antico, significa letteralmente buona morte. Oggi con questo termine si definisce correntemente l’intervento medico volto ad abbreviare l’agonia di un malato terminale.
Si parla di eutanasia passiva quando il medico si astiene dal praticare cure volte a tenere ancora in vita il malato; di eutanasia attiva quando il medico causa, direttamente, la morte del malato; di eutanasia attiva volontaria quando il medico agisce su richiesta esplicita del malato.
Nella casistica si tende a far rientrare anche il cosiddetto suicidio assistito, ovvero l’atto autonomo di porre termine alla propria vita compiuto da un malato terminale in presenza di - e con mezzi forniti da - un medico…

…Secondo l’Istituto Mario Negri di Milano, circa 90 mila malati terminali muoiono ogni anno. Il 65% di questi pazienti, aggiunge l’Associazione Luca Coscioni, si fa aiutare dai medici per smettere di soffrire. Gli inglesi la chiamano euthanasia by the back door, della porta sul retro. Da noi gli è stata affibbiata un’etichetta ancora più infamante: eutanasia clandestina. «L’ipocrisia è che si tratta solo di una questione terminologica. Se parli di eutanasia ti mettono in galera», spiega a pagina99 un medico rianimatore. «Tanti pazienti mi chiedono di farla finita. Li tranquillizzo, faccio finta di non vedere ma li aiuto a esaudire le loro volontà. Il personale sanitario viene colpevolizzato, siamo considerati assassini. Viviamo il dramma di queste scelte in solitudine…

Come possiamo definirla? "Eutanasia silenziosa". Per noi è un fatto di tutti i giorni. Lo affrontiamo con grande difficoltà, ma sicuri di fare sempre la cosa più giusta", dice Michele (lo chiameremo così). Una laurea, la specializzazione, il master, la carriera infermieristica, oggi è caposala all'ospedale Careggi di Firenze. Ha voglia di raccontare quello di cui, chissà se per pudore o se per una congiura del silenzio, nessuno parla mai. E di farlo evitando la politica, "ma con il buonsenso di chi sta in prima linea".
Premessa: Michele non è ateo, anzi, è un cattolico praticante, va a messa due volte alla settimana. Sorride di questa apparente contraddizione, "ma qui Dio non c'entra nulla. Sono un professionista, ho studiato. Se teniamo in vita artificialmente un paziente, siamo noi che ci stiamo sostituendo a Dio...".
Ogni anno, in un grande reparto come quello dove lavora Michele, medici, infermieri e operatori sanitari hanno a che fare con almeno 30-40 casi di persone sospese in una terra di mezzo dove il confine tra cosa è eutanasia e cosa no è sottilissimo. "Dal punto di vista normativo siamo obbligati a nutrire e idratare anche un vegetale. In queste condizioni un paziente può andare avanti per mesi, o anni", spiega…

"Al malato terminale che negli ultimi giorni di vita con dolori violentissimi chiede l'iniezione per morire serenamente gli viene negata" e "se il medico la fa può essere accusato di omicidio. Molti pero' la fanno, e' un movimento sott'acqua che si trova a lavorare in maniera clandestina". L'oncologo e fondatore dello Ieo, l'Istituto europeo di oncologia, Umberto Veronesi, scende in campo ancora una volta per parlare di eutanasia a margine del convegno "Uniti per i pazienti" all'Università  Statale. 
"Oggi la magistratura riesce a correggere ciò che il legislatore ha malamente costruito, ma non sempre ci riesce", ha aggiunto  Veronesi che ha poi ricordato il suicidio del regista Mario Monicelli. "Tutti parlano di una soluzione, ma il povero Monicelli, che aveva chiesto ripetutamente in ospedale una puntura letale per un trapasso dolce, e' stata negata e si e' buttato dalla finestra. Questa è civiltà ?"…
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mercoledì 25 febbraio 2015

In area agricola non si possono realizzare impianti fotovoltaici non a servizio di aziende agricole - Grig

L’abbiamo detto, messo nero su bianco e ribadito mille volte: in area agricola si possono realizzare interventi connessi all’attività agricola e non altro.
Infatti, nelle zone agricole “E” degli strumenti urbanistici comunali, possono essere autorizzati soltanto interventi relativi ad attività agricole e/o strettamente connesse (vds. per tuttiCass. pen., sez. III, 9 marzo 2012, n. 9369Corte App. CA, Sez. II, 18 giugno 2014), non certo attività di produzione energetica di tipo industriale, come centrali fotovoltaiche o centrali a biomassa non legate ad aziende agricole presenti nel luogo.  
Vi sono varie normative regionali che lo affermano esplicitamente, anche se spesso,curiosamente, non vengono osservate, come quella sarda.
E’ pur vero che tali impianti di produzione di energia elettrica “possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici” (art. 12, comma 7°, del decreto legislativo n. 387/2003 e s.m.i.) e, dopo l’emanazione delle linee guida nazionali per l’autorizzazione diimpianti alimentati da fonti rinnovabili (D.M. 10 settembre 2010), le Regioni devono provvedere all’individuazione di “aree idonee” e “aree non idonee” per l’ubicazione diimpianti di produzione energetica da fonti rinnovabili (vds. T.A.R. Veneto, Sez. II, 23 novembre 2012, n. 1439),  tuttavia, secondo l’art. 13 bis della legge regionale Sardegna n. 4/2009 e s.m.i. (introdotto dall’art. 12 della legge regionale Sardegna n. 21/2011), l’art. 3 delD.P.G.R.  3 agosto 1994 , n. 228 (direttive per le zone agricole, criteri per l’edificazione nelle zone agricole), nelle zone agricole “E” degli strumenti urbanistici comunali, possono essere autorizzati soltanto interventi relativi ad attività agricole e/o strettamente connesse, non attività di produzione energetica di tipo industriale – come quella in progetto – slegata da attività agricole in esercizio nel sito.
La Regione autonoma della Sardegna beneficia di competenza primaria in materia urbanistica (art. 3, comma 1°, lettera f, della legge cost. n. 3/1948 e s.m.i.).
Sembrerebbe logica la sola presenza di impianti simili connessa ad aziende agricole presenti nell’area.
E’ quanto prevede analogamente l’art. 55 della legge regionale Lazio n. 38/1999, che afferma esplicitamente: “la nuova edificazione in zona agricola è consentita soltanto se necessaria alla conduzione del fondo e all’esercizio delle attività agricole e di quelle ad esse connesse”.
La recentissima sentenza Cons. Stato, Sez. VI, 29 gennaio 2015, n. 333 ne ha confermato la legittimità, riconoscendo la correttezza del Comune di Campagnano di Roma nell’aver negato la possibilità di realizzazione di un impianto fotovoltaico in area agricola in quanto slegato dalla connessione con un’azienda agricola.  Nessun rapporto di strumentalità e, quindi, nessuna possibilità di realizzazione.
Un buon passo in avanti per una migliore difesa delle aree agricole da fenomeni puramente speculativi…

lunedì 23 febbraio 2015

Senza acqua non potremmo vivere - Leonardo Boff

L’attuale situazione di grave carenza di acqua potabile, che colpisce gran parte del sud-est del Brasile, dove sono le grandi città come San Paolo, Rio de Janeiro e Belo Horizonte, ci costringe, come mai prima, a ripensare al tema dell’acqua e sviluppare una cultura della cura, sintetizzata dalle sue famose R (r): ridurre, riutilizzare, riciclare, rispettare e riforestare. Nessuna questione è ora più importante di quella dell’acqua. Da essa dipende la sopravvivenza dell’intera catena di vita e, di conseguenza, del nostro futuro. Può essere motivo di guerra come di solidarietà sociale e cooperazione tra i popoli. Esperti e gruppi umanisti hanno suggerito un patto sociale mondiale su ciò che è di vitale importanza per tutti: l’acqua.

Intorno all’acqua si potrebbe crare un minimo di consenso tra tutti i popoli e governi, in vista di un bene comune, il nostro e del sistema-vita.Indipendentemente dalle discussioni che si fanno sul tema dell’acqua, possiamo fare una affermazione sicura e indiscutibile: l’acqua è un bene naturale, vitale, insostituibile e comune. Nessun essere vivente, umano o non umano, può vivere senza acqua. Le Nazioni Unite, il 21 luglio del 2010, hanno approvato questa risoluzione, “l’acqua potabile e sicura e i servizi igienico-sanitari sono un diritto umano fondamentale”.

Consideriamo rapidamente i dati di base sull’acqua nel pianeta Terra: essa esiste da circa 500 milioni di anni; il 97,5% delle acque nei mari e negli oceani sono salate. Solo il 2,5% è dolce. Più dei 2/3 dell’acqua dolce si trova nelle calotte polari e nei ghiacciai e nelle cime dei monti (68.9%); quasi tutto il resto (29,9%) sono acque sotterranee. Resta lo 0,9% nelle paludi e solo lo 0,3% nei fiumi e nei laghi. Di questo 0,3% il 70% viene destinato all’irrigazione agricola, 20% all’industria e ne resta solo il 10% del 0,3% per uso umano e animale.
Ci sono sul pianeta circa un miliardo e 360 milioni di chilometri cubi di acqua. Se prendiamo tutta l’acqua degli oceani, laghi, fiumi, falde acquifere e calotte polari e la distribuíamo uniformemente sulla terra, la terra sarebbe sommerso a tre KM di profondità sotto l’acqua. Il Rinnovamento delle acque è di circa 43 mila km cubi all’anno, mentre il consumo totale è stimato a 6 mila di km cubi all’anno. Quindi non vi è alcuna mancanza di acqua.
Il problema è che non è equamente distribuita: il 60% è in soli 9 paesi, mentre altri 80 paesi hanno scarsezza . Poco meno di un miliardo di persone consumano l’86% dell’acqua esistente, mentre per 1,4 miliardi è insufficiente (nel 2020 saranno tre miliardi), e per due miliardi non è trattata, il che genera l’85% delle malattie secondo l’Oms. Si presume che nel 2032 circa 5 miliardi di persone saranno colpite da scarsità d’acqua. Il Brasile è la potenza naturale delle acque, con il 12% di tutta l’acqua dolce del pianeta per un totale di 5.400 miliardi di metri cubi. Ma non è equamente ripartita: 72% nella regione amazzonica, il 16% nel CentroOvest, l’8% nel Sud e nel Sud-Est e il 4% nel Nord-Est.

Nonostante l’abbondanza, non sappiamo usare l’acqua, cosicchè il 37% di quella trattata viene sprecata, quantità capace di rifornire tutta la Francia, il Belgio, la Svizzera e l’Italia settentrionale. È urgente, quindi, un nuovo livello culturale nei confronti di tale elemento essenziale (vedi lo studio più minuzioso è stato fatto dal compianto Aldo Rabouças, Acque dolci in Brasile: Descrizioni, SP 2002). Un grande esperto di acqua che lavora nelle agenzie delle Nazioni Unite in materia, la canadese Maude Barlow, afferma nel suo libro “L’acqua: Patto Blu (2009)”: La popolazione mondiale è triplicata nel XX secolo, ma il consumo di acqua è aumentato di sette volte.
Nel il 2050, quando avremo 3 miliardi in più di persone, avremo bisogno dell’80% in più di acqua solo per l’uso umano; e non sappiamo da dove arriverà. Questo scenario è drammatico, in quanto mette chiaramente in discussione la sopravvivenza della specie umana e della maggior parte degli esseri viventi. C’è una corsa globale per la privatizzazione dell’acqua. Nascono grandi multinazionali come la francese Vivendi e Suez-Lyonnaise, la tedesca RWE, la britannica Thames Water e l’americana Bechtel. Si è creato un mercato dell’acqua che coinvolge più di 100 miliardi di dollari.
Sono fortemente presenti nella commercializzazione dell’acqua minerale Nestlé e Coca-Cola, che stanno cercando di acquistare fonti d’acqua in tutto il mondo, anche in Brasile. Ma ci sono anche forti reazioni delle popolazioni, come è accaduto nel 2000 a Cochabamba in Bolivia. L’azienda America Bechtel aveva acquistato le acque e aumentato i prezzi del 35%. La reazione organizzata della popolazione ha buttato fuori dal paese la società. Il grande dibattito ora infuria in questi termini: l’acqua è fonte di vita o di lucro?

L’acqua è un bene economico naturale, vitale, comune e insostituibile o un bene economico da trattare come risorsa idrica e mettere sul mercato? Entrambe le dimensioni non si escludono a vicenda, ma devono essere giustamente correlate.Fondamentalmente l’acqua è in relazione con il diritto alla vita, come insiste il grande specialista in acqua Riccardo Petrella (Il Manifesto dell’acqua, Voci 2002). In questo senso, l’acqua potabile per uso alimentare e cura personale e abbeveraggio degli animali dovrebbe essere gratuita.
Siccome è scarsa e richiede una complessa struttura di captazione, stoccaggio, trattamento e distribuzione, implica una dimensione economica innegabile. Questa, tuttavia, non deve prevalere sull’altra; al contrario, si dovrebbe renderla più accessibile a tutti e gli utili dovrebbero rispettare la natura comune, vitale e insostituibile dell’acqua. Anche gli elevati costi economici dovrebbero essere coperti dal Potere Pubblico.
Non c’è spazio per discutere le cause dell’attuale siccità. Mi rimetto allo studio dell’importante libro dello scienziato Antonio Donato Nobre “Il futuro climatico dell’Amazzonia“, uscito a metà gennaio di quest’anno 2015 a San Paolo, dove dice che il cambiamento climatico è un fatto di scienza ed esperienza. Avverte: stiamo andando al macello. Una fame zero nel mondo, prevista dagli Obiettivi del Millennio, deve includere la sete zero, perché non esiste un cibo che possa esistere ed essere consumato senza acqua. L’acqua è vita, generatrice di vita e uno dei più potenti simboli della natura della Realtà Ultima. Senza acqua non potremmo vivere.
Traduzione curata da  Antonio Lupo.
* Leonardo Boff è giornalista e scrittore

Last Minute Sotto Casa - Marcello Gelardini

...Si chiama Last Minute Sotto Casa ed è la nuova frontiera del live-marketing di prossimità. Un'idea che, oltre alle nostre tasche, punta a fare del bene alla sostenibilità del pianeta. La considerazione che ha portato il gruppo di lavoro dell'università piemontese a sviluppare il proprio progetto è molto semplice: ogni sera migliaia di negozianti, prima di chiudere, hanno la necessità di smaltire le merci che non potranno riproporre il giorno dopo. Basti pensare a forni, pasticcerie, macellerie, pescherie, mercati rionali, piccoli market di quartiere. Quale modo migliore di farlo offrendo quei prodotti a un prezzo scontato, ricavando un profitto anziché perderlo buttando la merce?

Ma a chi indirizzare queste offerte? Come farle conoscere in tempo reale? A questa domanda ha risposto Last Minute Sotto Casa costruendo un portale che vuole far incontrare commercianti e persone che abitano nello stesso quartiere. Sono infatti due i canali in cui è diviso il sito: da una parte quello per i negozi, dall'altra quello per i clienti. In entrambi i casi una delle prime mosse sarà indicare la propria posizione geografica, il resto lo farà il sistema di geolocalizzazione. 

Il negoziante, una volta registrato, sarà in grado d'inviare offerte (descrivendo il prodotto, il prezzo e la durata della promozione) in maniera mirata. Saranno, infatti, solo i clienti "posizionati" nei dintorni a ricevere (via email) l'offerta, solo per quei prodotti che avranno deciso di voler "tracciare" in fase d'iscrizione al sistema. Oppure potranno venirne a conoscenza controllando in tempo reale su mappa le offerte attive attorno a loro. 

Ma perché è così necessaria la prossimità geografica nell'era dell'ecommerce? Per un motivo semplice: a parte la deperibilità del prodotto, un'altra caratteristica delle offerte di Last Minute Sotto Casa è quella di voler riattivare e mantenere saldo il rapporto tra acquirente e venditore. Così, per approfittare della svendita, ci si dovrà poter recare fisicamente e in pochi minuti nel negozio che ha lanciato la promozione. 

Partito in forma sperimentale a marzo 2014 e solo per il quartiere Santa Rita di Torino (per recuperare il pane non venduto durante la giornata) oggi Last Minute Sotto Casa sta pian piano raggiungendo molte città d'Italia (e presto anche europee), potendo contare già su una rete di oltre 200 negozi di vario genere e su circa 15mila utenti registrati. È poi in arrivo un'App per rendere ancora più rapido e immediato l'accesso alle offerte. Chissà che in futuro, tornando a casa la sera, dando la solita rapida occhiata allo smartphone non si scopra che proprio a due passi da noi c'è una promozione che ci permetterà di organizzare la cena a metà prezzo. 

Come usano dire gli stessi fondatori, con Last Minute Sotto Casa vincono proprio tutti: vince il negoziante, che non spreca guadagnando pure qualcosa; vince il cliente, che acquista prodotti freschi risparmiando; vince soprattutto il pianeta, perché agendo in modo cosciente e razionale si rispettano e preservano le risorse naturali che la Terra quotidianamente ci offre ma che non sono infinite,

giovedì 19 febbraio 2015

La speculazione energetica divora i terreni agricoli sardi - Stefano Deliperi

Questi che seguono sono i “numeri” dell’energia in Sardegna, come emergono dai dati Terna s.p.a. (31 dicembre 2012) e dal P.E.A.R.S. (il piano energetico) adottato con deliberazione Giunta regionale n. 4/3 del 5 febbraio 2014:
* 18 impianti idroelettrici (potenza efficiente lorda MW 466,7; producibilità media annua GWh 699)
* 44 impianti termoelettrici (potenza efficiente lorda MW 2.822,5)
* 47 impianti eolici (potenza efficiente lorda MW 988,6)
* 22.287 impianti fotovoltaici (potenza efficiente lorda MW 558,2)
* energia richiesta in Sardegna: GWh 10.998,8; energia prodotta in più rispetto alla richiesta: GWh 2.348 (+ 21,3%)
* produzione energia: GWh 14.535; produzione netta per il consumo: GWh 13.346,8
* energia esportata verso la Penisola: GWh 1.632,5; energia esportata verso l’Estero (Corsica): Gwh 715,6; Terna s.p.a. stima un’esportazione complessiva di energia pari GWh 4.000 per l’anno 2013; perdita complessiva della rete: MWh 600
* fonte di produzione: 78% termoelettrica, 11% eolica, 5% bioenergie, 5% fotovoltaico, 1% idroelettrico.
Come si vede, la Sardegna, ormai da anni, produce molta più energia di quanto necessita per il proprio fabbisogno (+ 21,3%) e ne esporta verso la Penisola e verso la Corsica. Domanda banalissima: a chi e a che cosa servono allora i tanti progetti di centrali per la produzione energetica da fonte rinnovabile (termodinamica, biomassa, eolica, ecc.) che vengono quasi quotidianamente presentati nell’Isola, spesso e volentieri nelle aree agricole? Risposta di mero buon senso: gli impianti in progetto appaiono avere quasi sempre finalità puramente speculative:certificati verdi e benefici vari derivanti dalla produzione energetica da fonti rinnovabili.
Sembra proprio il caso anche di uno dei progetti recentemente presentati, il progetto ibrido di centrale solare termodinamica + centrale a biomassa (potenza complessiva lorda 10,8 MW elettrici) della società bolzanina San Quirico Solar Power s.r.l., nella località agricola di San Quirico, verso le pendici del Monte Arci, in Comune di Oristano, interessante circa 55 ettari. Per tali motivi l’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha inoltrato (9 febbraio 2015) uno specifico atto di intervento con “osservazioni” nel procedimento di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.), diffondendo gratuitamente in contemporanea un fac simile di analogo atto per chiunque volesse intervenire nel procedimento come singolo cittadino.
Sono stati interessati il Servizio sostenibilità ambientale (S.A.V.I.) della Regione autonoma della Sardegna (titolare del procedimento), la Commissione europea, il Ministero dell’ambiente, il Comune di Oristano. Il progetto ha caratteristiche propriamente industriali, ha natura ibrida, comprendendo una centrale solare termodinamica (superficie 48 ettari, specchi solari parabolici con diametro mt. 7,5 e altezza mt. 1,7 dal suolo) + una centrale a biomassa (potenza 4 MW elettrici) + opere connesse (linea ad alta tensione 150 kv lunga km. 7, stazione, ecc.) interessante complessivamente circa 55 ettari con potenza complessiva lorda 10,8 MW elettrici.
L’area individuata è parzialmente tutelata con vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) perché attraversata da corsi d’acqua (Rio Merd’e CaniCanale Adduttore Tirso-ArboreaCanale di Bonifica Spinarba), è classificata in “zona agricola E” (E2, E3, E5) e (piccola parte) in “zona di rispetto H” (HAR 2) del vigente P.U.C. di Oristano.     Si ricorda, in proposito, che nelle zone agricole “E” degli strumenti urbanistici comunali, possono essere autorizzati soltanto interventi relativi ad attività agricole e/o strettamente connesse, in particolar modo in Sardegna (art. 13 bis della legge regionale n. 4/2009 e s.m.i. e art. 3 del D.P.G.R. 3 agosto 1994 , n. 228, direttive per le zone agricole). Pesanti gli impatti sull’ambiente e il contesto socio-economico locale.
La zona ha vocazione strettamente agricola e l’impianto complesso in progetto è di sicura natura industriale, come tale dovrebbe trovare collocazione in aree industriali a tali fini già infrastrutturate. La prevista centrale a biomassa prevede poi l’utilizzo giornaliero di ben 70-75 tonnellate di biomassa legnosa per sette mesi (210 giorni), cioè ben 14.700-15.750 tonnellate annue di biomassa legnosa all’anno: da dove arriveranno?     I quantitativi idrici necessari al funzionamento dell’impianto complesso sono stimati in 117.000 metri cubi di acqua/anno, sarebbero prelevati da due pozzi da realizzare nel sito e sarebbero sottratti alle attività agricole esistenti nell’area interessata dal progetto;
Come ben noto alla stessa Società industriale, il progetto interferisce con uno degli habitat delle residue popolazioni di “Gallina prataiola, rispetto alla quale, nell’ambito del Piano d’azione per la salvaguardia e il monitoraggio della Gallina prataiola e del suo habitat in Sardegna (Assessorato della Difesa dell’Ambiente – RAS, 2011), sono state evidenziate due aree riproduttive. In una di queste, ubicata a sud rispetto al sito d’intervento progettuale e distante dallo stesso circa 1,2 km, è stata accertata la presenza di un maschio territoriale, mentre nell’altra, ubicata ancora più a sud a circa 5,2 km, sono stati censiti 15 maschi territoriali. Una parte dell’area interessata dall’intervento progettuale proposto comporta la sottrazione di potenziale habitat di alimentazione pari ad una superficie di circa 30 ettari, mentre non vi è nessuna interazione negativa con le aree riproduttive segnalate” (Sintesi non tecnica, pag. 73).   La Gallina prataiola (Tetrax tetrax) è in grave pericolo di estinzione e come tale è inserita nell’allegato I della direttiva n. 2009/147/CE sulla tutela dell’avifauna selvatica.
Inoltre, un evidente saldo negativo potenziale emerge dallo studio di impatto ambientale (S.I.A.) dove vengono ipotizzati 90 posti di lavoro in fase di realizzazione e 20 posti di lavoro in fase di gestione, ma sarebbero a rischio 28 posti di lavoro già esistenti (13 Agriturismo e Fattoria didattica Archelao, 5 agrimacelleria Accareddu, 8 Aziende agricole cugini Tolu, 2 vigneto biologico locale). Una vera e propria beffa in proposito. Spiace che sia il Comune di Oristano abbia dato la disponibilità politica in cambio di 50 mila euro all’anno.
Vogliamo cambiare registro una volta per tutte?

martedì 17 febbraio 2015

Sardegna in via d’estinzione

Lo spopolamento dei paesi dell’interno è un fenomeno in corso da decenni. Ora, con più insistenza, emerge il calo totale degli abitanti dell’Isola. L’ultimo report è stato stilato dal Centro studi della Cna Sardegna: i risultati sono chiari: tra il 2009 e il 2013  sono stati 11 mila i sardi che hanno lasciato la Sardegna, in larga parte giovani emigrati in cerca di lavoro. Lo studio ha analizzato il saldo reale tra le entrate e le uscite e così ha scoperto l’incongruità del dato ufficiale evidenziando un invecchiamento sempre più marcato della popolazione della Sardegna, fenomeno esasperato da una sempre più preoccupante “fuga di cervelli”.
I dati ufficiali. Nonostante dopo il Censimento Istat del 2011 sia stato registrato ufficialmente un aumento di oltre 26mila residenti in Sardegna tra il 2011 e il 2013 (da 1.637.846 a 1.663.859 ovvero l’1,6% in più in appena due anni), tale incremento (peraltro in controtendenza rispetto al periodo 2008-2011 caratterizzato da un calo demografico di quasi 5mila abitanti) è stato solo un incremento virtuale, ovvero un aggiustamento contabile dovuto all’attività post-censuaria delle anagrafi comunali.  Analizzando nel dettaglio i dati ufficiali dell’Istat, l’associazione artigiana ha infatti rilevato che la sorprendente e improvvisa crescita della popolazione sarda non è dovuta ad un incremento effettivo di popolazione, ma piuttosto alle operazioni di verifica condotte dalle anagrafi comunali in seguito all’ultimo Censimento della popolazione e delle abitazioni, che dal 9 ottobre 2011 al 31 dicembre 2013, hanno portato al virtuale reinserimento nelle liste anagrafiche di 28.716 residenti, contabilizzandoli come iscritti e cancellati per “altri motivi”, e che un po’ brutalmente si possono considerare individui “sfuggiti alle rilevazioni censuarie”. Viceversa, in base al bilancio tra iscrizioni e cancellazioni per nascita, morte e trasferimento di residenza, alla vigilia dell’ultimo censimento (8 ottobre 2011) le statistiche ufficiali contavano 1.675.263 residenti, mentre con le operazioni censuarie ne sono stati rilevati 1.639.362: in pratica quasi 36mila abitanti in meno, una parte dei quali (quasi 29mila) sono poi stati reinseriti con le successive operazioni di verifica delle liste anagrafiche.
Dunque, secondo l’ufficio studi della Cna, al netto di questi artifici contabili che non corrispondono a un reale movimento della popolazione, l’andamento demografico della Sardegna conferma le tendenze in calo emerse già a partire dal 2008.
Nel periodo 2011-2013 il saldo migratorio positivo (2553 stranieri residenti in più) non è infatti riuscito a bilanciare gli effetti di un saldo naturale fortemente negativo, che dalla data dell’ultimo censimento (ottobre 2011) al dicembre 2013 ha fatto registrare 6.772 morti in più delle nascite con il conseguente calo di 4.219 abitanti (-0,3%). Questo decremento trova conferma, peraltro, nel dato provvisorio riferito ad agosto 2014 che fissando la popolazione pari a 1.661.723 residenti definisce un ulteriore calo di 2.136 abitanti.
Gli scenari demografici fino al 2035
Per meglio comprendere il fenomeno del calo demografico in regione, la CNA Sardegna ha elaborato tre diversi scenari di evoluzione della popolazione: uno ottimista (miglioramento delle condizione economiche e inversione dei flussi, che diventano positivi), uno pessimista (prosecuzione degli attuali trend negativi) e uno mediano (azzeramento dei flussi). E’ risaputo che la crisi economica in Sardegna si è manifestata con particolare intensità. Nel terzo trimestre 2014 il tasso di disoccupazione è giunto al 19,1%, quasi il doppio del dato nazionale (11,8%) e la disoccupazione giovanile (15-24 anni) nel 2013 ha sfiorato il 54,2%, contro il 40% dell’Italia. Tuttavia – evidenzia l’associazione artigiana – quasi mai è stato messo in risalto come la difficoltà di inserimento occupazionale dei più giovani stia innescando un massiccio esodo di popolazione. Un fenomeno che, se non contrastato, è destinato ad avviare un processo di declino socio-economico che, in Regione, rischia di diventare veramente “irreversibile”.
Gli anziani, i bimbi che non ci sono. la ricerca della Cna sottolinea che il punto di partenza della nostra regione è già di per sé estremamente problematico. L’evoluzione delle condizioni economico-culturali ha abbassato infatti il valore di fecondità in Sardegna ad 1,1 figli per donna (2013) assai sotto il livello di sostituzione (2,1). In secondo luogo,  il graduale invecchiamento delle generazioni degli anni ’50 e ’60 (gli anni del boom economico e demografico) ha determinato uno squilibrio generazionale di vastissima portata con una componente anziana  di ultrasessantacinquenni ormai arrivata a rappresentare oltre un quinto della popolazione regionale (era l’11% nel 1985).
Le diverse ipotesi sui flussi migratori (che riguardando in prevalenza giovani sardi)hanno un impatto soprattutto sulla dinamica delle nascite e non sulle morti (stabili intorno a 20 mila all’anno), con una forchetta tra ipotesi bassa ed ipotesi alta variabile tra gli 8mila ed i 10mila nuovi nati in Sardegna all’anno. In altre parole, in tutte le ipotesi di scenario tra 2015 e 2035 la popolazione complessiva è destinata inevitabilmente a ridursi. L’entità del calo varia però consistentemente: 95mila residenti in meno dell’ipotesi alta, quella ottimista (-5,7%); 130mila dell’ipotesi centrale, ovvero quella mediana (-7,8%); fino a 173mila residenti in Sardegna in meno nell’ipotesi più pessimista(-10,4%), vale a dire una città intera più grande di Cagliari scomparsa dall’Isola.
La ricerca cerca di analizzare la situazione andando oltre il dato assoluto del calo totale della popolazione. Quello che conta maggiormente, infatti, è il differente assetto della struttura demografica che si verrebbe a creare, con una componente anziana che dal 22% della popolazione complessiva (era l’11% nel 1985), considerando anche solo lo scenario centrale (azzeramento dei flussi di giovani sardi in uscita), potrebbe arrivare al 34%(addirittura 36% nell’ipotesi bassa) contro le stime nazionali che definiscono valori inferiori al 29%.
Ma solo rapportando la popolazione in età non lavorativa (oltre 64 anni e meno di 15) con la popolazione potenzialmente attiva, sottolinea la ricerca, ci si rende realmente conto di quanto la sostenibilità del sistema socio-economico regionale potrebbe raggiungere livelli estremamente critici, ben più allarmanti della seppur problematica situazione media nazionale.
Infatti l’indice di dipendenza strutturale potrebbe arrivare, nell’ipotesi peggiore, ad un valore del 78% (72% nell’ipotesi più ottimista): in altre parole  – dichiarano Pierpaolo Piras e Francesco Porcu, rispettivamente presidente e segretario regionali di CNA –  tra vent’anni quasi 8 residenti in Sardegna in età non lavorativa (anziani a cui sommare la popolazione con meno di 15 anni) saranno “a carico” di dieci persone in età lavorativa(15-64 anni), e se si considera il tradizionalmente basso tasso di partecipazione della componente femminile al mercato del lavoro (in Regione oggi solo una donna su due è attiva, contro una media nazionale del 54% e di oltre il 60% del Centro-Nord) si capisce di quanto la sostenibilità del sistema socio-economico della Sardegna sarà messa veramente a durissima prova sia in termini previdenziali (si tenga presente che la situazione economica attuale, in termini di disoccupazione, salari e welfare critico per i più giovani, si riverbererà nella previdenza di domani, cioè in livelli pensionistici sempre più critici), socio-economici (necessità di sopperire con il tessuto sociale alla mancanza di strutture di sostegno ed assistenza per i più anziani, carico sulle strutture sanitarie, spesa farmaceutica regionale, ecc.), o puramente economici, ovvero, in una visione complessiva, una ancora minore competitività territoriale. Per inciso, al livello nazionale, anche nell’ipotesi più negativa, il tasso di dipendenza strutturale non andrà al di sopra del 72%.
La proposta. «Il calo delle nascite e la crescita del numero dei morti sta provocando un inesorabile processo di invecchiamento della nostra struttura demografica – commentano Piras e Porcu –. In appena un decennio la Sardegna ha registrato un calo del 9% della popolazione in età feconda (75mila abitanti in meno nella classe 15 e 49 anni tra 2003 e 2013) e a un incremento del 31% degli ultrasessantacinquenni (oltre 83mila in più nello stesso periodo). Questo fenomeno, determinato dall’evoluzione della struttura demografica, ha trovato in Sardegna un fattore di accelerazione nella crisi economica che ha portato a un riacutizzarsi del drammatico fenomeno dell’emigrazione: oltre al calo demografico tra il 2009 ed il 2013 sono stati infatti registrati in Sardegna oltre 11mila residenti in meno per cambio di residenza, in gran parte giovani in cerca di lavoro. Occorre che la Regione prenda finalmente atto di queste dinamiche e si adoperi per rilanciare la crescita economica e lo sviluppo, unica condizione per poter offrire ai nostri giovani opportunità di lavoro e formazione».

mercoledì 11 febbraio 2015

il piccolo Budi



Budi, un cucciolo di orangotango è stato salvato da una serie di maltrattamenti, che lo avevano paralizzato. Per i primi 10 mesi della sua vita, è stato tenuto in una piccola gabbia e alimentato solo a latte condensato. Con un viaggio di oltre 10 ore, tra nave e strada, Budi è stato trasportato all' Orangutan Rescue Centre del Animal Rescue internazional di Ketapang, in Indonesia, dove sono state constatatte le sue gravissime condizioni. Affetto da anemia e da una sindrome metabolica, che ha impedito alle ossa di svilupparsi correttamente, ora sta facendo piccoli progressi. "Ha gli occhi che si riempiono di lacrime ogni volta che lo si tocca, ma quando vede il biberon sorride. E 'davvero incredibile che sia stato in grado di sopravvivere così a lungo", testimonia il personale medico che lo ha in cura. Nonostante sia seguito 24 ore su 24, le sue condizioni sono ritenute ancora a rischio.
da qui

martedì 10 febbraio 2015

ok, il prezzo è giusto

...Sono circa duecento le case all’asta solo a Macomer, abitazioni o locali adibiti ad esercizi commerciali. Sessanta solo negli ultimi tre mesi. “Vogliamo creare una vera rete di solidarietà – prosegue Cossu -. Da soli si muore. Pensate che ci sono 200 padri di famiglia a Macomer che stanno vivendo questa identica situazione e sono bloccati. Per mancanza di coraggio, per pudore, per amor proprio. Non hanno ormai neanche la forza di chiedere aiuto. Ma i mezzi per superare i problemi ci sono tutti”. Il rappresentante dei cittadini di Macomer che si sono mobilitati per la signora Citzia si chiede, ad esempio, come sia possibile che una struttura dal valore di 300mila euro possa essere venduta all’asta per 30mila. “E inoltre il debito rimane – prosegue -. Perché una volta venduta la casa, il debito sarà di 270mila euro. Così c’è un danno doppio: stanno togliendo la possibilità alla persona debole di pagare il debito e pure la casa. È accanimento”...

lunedì 9 febbraio 2015

I temi portanti di un Sardistàn quasi senza speranza - Gruppo d'Intervento Giuridico

L’Italia sta tuttora vivendo una pesante crisi economico-sociale, la Sardegna la vive anche peggio, se possibile.
Non solo, ha fortissimi punti negativi in settori nevralgici.
La gestione dell’acqua e l’istruzione, per esempio.
Le reti idriche isolane attualmente perdono circa l’85% dell’acqua trasportata (dati Ordine dei Geologi, ottobre 2011).
Ben il 38,2% della popolazione residenteha solo la licenza media e ben il 24,5%solo quella elementare o, addirittura,alcun titolo. Tuttora il 25,8% dei sardi fra 18 e 24 anni ha solo la licenza media, il dato più elevato in Italia (dati M.I.U.R., giugno 2013).   Vuol dire che il 62,7% dei residenti in Sardegna in età lavorativa (dai 16 anni in poi) èprivo di qualifica professionale (da Sardegna Statistiche, anno 2009).
Qual è, invece, il tema oggi alla ribalta nell’Isola?
La presenza o meno dei “quattro mori” nellostemma della Regione autonoma della Sardegna.
Inizia a pontificare all’Accademia dei Lincei di quattro mori e quattro giganti di Monte Prama la Sottosegretaria ai beni culturali Francesca Barracciu, replica il Presidente del Consiglio regionale Gianfranco Ganau, s’inserisce l’artista Pinuccio Sciola con un pindarico parallelismo fra teste mozzate, indirizzato al neo Presidente della Repubblica Sergio Mattarella (e perché non a papa Francesco?), non può mancare l’ideologo-capo di gabinetto assessoriale Franciscu Sedda, men che meno gli storici Manlio Brigaglia, Eugenia Tognotti, Barbara Fois, indipendentisti, limbasardistie chi più ne ha più ne metta.
Politici e intellettuali, quelli che dovrebbero dare un indirizzo a questa povera Isola parlano, straparlano, replicano e litigano sul fondamentale tema. Come i famosi capponi di Renzo, si beccano senza tregua.
Evidentemente i polli a buon mercato abbondano.
E poi ci si stupisce che ‘sta povera Isola affondi nel bel mezzo del Mediterraneo.
da qui

sabato 7 febbraio 2015

politiche per l’italia interna - Franco Arminio

...vogliamo costruire una trama nuova, che sappia intrecciare politica e poesia, economia e cultura, scrupolo e utopia.
Non spetta a noi essere precisi, fare piani, programmi. La casa della paesologia è anche la casa delle pensate confuse. Eccone alcune.
In ogni casa degli italiani ci deve essere una foto del nostro pianeta.
Almeno una volta all’anno il consiglio dei ministri si deve svolgere in una masseria.
Diffondere a livello capillare su tutto il territorio nazionale le opportunità formative per adulti e ragazzi, in particolare i corsi di alfabetizzazione a vecchi e nuovi saperi dovrebbero essere istituiti nei paesi che hanno meno di duemila abitanti: ci devono essere dei luoghi in cui poter lavorare nel fruttuoso connubio tra l’arcaico e il moderno, il computer e il pero selvatico.
Le mense delle scuole dell’Italia interna devono approvvigionarsi di cibi sani e a km0.
I servizi pubblici locali non possono essere privatizzati. Bisogna promuovere delle cooperative di comunità per gestire questi servizi.
I centri commerciali devono chiudere alle sette di sera e anche la domenica.
Conservare il terreno agricolo, neppure un metro quadro di terra deve essere coperto di cemento. Nell’Italia interna siano vietate nuove costruzioni e si proceda riutilizzando le case esistenti. Terra e cultura più che cemento e uffici.
Prodotti tipici da consumare non solo nelle sagre.
Canti e teatro al posto delle betoniere.
Svuotare le coste e riportare le persone sulle montagne. Sistemare le strade provinciali, togliere le buche, restaurare i paesaggi, le pozze d’acqua per gli ovini, ripulire i fiumi, i torrenti.
Dare ai giovani le terre demaniali.
Togliere le tasse sulla casa a chi abita nel centro antico dei paesi più piccoli.
Siamo convinti che la militanza politica debba essere al servizio di chi lavora molto e guadagna poco: e qui troviamo un’adiacenza tra operai e poeti.
La finanza ha rubato spazio alla politica, la politica ruba spazio ai cittadini, i cittadini danno spazio ai leader e non a chi fa politica dal basso. La casa della paesologia è un esperimento comunitario in cui la militanza politica non è mai scissa dalla militanza poetica. Siamo convinti che il fiume delle lotte civili debba avere delle anse liriche: passare un po’ di tempo vicino a un animale, ascoltare gli anziani, esprimere almeno una volta al giorno ammirazione per qualcuno, svegliarsi ogni tanto alle tre di notte, uscire all’alba almeno una volta al mese, dare attenzione a chi cade e aiutarlo a rialzarsi, chiunque sia, cantare, leggere poesie ad alta voce, costruirsi delle piccole preghiere personali e usarle.

domenica 1 febbraio 2015

Noi sardi siamo condannati? - Claudia Basciu (Grig)

Asinelli uccisi, decapitati e macellati sul posto, stessa sorte per le asinelle in stato di gravidanza, i cui feti sono stati buttati via insieme alle interiora, e poi ancora pecore sgozzate, galline uccise a badilate, cani presi a picconate e a sassate, e così conigli, oche, faraone, maialetti.
Forse solo in un film splatter sarebbero riusciti a fare di meglio.
Ma noi Sardi, quelli con la schiena dritta, quelli con l’orgoglio appeso al collo, quelli che esigono rispetto dal resto del mondo, quelli  con il vittimismo attaccato al fondoschiena, noi, Noi sappiamo fare molto meglio. Sappiamo, come nel vile massacro in danno di Gabriele Secci e dei suoi animali, uccidere la speranza, la dignità, l’intelligenza, tutto in un colpo solo, come pochi sanno fare.
Secondo quanto riportato dalla stampa, Gabriele Secci è un giovane che, dopo una serie di vicissitudini lavorative, aveva deciso di avviare un’attività per conto proprio a Villamassargia, una fattoria didattica, come peraltro fanno molti giovani, e meno giovani, in tutta Italia. Un modo onesto e dignitoso per far fronte alla terribile crisi economica degli ultimi anni.
Ma Gabriele, evidentemente, non aveva fatto i conti con il lato oscuro dei Sardi, quello violento, barbaro, vile, autolesionista, in grado di agire solo per distruggere, a prescindere dalla crisi economica.
Perché, ammettiamolo, eventi del genere non accadono nelle comunità povere, dove magari si caccia o si uccide un animale per la propria sussistenza, accadono nelle comunità vuote e un po’ infelici, dove ci si illude che la vita degli esseri umani sia slegata da quelle degli altri esseri viventi, sempre e comunque al servizio delle proprie esigenze e delle proprie frustrazioni.
In Sardegna, il fenomeno è sempre stato presente, e nulla sembra essere cambiato negli ultimi tempi, si manifesta con gesti sempre più feroci e crudeli. Non sembra che questo sistema ci abbia fatto crescere né economicamente né socialmente,  e allora, vogliamo iniziare a cambiarlo o preferiamo essere condannati a rimanere una comunità vuota, di poveri illusi, per sempre?
Iniziamo, per esempio, a manifestare solidarietà a Gabriele Secci e a condannare apertamente il vile gesto. Sarebbe un piccolo passo avanti.
Chi può, magari, gli doni un altro animale, per ripartire.