intervista di Francesca Manzini ad Emiliano Merlin
Nel contesto di una
emergenza sanitaria globale figlia del salto di specie di un virus diventato
presto incontrollabile, mentre l'UE finanzia con 3,6 milioni di euro
un'incredibile campagna dal titolo "become
beefatarian" dopo aver confermato con l'approvazione della
Politica Agricola Comunitaria finanziamenti a pioggia all'agroindustria e agli
allevamenti intensivi, proviamo ad interrogarci sul nesso ben poco esplorato
tra crisi climatica e zootecnia. Proponiamo quindi un'intervista di
Francesca Manzini, attivista antispecista del Centro Sociale Bruno, ad Emiliano
Merlin, laureato e Dottore di Ricerca in Astronomia (titoli conseguiti presso
l’Università di Padova). Attualmente è ricercatore dell’Istituto Nazionale di
Astrofisica, per il quale lavora presso l'Osservatorio Astronomico di Roma.
Studia la formazione e l'evoluzione delle galassie nell'universo primordiale,
tramite modelli numerici e l'analisi dei dati dai telescopi. È responsabile
dello sviluppo del software fotometrico per la missione Euclid dell'European Space Agency. Si occupa anche di
cambiamento climatico e della sua connessione con la zootecnia, e ha tenuto
seminari per Climate Save
Movement, Essere Animali e altre associazioni, in eventi pubblici e
nelle scuole secondarie.
* Qual è la situazione della crisi climatica? È vero che non tutti gli
scienziati sono concordi circa l'emergenza e le sue cause?
Un dato secco: secondo i dati ufficiali NASA, cinque mesi del 2020 sono
stati i più caldi di sempre rispetto ai loro corrispettivi (e altri tre sono al
secondo posto)[1]. Già questo dato dovrebbe essere sufficiente a
togliere ogni dubbio. La temperatura globale del pianeta, che viene
costantemente misurata con una fitta rete di sonde, palloni aerostatici, boe,
satelliti e navi, si sta attualmente alzando al ritmo medio di un decimo di
grado all’anno; in Italia siamo già a circa 1,5° sopra la media del trentennio
1950-1980, e tutti i modelli climatici prevedono un ulteriore innalzamento fino
a 5° di qui alla fine del secolo[2]. Questi sono dati molto robusti,
su cui non c’è alcuna discussione in ambito scientifico: il 100% dei
climatologi concorda sull’emergenza e sul fatto che la sua origine sia
antropica, cioè generata dall’uomo[3]. Nel 2019 11mila scienziati
hanno firmato tutti insieme un documento in cui scrivono “dichiariamo in modo
chiaro e inequivocabile che il pianeta Terra sta fronteggiando un’emergenza
climatica”[4]. Chi ancora nega o minimizza o è in malafede o non è
un esperto, tutte le “teorie” negazioniste (da quella che indica l’attività
solare come la causa del riscaldamento, a quella secondo cui la Terra si è già
scaldata in modo simile nel passato recente) sono fandonie, smontabili con un
minimo di ricerca e approfondimento[5]. Sottolineo che il
riscaldamento globale non porta solo sconvolgimenti sociali e sanitari, ma è
anche una catastrofe per quasi tutte le forme di vita come la conosciamo,
perché gli ecosistemi stanno venendo devastati dal cambiamento climatico,
causando l’estinzione di milioni di specie animali e vegetali e lo spostamento
coatto di moltissime altre[6].
* Come funziona l'effetto serra? Ci spieghi il diverso peso dell'impatto
delle emissioni di anidride carbonica rispetto a quelle di metano?
L’effetto serra è il meccanismo per cui l’atmosfera terrestre cattura i
raggi infrarossi riemessi dalla Terra dopo che questa ha assorbito la
radiazione proveniente dal Sole; solo alcune molecole, i cosiddetti gas serra,
sono efficaci nel farlo, ma poi queste molecole redistribuiscono l’energia
assorbita scontrandosi con le altre componenti dell’atmosfera, provocando un
aumento della temperatura media (che non è altro che la misura dell’energia
media delle particelle dell’aria). È importante sottolineare che l’effetto
serra non è dannoso di per sé, anzi è grazie ad esso se la vita sulla Terra si
è sviluppata come la conosciamo; se non ci fosse, la temperatura della
superficie del pianeta sarebbe costantemente intorno ai -20°. Il problema è che
l’uomo sta aumentando a ritmi vertiginosi la concentrazione di alcuni gas serra[7],
provocando un aumento a catena dell’effetto, che da nostro amico diventa nostro
nemico. I gas di cui parlo sono in particolare due, la ben nota anidride
carbonica e il meno discusso metano. Quest’ultimo è molto più potente
dell’anidride carbonica in termini di forzante radiativo (il fenomeno fisico
che causa l’aumento di temperatura), ma viene emesso in quantità molto minori,
quindi generalmente si ritiene che non sia un problema altrettanto pressante;
la realtà però è un’altra. Il punto sta tutto in “quanto” il metano sia più
potente dell’anidride carbonica. Generalmente si dice che è circa 30 volte più
potente, e su questo dato si basano praticamente gli articoli e tutte le
infografiche che si trovano in rete, ma il numero è inesatto perché risulta da
un calcolo impreciso, che non tiene conto in modo corretto del tempo di vita
media del gas nell’atmosfera. Se si usano i parametri corretti, il vero fattore
(che si chiama Global Warming Potential, o GWP) non è 30 ma circa 110[8],
il che porta il metano a essere praticamente tanto dannoso quanto l’anidride
carbonica, anche se emesso in quantità 100 volte minore. Sottolineo che questo
è noto anche negli ambienti istituzionali, le stesse IPCC (l’organismo ONU
preposto allo studio del clima) e FAO pubblicano questi numeri[9][10] (vedi
tabella qui sotto), ma poi scelgono di non usarli nei contesti ufficiali. A
tutto questo si deve aggiungere che attualmente l’anidride carbonica emessa
viene per metà riassorbita in tempi molto rapidi da oceani e foreste[11];
questo non continuerà per sempre anche perché stiamo deforestando e
acidificando gli oceani riducendo la loro possibilità di assorbire ulteriore
CO2, ma per il momento è ancora così, sicché alla fine dei conti il risultato
netto è che oggi come oggi il metano è più pericoloso della sua cugina più
nota, l’anidride carbonica. Per approfondire un po’ questo discorso suggerisco
di vedere un post che ho pubblicato sul mio blog, a questo link.
* In che modo l'allevamento degli animali definiti "da reddito"
incide sul clima terrestre?
In molti modi, ma per capire quello più grave basta unire quanto ho detto
nella risposta precedente con i dati FAO (che probabilmente sono conservativi),
secondo cui gli allevamenti sono responsabili di circa il 35-40% delle
emissioni di metano antropiche[12], principalmente a causa del
processo metabolico della fermentazione enterica dei bovini e della gestione
del letame. Questo rende il settore zootecnico la principale minaccia al clima
del pianeta, sostanzialmente alla pari con tutto il settore del bruciamento dei
combustibili fossili; e tutto ciò solo considerando... i rutti delle mucche –
il che può far sorridere, ma è la drammatica verità. Se sembra incredibile,
basta soffermarsi su un altro dato: attualmente il 60% della biomassa dei
mammiferi sulla terraferma è costituito da animali allevati (un altro 36% da
esseri umani e solo il 4% da animali selvatici)[13]. Abbiamo
riempito la Terra di prigionieri che macelliamo a ritmi vertiginosi, senza
renderci conto di quello che questo avrebbe comportato per il pianeta, oltre
che per la nostra salute e soprattutto per loro, i miliardi di esseri senzienti
fatti nascere solo per venire ammazzati poco dopo.
* In quali altri modi l'allevamento incide negativamente a livello
ambientale?
L’allevamento è la principale causa di deforestazione, in particolare in
Amazzonia, dove un’area grande quanto un campo da calcio viene rasa al suolo
ogni minuto per far posto a coltivazioni di soia che non diventerà cibo per
vegani, ma per il 90% mangime per animali “da reddito” (soprattutto bovini)[14].
L’Italia gioca un ruolo non marginale in tutto questo: nel 2018 abbiamo
importato più di mezzo milione di tonnellate di soia per mangimi dal Brasile, e
27mila tonnellate di carne bovina macellata[15]. A livello globale,
più di un terzo delle terre emerse abitabili è occupato da pascoli o
coltivazioni di mangimi[16]. Allo stesso tempo, l’industria
zootecnica consuma circa un terzo dell’acqua potabile del pianeta[17].
Per produrre un chilo di carne di manzo servono 15mila litri d’acqua (per la
maggior parte non potabile ma comunque sprecata)[18], per un
hamburger l’equivalente di un mese di docce. Infine, gli allevamenti sono la
seconda causa (dopo i riscaldamenti urbani) di emissione di particolato
secondario[19], un agente inquinante dannosissimo per la salute e
probabile vettore di germi, compreso il coronavirus (probabilmente non è un
caso che la Lombardia, dove si concentrano la maggior parte degli allevamenti
intensivi italiani, sia la regione più colpita dal Covid-19). In tutto questo
non ho parlato della pesca, che sta devastando i mari uccidendo e inquinando
(la metà della plastica che invade gli oceani è costituito da resti di reti da
pesca) mentre le aziende vaneggiano di pesca sostenibile e i consumatori, è il
caso di dirlo, abboccano.
* L'allevamento estensivo o comunque non intensivo è una possibile
soluzione? E il principio del km0?
Non solo non è una soluzione, ma anzi per molti versi – escluso forse
quello etico della minor sofferenza degli animali schiavizzati – è anche peggio
dell’allevamento intensivo, perché al posto delle piantagioni di soia per
ottenere mangimi ci sono i pascoli, ma lo sfruttamento del terreno, il consumo
idrico e le emissioni di metano sono paragonabili se non peggiori. Circa il
km0, stesso discorso: ciò che incide di più sul clima è la semplice
respirazione degli animali, non importa se sono lontani o vicini a casa – la
frazione del problema causata da altri segmenti della filiera produttiva –
imballaggio, trasporto eccetera – è largamente minoritaria rispetto
all’emissione di metano[20]. Non c’è verso di eludere la verità:
eliminare il consumo di carne e di altri prodotti di origine animale, in
particolare latticini e derivati, è l’unico modo per ridurre il proprio
impatto.
* Quindi ha poco senso concentrare gli sforzi sulle emissioni direttamente
legate ai combustibili fossili rispetto a ciò che è oltremodo urgente fare
entro i prossimi 10 anni per provare almeno a rallentare il riscaldamento
globale?
Non voglio essere frainteso, è assolutamente necessario contrastare anche
le politiche energetiche e di consumo che causano il rilascio di anidride
carbonica, la cui concertazione atmosferica è aumentata di un terzo negli
ultimi 150 anni dopo millenni di totale stabilità. Ma è altresì necessario
riconoscere che esiste un altro problema, altrettanto grave e pressante, che
riguarda il metano e di conseguenza gli allevamenti che lo producono. Abbiamo
meno di dieci anni per limitare in modo drastico le emissioni di gas serra
prima che il riscaldamento globale superi il grado e mezzo in modo
irreversibile[21]; dobbiamo agire ora e ridurre l’impatto del metano
è imprescindibile.
* Secondo te a cosa è dovuto l'assordante silenzio che circonda questa
problematica anche all'interno della comunità scientifica e in associazioni
ambientaliste vecchie o nuove?
Interessi economici, disinformazione e pigrizia. L’industria zootecnica è
potentissima, tutti devono mangiare e vogliono farlo come ritengono sia più
gustoso, ed è molto semplice far sì che le persone continuino a fare qualcosa
che hanno voglia di fare. La difficoltà maggiore è quella di cambiare le
proprie abitudini per un motivo non immediatamente tangibile; pensiamo quante
lamentele ascoltiamo per l’obbligo di indossare la mascherina durante una
pandemia, figuriamoci quanti sono disposti a cambiare qualcosa di così radicato
come il modo di mangiare per una minaccia che al momento sembra ancora lontana,
anche se invece non lo è. Scienziati e ambientalisti sono persone normali, con
i loro limiti, anche se i primi dovrebbero avere più spirito critico e i
secondi più volontà di cambiare (anche se stessi) rispetto alla media; è molto
comodo identificare un nemico e manifestare contro di esso, piuttosto che
riconoscere che noi per primi dobbiamo cambiare abitudini fin da oggi. Così
anche tanti ragazzi e ragazze che partecipano agli scioperi per il clima poi
magari finita la manifestazione vanno a mangiare un hamburger da McDonald’s, ma
questo avviene anche perché chi organizza e guida tali movimenti non parla in
maniera chiara di quanto sia dannoso tale comportamento.
* In che modo la lotta per la giustizia climatica può tradursi con maggiore
facilità anche in pratiche individuali maggiormente incisive quando si prende
in considerazione l'inquinamento legato al settore dell'allevamento rispetto ad
esempio a quello dei trasporti?
Secondo i report di Project Drawdown[22] e dell’IPCC[23],
ridurre lo spreco di cibo e adottare una dieta plant-based sono le due azioni
individuali a maggior impatto per arginare il global warming e il consumo delle
risorse naturali. I dati parlano molto chiaro: tutte le altre iniziative,
comprese quelle largamente pubblicizzate anche da associazioni ambientaliste
riguardanti auto elettriche, lampadine al LED, rubinetti da chiudere e plastica
da riciclare, sono certamente importanti ma di gran lunga meno impattanti del
rinunciare a mangiare animali e derivati. E, lo ribadisco ancora, ridurre o
scegliere bio o km0 non fa una grossa differenza; bisogna tagliare completamente
i consumi di carne e derivati per avere un impatto serio.
* Perché l'inquinamento legato agli allevamenti dovrebbe essere anche un
tema dell'antispecismo politico?
Come dicevo, scegliere un’alimentazione vegetale è una scelta che ciascuno
può fare individualmente a partire da oggi stesso: il modo più efficace per
abbattere un mostro forte come l’industria zootecnica è quello del
boicottaggio. Ma resta vero che difficilmente la zootecnia si darà per vinta
facilmente, anche perché mentre a fatica gli attivisti cercano di convincere
ciascuno a prendere coscienza e cambiare abitudini, milioni di euro vengono
spesi per disinformare e invogliare a mangiare hamburger e salumi, bere latte e
via discorrendo. Quindi è fondamentale chiedere e lottare per un cambiamento
sistemico, in cui anche gli enti governativi cessino di finanziare la
zootecnia, come invece purtroppo hanno appena fatto con la PAC, nella quale 400
miliardi di euro sono stati destinati agli allevamenti intensivi[24].
È fondamentale che attivisti, progressisti e chiunque abbia a cuore le sorti
del pianeta capiscano tutti insieme che la lotta per l’ambiente, quella per la
liberazione animale, e quella per l’abbattimento del sistema capitalistico di
produzione, sono intimamente e inscindibilmente legate, e che ciascuno deve
farle proprie tutte e tre, iniziando a cambiare le proprie abitudini alimentari
fin da oggi, mentre continua a combattere per un cambiamento della
società.
** Qui di seguito il webinar organizzato dal Centro Sociale Bruno.
"Per formarsi rispetto all’impatto che l’allevamento di miliardi di animali
non umani ha sull’emissione (diretta ed indiretta) di gas serra ed in termini
di consumo di acqua, suolo e risorse naturali invitiamo a seguire l’intervento
di Emiliano Merlin, dal titolo “Crisi climatica e zootecnia”. Qui il link.
da
qui (grafici e note
sono nell’articolo)
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