“… Hanno voluto convertire l’uomo
africano, hanno voluto farlo a loro immagine, credevano di avere tutti i
diritti, hanno creduto di essere più potenti degli dei dell’Africa, più potenti
dell’anima africana, più potenti dei legami sacri che gli uomini avevano
pazientemente intessuto per millenni con il cielo e la terra d’Africa, più
potenti che i misteri che arrivavano dal profondo del tempo. Hanno avuto torto’…”
Era il 27 luglio del 2007 quando l’allora presidente francese Nicolas
Sarkozy pronunciava queste parole a Dakar, nel Senegal. Sì, perché la vera
storia siamo noi. Noi che anneghiamo nel Mediterraneo e ci perdiamo nel deserto
del Sahara prima ancora di arrivare dove neppure sappiamo di essere accettati.
Noi, fratelli gemelli della sabbia alla quale torniamo volentieri dopo aver
vissuto su questo pianeta di Terra. Noi del lavoro informale e apprendisti
permanenti senza contratto scritto con la vita. Affacendati ad organizzare il
tempo che pensa sempre di andare da un’altra parte per sentirsi a suo agio e
poi tornare volentieri dove era partito senza documenti di identità. Noi,
classificati irregolari, clandestini, illegali ma soprattutto umani, che
diventano d’improvviso fautori di nuove frontiere di umanità eguale per tutti.
Noi qui, tra paci precarie e incertezze costanti, traghettatori del nulla e
inventori di destini mai realizzati. Noi, pazienti tessitori di un presente che
arriva quasi sempre in ritardo. Noi, ospiti di un Continente disegnato per
secoli e millenni presi in prestito e mai rimborsati per distrazione. Noi, né
peggiori né migliori di altri, noi, vulnerabili voci e corpi di vento.
“…tra
loro c’era gente cattiva ma anche gente di buona volontà, uomini che credevano
di realizzare una missione civilizzatrice, uomini che credevano di fare il
bene. Credevano di portare la libertà e creavano l’alienazione. Erano convinti
di spezzare le catene dell’oscurantismo, della superstizione e della schiavitù.
Creavano invece catene ben più pesanti perché a trovarsi in schiavitù era
l’anima. Credevano di dare amore senza vedere che essi invece seminavano la
rivolta…” (Sarkozy, 2007, Dakar).
Noi che per viaggiare dobbiamo prima chiedere il permesso e solo quando
stiamo per sparire esistiamo come uomini sulla Terra. Noi, non solo zavorra da
buttare quando affonda la nave. Noi che troviamo un farmaco quando arriva
l’Ebola, l’AIDS, la Polio, il Covid, la Malaria, la Tubercolosi e quant’altro
di malattie si possano immaginare. Fabbrichiamo pozioni e ci mettiamo d’accordo
con gli spiriti degli antenati del luogo per arrangiare le cose. Neppure la
fame e le carestie ci fermano, seppur dolorosamente presenti in tutto ciò che
vorremmo realizzare. Noi qui abbiamo capito come funziona la globalizzazione,
il capitalismo, il neoliberalismo, il comunismo e financo un socialismo dal
volto umano. Noi che abbiamo una democrazia di sabbia che funziona per i
potenti di turno e ci rivoltiamo quando siamo stanchi per la loro arroganza.
Noi qui, senza misura, sconfinati come la polvere che ci arriva in questi
giorni dal deserto e dipinge di nulla il paesaggio.
“…Il dramma dell’Africa è che l’uomo
africano non è sufficientemente entrato nella storia. Il contadino africano
che, da migliaia di anni, vive con le stagioni e il cui ideale di vita è quello
di essere in armonia con la natura, non conosce altro che l’eterno ricominciare
del tempo ritmato dalla ripetizione senza fine degli stessi gesti e delle
stesse parole. In questo immaginario nel quale tutto ricomincia sempre, non c’è
spazio né per l’avventura umana né per l’idea di progresso…” (Sarkozy,
2007, Dakar).
La storia vera siamo noi, che andiamo, torniamo, rischiamo, vibriamo con la
vita e giochiamo col destino. La storia siamo noi, perduti e ritrovati ogni
giorno anche quando la sorella morte si avvicina. La storia siamo noi perché
gli schiavi ormai liberi stanno insegnando ai liberi diventati schiavi della
paura del dio denaro. La storia siamo noi perché le donne hanno formato una
catena di mani, grembi e parole per regalare a tutti quel mondo nuovo che solo
i poveri sanno vedere.
Niamey,
8 Novembre 020
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