La Presidente della Commissione Ursula
Von Der Leyen insieme ai Commissari Timmermans, Gentiloni,
Simson, Aldean e Wojciechowski ha presentato ieri quello che è uno dei più
consistenti pacchetti legislativi mai completati nella sua storia; 8 proposte
di revisione di direttive e regolamenti esistenti e 4 nuove iniziative in
materia soprattutto energetica che rappresentano un pezzo centrale del Green
Deal europeo, il programma partito due anni fa per portare la UE a
essere il primo continente a emissioni zero nel
2050, attraverso una lunga lista di norme in tutti i
settori dell’economia, industria, ambiente, accompagnate dal riorientamento e
dall’aumento delle risorse a disposizione della UE.
Il contenuto del programma
Se il Green Deal è un elemento chiave di Next
Generation EU ed è quindi integrato anche nello sforzo di uscita dalla crisi
pandemica intrapreso a livello europeo.
Il Green Deal, la decisione di aumentare dal 40%
al 55% gli obiettivi di riduzione
delle emissioni al 2030 e di raggiungere la neutralità
climatica nel 2050, racchiusi nella Legge sul Clima che entra in vigore
questo mese, sono una conseguenza diretta dei richiami incessanti di scienziati
ed esperti, delle grandi mobilitazioni dei Friday
for Future e della crescente consapevolezza dell’estrema
minaccia rappresentata dai cambiamenti climatici non solo per l’ambiente, ma
anche per l’economia e la vita tout court: l’idea è cioè che il
Green Deal sia una “strategia per la crescita”
alternativa a quella attuale ancora fondata sui combustibili fossili; ha anche
l’obbiettivo di portarci fuori dalla crisi, di dare nuove prospettive di lavoro
e di inclusione sociale, di ridisegnare il nostro modo di muoverci, di abitare,
di consumare, il tutto riducendo le diseguaglianze e il nostro impatto su
risorse e ambiente.
Un sogno? Forse e come vedremo i problemi non mancano.
Ma bisogna riconoscere che, al di là del merito, il grande lavoro fatto dalla
Commissione europea e il suo scarso (in termini numerici) e spesso criticato
staff è stato davvero straordinario e rappresenta bene il
senso e l’utilità del progetto
europeo; in questi mesi c’è stato anche uno sforzo reale di
ascolto dei vari attori in campo, dalle ONG all’industria, anche se ovviamente
alcune voci sono forse state più ascoltate di altre.
Le proposte di direttive, regolamenti e altre
iniziative riguardano l’aumento degli obbiettivi per rinnovabili, l’efficienza
energetica, la riorganizzazione del sistema di scambio delle
emissioni (ETS) e la sua controversa estensione al settore
degli edifici e dei trasporti, il regolamento detto di “condivisione dello
sforzo” di abbattimento delle emissioni nei settori finora non coperti
dall’ETS, la tassazione energetica,
che prevedeva finora stimoli ai combustibili fossili, l’uso del suolo,
silvicultura e strategia forestale, norme più stringenti per ridurre le
emissioni di automobili e furgoni, regole per le infrastrutture, per i
carburanti alternativi (leggi ricariche per mobilità elettrica) e per i
carburanti per aviazione e navigazione, misure per imporre dazi ad importazioni
ad alto contenuto di CO2 (misure di adeguamento del carbonio alle frontiere);
viene poi proposto un Fondo Sociale per il Clima per
contribuire a rimediare al rischio gilets jaunes, cioè una reazione
di rigetto di queste misure da parte dei settori sociali più in difficoltà. Il
Fondo verrebbe finanziato con 72,2 miliardi di
risorse europee provenienti per il 25% dai proventi del sistema di scambio di
emissioni e potenzialmente da altrettante nazionali nei prossimi 7 anni.
Nei prossimi mesi il pacchetto sarà inoltre completato dalle proposte sulle
linee guida per l’applicazione concreta del principio “Energy
efficiency first”, il super controverso pacchetto sul gas, la
direttiva sugli edifici e le nuove linee guida sugli aiuti di stato, tutti
aspetti molto importanti dell’agenda sul Green Deal. Ora la parola passa
al Parlamento Europeo e al Consiglio
dei rappresentanti degli Stati, che sono
co-legislatori a pari livello. Si prevede che i negoziati dureranno per tutto
il 2022.
I rischi di una proposta ambigua
La proposta della Commissione è un insieme
di migliaia di pagine di norme e articoli e ci vorrà un po’ per digerirli
tutti, ma già possiamo fare alcune considerazioni generali. Innanzitutto, il
pacchetto è al centro dell’attenzione di due forti tendenze,
che vanno in senso diametralmente opposto,
come è evidente da alcune delle primissime reazioni. Da un lato ci sono le voci
di coloro che pur non potendo più negare che i cambiamenti climatici esistono e
vadano governati, dopo avere per anni impedito di agire per tempo, oggi
continuano a spingere per ritardare,
fare dei distinguo, chiedere prudenza, usando l’argomento sicuramente
importante della salvaguardia dei posti di lavoro per non attrezzarsi a
cambiare e soprattutto pretendono il privilegio di continuare ad essere esentati
dai costi reali della transizione, che anche in questo
pacchetto continuano ad essere in buona misura scaricati su cittadini e finanze
pubbliche: parliamo di una parte ancora troppo importante dell’industria
automobilistica e energivora che soprattutto
in Germania (e quindi in Commissione), ma anche in Italia, ha un impatto
davvero sproporzionato (vedi le dichiarazioni di Cingolani sul “bagno di
sangue” rappresentato dalla transizione ecologica) data la sua capacità di
influenza e la sua disponibilità economica nel fare lobby a tutti i livelli.
Dall’altro c’è invece l’evidenza dell’obiettiva accelerazione dei fenomeni
distruttivi e di grande e negativo impatto dei cambiamenti climatici, dello
sfruttamento eccessivo delle risorse e dell’inquinamento che non
permette di perdere tempo: bisogna liberarsi al più presto
della dipendenza dai fossili, gas incluso.
Greta Thunberg in un recente
intervento, durissimo e lucidissimo come sempre, denuncia come le azioni
intraprese potrebbero essere molto positive perché siamo ancora in tempo per
invertire la marcia, ma ci sono troppe scappatoie, ambiguità, continuano investimenti
e sussidi miliardari ai fossili e le politiche
in atto non sono assolutamente abbastanza radicali e i governi si danno a
un greenwashing continuo ed irresponsabile. È chiaro che la
trasformazione necessaria sarà difficile e dura. Ma è la conseguenza del grande
ritardo accumulato e più tempo si perde facendo scelte a metà, e peggio sarà
anche da un punto di vista della sostenibilità e consenso sociale. E comunque
l’alternativa lo sarebbe ancora di più. Se scegliamo questo secondo punto di
vista, è chiaro che il pacchetto presenta molti
gravi punti deboli e che bisognerà mettere in atto una
mobilitazione notevole in Italia e in Europa per poterlo migliorare. Peraltro,
se in Europa esistono gli strumenti di relativa trasparenza per capire chi dice
cosa e chi preme in quale direzione, è molto più difficile vedere come si forma
la posizione che l’Italia rappresenta in Europa su questi temi, data l’assenza
di dibattito pubblico, il disinteresse dei media e l’opacità
dei meccanismi di controllo.
Il macroscopico punto debole del pacchetto sta nel
tentativo della Commissione di trovare una impossibile ed inefficace mezza via
tra i due orientamenti spiegati più sopra. Ma questo tentativo rischia di
mettere in pericolo l’essenza stessa del Green Deal,
come denunciano da tempo le associazioni ambientaliste europee riunite in
Climate Action Network o EEB, ma anche diverse associazioni dell’industria più
consapevole dei rischi ma anche delle enormi opportunità che esistono in
termini di business, competitività e lavoro.
Una ragione fondamentale della debolezza del pacchetto sta nel target
insufficiente di riduzione delle emissioni del 55% per il 2030 inserito
dalla Legge sul Clima dopo una battaglia furibonda; la scienza considera invece
necessario che l’UE contribuisca con una riduzione di emissioni del 65%
entro il 2030 al raggiungimento dell’obbiettivo globale di
1,5° massimo di riscaldamento del pianeta entro la fine del secolo; dunque ci
vorrebbe un aumento delle rinnovabili e dell’efficienza rispettivamente
del 50% e del 45%.
Gli obbiettivi proposti di aumento di rinnovabili (40%) e di efficienza
energetica (36%) sono quindi insufficienti da soli ad avvicinarci per tempo
alla neutralità climatica.
Altro elemento di grandissima preoccupazione, perché
se è vero che la trasformazione è urgente e necessaria è anche vero che i suoi
costi devono essere sostenuti in modo equo, è la proposta di ampliare
il sistema di scambio di emissioni – che ha lo
scopo di spingere al cambio di sistema aumentando i prezzi delle tecnologie più
inquinanti – ai settori degli edifici e dei trasporti, mantenendo allo stesso
tempo fino al 2035 (!!!) un sistema di esenzioni e vantaggi
per le industrie energivore e non facendo nulla per
ridurre i sussidi pubblici ai settori “fossili” (in
Italia 19 miliardi di euro all’anno). È evidente che in questo modo si segue il
modello tedesco di fare pagare ai cittadini il costo
della transizione. Modello improponibile per una parte importante della
UE e un’arma formidabile in mano ai boicottatori del Green Deal. Non è un caso
che le prime voci “fossili” che si sono levate hanno usato l’argomento dei
costi sociali per respingere le misure più ambiziose del pacchetto ritenendole
insostenibili. Personalmente, sono anche abbastanza diffidente sulle
assicurazioni date dalla Commissione rispetto alla capacità dell’istituendo
Fondo sociale di coprire davvero i costi dei vantaggi concessi all’industria
poco green, ma anche all’agricoltura che
resta il settore meno toccato dalle nuove regole del Green Deal e l’unico per
il quale non esistono obblighi numerici di riduzione delle emissioni. Come ha
sottolineato recentemente la Corte dei Conti Europea il principio di “chi
inquina paga” è applicato in modo ancora inefficace nella
UE e fondi pubblici coprono costi che dovrebbero essere gli inquinatori a
pagare. Quindi c’è il rischio che anche questo fondo copra spese, come
l’acquisto di auto elettriche, che finirebbero per avvantaggiare ancora
una volta settori restii a contribuire direttamente o come aiuti diretti in
bolletta non condizionati al cambio del sistema energetico. Peraltro
questa politica di sconti ed esenzioni ha fortemente rallentato
la decarbonizzazione di una parte importante dell’industria e del
settore agricolo europei. Sono sicura che li vedremo agire molto attivamente
per mantenere i loro privilegi nell’imminente processo legislativo.
Riprendere le mobilitazioni
Mi preoccupa anche l’insistenza sul potenziale
dell’idrogeno e delle biomasse come nuove
soluzioni miracolo, a discapito di una valorizzazione che sarebbe invece molto
più tempestiva ed efficace sia per la decarbonizzazione che per la creazione di
posti di lavoro di qualità di economia circolare e cambio di modelli di
produzione e consumo.
Ovviamente, ci sono numerosi aspetti molto positivi e
molto importanti da difendere con le unghie e con i denti nel
pacchetto. Dalle misure sull’efficienza energetica, che estendono obblighi
sfidanti a tutte le attività del settore pubblico,
dall’acqua agli edifici, ed escludono i risparmi ottenuti con dispositivi
fossili, all’importanza del principio dell’”efficienza
energetica prima di tutto”; dall’inclusione delle emissioni
marittime e dell’aviazione nell’ETS, all’allineamento della fiscalità
energetica che se adottato avrebbe un impatto positivo sulla riduzione
dei vantaggi dei combustibili fossili, alle misure che faciliteranno
l’istallazione di energie rinnovabili (in Italia dovremmo moltiplicarle per 6
per realizzare i nostri obiettivi!), ecc..
Ma è chiaro che ancora nulla è acquisito e il lungo
percorso verso la neutralità climatica dell’UE, che ci permetterà di giocare a
pieno il ruolo positivo ed essenziale che ci siamo dati nella battaglia globale
per il clima, è ancora irto di ostacoli. Sono perciò convinta che solo una
ripresa potente e immediata, dopo lo stop imposto dal COVID, della mobilitazione
dei giovani (e meno giovani) dei Fridays
for Future e di tutto l’associazionismo ambientalista e non
solo, un controllo stretto del processo legislativo da parte dei media, del
mondo accademico, dell’impresa e agricoltura green potranno spingere le
istituzioni a tutti i livelli a rinunciare alla loro persistente dipendenza
fossile e a realizzare pienamente il Patto verde europeo.
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