Due fisici –
il primo senior professor presso la facoltà di ingegneria del Politecnico di
Torino, il secondo ha insegnato Fisica Tecnica Ambientale al Politecnico di
Milano – si rivolgono, uno, ai decisori politici (Angelo Tartaglia, Clima,
lettera di un fisico alla politica, Edizioni Gruppo Abele, 2021), l’altro
agli insegnati (Federico M. Butera, Affrontare la complessità. Per
governare la transizione ecologica, Edizioni Ambiente, 2021), ma potrebbero
invertirsi i compiti e gli argomenti non cambierebbero di molto. Come dire: il
problema va affrontato sia dal basso che dall’alto, alla base della formazione
culturale e scientifica delle persone, come ai vertici del potere. La sfida
sarà vinta, probabilmente, quando avremo un ecologo al ministero dell’ecologia
e l’ecologia in cattedra nelle scuole. Il tema è il rapporto tra attività
antropiche e mondo fisico, a partire dai cambiamenti climatici, ma non
solo.
Il lavoro di
Tartaglia è un agile, ironico e tagliente pamphlet, quello di Butera è un
ponderoso compendio di storia della natura pensato per gli educatori che devono
introdurre l’insegnamento obbligatorio dell’educazione ambientale fin dalla
scuola primaria, voluto dall’ex ministro Lorenzo Fioramonti (pdf).
Tralasciamo
qui le parti analitiche dei due volumi, utilissime, ma oramai note ai
più. Il problema non sono più i “negazionisti” – che si sono sciolti
con il surriscaldamento climatico -, ma i numerosi camuffamenti del greenwashing,
gli ambientalisti dei consigli di amministrazione, i teorici della Green
Growth, gli idolatori delle soluzioni tecnocratiche della geo e bio ingegneria.
Più deperisce il mondo vitale, più cresce una vera e propria religione fondata
su due assiomi: la tecnoscienza troverà sempre, stupefacendoci, le
soluzioni più idonee a tutti i nostri problemi; la “mano
invisibile” del libero mercato economico (con “pilota automatico”,
prima evocato poi materializzatosi in Italia con Draghi) canalizzerà il
denaro necessario a finanziare le innovazioni necessarie. Il cerchio
denaro-tecnologia si chiude così in modo tautologico e autoreferenziale.
I nostri
autori si sforzano a dimostrare la fallacia e la pericolosità di tale visione
magica della scienza e del mercato. Butera richiama la necessità di figurare la
giusta rappresentazione dell’economia nel mondo fisico. La biosfera come
“sovra-sistema” con “limiti planetari” (stock e servizi ecosistemici) difficili
da forzare dalla potenza trasformativa dell’homo sapiens industrializzato senza
provocare dannosi “effetti collaterali”, senza alterare i processi
biogeochimici, senza perturbare le concatenazioni (interconnessioni) che
regolano il funzionamento del sistema Terra. Stiamo compromettendo
cicli vitali complessi e complicatissimi, come quello del fosforo e dell’azoto,
da cui dipende la fertilità dei suoli e quindi, in ultima analisi,
l’assorbimento dell’anidride carbonica e la stessa fotosintesi clorofilliana.
Stiamo ignorando leggi del mondo reale, della fisica e della termodinamica.
Sia Butera che
Tartaglia concordano sul dover “fermare il treno del progresso”,
cambiare il modello economico e culturale che ha un nome – scrive Butera –: “É
il capitalismo nella forma estrema del neoliberismo” (p.290). Per lui l’idea
del “Green New Deal” può essere un primo passo per avviare una transizione che
“includa il bilancio ecologico nel bilancio economico” delle aziende, degli
stati, delle famiglie. L’obiettivo deve essere “la diminuzione drastica
della quantità di prodotti che vengono immessi nel mercato nei paesi
sviluppati e una crescita contenuta e selettiva di essi nei paesi in via di
sviluppo, in un contesto culturale ed economico in cui prevalga il concetto
di sobrietà” (p. 283). Dovremmo: “ridurre la produzione di
nuovi beni, progettandoli e realizzandoli in modo che siano durevoli,
riparabili e riusabili” (p.271).
Butera
comunque non ama il concetto di “decrescita”, che lo ritiene una “infelice
locuzione” e lascia aperta la possibilità di un “disaccoppiamento” tra la
crescita dei profitti aziendali e la cura della Terra. La frase topica è
questa: “(una impresa) può guadagnare tanto sia con la qualità che con la
quantità” (p.270). Tartaglia è più radicale: la “crescita [perpetua,
illimitata, universale] sostenibile” è mera metafisica, un mito e un inganno.
Non può esserci aumento del Pil che non trascini con sé maggiori flussi di
energia e di materia, di “tonnellate e di chilowattora”. Almeno di non pensare
di poter “mettere un prezzo a “sorrisi e atti di benevolenza reciproca” (p.58)
e di volerli riservare solo a chi è solvibile sul mercato. Così come è
impossibile ipotizzare una circolarità compiuta delle materie impegnate nei
cicli produttivi, distributivi e di consumo: “Per crescere, cioè se l’ampiezza
del ciclo deve aumentare, bisogna attingere a risorse primarie che si trovano
fuori del ciclo” (p.61). Nessun nuovo Piano Marshall, nessuna
espansione basata sull’indebitamento, sull’appropriazione dei saperi e sulla
competizione tra aree di influenza economiche potrà mai portarci fuori dalla
crisi ecologica in atto.
Da
scienziati della più “dura” delle discipline – la fisica – i nostri due autori
si lamentano di un paradosso irrisolto. Come è possibile conoscere
l’insostenibilità e l’irragionevolezza del sistema socioeconomico in cui
viviamo sia attraverso l’esperienza (fa più caldo, le specie animali si
estinguono, le pandemie avanzano, le migrazioni di profughi ambientali si
avvicinano …), sia in termini scientifici, ma non riuscire a cambiare rotta?
Evidentemente la ragione e la razionalità non bastano a battere
“ignoranza ed egoismo”, “diffidenza e paura” (sempre Tartaglia). Il
pessimismo rischia di avere il sopravvento se non interviene la dimensione
etica e spirituale che ci deve far dire che questo mondo
dominato da relazioni umane gerarchiche, discriminatorie, patriarcali,
razziste, speciste … non lo vogliamo più, nemmeno se fossero ancora a
nostra disposizione tutte le risorse naturali del pianeta. Dimensione
ecologica, dimensione sociale e dimensione spirituale-culturale – che idea
abbiamo noi del senso della nostra vita – non possono essere disgiunte nel
pensare e creare un’alternativa.
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