giovedì 19 settembre 2013

una pubblicità bellissima

a prescindere da altri discorsi, forse, questa è una gran bella pubblicità, secondo me.



mercoledì 18 settembre 2013

Negli spot dei «compro oro» le speranze tradite del Paese – Aldo Grasso

«Più Leali di così». Il cantante Fausto Leali ci ha messo la faccia, è il caso di dirlo, per sponsorizzare una catena di negozi di «compro oro». Ma anche Renato Pozzetto non è da meno. In uno spot che reclamizza un marchio dei «compro oro» recita la parte del nonno che si è venduto un orologio regalatogli dal figlio per comprare i doni di Natale ai nipoti. In un altro, sempre in coppia con il figlio, sostiene di essersi sbarazzato di qualche «cianfrusaglia d'oro» per acquistare un megaschermo: «Così quando sono a casa, anziché aprire il cassetto e guardare l'oro, guardo il televisore e mi diverto di più».

Beato lui che si diverte, perché i negozi di «compro oro», spuntati come funghi, sono uno dei segnali più laceranti della difficoltà che il Paese sta attraversando. Un italiano su quattro si è rivolto a un «compro oro nel 2013. Lo evidenzia il Rapporto Italia 2013 dell'Eurispes: in un anno, la percentuale è salita dall'8,5% al 28,1%. La crisi rimpingua gli incassi, i negozi del settore sono in crescita e la criminalità ha fiutato il business con una rete sempre più estesa di attività illecite. Lo confermano i dati della Guardia di finanza: nel 2013 sono stati arrestati 52 responsabili di traffico di metalli preziosi, oltre il 200% in più rispetto all'anno precedente.
Molte famiglie sono costrette a vendere gli anelli, le collanine, gli orecchini, gli orologi conservati per molti anni come piccolo tesoro di famiglia, spesso dall'alto valore simbolico. Le difficoltà economiche, il bisogno di denaro contante per arrivare a fine mese fanno sì che persone senza scrupoli ne approfittino per traffici illegali. E i poveri cristi che si vendono l'oro non lo fanno certo per portarsi a casa un nuovo televisore!
La figura del testimonial, una sorta di garante della pubblicità, è proprio quella di connotare positivamente un servizio davanti agli occhi «ingenui» del consumatore. Nessuno mette in discussione la buona fede di Leali o di Pozzetto (su grandi manifesti stradali sono apparsi anche Anna Falchi, Fabrizio Corona, persino, a sua insaputa, papa Francesco...) né la legittimità delle catene reclamizzate, ma un po' di sensibilità in questi casi non guasterebbe. Oro fa oro, ma lealtà fa lealtà.

martedì 17 settembre 2013

Piante che curano, Piante proibite - Josep Pamies



QUI  il sito di Josep Pamies

Sono venuto a conoscenza della serra di Josep Pamies a Balaguer, nella provincia di Lerida in Spagna e credo che il lavoro che sta facendo quest’uomo debba essere diffuso quanto piu è possibile.
La Dulce revolución de las plantas medicinales, è una associazione no profit, creata da Josep Pamies, che si occupa di raggruppare tutte le persone che vogliono condividere le loro esperienze derivanti dall’uso delle piante medicinali e delle terapie naturali non aggressive. La dulce revoluciò prende il nome dalla Stevia Rebaudiana, dal suo sapore dolce e dalle sue proprietà medicinali che vengono occultate dagli interessi delle multinazionali. Con la stevia è cominciata una dolce rivoluzione che permetterà contrastare gli abusi delle case farmaceutiche e recuperare, o evitare che vada perduto, il sapere popolare nell’uso delle piante medicinali e delle terapie naturali. In Europa è in vigore dal primo di maggio del 2011, una legge che proibisce la commercializzazione di piante medicinali, non registrate nell’albo europeo, anche se in uso da millenni nella medicina ayurvedica indiana, nella medicina cinese, sudamericana, africana etc. Ovviamente le spese da sostenere per poter completare la “procedura semplificata” per registare una pianta e poter dimostrare che è “innocua”, possono arrivare anche a centinaia di migliaia di euro ed è evidente che solo le grandi multinazionali possono affrontare queste spese…


grazie a Edoardo per la segnalazione

sabato 14 settembre 2013

Karapiru – gli anni del silenzio

Nella sua lingua, il suo nome significa “falco”. Eppure, nonostante l’acutezza della vista che l’epiteto suggerisce, Karapiru non avrebbe mai potuto prevedere la tragedia che ha colpito il suo popolo, gli Awá del Brasile nord orientale. Non avrebbe potuto immaginare che per salvarsi la vita, un giorno sarebbe dovuto fuggire lontano, nel folto della foresta pluviale, con un proiettile di arma da fuoco bruciante nella schiena e la sua famiglia trucidata dai sicari. Né avrebbe potuto sapere che quel drammatico giorno avrebbe anche segnato l’inizio di un decennio di solitudine e silenzio.

La terra ancestrale di Karapiru si trova nello stato del Maranhão, tra le foreste equatoriali dell’Amazzonia occidentale e le savane orientali. Gli Awá, la chiamanoHarakwá, “il luogo che conosciamo”.
I 460 membri della tribù Awá vivono cacciando pecari, tapiri e scimmie; si spostano nella foresta pluviale con archi lunghi due metri e raccolgono i prodotti della foresta: noci di cocco babaçu, bacche di açaì e miele. Alcuni cibi sono apprezzati per le loro proprietà speciali – altri, come gli avvoltoi, i pipistrelli e i bradipi tridattili, sono proibiti. Gli Awá viaggiano anche di notte, illuminando il loro cammino con torce di resina d’albero.

La tribù alleva gli animali rimasti orfani, condivide le sue amache con i coati (simili ai procioni) e spartisce i manghi con i pappagallini verdi. Le donne awá allattano al seno le scimmie cappuccine e quelle urlatrici, e anche piccoli maiali.

L’anno degli Awá si divide in “sole” e “pioggia”; le piogge sono controllate da esseri celesti chiamati maira che sovrintendono ampi spazi di cielo. Quando c’è luna piena, gli uomini awá, con la chioma nera maculata del bianco delle piume dell’avvoltoio reale, entrano in comunione con gli spiriti attraverso la trance indotta da una cantilena. Il rituale dura sino all’alba.
Per secoli hanno vissuto in serena simbiosi con la foresta pluviale. Poi, in soli quattro decenni hanno assistito alla distruzione di gran parte della terra natale e all’assassinio del loro popolo per mano dei karaí (i “non-Indiani”). Oggi, hanno perso più del 30% dei loro territori, andati completamente distrutti, e sono diventati non solo una delle ultime tribù di cacciatori-raccoglitori rimaste in Brasile, ma anche la più minacciata del pianeta...

sabato 7 settembre 2013

Viviseziona il vegetariano - Andrea Dotti

«Oddio, e ora come glielo dico?». Una domanda che mi perseguita da dieci anni ogni volta che mi trovo a cena fuori con semi-sconosciuti. Cerco di studiare il modo migliore per svelare il mio segreto infame e mi preparo al plotone d’esecuzione. Ora capisco come si sentivano i gerarchi nazisti a Norimberga. E adesso tocca a me.
Decido di tacere. Forse è la cosa migliore: resto zitto fino a quando è possibile. Saranno loro, al massimo, a scoprilo. Così la cena procede tranquillamente. Mangio quello che posso e quello che voglio. Poi, la catastrofe. C’è un tizio, uno qualunque, che si offre di farmi assaggiare parte della sua pietanza, sponsorizzandone la prelibatezza. Si tratta di una braciola di maiale in salsa barbecue, che, a quanto pare, è la fine del mondo. Eccolo: il dramma. «No, grazie. Sono vegetariano». È tipo come se mi fossi alzato e avessi sbattuto sul tavolo la mia tessera del Partito Nazista Tedesco. Silenzio. Tutti mi guardano. Quello che accade dopo è la fotografia di una comune cena a cui partecipa un vegetariano.
Segue un piccolo decalogo che illustra le categorie più diffuse di commensali vegfobici. Uno spaccato sociologico di un banchetto moderno.

CATEGORIA UNO: L’INDIGNATO. È forse quella più spiacevole da incontrare. Ai rappresentanti di questa categoria non interessa sapere le motivazioni della tua scelta, però ti interrogano ugualmente. Per loro non è importante convincerti che la tua scelta è sbagliata, in quanto lo danno già per assodato: non si può non mangiare carne. Secondo loro, se tutti fossero vegetariani saremo invasi da vacche e maiali. Probabilmente gli animali da fattoria conquisterebbero il mondo. Sei il primo vegetariano che hanno conosciuto: uno di quegli incontri che racconteranno agli amici…



grazie a Roberta per la segnalazione

lunedì 2 settembre 2013

vota bianco, dice la Ferrero

“La Germania vota bianco!”. Sbaglia chi pensa allo slogan di una campagna elettorale.
Siamo invece nello spot che Ferrero ha consegnato agli annali della pubblicità per le accuse di razzismo e xenofobia.
In Germania la corsa per le prossime elezioni è ormai entrata nel vivo. Ferrero, che ha il problema di lanciare nel mercato tedesco i nuovi cioccolatini bianchi, Küsschen, d’accordo con M&C Saatchi, una delle più grandi società pubblicitarie del mondo, si chiede: perché non approfittarne?
Nello spot, trasmesso per un brevissimo periodo e poi ritirato in seguito alle polemiche, il simpatico dolcetto/candidato alle elezioni, sostiene l’importanza di una scelta bianca in Germania: “Tutti noi vogliamo far diventare questo Paese più gustoso, vogliamo il bianco Ferrero Küsschen per sempre“.
La folla a lui dinanzi di giovani, belli e (guarda un po’) bianchissimi tedesconi, è pronta ad acclamarlo, urlando e innalzando cartelloni con la scritta “Yes weiss can”, un gioco di parole che richiama il motto del primo Obama “Yes, we can”, con un “weiss” (bianco) al posto del “we” (noi)…

domenica 1 settembre 2013

senza data di scadenza

La Grecia affila le armi anti-austerity e - in attesa di una ripresa che non si vede ancora all'orizzonte - dà il via libera operativo alla vendita dei cibi scaduti. Il Governo ellenico ha pubblicato la direttiva che dal primo settembre consentirà ai supermercati di tenere sugli scaffali anche i prodotti etichettati "da consumare preferibilmente entro" dopo la data di scadenza. La merce di questo tipo dovrà essere collocata in spazi appositi ben separati dagli altri cibi e sarà venduta per periodo limitato e a forte sconto. Un modo per venire incontro a una popolazione costretta a tirare la cinghia dall'austerity lacrime e sangue imposta dalla Troika che per ora ha prodotto un risicato pareggio di bilancio ma anche una disoccupazione record al 27,6% (64,9% per i ragazzi tra i 15 e i 24 anni) e un calo delle vendite al dettaglio nel primo semestre del 2013 vicino al 14%...

vita da macaco