Perché al supermercato non si trova mai la frutta imperfetta? Da questa
domanda parte #SiamoAllaFrutta, l’ultimo rapporto pubblicato oggi da
Terra!, una ricerca che indaga gli impatti della scelta della grande
distribuzione di vendere solo prodotti esteticamente impeccabili.
Basta un piccolo difetto per finire fuori mercato. Un mercato,
quello governato dalla GDO, che in Italia assorbe i tre quarti degli acquisti
alimentari. Molti agricoltori si trovano quindi a dover passare per le forche
caudine dei supermercati se vogliono arrivare a vendere i loro prodotti.
Ma il percorso è pieno di insidie. Nelle campagne condotte in questi anni
abbiamo raccontato di come i produttori siano esposti agli effetti di aste al
doppio ribasso, accordi di fornitura con clausole vessatorie e richieste di
sconti fuori contratto.
A tutto questo si aggiungono i canoni estetici che la distribuzione applica
ai prodotti ortofrutticoli: passano la selezione solo quelli belli, grandi,
lucidi, senza imperfezioni.
Ma la natura non produce in serie, e per quanto le varietà ibride e
brevettate abbiano accorciato drammaticamente il gap tra l’idea che abbiamo del
cibo e la sua manifestazione fisica, non possono far nulla contro gli impatti
della crisi climatica.
La crescita esponenziale di frequenza e intensità dei fenomeni
meteorologici estremi sta portando l’agricoltura a produrre frutti sempre meno
omogenei. Grandinate, gelate, ondate di caldo e siccità stanno rendendo
difficile per gli agricoltori raccogliere arance, pere o kiwi senza difetti
estetici.
La crescita di questa quota di produzione imperfetta si scontra con le
rigide politiche di acquisto della GDO, così i produttori devono cercare uno
sbocco sul mercato est europeo – meno esigente – o svendere tutto all’industria
dei succhi di frutta.
È possibile continuare così? I dati sembrano dire di no.
La produzione di pere in Emilia-Romagna negli ultimi 15
anni ha visto calare le superfici di 6.000 ettari. Le arance di
Sicilia si coltivano oggi su appena 82.000 ettari rispetto ai 107.000 di vent’anni
fa. E poi c’è il kiwi, la cui produzione a livello nazionale ha
registrato dal 2014 al 2019 un calo di quasi 100.000 tonnellate.
Sono solo un esempio delle tante colture frutticole che non riescono a
sopravvivere al combinato disposto di crisi climatica e potere dei
supermercati.
A inasprire queste dinamiche sono le regole di contorno, norme europee che
stabiliscono le categorie dei prodotti (“Extra” “I” e “II”) in base a parametri
unicamente pensati per il commercio internazionale: il calibro (cioè il
diametro) e l’aspetto estetico.
Ad esempio, le varietà rosse di mele di categoria “Extra” devono avere i
tre quarti della superficie totale della colorazione adeguata.
Quelle di “categoria I” la metà della superficie. In entrambe però la
buccia deve essere praticamente perfetta e i difetti ridotti al minimo: si
tollera massimo 1 cm² sulla superficie totale, che non dev’essere decolorata.
Lo stesso vale per il calibro: viene stabilita una dimensione minima per ogni
tipologia di frutta coperta dal regolamento UE. Per la mela il calibro minimo è
di 6 cm, per le arance di 5,3.
Tutto questo non è sostenibile, non rispecchia i cicli della natura né la
fase climatica che stiamo vivendo. E per questo provoca effetti
devastanti sull’economia delle filiere coinvolte.
Con #SiamoAllaFrutta, Terra! chiede interventi urgenti per superare la
normativa che spinge alla standardizzazione dei prodotti, ma anche un cambio
delle politiche di acquisto della grande distribuzione, per impedire la
discriminazione della frutta non conforme a canoni estetici del tutto
arbitrari, che nulla hanno a che fare con le proprietà nutrizionali dei prodotti. In
caso contrario, una parte consistente della produzione alimentare continuerà a
marcire sugli alberi e sui campi, senza che valga nemmeno lo sforzo della
raccolta.
Scarica il rapporto qui
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