Un mondo in continuo cambiamento
Il mondo cambia, cambiano i valori, le sensibilità, le tecnologie e,
di conseguenza gli strumenti che ci circondano, grandi e piccoli. Qualche
giorno mettendo in ordine la cantina, mi è venuta sotto mano una scatola
contenente floppy disk, un walkman e alcune audio cassette, vent’anni fa
erano oggetti comunissimi, oggi sono pezzi d’antiquariato. Dopo la rivoluzione
nelle telecomunicazioni e nel web, sembra che dopo un secolo sia giunto
il momento dei mezzi di trasporto. Tra gli attori principali in questo campo vi
sono i costruttori di autoveicoli. Si dà il caso che Torino, pur avendo
drasticamente ridotto la produzione di auto, e di conseguenza di occupati in
questo settore, sia ancora un polo importante dell’Automotive. Magari si
produce poco, tuttavia si continua a studiare e a osservare cosa avviene negli
altri paesi.
La questione ambientale
Nell’immaginario collettivo le emissioni inquinanti si associano quasi
sempre ai tubi di scarico delle automobili. Tant’è vero che quando nelle grandi
città si superano le soglie delle polveri sottili e di ossido di azoto, i
sindaci ricorrono alla riduzione o al blocco parziale del traffico veicolare. I
legislatori di gran parte del mondo industrializzato hanno reso operative
restrizioni, nelle emissioni delle autovetture, tali da incentivare sempre
di più i costruttori di queste a percorrere soluzioni alternative e ad
abbandonare alcuni idrocarburi come, ad esempio, il gasolio. La panacea risulta
essere la propulsione elettrica e, in un contesto così consolidato come il
settore automotive, che da più di cent’anni ha adottato universalmente il
motore a scoppio a quattro tempi, si tratta indubbiamente di una rivoluzione
epocale.
Ritorno alle origini
In realtà di nuovo, a parte i materiali in gioco, c’è ben poco, perché
l’industria automobilistica all’inizio del XX secolo era soprattutto orientata
verso la propulsione elettrica. La stessa Ford ha realizzato i suoi primi
modelli con questo tipo di motori. Il bassissimo costo della benzina, unito
alla facilità del trasporto e della distribuzione, ha determinato
l’affermazione dei motori che, per funzionare, bruciano combustibili fossili.
In momenti diversi, anche a causa di crisi petrolifere e allarmi dell’imminente
fine della sua disponibilità, l’industria automobilistica ha proposto vetture
elettriche, non riuscendo però mai a far eclissare il dominio delle altre.
Anche perché alla presentazione di queste alternative non si attuavano
politiche e riorganizzazioni di distribuzione e fruizione di corrente elettrica
a buon mercato per l’autotrazione, nelle città e nelle reti stradali.
La volta buona?
L’emergenza ambientale e la necessità di concretizzare qualcosa per
attenuare almeno in parte le emissioni di CO2 nell’atmosfera hanno determinato
politiche che potrebbero far affermare l’auto elettrica. Utilizziamo il
condizionale perché, stando ai dati riportati dall’European Automobile
Manufacturers Association (ACEA), nell’Unione Europea nel 2018 la vendita di
vetture elettriche e ibride ha raggiunto appena il 2% del mercato.
Tipologie
A parte le auto ibride (HEV) che, accoppiando all’elettrico un motore a
scoppio convenzionale, continuano, anche se in misura minore, a inquinare, le
vetture elettriche sono tutte equipaggiate da uno o più motori elettrici,
composti da una parte fissa (statore) e una rotante (rotore); questi hanno
dimensioni di ingombro decisamente inferiori rispetto ai motori endotermici e
un’efficienza molto più alta, possono essere alimentate da corrente fornita o
da batterie presenti a bordo (BEV) o da una reazione chimica di ossidazione dell’idrogeno,
celle a combustibile (Fuel Cell). Tra le prime troviamo vetture come le Tesla,
e la più economica Nissan Leaf. Tra le seconde la Toyota Mirai. Le prime sono
concettualmente più semplici, anche se l’insieme delle batterie montate in auto
hanno un’ architettura molto complessa, ben distante da quella presente nei
telefoni cellulari. Le seconde richiedono un dispositivo (cella) che ,ossidando
l’idrogeno presente in un serbatoio con l’ossigeno presente nell’atmosfera,
produce corrente elettrica e, come prodotto di scarto, acqua calda. Le batterie
a ioni di litio, molto performanti, trovano una larga applicazione sulle auto
elettriche; una volta esaurite diventano un rifiuto tossico di complessa
gestione. Ciò rappresenta la loro criticità maggiore. Le vetture BEV sono
caratterizzate da un elevato numero di batterie a ioni di lito nel loro
interno, queste possono arrivare a pesare fino alla tonnellata, per essere
ricaricate possono occorrere più di otto ore, inoltre si possono manifestare
fenomeni di autocombustione che non è possibile spegnere. Quelle a “fuel cell”
dipendono dall’idrogeno, che non è presente in natura sulla superficie
terrestre, ed è difficile da stoccare, trasportare e anche mantenere in
vettura.
Occhio agli annunci sensazionali
Ci sono produttori che catturano l’attenzione grazie ad annunci
sensazionali, promettendo ricariche in tempi brevissimi, e autonomie prossime
ai seicento chilometri, mantenendo velocità sostenute. Peccato che manchi una
effettiva verifica o un contraddittorio. Le ricariche rapide possono essere una
soluzione una tantum ma, se effettuate con continuità, riducono drammaticamente
il ciclo vitale delle batterie, il costo di acquisto di una vettura elettrica
continua ad essere superiore del doppio rispetto a quelle tradizionali, quando
una vettura a batterie si incendia, bisogna aspettare che l’incendio si
esaurisca. Ma soprattutto non si sa ancora come gestire le batterie esauste, in
ultimo non si capisce perché anche se si è in riserva si debba andare in giro
con un peso di diversi quintali determinato dal pacco batterie.
L’esempio del Giappone e Corea
La giapponese Toyota negli anni ’90 realizzò prima la tecnologia delle
celle a combustibile (1992) e poi quella ibrida. Vista la complessità della
gestione dell’idrogeno, concentrò i suoi sforzi sull’ibrido, intuendone il
successo commerciale, ma continuando a sviluppare quella dell’idrogeno. Gli
altri costruttori del Sol Levante e della vicina Corea hanno seguito la stessa
via. Attualmente Toyota è il leader delle vetture ibride e ha dirottato sulla
nuova vettura Mirai, a fuel cell, quasi tutti i componenti impiegati
sull’ibrido. Dal momento che la criticità è rappresentata dal contenimento
dell’idrogeno, la Toyota si è focalizzata trasferendo ad altri partner lo
sviluppo dei componenti già maturi. Siccome lo stoccaggio e la distribuzione
dell’idrogeno rappresentano sfide e un impegno vitale per l’affermazione di
questo tipo di automobili (e non sostenibili da un unico soggetto), l’intera
industria automobilistica giapponese si è assunta l’onere di farsene carico,
finanziandola. Nel 2020 si svolgeranno a Tokyo i prossimi Giochi Olimpici, e
molti sguardi saranno rivolti lì. Per quell’occasione, tutto ciò che sarà
coinvolto nelle Olimpiadi sarà movimentato con auto, bus e camion, alimentati a
idrogeno, e questo influenzerà il mondo.
E quello degli USA e dell’Europa
Gli Stati Uniti sono il Paese del fenomeno Tesla, un’azienda giovanissima,
che non ha nulla in comune con gli storici marchi automobilistici. Il fondatore
è Elon Musk, proprietario inoltre della Space X, azienda produttrice dei
missili per la NASA. Entrambe sono state create dal nulla e sono diventate fin
da subito un esempio da emulare. In particolare, Tesla ha l’obiettivo di
diventare leader mondiale dell’auto elettrica. Anni fa presentò la Model
3,annunciandola in vendita per trentamila dollari, l’equivalente di una
qualsiasi vettura media convenzionale. Ha raccolto più di quattrocentomila
ordini, ciascun interessato ha versato anticipatamente 1000 $. Purtroppo
l’azienda ha incontrato enormi problemi sul fronte produttivo e in tempi brevi
il prezzo è stato corretto verso l’alto: attualmente in USA è in vendita a
partire da 45 mila dollari. In Europa si è aspettato molto prima di fare le
cose seriamente; i tedeschi e i francesi sono quelli meglio attrezzati, perché
se Renault grazie all’alleanza con la giapponese Nissan disponeva da subito
delle tecnologie sull’elettrico, le aziende come Siemens, Bosch, Bollorè e
Peugeot si davano da fare sull’altra mobilità sostenibile, quella delle
biciclette e degli scooter elettrici, acquisendo quelle competenze che sarebbero
state utili anche sulle auto del futuro.
Cosa succede in Italia (FCA)
Negli anni novanta oltre alla Toyota c’era anche la Fiat che sperimentava
auto elettriche; addirittura, la Panda Elettra fu la prima auto elettrica ad
essere commercializzata al grande pubblico, ad essa fece seguito la Seicento
che adottava architetture e soluzioni che si trovano anche su quelle attuali.
Nel 2000 venne inoltre presentata la Multipla Ibrida, che contrariamente a
quanto annunciato non venne messa in vendita. Poi arrivò la crisi del nuovo
millennio, la Fiat rischiò seriamente il fallimento, e a salvarla fu chiamato
Sergio Marchionne che, influenzato dai numeri, considerava la trazione
elettrica un inutile sperpero di denaro. La successiva messa al bando del
diesel, motorizzazione regina della Fiat, imponeva però rapidi cambi di
strategie. Per ora siamo solo agli annunci, a differenza della concorrenza non
ha alcuna vettura in listino, né ibrida né elettrica. I piani prevedono entro
il 2020 la commercializzazione delle attuali Jeep Renegade e Compass in
versione ibride e, come soluzione totalmente elettrica, la sola 500, di
prossima produzione nello storico stabilimento torinese di Mirafiori,
attualmente sotto utilizzato. Come accennato in precedenza, le auto con batterie
azzerano le emissioni di CO2, aspetto niente affatto irrilevante; tuttavia
generano l’imminente problema della gestione delle batterie esauste e, intanto,
il numero delle colonnine pubbliche per la ricarica presenti su strada è ancora
piuttosto esiguo.
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