Gli oceani hanno un enorme potenziale per combattere i cambiamenti climatici e per generare economie solide e sostenibili: è la conclusione di una revisione scientifica durata due anni, commissionata dall’Ocean Panel – un collettivo globale che comprende politici ed esperti di quattordici nazioni costiere che coprono il 40% delle coste di tutto il mondo – a oltre 75 scienziati con competenze, esperienze e diversi approcci utilizzati, e per la quale sono stati consultati anche più di 250 esperti scientifici, legali e politici provenienti da 48 paesi.
L’obiettivo
dell’Ocean Panel (composto da Australia, Canada, Cile, Figi, Ghana, Indonesia,
Giamaica, Giappone, Kenya, Messico, Namibia, Norvegia, Palau e Portogallo) era
individuare degli interventi concreti, scientificamente fondati, da suggerire
agli altri paesi costieri e oceanici in modo che entro il 2030 tutte le acque
sotto la giurisdizione nazionale possano essere gestite in modo
sostenibile.
“Abbiamo
lavorato due anni per collegare le conoscenze scientifiche alla politica e
all’azione concreta”, spiega Jane Lubchenco, ecologa marina
e una delle coordinatrici di Ocean Planet, in un articolo su Nature.
“Se guidata dalla scienza e attenta all'equità, la gestione sostenibile delle
acque nazionali potrebbe essere un vantaggio per le persone, la natura e
l'economia. L’oceano non è solo vittima dei cambiamenti climatici, può
essere una soluzione ed essere usato per proteggere l’ambiente, limitare il
riscaldamento globale e creare economia e posti di lavoro".
«La minaccia
che il cambiamento climatico rappresenta per l'oceano è una sfida comune che
richiede un'azione collettiva. Pertanto, collaboriamo con la comunità globale
nel tentativo di tracciare un percorso verso un futuro a basse emissioni di
carbonio e che assicuri un oceano sano e il benessere umano», ha commentato il presidente namibiano
Hage G. Geingob durante la presentazione dello studio dell'Ocean Panel.
«Il
benessere dell'umanità è profondamente intrecciato con la salute dell'oceano.
Ci sostiene, stabilizza il clima e porta a una maggiore prosperità. Per troppo
tempo abbiamo percepito una falsa scelta tra protezione dell'oceano e
produzione. Non più. Costruire un'economia oceanica sostenibile è una delle
maggiori opportunità del nostro tempo», ha aggiunto la premier norvegese e
co-presidente dell’Ocean Panel, Erna Solberg.
Cosa dice lo studio dell’Ocean
Panel
Dalla produzione
di cibo, energia e minerali alla biodiversità, dagli impatti del cambiamento climatico all’equità
oceanica, dalla pesca illegale all’economia generata dalle attività
legate agli oceani, gli ecosistemi oceanici sono minacciati in più modi.
A causa dei
cambiamenti climatici si stanno innalzando i livelli dei mari e gli oceani stanno
diventando più caldi, più acidi e più poveri di ossigeno. L’oceano ha assorbito circa
il 90% del calore in eccesso intrappolato dalle emissioni di gas serra e un
terzo dell'anidride carbonica emessa dalle attività umane dagli anni '80.
Secondo
il rapporto “La de-ossigenazione degli
oceani: un problema di tutti”, curato dall’Unione Internazionale per la Conservazione della
Natura (IUCN) e presentato lo scorso anno alla Conferenza delle
Nazioni Unite sul clima di Madrid, i livelli di ossigeno negli oceani di tutto
il mondo sono diminuiti del 2% tra il 1960 e il 2010 con conseguenze disastrose
per le specie ittiche, gli ecosistemi marini e le comunità costiere. Le regioni
oceaniche con basse concentrazioni di ossigeno sono passate da 45 negli anni
‘60 alle oltre 700 attuali. Nello stesso periodo di tempo si sono quadruplicate
le aree oceaniche completamente prive di ossigeno.
A livello
globale, la de-ossigenazione – effetto congiunto del riscaldamento degli
oceani, dell’incremento del deflusso nei corsi d’acqua dei nutrienti dei
fertilizzanti utilizzati nelle fattorie e nei prati e della deposizione di
azoto derivante dalla combustione dei combustibili fossili – sta iniziando ad
alterare l’equilibrio degli ecosistemi marini, favorendo quelle specie che più
tollerano la carenza di ossigeno come microbi, meduse e alcuni calamari a
discapito di pesci come tonni, pesce spada e marlin che, a causa delle loro
grandi dimensioni e del loro fabbisogno energetico, sono spinti sempre più
verso gli strati superficiali del mare alla ricerca di acqua ricca di ossigeno,
rendendoli più vulnerabili anche alla pesca.
La pesca
eccessiva, a sua volta, minaccia gli habitat oceanici e la
biodiversità, dai margini costieri ai mari aperti e profondi. Lo sviluppo selvaggio lungo le coste sta
portando alla distruzione delle barriere coralline, dei prati
di fanerogame, delle paludi salmastre e delle foreste di mangrovie,
molto importanti perché sequestrano il carbonio, forniscono vivai per i pesci e
proteggono le coste dalle mareggiate. La plastica e altre sostanze inquinanti stanno
uccidendo la fauna marina.
Cosa fare?
Quali politiche adottare? La soluzione è sempre negli oceani, spiega il gruppo
di studiosi ed esperti consultati dall'Ocean Panel.
Avere un
oceano sano, proteggendo almeno il 30% dei suoi habitat, potrebbe portare alla
riduzione del 20% delle emissioni di carbonio necessarie per rispettare gli
obiettivi degli accordi di Parigi del 2015 e limitare a 1,5 gradi l’aumento
delle temperature globali rispetto ai livelli preindustriali; a un incremento
del 40% della produzione di energia rinnovabile rispetto a quella generata nel 2018; a enormi ricadute
di carattere economico e professionale. Per ogni euro investito
in oceani sostenibili, secondo lo studio, ci potrebbe essere un ritorno di
circa 5 euro in benefici economici, sociali, ambientali e sanitari. Inoltre, la
gestione sostenibile degli oceani in tutto il mondo potrebbe creare circa 12
milioni di nuovi posti di lavoro.
Lo studio
dell'Ocean Panel individua cinque tipologie di interventi:
1) Vietare
la pesca illegale, eliminare i sussidi alla pesca dannosa e ripristinare gli
stock ittici.
2) Passare a
una pesca sostenibile. Attualmente pesce, crostacei e molluschi forniscono il
17% della carne commestibile. La pesca sostenibile e la maricoltura potrebbero
incrementare le rese tra il 36 e il 74%, soddisfacendo il 12-25% della carne in
più necessaria per nutrire la popolazione mondiale in aumento. Se gli oceani
fossero gestiti in modo sostenibile, potrebbero fornire sei volte più cibo
rispetto a oggi, quando molte specie vengono pescate fino e oltre i loro limiti
di recupero.
3) Mitigare
il cambiamento climatico attraverso anche la decarbonizzazione delle spedizioni
via mare e la protezione di mangrovie, prati di fanerogame e paludi salmastre,
capaci di catturare carbonio fino a dieci volte di più degli ecosistemi
terrestri. Oltre il 90% delle merci nel mondo vengono spostate via mare. Le
navi utilizzano combustibili che rilasciano fuliggine zolfo e anidride
carbonica pari al 18% di alcuni inquinanti atmosferici e al 3% delle emissioni
di gas serra. Per questo vanno decarbonizzate le navi, adottate tecnologie per
la produzione e lo stoccaggio di nuovi combustibili a emissioni zero e
incentivata la realizzazione di porti a basse emissioni di carbonio. Per quanto
riguarda le mangrovie, i prati di fanerogame e le paludi salmastre, già tra il
20% e il 50% di questi ecosistemi è andato perduto: sebbene coprano solo l’1,5%
dell’area delle foreste terrestri, rilasciano l’8% delle emissioni totali a
causa della loro distruzione e della deforestazione. Il ripristino di 3.000
ettari di praterie di fanerogame nella lagune della Virginia, negli Stati
Uniti, ha portato al sequestro di circa 3.000 tonnellate di carbonio all’anno.
4) Arrestare
la perdita di biodiversità. Le aree marine protette efficaci sono lo strumento
più potente per fermare questa perdita, ma attualmente solo il 2,6% dell'oceano
è in aree completamente o altamente protette. Molte studi hanno concluso che
almeno il 30% degli oceani a livello globale dovrebbe essere protetto.
5) Investire
in economia oceanica per creare posti di lavoro, incrementare il turismo,
migliorare la salute delle persone e limitare le emissioni di gas serra.
L’Ocean Panel ha individuato quattro aree di intervento: il ripristino degli
ecosistemi costieri e marini; l’estensione delle infrastrutture fognarie e
delle acque reflue; gli investimenti in una maricoltura sostenibile, guidata
dalle comunità locali soprattutto nelle economie emergenti; l’incremento delle
energie rinnovabili basate sull’oceano.
Tutti questi
interventi – conclude lo studio – richiedono un approccio sistematico che tenga
conto di tutti gli aspetti collegati a ogni singolo intervento. Per proteggere
in modo efficace, produrre in modo sostenibile e crescere in modo equo, sarà
necessario essere più intelligenti negli usi degli oceani, essere più
efficienti, utilizzare tecnologie avanzate e farsi
guidare dalle evidenze scientifiche”.
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