Le Nazioni Unite hanno pubblicato dati sulla
fame nel mondo nel tempo della pandemia. Hanno lavorato all’unisono cinque
istituzioni: Fao, Ifad, Unicef, Wfp, Oms. Un decimo della popolazione mondiale
vive con la fame o muore di fame. A spanne, nell’ultimo anno preso in
considerazione vi è stato un aumento presunto di un altro affamato ogni dieci
persone, e si tratta come è facile capire, in misura rilevante, delle
conseguenze – dirette e indirette – della pandemia del Covid 19 che ha tolto
lavoro e spazi a tutti, ma a qualcuno di più. A soffrire la fame, all’inizio
dell’anno in corso, sono poco meno di 800 milioni di persone di cui 418 milioni
in Asia, 282 milioni in Africa, 60 milioni nell’area che comprende l’ America
centrale e i Caraibi.
Mentre dall’inizio del secolo la lotta contro
la fame aveva avuto effetto, e i risultati lasciavano aperta la speranza di
“sradicare” la fame per il fatidico 2030, la curva ha cambiato indirizzo nel
2014. L’aumento della pandemia-fame decorre dagli ultimi cinque anni, ma è
stato nell’anno della malattia globale, il Covid 19, con tutte le conseguenze,
che la situazione è peggiorata in modo che sembra inarrestabile: il dato
ufficiale del 2019 era di 650 milioni , cresciuti a una cifra ancora incerta
tra un minimo di 720 milioni a un massimo di 812, vale a dire dall’8,4% del
2019 al 9,9% del 2020 scegliendo, con i metodi degli statistici dell’Onu, con i
grafici e le previsioni scientifiche, un tasso intermedio, collocato tra il
minimo del 9,2% e il massimo del 10,4%.
Una delle agenzie dell’Onu sopra citate, WFP,
ha organizzato con la casa madre e l’Unione europea uno speciale sistema di
attenzione alla fame e al cibo, “Global Network against Food Crises” che
fornisce uno speciale rapporto: il “Global Report”, con quel che segue. Il
presidente dell’Onu, il portoghese Antonio Guterres, si è dato coraggio con un
buon grado di ottimismo: “Non c’è posto per carestia e inedia nel ventunesimo
secolo. Insieme possiamo farla finita con la fame”.
Il rapporto è interessante per la ricognizione
di tutti i paesi e i territori a fame prevalente e per la proposta di
classificare la fame in cinque livelli. Minimal: famiglia in
grado di procurarsi il cibo essenziale; stress: famiglia che ha
il minimo di cibo per sopravvivere ma non può affrontare alcun’altra
spesa; crisis: famiglia con buchi nei consumi di cibi
essenziali; emergency: grandi buchi frequenti, cattivo
nutrimento, ricerca di espedienti; catastrophe: estrema mancanza
di cibo, la famiglia rischia l’inedia e la morte. Per la fase 3 vengono
indicate 155 milioni di persone distribuite in 55 paesi, sempre gli stessi;
quello che cambia è l’aumento di 20 milioni dal 2019; mentre sono 133.000
quelle che tra Burkina Faso, Sud Sudan e Yemen che erano nella fase 5, alla
catastrofe, alla morte per fame.
Prima di andare avanti vorremmo essere sicuri
di avere scritto bene. Solo nel caso dell’ultima cifra citata si tratta di
migliaia persone. Gente a perdere, in Yemen, Sud Sudan, Burkina Faso:
catastrofi, d’accordo, ma il mondo va avanti lo stesso. Negli altri casi a
rischio sono milioni di persone, bambini, madri, vecchi; lavoratori che
guadagnano troppo poco o perdono il lavoro: tutti soffrono per fame, vivono
male, muoiono per fame. Quelli che lavorano, spesso guadagnano anche un dollaro
al giorno e il costo minimo in cibo per sopravvivere a persona al giorno è
stato calcolato, sempre dalle organizzazioni dell’Onu e da altri specialisti
internazionali in dollari 1,90. Qualche economista smaliziato farà notare che
un potere d’acquisto di un dollaro cambia, e molto, dagli Usa al Bangladesh per
via del diverso costo della vita. Un dollaro di medicine vale però circa lo
stesso qui e là. Non ci sono ancora vaccini che si pagano con dollari scontati
per via del diverso e ridottissimo costo della vita. Per questo l’effetto
dell’ultima apdemia del Covid 19 si somma a tutto il resto. Si muore per inedia
e per carenza di farmaci indispensabili e troppo cari.
BUONE letture. La situazione della fame è
stata descritta in modo scientifico e appassionato, storico-cronistico dallo
scrittore argentino Martin Caparros con un libro “La Fame” pubblicato da
Einaudi, premiato più volte, ma preso poco sul serio. Il libro è uscito in
Italia nel 2015 e c’era modo di imparare qualcosa: racconta della stessa fame
in parti diverse del mondo; fa la storia di padri e soprattutto madri che non
hanno niente da offrire ai bambini. Tutto questo mentre erano in corso
gigantesche speculazioni internazionali sui cibi e sulla terra, per garantire
il guadagno ai pochi, ai padroni del mondo, dovunque fossero annidati, e
togliere la terra e il cibo, il minimo cibo indispensabile e costringere i
molti ad andarsene; o crepare. Invece di mettere sull’avviso, il libro è
sembrato esagerato o sensazionalistico. Abbiamo però una recensione, gratuita, disponibile
che si trova “chiamando” fame, caparros. Chiunque può almeno leggere quella,
che è ancora in rete (Francesca Lazzarato, “Una violenta metafora della
disuguaglianza che noi tutti accettiamo”, il manifesto 31-5-2015).
Si descriveva la nostra avidità di ricchi sazi di tutto e la disperazione del
mondo giovane, fuori di noi, senza niente. Cose del passato. Oggi per esempio,
come si sa, gli immigrati, i famosi, invadentissimi clandestini, quelli
radunati dagli odiosi trafficanti di schiavi, vengono qui per curiosità, per
fare la bella vita, al limite per rubare; non per fame.
L’opposto della fame è lo spreco. La stupidità
della gente ricca e ben pasciuta (non noi, è chiaro!) si trova anche anche
nella descrizione degli sprechi di cibo. Un testo di Saverio Pipitone “Cibo:
più pregi, meno sprechi” (Saverio Pipitone blogspot.com) – rilanciato dalla
“Bottega del Barbieri, il ben noto blog – esamina il piccolo “Atlante di
disuguaglianze” e i dati Fao e Unep. Lo spreco alimentare, il buon cibo
buttato, vale 2.500 miliardi di dollari; per l’Italia si parla di 300 euro per
famiglia. Un miliardo di tonnellate finisce ogni anno nella spazzatura e si
tratta di cibo commestibile per l’80%. La metà dello spreco è spreco casalingo
di cibo acquistato e non consumato; l’altra metà si perde e va in discarica
passando nel variopinto sistema di distribuzione, senza arrivare alla bocca di
qualcuno. Allo spreco è anche imputabile un mare di 250 chilometri cubi di
acqua potabile, nonché una nuvola di 3,3 miliardi di tonnellate di CO2. E
possiamo continuare nella rassegna di Pipitone: 1,4 miliardi di ettari occupati
per produrre cibi da buttare; 4 chili/persona di fertilizzanti spruzzati; 25%
della deforestazione complessiva, 20% di tutti i danni alla biodiversità e per
finire un apporto del 21% di tutti i rifiuti in discarica. C’è infine una
sommessa lode di gruppi come il Gas (Gruppo acquisti solidali), ben noto in
Italia, o il Csa (Comunità di sostegno all’agricoltura) che intendono
connettere produttori e consumatori: due minuscole forme di contrasto allo
spreco. Tali forme sono anche un invito alla riflessione pubblica sulla
questione materiale del cibo: quelli che ne hanno poco o niente del tutto e
quelli che ne hanno troppo e sanno solo sprecarlo. Sono aspetti slegati, nella
storia del mondo, nella geografia di questi anni, oppure sono connessi tra
loro, con un elemento di dipendenza reciproca? Difficile rispondere in modo non
ideologico, difficile suggerire soluzioni che non siano forme di assistenza, in
grande, ai poveri della terra; oppure una severa educazione alimentare
all’Occidente, obeso e malato di troppo cibo?
Per spiegare meglio quello che avviene e
avviene e avviene, l’Onu propone una distinzione tra coloro che rischiano ogni
giorno di morire di fame e coloro che sono sempre affamati, non mangiano mai
abbastanza e sopravvivono così, tentando a volte di fuggire e conquistare
qualche dollaro in più altrove, con l’intento sia di ridurre il peso in cibo
per la famiglia, sia di inviare qualche cibo a casa sotto forma di moneta
spendibile dalla famiglia stessa. Gli affamati, disperati o quasi disperati,
gli uni e gli altri, contati assieme, rappresentano un terzo degli umani, una
persona su tre. Con i dati delle cinque agenzie dell’Onu abbiamo semplificato
una tabella sulle percentuali relative agli affamati gravi e agli altri, quelli
con fame continua ma non mortale e con disturbi di alimentazione, dovuti
soprattutto alla indisponibilità di cibo sano, distinguendo le diverse fami, in
tre anni diversi che mostrino l’andamento e tre diverse zone del mondo
particolarmente soggette alla fame. Ci sarà una fame totale (tot), una
fame, si fa per dire, modesta (mod) una fame grave (gra); tre
anni 2014, 2019, 2020; quattro diversi mondi: il mondo intero, l’Asia del Sud,
l’Africa, l’America centrale completata dalle isole dei Caraibi.
Con i dati che precedono come base di
discussione è prevista per settembre a New York una due giorni dedicata
a una grande iniziativa mondiale sul cibo (e la fame) e le prospettive al 2030 alla
presenza di capi di stato e di governo. Occasioni del genere portano
difficilmente a risultati eccezionali, escludendo il caso di un’eventuale
dichiarazione impegnativa che un grande governante si è lasciata scappare;
tutto il resto è propaganda o affari sotterranei. Forse avrà esiti più
significativi, almeno dal punto di vista dell’infomazione e delle conoscenze, il
pre-convegno del 26-28 luglio che si terrà a Roma, in sede Fao, alla presenza
di operatori e studiosi indipendenti o legati alle Ong, cioè non
necessariamente ispirati o diretti dai governi. Ci saranno
rappresentanti degli agricoltori, dei popoli indigeni: una possibile
discussione aperta e concreta, per indicare il da farsi ai grandi della terra.
Meglio, una possibile via di uscita, un programma, un obiettivo, un rinvio.
Intanto a Cuba, isola dei Caraibi, o in Sudafrica, terra africana meno misera
di altre terre a sud del Sahara, gli affamati cominciano a protestare.
LEGENDA
WFP
= World Food Programme, Programma Alimentare Mondiale
IFAD
= International Fund for Agricultural Development, Fondo internazionale per lo
sviluppo agricolo
UNICEF
= Fondo Nazioni Unite per l’infanzia
OMS
= Organizzazione Mondiale per la Sanità
FAO
= Organizzazione mondiale per l’alimentazione e l’agricoltura
UNEP
= Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente
(*) ripreso da sbilanciamoci.info
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