Colpa o merito della globalizzazione, viviamo in società
più integrate economicamente e culturalmente. Sono anche società sempre più
diseguali, come ripete chi vagheggia il ritorno a rigidi confini nazionali?
«Non è vero che il mondo è più diseguale in termini di
disparità di reddito, globalmente la distribuzione del reddito non è diventata
più iniqua. In gran parte è in virtù dell’economia cinese, con molti poveri che
si sono arricchiti. In generale però le diseguaglianze non sono cresciute. La
gente lo ripete ma è sbagliato. È vero invece che globalmente il livello delle
diseguaglianze è straordinariamente alto e questo è intollerabile. Sono due
affermazioni diverse».
Che rapporto c’e tra diseguaglianze e welfare?
«Ammesso che a livello globale ci sia molta diseguaglianza,
allora la domanda legittima da porsi è se, grande com’è, impatti negativamente
sul welfare. Abbiamo buone ragioni economiche per crederlo».
Secondo una risoluzione delle Nazioni Unite del 2012 la
copertura sanitaria universale va sostenuta perchè è uno strumento per
combattere le diseguaglianze. È d’accordo?
«L’Onu non ha grandi poteri effettivi ma può enfatizzare
l’importanza del fatto che chiunque abbia un’assistenza sanitaria e che questa
sia disponibile e accessibile per tutti. L’Italia e l’Europa in generale sono
su questa linea, ma lo sono anche la Corea del sud, il Giappone, Taiwan, la
Cina sta migliorando molto. Si registrano progressi anche in Ruanda».
Le diseguaglianze, reali o percepite, sono quasi ovunque la
benzina dei nuovi populismi. Come contrastarne l’avanzata?
«I populismi non sono alimentati solo dalle diseguaglianze
economiche ma da tante cose, anche dal razzismo. Nei paesi dove c’è stata una
riduzione dei salari e una perdita di posti di lavoro c’è una maggiore tendenza
a prendersela con le decisioni governative, anche quando la situazione dipende
più dai cambiamenti tecnologici che dalle scelte politiche sbagliate. Comunque
non sono sicuro che i populismi continuino ad avanzare, guardo la vittoria di
Macron in Francia, la Merkel che viene sfidata da un socialdemocratico e non da
una Marine Le Pen tedesca, l’Olanda».
La democrazia è il sistema migliore per sconfiggere le
diseguaglianze?
«È più complesso di così. È frequente che la povertà renda
più difficile l’affermarsi della democrazia e che le democrazie di successo
ottengano buoni risultati contro la povertà. Però il rapporto di causa effetto
non è sempre lineare. Penso alla mia India, dove prima dell’Indipendenza c’era
una carestia ogni due anni e poi non più. La democrazia impatta sui deficit
cronici di un paese ma non necessariamente sull’educazione o sulla salute della
popolazione. La Cina per esempio, meno democratica dell’India, ha fatto
maggiori passi avanti nella diffusione dell’educazione e dell’assistenza
sanitaria».
A che punto è la dialettica tra diritti e sviluppo
economico nei paesi emergenti? La Cina per esempio, sta facendo progressi?
«In termini di diritti dei lavoratori e diritti democratici
probabilmente no, la Cina non ne sta facendo. Ma per quanto riguarda
l’assistenza sanitaria e l’educazione decisamente si».
Cosa pensa dell’idea portata avanti in Francia da Hamon e
in Italia dai Cinque Stelle di un reddito di base che, si chiami di inclusione
o di cittadinanza, sia di fatto una redistribuzione economica?
«Credo che il primo passo debba essere garantire
l’assistenza sanitaria e la scuola per tutti. Oggi purtroppo il trend in Europa
e in Italia sembra andare in direzione opposta, verso welfare meno accessibili
e più costosi. Non so se il reddito universale sia una soluzione ma
l’educazione e la salute sono la condizione per produrre reddito».
La tanto invocata politica dei muri potrebbe sul breve
termine ridare respiro alle economie europee che ancora non si sono riprese
dalla crisi del 2007?
«Il guaio del 2007 non è stata la crisi in sé, ma le misure
con le quali la si è affrontata. L’austerity è stata la soluzione sbagliata.
Quanto ai muri e alla paura dei migranti, la chiusura dei confini non ha mai
aiutato nessun Paese a crescere economicamente, di solito vale l’opposto, a
maggior apertura corrisponde più successo. La prosperità americana è dipesa
anche da uno stabile afflusso di immigrati. Tirare su muri può sembrare un
argine, ma lascia fuori anche le tante realtà vigorose di cui le economie hanno
bisogno».
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