Nell’ambito dei movimenti antisistemici, le
tematiche legate alla questione animale, in particolare all’antispecismo, sono
piuttosto snobbate, nonostante un numero non indifferente di attivisti e
attiviste abbia fatto scelte di vita piuttosto chiare per quanto riguarda
l’alimentazione e, più in generale, siano estremamente sensibili all’argomento.
C’è una notevole sottovalutazione ignorando come il tutto sia in
stretta relazione con la necessità di un mutamento radicale e profondo
dell’attuale modello sociale, economico e culturale.
La stessa emergenza pandemica ha evidenziato quanto l’oppressione,
la supremazia che il genere umano ha stabilito sin dalle sue origini sulle
altre specie e sulla natura, abbia favorito il diffondersi di malattie ed
epidemie, fino a raggiungere i livelli di guardia che ci hanno portato in
questa situazione.
Ritenere l’antispecismo una teoria e una pratica, un terreno di
confronto e di mobilitazione non rilevante è alquanto miope.
Ormai ci sono numerosi contributi sul terreno della riflessione
politica e filosofica di pensatori appartenenti all’area critica che spiegano
perché dovremmo ritenere la tematica non disgiunta dalle battaglie che si
stanno portando avanti sul fronte ambientale e anche nell’ambito economico e
sociale.
Tra i contributi più efficaci citiamo quelli di intellettuali e
studiosi, per quanto riguarda il nostro Paese, come Annamaria Rivera e Massimo
Filippi. Di quest’ultimo ricordiamo “Crimini in tempo di pace”, Eleuthera, scritto insieme a Filippo Trasatti. Sempre
sul piano della riflessione politica, uscendo dai confini nazionali, è
opportuno citare Steven Best “Liberazione totale” Ortica edizioni.
Best accomuna una radicale critica al sistema capitalistico con la
necessità di un processo di “liberazione animale”. L’oppressione animale come
specchio dell’oppressione dell’uomo sull’uomo. Una società basata sullo
sfruttamento, non può che produrre lo sfruttamento in tutti i suoi ambiti. «Il
capitalismo ha avuto origine dall’imperialismo, dalla colonizzazione, dalla
tratta internazionale di schiavi, dai genocidi e dalla distruzione ambientale
su larga scala. Senza, non sarebbe stato possibile . Il capitalismo è un
sistema di schiavitù, sfruttamento, gerarchia di classe, ineguaglianza,
violenza e lavoro forzato. È basato su necessità di profitto e di potere».
Una critica radicale al modello esistente, sviluppatosi nei
secoli, non può però prescindere dal fatto che l’edificazione del sistema
schiavistico e di sfruttamento è speculare ad un altro modello schiavistico che
ha visto la nostra specie, sin dalla preistoria, esercitare un’oppressione
sistematica sulle altre e che successivamente, nel processo di civilizzazione,
ha trovato le modalità razionali per dare vita al sistema produttivo moderno,
capitalistico e non, che trova nel dominio sul mondo animale (non umano), pieno
dispiegamento.
Analizzare i fenomeni sociali con quello che Best chiama «il punto
di vista animale» significa acquisire la consapevolezza «del ruolo cruciale che
gli animali hanno giocato nell’evoluzione umana e le conseguenze del dominio
umano sui non umani. Non potremo comprendere e risolvere i problemi sistemici
della società capitalista, le origini e le dinamiche della gerarchia e nemmeno
immaginare una società razionale, autonoma etica ed ecologica del futuro se non
faremo i conti con diecimila anni di specismo che ci portiamo dietro e il
trattamento barbaro riservato agli altri animali». Una visione che getta «nuova
luce sulle origini, le dinamiche dello sviluppo delle culture dominanti».
Inoltre il punto di vista animale «è una estensione della teoria dal punto di
vista femminista che fu sviluppato per rivelare il dominio patriarcale e il suo
impatto debilitante sulla donna e l’umanità in generale». Del resto la
diffidenza e il sarcasmo che spesso vengono usati da chi sottovaluta l’antispecismo
e più in generale le questioni a esso collegate, ricordao l’ironia e gli
sbeffeggiamenti con cui la maggior parte dell’opinione pubblica, maschile,
reagiva ai primi movimenti di emancipazione femminile, alle rivendicazioni
delle “suffragette”.
A sinistra l’eredità marxista classica ha ritenuto e continua a
ritenere il tema del tutto irrilevante o al massimo lo inserisce nella
battaglia più ampia portata avanti sul fronte ambientale. La centralità della
lotta di classe, non può perdere tempo con tali quisquilie.
Marx era figlio dei suoi tempi e incentrò la sua analisi, visto il
contesto, sullo sviluppo del nascente sistema industriale e le sue
contraddizioni di classe. Del resto alle spalle aveva una plurisecolare storia
del pensiero filosofico che sin dall’antichità, salvo alcune eccezioni,
riteneva gli animali non umani “cose”, una linea che inevitabilmente fu
ereditata, a partire da Cartesio, dai pensatori moderni e tracciò il solco di
una tradizione che arriva fino ai giorni nostri e ha contagiato anche gran
parte della sinistra in tutte le sue articolazioni.
Del resto fino agli anni Sessanta/Settanta del secolo scorso
stessa sorte, come accennato, hanno avuto il movimento femminista, quello
ecologista, nonché le tematiche legate alla diversità sessuale e alla violenza
sui minori. La mitica “centralità operaia”, per decenni ha fatto passare in
secondo piano le altre altrettanto fondamentali centralità. Un’analisi che
ignora – come rimarcano Filippi e Trasatti all’inizio del loro saggio – che
Henry Ford per dare vita alla nuova catena di montaggio che caratterizzerà la
futura produzione automobilistica su larga scala e si allargherà a tutto il
sistema produttivo, prende spunto dalla catena di montaggio del mattatoio di
Chicago dove furono macellati dalla sua inaugurazione del 1865 al 1900
quattrocento milioni di animali.
Mentre gli altri movimenti, a partire da quello femminista, hanno
gradualmente guadagnato la scena sociale e politica globale, per i movimenti
animalisti e antispecisti ancora la strada è lunga, seppure segnali di
inversione di tendenza da tempo iniziano ad esserci, una maggiore
consapevolezza si sta sviluppando. Lo evidenzia la scelta sempre più ampia di
un’attenzione verso la scelta alimentare con una crescita esponenziale di chi
opta per il cibo vegetariano e vegano.
Così come sono ormai diffusi movimenti, con varie articolazioni,
che agiscano contro le vessazioni e le torture nei confronti dei non
umani.
La sensibilità maggiore si registra nei confronti degli
allevamenti intensivi e dei veri e propri crimini dell’agrobusiness. Il dato
relativo ai quattrocento milioni di animali macellati in meno di trent’anni nel
mattatoio di Chicago 150 anni fa, impallidisce di fronte alle statistiche
attuali che registrano 170 miliardi di animali eliminati ogni anno; oltre 14
miliardi di animali ogni mese; 5.390 animali al secondo.
Ormai sono diverse le inchieste giornalistiche che attestano
questo gigantesco sterminio. Alcuni anni fa la rivista Internazionale pubblicò
un’inchiesta di due giornalisti francesi che descrivevano la catena di
montaggio di una fabbrica di macellazione dei maiali. L’analisi affrontava
anche lo sfruttamento umano, evidenziando non solo le conseguenze sulle mani
degli operai che ogni cinque, sei secondi sgozzavano un animale ma il crescente
rifiuto dal punto di vista etico, degli stessi lavoratori. Un profondo disagio che si tramutava nelle
numerose richieste di trasferimento di reparto dopo un tot di tempo, nelle
bugie in famiglia per tacere sul lavoro svolto. Un articolo dove si evidenziava
ancora una volta lo stretto intreccio tra sfruttamento umano e non umano.
La critica al sistema alimentare industriale porta molti a fare
una scelta di qualità, ma cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non
cambia. Si tratta della «teoria della carne felice» come la chiamano
efficacemente Filippi e Trasatti. Insomma trattiamoli bene e uccidiamoli con
amore. «É una strategia approntata dall’apparato industriale del settore per
rispondere alle preoccupazioni di un numero sempre maggiore di consumatori
disturbati dalle modalità con cui la carne viene prodotta”.
Ma – aggiungiamo – le cose non cambiano se si tratta del piccolo
produttore biologico, perché il risultato è sempre lo stesso: l’uccisione.
La recente ricerca scientifica ha ormai attestato il livello
cognitivo delle specie non umane, ignorato o sottovalutato fino a ieri. Non si
tratta solo di “sensibilità”, ma di vera e propria attività cognitiva, che
innumerevoli esperimenti hanno potuto dimostrare. Fra i tanti contributi
citiamo quello dell’etologo e primatologo Frans de Wall «Siamo così intelligenti da capire l’intelligenza degli animali?»
(edito da Cortina) che offre un ampio ventaglio di sperimentazioni non sui
soliti primati, ma su diverse altre specie.
Abbiamo sinteticamente proposto alcuni tesi che mostrano come non
sia più possibile per chi è impegnato in prima fila per una profonda
trasformazione della nostra società – oggi ancora più necessaria in un contesto
sempre più drammatico dal punto di vista sociale e e ambientale – prescindere
dalla questione specista.
Abbiamo ricordato come per molto tempo tematiche considerate
marginali o comunque non fondamentali sono faticosamente entrate nell’agenda
politica dei vari movimenti di questi decenni. E per provare a sintetizzare il
tutto possiamo parafrasare un vecchio quanto efficace slogan del movimento
femminista: non c’è rivoluzione senza liberazione animale, non
c’è liberazione animale senza rivoluzione.
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