Saranno il
caldo e l’afa, saranno i due anni di semiclausura, sarà lo sfracello di quasi
tutta l’informazione che nemmeno l’ipocrisia e la malafede riescono ad
attutire, ma la sensazione è quella della catastrofe imminente. Catastrofe
nazionale e globale. Come scrivono Miguel Benasayag e Gérard Schmit ne
L’epoca delle passioni tristi (Feltrinelli) “La crisi attuale è
diversa dalle altre a cui l’Occidente ha saputo adattarsi: si tratta di una
crisi dei fondamenti storici della nostra civiltà.” E di questo dovremmo
prendere atto, senza eccessivi rimpianti e senza pretese egemoniche. Perché non
dovremmo mai dimenticare il cuore di tenebra e i tanti Kurtz su cui si basa la
nostra civiltà, cresciuta sullo sfruttamento, l’eccidio, la distruzione delle
altre. Come ben sanno gli amerindi e le varie popolazioni africane.
È monotono
ripetere tutti i diversi punti di rottura, ma anche solo un elenco parziale è
da brividi.
Disastro
ambientale e climatico: si calcolano 7 milioni di morti all’anno per malattie
causate dall’inquinamento (secondo dati OMS nel 2020 i morti di Coronavirus
sono stati 3 milioni). Inutile ricordare lo scioglimento dei ghiacciai (che
porta con sé una drastica diminuzione delle risorse idriche: basta pensare a
che cosa succederà a tutta l’Italia settentrionale).
E la
plastica che soffoca gli oceani: 300 milioni di tonnellate di plastica
all’anno, di cui oltre 300.000 finiscono in mare (e quindi nella catena
alimentare dei pesci), come ricorda Tonino Perna nel suo La memoria e
la luce, Claudiana.
E la
concentrazione di anidride carbonica nell’aria, le megalopoli in cui vive ormai
il 55% della popolazione mondiale (7,8 miliardi di individui), cresciuta di 4
volte dagli anni Trenta del secolo scorso (2 miliardi di individui). Per
arrivare, nel 1800, a 1 miliardo ci son voluti 200.000 anni. I più paranoici
sostengono che il Coronavirus sia stato intenzionalmente prodotto e diffuso
proprio per smaltire un po’ di abitanti… Intanto, come ricorda il
meteorologo Federico Grazzini commentando sul
“Manifesto” del 3 luglio 2021 l’eccezionale ondata di calore di questa torrida
estate, ci stiamo avvicinando ai 56°, cioè alla temperatura massima assoluta
mai registrata finora sulla Terra.
Devastazione
dell’agricoltura tradizionale grazie a sementi ibride, e quindi sterili,
protette da brevetti e da ricomperare ogni anno. E riduzione delle varietà:
monoculture che riducono la biodiversità imposte nelle piantagioni da quello
che Nicoletta Dentico in Ricchi e buoni?, EMI, definisce il
filantrocapitalismo delle Fondazioni (alla Bill Gates, per intenderci, o alla
Bill Clinton). E concimi chimici e diserbanti che avvelenano uccelli (ho
seguito coi miei occhi la progressiva scomparsa di molte specie avicole, anche
in alta montagna) e insetti (le api a esempio), pregiudicando così anche il
ciclo dell’impollinazione.
Crisi dell’
Europa, nata male e cresciuta peggio, sempre più succube degli Stati Uniti e
della costosissima Nato e infettata da Stati che non avrebbero mai dovuto farne
parte sia in base agli accordi (ahimé, solo verbali, come ha ricordato più
volte Sergio Romano) tra Bush e Gorbacev sia perché rivelatisi poi
dichiaratamente antidemocratici e bigotti. E in proposito sono da considerare
anche le fratture, le contraddizioni e gli intrighi della Chiesa cattolica:
papa Francesco, pur con tutti i suoi meriti, soprattutto oratori, non è
riuscito a scalfire il nocciolo duro del Vaticano e la fronda di molti vescovi,
controcanto tradizionalista a quel che resta del cattolicesimo.
Infame
trattamento dei migranti, rifiuti umani tenuti lontano dai paesi ricchi e
venduti a paesi come la Libia, che, tra l’altro, non ha mai firmato la
Convenzione di Ginevra sui rifugiati (1951) e che paghiamo perché li tenga
prigionieri, li torturi e ne faccia tonnina. Vergogna nostra e dell’Europa
tutta. Idem con la Turchia, che fa parte della Nato (partecipazione molto
apprezzata anche dal nostro presidente Draghi). Vorrei solo che tutti
leggessero una breve lettera ricordata in un capolavoro della saggistica di
questi anni: “Nel marzo 2005 una barca di migranti salpò dal porto di Dakar
diretta alle Canarie. Si perse in mare aperto, probabilmente per un guasto al
motore. Venne ritrovata quasi un anno dopo al largo delle Barbados, nel Mar dei
Caraibi, i cadaveri essiccati dei passeggeri ancora a bordo. Prima di morire
una giovane donna del Mali aveva scritto un biglietto in francese che era
ancora leggibile: “Volevo solo aiutare la mia famiglia. Mi dispiace.” (citata
in: Eriksen, Fuori controllo, Einaudi, 2017, p.94)
Crisi della
politica, sopraffatta dal mercato, dal profitto, e dall’elettronica, che
abolisce ogni forma di mediazione. E lo Stato sociale, grande realizzazione del
Novecento, si è liquefatto, mentre ancora non vogliamo prendere atto che Cina,
India, Russia sono Stati indipendenti con cui bisognerebbe collaborare o
perlomeno trattare anziché pretendere che ci obbediscano. In nome di che cosa,
poi? Della nostra ottusa volontà di mantenere il controllo economico del
pianeta? Davvero convinti che crescita e sostenibilità possano convivere?
D’altro canto: quale prospettiva di successo hanno le alternative su piccola
scala?
Ora
facciamo un’ipotesi, se non della realtà almeno della possibilità: e se questi
cinque elementi di crisi a un certo punto confluissero tutti insieme in un
unico grande disastro?
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