Scalatori in coda sull’Everest
Altri due
alpinisti — un irlandese e un britannico — sono morti oggi su un Everest sempre
più sovraffollato e pericoloso: si sommano alle tre precedenti perdite di due
giorni fa, le due di mercoledì e ad altre tre morti nei giorni precedenti,
portando a dieci il bilancio di una folle settimana mortale sulla vetta più
alta del mondo. «Un alpinista britannico è arrivato sulla vetta, ma è
collassato dopo 150 metri di discesa», ha detto Murari Sharma, della Everest
Parivar Expedition. «Giovedì sono morti altri due scalatori indiani
sull’Everest», aveva riferito venerdì all’agenzia Afp Mira Acharya, portavoce
del Dipartimento del turismo del Nepal. L’indiano Kalpana Das, 52 anni, aveva
raggiunto la vetta, ma è morto ieri pomeriggio mentre scendeva, mentre un
numero enorme di scalatori si era messo in coda in prossimità della cima. Anche
un altro scalatore indiano, il 27enne Nihal Bagwan, è morto sulla strada del
ritorno dalla cima. «Era bloccato nel traffico per più di 12 ore ed era
esausto. Le guide Sherpa lo hanno portato al Campo 4 ma è spirato là», ha
spiegato Keshav Paudel di Peak Promotion.
Bloccati dal «traffico»
Mercoledì
l’esperta scalatrice indiana Anjali Kulkarni, 55 anni, è morta sulla via del
ritorno dall’arrampicata alla vetta, ha confermato il figlio Shantanu Kulkarni
alla Cnn. Era rimasta bloccata nel “traffico” sopra il campo quattro, che a
8.000 metri è il campo finale prima della vetta. Anche l’alpinista americano
Donald Lynn Cash, 55 anni, è deceduto mercoledì dopo essere svenuto a causa di
un malessere dovuto all’alta quota mentre discendeva dalla vetta, riferisce la
compagnia di spedizione nepalese Pioneer Adventure Pvt. Ltd. Un alpinista
austriaco è invece morto sul lato settentrionale del Tibet, ha confermato
l’organizzatore della spedizione: il 65enne è deceduto vicino al vertice della
montagna, durante la discesa. La scorsa settimana, un alpinista indiano è morto
e un alpinista irlandese è morto dopo essere scivolato e caduto, sempre nei
pressi della cima.
11.000 dollari di permesso a persona: un affare per il Nepal
Molti
alpinisti, non professionisti, salgono con le bombole di ossigeno che rischiano
di consumarsi nell’attesa che «ingorghi» e rallentamenti si risolvano: le
riserve qui ndi si esauriscono nel momento più critico, cioè nelle ultime fasi
della discesa, quando la stanchezza fa aumentare in modo esponenziale il
rischio di incidenti. L’alpinismo in Nepal è diventato un affare redditizio
rispetto ai tempi in cui Edmund Hillary e Tenzing Norgay hanno compiuto la
prima ascesa dell’Everest, nel 1953. La nazione himalayana ha emesso finora,
per la stagione primaverile di quest’anno, 381 permessi che costano 11.000
dollari ciascuno. Ciò ha innescato i «colli di bottiglia» nel percorso verso la
vetta dopo che il cattivo tempo ha ridotto il numero di giorni disponibili per
l’arrampicata. La maggior parte degli scalatori dell’Everest è scortata da una
guida nepalese, il che significa che più di 750 persone devono percorrere la
stessa strada fino alla cima della stagione in corso. Almeno altri 140 hanno
ottenuto permessi per scalare l’Everest dal fianco settentrionale in Tibet.
Questi numeri potrebbe far superare il record dello scorso anno, ovvero le 807
persone che hanno raggiunto la vetta. Altri sette alpinisti sono morti su cime
himalayane di 8.000 metri in questa stagione, mentre restano dispersi sul Nanga
Parbat i corpi di Daniele Nardi e Tom Ballard.
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