E infine dal mare arrivò “La Montagna”. Il vecchio veliero con a bordo la prima delegazione marittima zapatista è approdato nella città galiziana di Vigo, aprendo ufficialmente il Capitolo Europa del “Viaggio per la Vita”. Una traversata a ritroso dal Messico, colonizzato 500 anni fa, al vecchio stanco e malato continente europeo. Si concretizza la prima tappa dell’iniziativa lanciata lo scorso ottobre dalle montagne del Chiapas: contagiare il mondo con il virus della resistenza e della ribellione, incontrando chi oggi si rifiuta di seguire il sistema nel suo rapido incedere verso il collasso. Ciò che accadrà nei prossimi mesi lo sapremo solo camminando, domandando e soprattutto partecipando, ma quel che è certo è che, considerata la dimensione della sfida e la congiuntura storica e sanitaria, la sfida non potrà lasciare indifferenti.
Invaderà l’Europa, in maniera
organizzata, dunque, la lotta
che per 27 anni più di ogni altra, e naturalmente non senza contraddizioni, ha
costruito e praticato autonomia. Si affiancherà ad essa, in
incontri già programmati, l’altra esperienza che in questi anni, con
altrettante contraddizioni e nel contesto di una guerra dimenticata, ha
praticato autonomia: il Confederalismo Democratico curdo nel Nord-est
della Siria.
Come potremo interloquire sul tema dell’autonomia
in un momento in cui da queste parti nemmeno la privazione di libertà
fondamentali ha generato il bisogno di una riflessione critica collettiva? Al netto delle
esperienze di autogestione e mutualismo, quali pratiche sistemiche di autonomia
potremo cogliere l’occasione di scambiare, esplorare ed approfondire?
Questa è la prima tappa di un
viaggio esplorativo in questa direzione cominciato nella Barcellona in una
fredda primavera del 2021. Le peculiarità storiche e sociali
del contesto catalano sono note e
non è intenzione di questo limitatissimo lavoro analizzarle o celebrarle, ma
semplicemente restituire e condividere l’ecosistema sociale che a partire
dal 15M, di cui quest’anno ricorre il
decennale, ha generato quello che si può definire il movimento
cooperativista postcapitalista.
Il viaggio inizia dietro la Sagrada Familia dove hanno sede la COS, Cooperativa di
Salute integrativa e Sostre Civic, la cooperativa che promuove il modello di
co-abitazione con diritto d’uso.
Laura non è un medico, faceva parte di una cooperativa che lavorava sui
parti naturali e i parti in casa. A quel nucleo originario hanno iniziato ad
unirsi altre figure professionali operanti nel campo della salute che nel 2011
hanno dato vita alla prima cooperativa di salute integrativa della Spagna.
“Lavoriamo in complementarietà ed a volte in collaborazione con il sistema
pubblico. Offriamo delle
prestazioni che non sono coperte dal sistema sanitario e lo facciamo attraverso
una visione olistica e integrale della cura, garantendo un prezzo accessibile e
prevedendo anche un sistema di solidarietà per chi non ha mezzi economici”.
“Le nuove sfide sono quelle di recuperare e autogestire strutture
sanitarie chiuse a causa dei tagli alla sanità e coinvolgere molto più
attivamente tra i nostri soci i migranti che hanno bisogno di strumenti di
attenzione e partecipazione specifici”.
La pandemia ha drammaticamente aumentato la
richiesta di sostegno psicologico e la cooperativa si è attrezzata per dare
risposte concrete così come si è impennato il bisogno di soluzioni abitative
collettive. Su questo lavora da anni la cooperativa Sostre Civic,
attraverso un modello che promuove
il superamento del concetto di proprietà individuale sperimentando un sistema
misto di acquisto e affitto, rendendo la coabitazione molto più
accessibile da un punto di vista economico e psicologico considerando che il dominio culturale del
capitalismo si è insinuato nei gangli di ogni individuo anche di chi vuole
abbatterlo.
“Siamo una cooperativa di progetti
che conta più di mille soci. La cooperativa si occupa di chiedere il
finanziamento per comprare o adattare gli immobili. I soci che vivono nei
nostri progetti devono contribuire con il 20% del finanziamento. Un contributo
che si recupera nel caso in cui si decida di andarsene. Poi mensilmente ognuno
paga la sua quota per contribuire a restituire il prestito. Non si è proprietari individualmente ma
collettivamente e questo sistema garantisce che la sottrazione del bene al
mercato speculativo sia permanente”. Ana e Sabrina stanno avviando un
progetto di co-abitazione vicino a Olot, hanno optato di aderire a Sostre Civic
invece di formare una loro cooperativa autonoma. “Abbiamo fatto questa scelta
perché in futuro come gruppo di persone potremmo cambiare idea, per esempio se
la proprietà che abbiamo individuato dovesse acquistare valore potremmo
decidere di venderla e ricavarci denaro. Attraverso Sostre Civic ciò non è
possibile perché sono mille soci
che devono prendere la decisione. È una garanzia che quel bene resterà nel circuito
dell’economia solidale a prescindere dalle nostre scelte individuali”.
Ma a Barcellona il vero cuore
pulsante del cooperativismo è il quartiere di Sants che trova nello spazio
autogestito di Can Battlò il suo centro operativo. Una mappa
disegna una ragnatela di cinquantacinque
diverse realtà cooperative nell’arco di pochi chilometri tutte in rete fra loro
attraverso la formula dell’intercooperazione. Fra questi l’Ateneo
Cooperativo Coopolis e il polo cooperativo “La
Comunal”, ovvero uno spazio condiviso tra sette cooperative e un’associazione
che comprende anche una libreria ed un ristorante.
Ivan attivista, militante da sempre ed autore di diversi libri sul
cooperativismo e sull’economia solidale racconta “Ne La Comunal lavorano 80-90
persone sommando le diverse comunità, la libreria con il ristorante,
il giornale con il centro di advocacy, ci basiamo sulla formula dell’intercooperazione con la quale
pensiamo di essere più capaci di costruire un fronte comune per contrastare
il capitalismo, per appoggiarci reciprocamente ed avere più forza. “La Comunal” nasce perché esiste
una tradizione di movimenti sociali nel quartiere e di un tipo di
cooperativismo che si è sviluppato negli ultimi anni e che qui si è riunito
nell’ Impuls
cooperatiu de sants che raggruppa 35 cooperative che
lottano per una riappropriazione collettiva del quartiere”. La
traiettoria teorica e politica di Ivan è molto ampia e tocca anche il delicato
rapporto con le istituzioni che negli ultimi anni hanno dato ampio appoggio,
sulla base di interessi sociali e politici differenti, al movimento
cooperativista catalano attraverso la creazione di un dipartimento “Economia Sociale
e solidale” nel comune di Barcellona ed il finanziamento degli atenei
cooperativi in ogni provincia promosso dalla Generalitat Catalana.
Coopolis è uno di questi ed ha sede in Can
Batllo. Un incubatore di nuovi progetti cooperativi che possono trovare una
sede ed un appoggio nella loro fase iniziale. Enrico, italiano che vive
in Catalogna da molti anni, è presidente di Coopdevs una cooperativa che si dedica allo sviluppo di
soluzioni tecnologiche per il mondo cooperativo che ha sede a Coopolis. È anche
fondatore di Katuma, l’istanza catalana del progetto internazionale Open Food Network.
“Katuma è una piattaforma che consente ai consumatori di mandare gli ordini al
proprio gruppo d’acquisto. Il gruppo tramite lo stesso strumento raggruppa gli
ordini per produttore e li invia. Il produttore sa quindi esattamente cosa
è stato ordinato da chi. Il sistema gestisce questi due processi, la
raccolta delle richieste e la distribuzione. Abbiamo iniziato in due o tre
e lavoravamo su un prototipo che stavamo sviluppando noi, poi abbiamo scoperto
l’esistenza della rete internazionale Open Food Network già attiva da alcuni anni in paesi
come l’Australia a l’Inghilterra. Abbiamo abbandonato il nostro prototipo
perdendo in innovatività tecnologica ma guadagnando da un punto di vista di
comunità internazionale”.
Un’esperienza del tutto peculiare e radicale è quella della Cooperativa
Integral Catalana. Nata a partire dalla “truffa solidale” di Enric
Duran, l’attivista che approfittando della bolla creditizia che ha condotto alla
crisi finanziaria del 2008, ho ottenuto mezzo milione di prestiti senza
restituirli e investendoli in progetti come la CIC ed è oggi attualmente
latitante. La Cooperativa oggi non più attiva come alcuni anni fa,
puntava alla creazione di nodi locali che scambiassero prodotti e servizi in
maniera esterna al sistema fiscale e monetario del sistema capitalista
forzando agli estremi le strutture giuridiche esistenti e utilizzando monete
alternative ed altri sistemi di scambio.
Seppur queste ed altre esperienze fanno parte delle Rete
dell’economia solidale che in Catalogna conta più di 300
realtà, l’avanzamento prodotto in
questi ultimi anni di pratica e di riflessione sembra essere la transizione dal
concetto di rete a quello di ecosistema. Ovvero la creazione di uno spazio economico esterno al capitalismo che
individua in maniera collettiva i bisogni del territorio offrendo delle
risposte finalizzate alla sottrazione al capitale e alla riappropriazione
progressiva di pezzetti della catena produttiva e riproduttiva. Gli
strumenti per operare sono la replicabilità delle buone pratiche ovvero
l’esportazione di modelli funzionanti in altri territori che hanno bisogni
simili e l’intercooperazione che oltre a far leva sulla collaborazione e lo
scambio interno di prodotti e servizi, è un meccanismo che rileva i bisogni
degli stessi progetti cooperativi offrendo soluzioni organizzativamente ed
economicamente condivise.
E da questo punto vista è
indispensabile l’accesso al credito garantito nell’ecosistema cooperativista
catalano dalla Coop 57 che raccoglie il risparmio e presta esclusivamente alle cooperative socie.
La sua funzione principale è il finanziamento di progetti di economia
sociale e solidale attraverso l’intermediazione finanziaria. La cooperativa
raccoglie risparmi nell’ambito della società civile e li convoglia in forma di
prestiti verso gli attori dell’economia sociale e solidale principalmente
cooperative.
C’ è da augurarsi che la “Gira Zapatista” non sia
solo un’esperienza epica, ma qualcosa che possa sprigionare l’energia per
osare e produrre avanzamento nella costruzione di nuovi spazi di autonomia, di
trasformazione e di pratica di democrazia reale. Guardando lontano ma, a
volte, neanche troppo.
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