Oltre la metà di loro segnalano di aver subito pesanti tagli salariali durante la pandemia. Quasi il 70% è stato costretto a sopportare periodi in cui non ha ricevuto paghe equivalenti al periodo pre-pandemia.
Considerando che si trattava già prima di salari di povertà, ora per loro è
diventato quasi impossibile sbarcare il lunario.
Il rapporto si concentra su tre marchi – H&M, Nike e Primark – che
hanno realizzato profitti notevoli nell’ultimo anno e che sono apparsi spesso
sul liveblog della Clean Clothes Campaign, il
racconto quotidiano che da inizio pandemia tiene traccia delle violazioni
segnalate nelle fabbriche di abbigliamento e nei paesi produttori di indumenti.
“Quando i rapporti forniscono una panoramica generalizzata
dell’industria, i marchi spesso negano che le violazioni segnalate si
verifichino all’interno delle loro catene di fornitura, difendendo i loro
modelli di business con affermazioni non comprovate“, ha spiegato Meg
Lewis, autrice di Breaking Point. “Questo rapporto si concentra sulle catene
di fornitura di tre marchi specifici, ma sono molte le aziende che hanno
commesso violazioni simili“.
Il reddito medio mensile dei lavoratori intervistati è diminuito, mentre
gli obiettivi di produzione sono diventati più alti, le condizioni di lavoro
sono peggiorate e le molestie da parte della direzione sono aumentate.
Undici lavoratori di Primark stimano di avere un credito complessivo di
2.890 dollari, diciotto lavoratori di H&M stimano che la somma loro dovuta
sia di 2.368 dollari e tredici lavoratori di Nike stimano di avere un credito
di 1.527 dollari. Si tratta di mesi di salari arretrati, secondo i livelli medi
salariali percepiti nei diversi paesi oggetto di questa indagine prima della
pandemia, già livelli di povertà.
È evidente che questi marchi non stiano facendo abbastanza per proteggere
le lavoratrici dall’impatto finanziario della crisi del COVID-19, in gran parte
causato dalle loro decisioni di cancellare o ridurre gli ordini e abbassare i
prezzi di acquisto dei prodotti commissionati ai fornitori.
Si tratta di un settore particolarmente fragile, in cui lo sfruttamento è
endemico. Poiché i marchi a capo delle filiere globali non si assumono
autonomamente le proprie responsabilità, risulta sempre più evidente quanto sia
urgente che ci siano degli obblighi legislativi che glielo impongano
“Le storie che i lavoratori hanno condiviso con noi sono piene di
disperazione e paura: “avrò un reddito questo mese e sarò in grado di
sfamare la mia famiglia oggi?” In parole povere, i marchi e i
fornitori stanno spingendo i lavoratori e le lavoratrici oltre il punto di non
ritorno
“In nome della pandemia, ci hanno sfruttato alla grande. La pandemia di
COVID-19 non è stata colpa nostra, ma siamo stati noi a ricevere meno della
metà del nostro salario normale. All’inizio abbiamo protestato, ma la direzione
della fabbrica ha detto: ‘Se protestate o formate un sindacato, non avrete un
centesimo da noi e non solo perderete il lavoro, ma sarete anche sfrattati da
questa zona e non avrete più un lavoro in nessun’altra fabbrica’. Così, nessuno
di noi ha potuto costituire un sindacato”. le parole di
unalavoratrice di una fabbrica che produce per H&M in Bangladesh
“Ogni mese devo pagare i debiti e le bollette, ma il mio stipendio non
basta. I nostri obiettivi di produzione aumentano, ma il numero di lavoratrici
diminuisce. E non ci pagano abbastanza per pagare le nostre spese di base.”
ha raccontato una lavoratrice di una fabbrica che produce per Primark in
Cambogia
I dati raccolti nel rapporto provano come i marchi non siano riusciti a
tutelare i lavoratori delle loro filiere per tutta la durata della crisi. All’inizio della
pandemia, brand e distributori si sono rifiutati di pagare le merci, compresi i
capi di abbigliamento già in produzione o addirittura completati, per un valore
stimato di 40 miliardi di dollari.
Cancellazioni di massa, pagamenti ritardati e sconti imposti ai fornitori
hanno scosso l’industria, con un impatto devastante sui lavoratori: a livello
globale sono ormai creditori per miliardi di dollari in salari non pagati,
bonus e indennità di licenziamento.
E anche quando molti grandi marchi hanno accettato di pagare per intero gli
ordini che erano già in produzione (come evidenziato sul Worker Rights Consortium brand tracker),
non si sono però assicurati che i lavoratori e le lavoratrici fossero pagati
per quanto dovuto.
Dall’inizio della pandemia la Clean Clothes Campaign chiede ai brand di
assumersi le proprie responsabilità nei confronti delle filiere. Da marzo 2021,
una coalizione di oltre
200 sindacati e organizzazioni per i diritti dei lavoratori, attraverso la
campagna #PayYourWorkers, fa pressione sui marchi perché negozino direttamente
con i sindacati del settore un accordo esecutivo che garantisca salari,
liquidazione e diritti fondamentali del lavoro per colmare il divario salariale
dell’era pandemica, garantire che i lavoratori licenziati ricevano la
liquidazione per intero, sostenere protezioni sociali più forti per tutti i
lavoratori e garantire il rispetto dei diritti fondamentali del lavoro.
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