Il Fondo da 750 miliardi istituito dall’Unione Europea a luglio del 2020 rappresenta un’occasione unica per gettare le fondamenta della transizione ecologica del Vecchio Continente e dell’Italia in particolare. Proprio al nostro Paese spetta la fetta più cospicua delle risorse, ben 191,5 miliardi, a cui si aggiungono i 13 del ReactEU.
Da quando è stato annunciato il Recovery Plan, nel luglio del 2020, fino ad
oggi, l’industria fossile è riuscita a ottenere almeno 102 incontri con i
ministeri incaricati di redigere il piano: una media di oltre 2 incontri a
settimana. ReCommon ha ottenuto questi dati tramite richieste di accesso agli
atti e analizzando le agende dei ministeri.
Eni, la principale multinazionale fossile italiana, ha dominato l’azione
lobbistica con almeno 20 incontri ufficiali, che gli hanno consentito di
promuovere le sue false soluzioni tra i decisori politici, come l’idrogeno (che
attualmente è prodotto per il 99% da gas), il biometano e la cattura dell’anidride
carbonica (CCS).
Stesso numero di incontri anche per Snam, la società che controlla la rete
di gasdotti in Italia e nel resto del continente europeo. Se per Eni l’idrogeno
è l’espediente per stimolare la produzione di gas, nel caso di Snam si tratta
di uno stratagemma finalizzato a prolungare la vita delle sue infrastrutture
fossili e svilupparne di nuove, come le decine di stazioni di rifornimento a
idrogeno per treni e camion incluse nel PNRR, utili solamente a rallentare un
reale cambio di modello nei trasporti.
Il ministero dello Sviluppo economico ha giocato un ruolo chiave
nell’orientare il Recovery Plan, ma decisiva è stata poi la costituzione del
ministero della Transizione ecologica, guidato da Roberto Cingolani, sempre
pronto ad ascoltare le istanze dei vertici del settore dei combustibili
fossili.
Dalla sua nascita lo scorso febbraio, il ministero ha avuto oltre tre
incontri a settimana con il comparto fossile, di cui 18 con la presenza del
ministro in persona. In poco più di un mese, Cingolani ha ricevuto
l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, e quello di Snam, Marco
Alverà, ben quattro volte, per discutere dei progetti da inserire all’interno
del Recovery Plan.
L’azione lobbistica, infatti, ha raggiunto il suo apice nei mesi successivi
all’insediamento del governo Draghi. L’industria fossile ha partecipato a
dozzine di audizioni parlamentari.
Tra febbraio e aprile 2021, il comparto energetico ha preso letteralmente
d’assalto i centri di potere istituzionali, organizzando 49 incontri con il
ministero per la Transizione Ecologica e quello per lo Sviluppo Economico.
Così nell’arco di pochi mesi per l’idrogeno erano stati stanziati 4,2
miliardi di euro. Un incremento notevole rispetto al solo miliardo previsto
dalla prima versione del Piano, e che infatti è stato sonoramente bocciato
dalla Commissione europea, che ha infine costretto l’esecutivo italiano ha
modificare in maniera sostanziale la componente del PNRR relativa alla
transizione energetica, chiudendo le scappatoie che erano state lasciate aperte
al gas.
“E’ disarmante la facilità con la quale le lobby del fossile sono riuscite
a influenzare le scelte dei governi rispetto a un Piano di investimenti che
condizionerà non poco il future del Paese.
Ci fa comprendere la necessità di riconquistare dal baso spazi di
democraticità, senza i quali sarà impossibile vincere battaglie epocali come
quella per la giustizia climatica” ha dichiarato Alessandro Runci, di ReCommon,
autore del rapporto.
Articolo pubblicato grazie alla collaborazione con Re:Common
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