domenica 4 luglio 2021

Costruendo autonomie. Le cooperative post-capitaliste - Caterina Amicucci

 

E infine dal mare arrivò “La Montagna”.  Il vecchio veliero con a bordo la prima delegazione marittima zapatista è approdato nella città galiziana di Vigo, aprendo ufficialmente il Capitolo Europa del “Viaggio per la Vita”. Una traversata a ritroso dal Messico, colonizzato 500 anni fa, al vecchio stanco e malato continente europeo.  Si concretizza la prima tappa dell’iniziativa lanciata lo scorso ottobre dalle montagne del Chiapas: contagiare il mondo con il virus della resistenza e della ribellione, incontrando chi oggi si rifiuta di seguire il sistema nel suo rapido incedere verso il collasso. Ciò che accadrà nei prossimi mesi lo sapremo solo camminando, domandando e soprattutto  partecipando, ma  quel che è certo è che,  considerata la dimensione della sfida e la congiuntura storica e sanitaria, la sfida non potrà lasciare indifferenti.

Invaderà l’Europa, in maniera organizzata, dunque, la lotta che per 27 anni più di ogni altra, e naturalmente non senza contraddizioni, ha costruito e praticato autonomia. Si affiancherà ad essa, in incontri già programmati, l’altra esperienza che in questi anni, con altrettante contraddizioni e nel contesto di una guerra dimenticata, ha praticato autonomia: il Confederalismo Democratico curdo nel Nord-est della Siria.

 

Come potremo interloquire sul tema dell’autonomia in un momento in cui da queste parti nemmeno la privazione di libertà fondamentali ha generato il bisogno di una riflessione critica collettiva? Al netto delle esperienze di autogestione e mutualismo, quali pratiche sistemiche di autonomia potremo cogliere l’occasione di scambiare, esplorare ed approfondire?

Questa è la prima tappa di un viaggio esplorativo in questa direzione cominciato nella Barcellona in una fredda primavera del 2021.  Le peculiarità storiche e sociali del contesto catalano sono note e non è intenzione di questo limitatissimo lavoro analizzarle o celebrarle, ma semplicemente restituire  e condividere l’ecosistema sociale che a partire dal 15M, di cui quest’anno ricorre il decennale, ha generato quello  che si può definire il movimento cooperativista postcapitalista.

Il viaggio inizia dietro la Sagrada Familia dove hanno sede la COS, Cooperativa di Salute integrativa e Sostre Civicla cooperativa che promuove il modello di co-abitazione con diritto d’uso.

Laura non è un medico, faceva parte di una cooperativa che lavorava sui parti naturali e i parti in casa. A quel nucleo originario hanno iniziato ad unirsi altre figure professionali operanti nel campo della salute che nel 2011 hanno dato vita alla prima cooperativa di salute integrativa della Spagna. “Lavoriamo in complementarietà ed a volte in collaborazione con il sistema pubblico. Offriamo delle prestazioni che non sono coperte dal sistema sanitario e lo facciamo attraverso una visione olistica e integrale della cura, garantendo un prezzo accessibile e prevedendo anche un sistema di solidarietà per chi non ha mezzi economici”. “Le nuove sfide sono quelle di recuperare e autogestire strutture sanitarie chiuse a causa dei tagli alla sanità e coinvolgere molto più attivamente tra i nostri soci i migranti che hanno bisogno di strumenti di attenzione e partecipazione specifici”.

La pandemia ha drammaticamente aumentato la richiesta di sostegno psicologico e la cooperativa si è attrezzata per dare risposte concrete così come si è impennato il bisogno di soluzioni abitative collettive. Su questo lavora da anni la cooperativa Sostre Civic, attraverso un modello che promuove il superamento del concetto di proprietà individuale sperimentando un sistema misto di acquisto e affitto, rendendo la coabitazione molto più accessibile da un punto di vista economico e psicologico considerando che il dominio culturale del capitalismo si è insinuato nei gangli di ogni individuo anche di chi vuole abbatterlo.

 “Siamo una cooperativa di progetti che conta più di mille soci. La cooperativa si occupa di chiedere il finanziamento per comprare o adattare gli immobili. I soci che vivono nei nostri progetti devono contribuire con il 20% del finanziamento. Un contributo che si recupera nel caso in cui si decida di andarsene. Poi mensilmente ognuno paga la sua quota per contribuire a restituire il prestito. Non si è proprietari individualmente ma collettivamente e questo sistema garantisce che la sottrazione del bene al mercato speculativo sia permanente”. Ana e Sabrina stanno avviando un progetto di co-abitazione vicino a Olot, hanno optato di aderire a Sostre Civic invece di formare una loro cooperativa autonoma. “Abbiamo fatto questa scelta perché in futuro come gruppo di persone potremmo cambiare idea, per esempio se la proprietà che abbiamo individuato dovesse acquistare valore potremmo decidere di venderla e ricavarci denaro. Attraverso Sostre Civic ciò non è possibile perché sono mille soci che devono prendere la decisione. È una garanzia che quel bene resterà nel circuito dell’economia solidale a prescindere dalle nostre scelte individuali”.

Ma a Barcellona il vero cuore pulsante del cooperativismo è il quartiere di Sants che trova nello spazio autogestito di Can Battlò il suo centro operativo. Una mappa disegna una ragnatela di cinquantacinque diverse realtà cooperative nell’arco di pochi chilometri tutte in rete fra loro attraverso la formula dell’intercooperazione. Fra questi l’Ateneo Cooperativo Coopolis e il polo cooperativo “La Comunal”, ovvero uno spazio condiviso tra sette cooperative e un’associazione che comprende anche una libreria ed un ristorante.

Ivan attivista, militante da sempre  ed autore di diversi libri sul cooperativismo e sull’economia solidale racconta “Ne La Comunal lavorano 80-90 persone sommando le diverse  comunità, la libreria con il ristorante, il giornale con il centro di advocacy, ci basiamo sulla formula dell’intercooperazione  con la quale pensiamo di essere più capaci di costruire un fronte comune per contrastare  il capitalismo, per appoggiarci reciprocamente ed avere più forza“La Comunal” nasce perché esiste una tradizione di movimenti sociali nel quartiere e di un tipo di cooperativismo che si è sviluppato negli ultimi anni e che qui si è riunito nell’ Impuls cooperatiu de sants che raggruppa 35 cooperative che lottano per una riappropriazione collettiva del quartiere”.  La traiettoria teorica e politica di Ivan è molto ampia e tocca anche il delicato rapporto con le istituzioni che negli ultimi anni hanno dato ampio appoggio, sulla base di interessi sociali e politici differenti, al movimento cooperativista catalano attraverso la creazione di un dipartimento “Economia Sociale e solidale” nel comune di Barcellona ed il finanziamento degli atenei cooperativi in ogni provincia promosso dalla Generalitat Catalana.

Coopolis è uno di questi ed ha sede in Can Batllo. Un incubatore di nuovi progetti cooperativi che possono trovare una sede ed un appoggio nella loro fase iniziale. Enrico, italiano che vive  in Catalogna da molti anni, è presidente di Coopdevs una cooperativa che si dedica allo sviluppo di soluzioni tecnologiche per il mondo cooperativo che ha sede a Coopolis. È anche fondatore di Katuma,  l’istanza catalana del progetto internazionale Open Food Network. “Katuma è una piattaforma che consente ai consumatori di mandare gli ordini al proprio gruppo d’acquisto. Il gruppo tramite lo stesso strumento raggruppa gli ordini per produttore e li invia. Il produttore sa quindi esattamente cosa è stato ordinato da chi. Il sistema gestisce questi due processi, la raccolta delle richieste e la distribuzione. Abbiamo iniziato in due o tre e lavoravamo su un prototipo che stavamo sviluppando noi, poi abbiamo scoperto l’esistenza della rete internazionale Open Food Network già attiva da alcuni anni in paesi come l’Australia a l’Inghilterra. Abbiamo abbandonato il nostro prototipo perdendo in innovatività tecnologica ma guadagnando da un punto di vista di comunità internazionale”.

 

Un’esperienza del tutto peculiare e radicale è quella della Cooperativa Integral Catalana. Nata a partire dalla “truffa solidale” di Enric Duran, l’attivista che approfittando della bolla creditizia che ha condotto alla crisi finanziaria del 2008, ho ottenuto mezzo milione di prestiti senza restituirli e investendoli in progetti come la CIC ed è oggi attualmente latitante.  La Cooperativa oggi non più attiva come alcuni anni fa, puntava alla creazione di nodi locali che scambiassero prodotti e servizi in maniera esterna al sistema fiscale  e monetario del sistema capitalista forzando agli estremi le strutture giuridiche esistenti e utilizzando monete alternative ed altri sistemi di scambio.

Seppur queste ed altre esperienze fanno parte delle Rete dell’economia solidale che in Catalogna conta più di 300 realtà, l’avanzamento prodotto in questi ultimi anni di pratica e di riflessione sembra essere la transizione dal concetto di rete a quello di ecosistema. Ovvero la creazione di uno spazio economico esterno al capitalismo che individua in maniera collettiva i bisogni del territorio offrendo delle risposte finalizzate alla sottrazione al capitale e alla riappropriazione progressiva di pezzetti della catena produttiva e riproduttiva. Gli strumenti per operare sono la replicabilità delle buone pratiche ovvero l’esportazione di modelli funzionanti in altri territori che hanno bisogni simili e l’intercooperazione che oltre a far leva sulla collaborazione e lo scambio interno di prodotti e servizi, è un meccanismo che rileva i bisogni degli stessi progetti cooperativi offrendo soluzioni organizzativamente ed economicamente condivise.

E da questo punto vista è indispensabile l’accesso al credito garantito nell’ecosistema cooperativista catalano dalla Coop 57 che raccoglie il risparmio e presta esclusivamente alle cooperative socie.

La sua funzione principale è il finanziamento di progetti di economia sociale e solidale attraverso l’intermediazione finanziaria. La cooperativa  raccoglie risparmi nell’ambito della società civile e li convoglia in forma di prestiti verso gli attori dell’economia sociale e solidale principalmente cooperative.

C’ è da augurarsi che la “Gira Zapatista” non sia solo un’esperienza epica,  ma qualcosa che possa sprigionare l’energia per osare e produrre avanzamento nella costruzione di nuovi spazi di autonomia, di trasformazione e di pratica di democrazia reale. Guardando lontano ma, a volte, neanche troppo.

da qui

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