sabato 6 settembre 2014

Una cittadinanza onoraria ai passeri - Roberto Papetti

I passeri sono fra tutti gli animali che vivono accanto all’uomo quelli più comuni e quotidiani,
paradossalmente così comuni che nessuno quasi li nota. Sembrerebbe impossibile se non fosse palese evidenza che zampettano accanto a noi e riescono a vivere nel marasma del mondo di oggi con compassata decenza. Se ne incontrano in tutte le stagioni dell’anno, ora a far bagni di polvere, ora a far “passeraio” dentro la chioma di un albero. Quando li si vede saltabeccare e bere in una fontana, si prova una gaia contentezza.
L’elogio che qui si vuol fare dei passeri è una dimessa allegoria che non esclude il dire qualcosa sulla sua ecologia e biologia. “Passer domesticus” – ovvero passero domestico – è un uccello che vive in tutti i Paesi del mondo di clima temperato. Il maschio si riconosce per il vertice del capo grigio, la nuca castana, la gola nera e le guance biancastre. La femmina e i giovani sono bruno sporco sopra il capo e bianco grigiastro sotto, senza particolari segni di riconoscimento. Voce: garrula e variata. Habitat: le aree coltivate con costruzioni, raramente lontano dalle abitazioni. Nidifica sotto i coppi dei tetti delle case o fra arbusti e piante rampicanti dei cortili.
I passeri possiedono la qualità rara della compostezza esistenziale che fa vivere con poco. Nessuno come loro sa tenere occhi e orecchie ben aperti, usando i sensi con giudizio e in modo perspicace, affrontando i problemi di ogni giorno con prontezza e semplicità. Tutti i giorni questi uccelletti benevoli spazzolano i rimasugli di cibo fra i tavolini dei bar o ai margini dell’entrata di qualche negozio; sui balconi si appoggiano per spiccare il volo verso i tetti e atterrano sulle strade per qualche veloce ricognizione. Più di tanti altri animali, possiedono l’uso del comune, cioè “quello che serve per quel tanto che basta”, senza azzardare o speculare, per esempio nella finanza. Infatti non si è mai sentito di una passerotto che quota in Borsa la sua riserva di granaglie. Il passero anche quando saltella si sente che ha le ali, che c’è in questo modo di essere terra/aria una sapienza fantasticante che porta in alto, pur tenendo solidi legami con la realtà. Detto in altro modo, il senso comune del passero è leggerezza e praticità. Come ha osservato Saul Bellow il mondo è pieno di idioti con un alto quoziente di intelligenza; fra questi, lo scrittore esclude i passeri che infatti non brillano di qualche particolare intelligenza, non sono consiglieri governativi, non fanno i giornalisti televisivi, non scrivono libri tipo «La Bibbia e i passerotti» o «Management e passeritudine», non cinguettano sui social network.
Il senso pratico dei passeri non è solo strettamente pragmatico, è il senso più ampio e popolarmente filosofico della sagacità, cioè acutezza, avvedutezza e grazia dell’uso del comune. Con i detti di un tempo il senso pratico vuol dire: “avere la testa a posto”, “non farsi imbambolare dai dispositivi che catturano”, “non comprare monetine di legno”, “stare dalla parte di ciò che non si può domare”, “lasciare che i morti seppelliscano i morti”, “vivere senza correr dietro alle fanfallucche degli imbonitori”.
I passeri non sono sentenziosi sebbene ci sia qualche eloquenza nel loro cinguettare. Il loro è tutto un sentito dire, un passarsi le voci e i cip cip, magari raccontandosi le storie e la saggezza del passeraio.
E’ per questo pot-pourri di nozioni disparate che possiamo dire dei passeri tutto il bene possibile, così come lo diciamo dei sistemi di senso comune in generale, che ci permettono di cogliere la grande uniformità della vita nel mondo.
Può esserci una vicinanza fra passeri e umani che vada al di là della indifferente convivenza? Si raccontano storie in Romagna di un vecchio venditore di giornali che dava ricovero nella sua edicola a una famiglia numerosa di passerotti. Magro e sottile, con una barbetta ispida e mal rasata, l’edicolante stava fra mucchi di giornali da vendere, conteggiando le rese con grande fatica, per via della scarsa vista. Sui cappelli arruffati e bianchi si posavano i passeri. Si racconta che avesse sbollito una febbre terzana sudando fra due materassi e annusando nafta, con i passeri che lo stavano a guardare preoccupati. Era il vanto del paese, insieme alla fontana dell’acqua di un pozzo artesiano, di fronte alla sua edicola, che prendeva fuoco per via del metano che saliva dal sottosuolo. La sua edicola era attorniata da ombrelloni, panchine, vasi, fioriere. Dietro, in un piccolo cucinotto, preparava il pasto di mezzogiorno su un fornellino.
Per i passeri teneva da parte rimasugli di pane e pasta che offriva con molte cerimonie e moine. I passerotti arrivavano quando lui li chiamava, si mettevano in fila sul suo braccio e uno per uno saltellando, arrivavano sulla sua mano per raccogliere briciole con piccoli colpi di becco. Li apostrofava con discorsetti umoristici o proverbiali. “L’uccello mattiniero piglia i vermi” rimproverava i pigri; “Chi ha fretta beve il the con la forchetta” diceva agli impazienti. I passeri lo guardavano con attenzione e lui si sentiva come il re del paese delle fiabe e dei boschi, ritenendo lo sguardo di passero una fatagione. Quando il vecchio andava a giocare a biliardo, lo accompagnavano attraversando la piazza del paese in volo fino alla porta del bar, per poi ritornare sul tetto dell’edicola, dove aspettavano il suo ritorno. Il vecchio suonava il violino con disdicevole genialità, i passerotti non sapevano apprezzare e qualche volta si allontanavano costernati. Molti passanti, automobilisti, massaie e anche piccoli mendicanti si radunavano accanto alla sua edicola a chiacchierare e osservare i volteggi degli uccelletti. Per questa ragione aveva qualche problema con le autorità del paese che gli imputavano di sottrarre spazio al parcheggio delle macchine.
A un viaggiatore che conosceva numerosi continenti fu chiesto qual era la cosa che riteneva più straordinaria di tutte. Lui rispose: il fatto che ci siano i passeri.
Ho scoperto che la passione per i passerotti accomuna viaggiatori e poeti, vecchi rimbambiti e strambi, giocattolai e bambini.
«Passero, delizia della mia fanciulla, col quale è solita giocare». (Catullo)
«Passero mai solitario in alcun tetto non fui quant’io». (Francesco Petrarca)
«Ormai nei nidi di ieri non c’è più passeri». (Miguel Cervantes)
«Tu pensoso in disparte il tutto miri». (Giacomo Leopardi),
«Quanti propositi vani, che sicumera farnètica e buffa e che sussulti di passero».(A. M. Ripellino)
«Ci sono alcuni passeri. Ma come si fa a intrattenere un rapporto costruttivo con un passero?» (Giorgio Manganelli).
«Passeri, indiani dalla testa nera». (Peter Handke)
«Una strada senza passeri, un giocattolo senza bambini». (Peter Handke)
«I passeri sono grandi incapaci». (H. Michaux ).
«Guardo un passero che becchetta una merda fresca, straordinario come è facile campare per un passero». (Henry Miller )
In un calendario dedicato a Mario Quintana, il poeta brasiliano dei passerotti secondo Rubem Alves, c’è un cielo azzurro con una enorme luna piena e il profilo del vecchietto sorridente, con un bastone e un passerotto in mano. Non è comune che i passerotti si posino in mano, a contatto con gli esseri umani, in Brasile. Gli uomini sono coloro che hanno perso la fiducia degli uccelli. Mario Quintana è il poeta che crede nei passeri e ha dedicato loro la più deliziosa fra tutte le sue poesie. E’ noto che Quintana ha scritto per vendicarsi dei suoi assassini, lui è stato ucciso diverse volte: «La prima volta che mi hanno ucciso, ho perso il sorriso che avevo… Dopo, ogni volta che mi uccidevano hanno portato via qualcosa di me…». E’ un testo triste che sanguina. Quando l’ha scritto sentiva ancora il dolore provocato dal coltello. Dopo, con il tempo, ha imparato che ridere è l’arma che uccide più della rabbia. E’ stato allora che ha trovato la fine del proprio caso.
Poemino del contrariato
«Tutti quelli che ingombrano la mia strada,
loro passeranno…io passerotto».


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