La giornata del 15 marzo 2019 potrebbe diventare una data di partenza per
la nascita di un movimento che ci rimette con i piedi per terra, tutti responsabili
del futuro del pianeta e delle specie viventi che ospita, fra le quali anche
noi umani.
E non possiamo che essere tutti d’accordo, anche quei sindacati che
difendono fabbriche inqualificabili pur di preservare posti di lavoro, anche se
tossici; anche i politici che hanno approvato l’installazione di aziende
inquinanti, non possono che far finta di applaudire tutti questi ragazzi che
improvvisamente sembrano essere diventati molto più coscienti dei loro padri e
dei loro nonni sul pericolo incombente di una catastrofe climatico-ambientale.
Catastrofe da mezzo secolo annunciata e ignorata, causata dalle emissioni degli
idrocarburi in massima parte e da altri inquinanti responsabili dell’effetto
serra, del conseguente costante aumento delle temperature medie sul globo e
dello scioglimento dei ghiacciai che, a loro volta, provocano l’innalzamento
del livello dei mari e l’erosione progressiva dei litorali, con la scomparsa di
zone costiere e addirittura di piccole isole. Le terre e i mari sono inondati
dalla plastica e da altri rifiuti. Ma se il mare non respira soffochiamo anche
noi.
Sembra si sia innescata una catena inarrestabile, i cui effetti stanno già
iniziando a verificarsi un po’ in tutto il pianeta, col moltiplicarsi dei
fenomeni metereologici bizzarri e violenti, periodi di siccità alternati a
catastrofiche alluvioni, cicloni e trombe d’aria. I giovani interrogano i
potenti della Terra, ma anche ognuno di noi : quanto abbiamo fatto prima per
evitare questa situazione drammatica?
Ma l’insorgere sul piano dell’impegno globale dei giovani e dei ragazzi è
anche un avviso ai naviganti. Non si possono più eludere questi temi: il tema
dei cambiamenti climatici è connesso alle guerre e alle migrazioni, alle
fabbriche di armi e agli esperimenti distruttivi, alla robotizzazione del
lavoro e al controllo sempre più capillare della vita delle persone, attraverso
le telecamere diffuse, le nuove tecnologie, l’automazione e il rapporto che si
trasferisce: non più da persona a persona , ma da persona a robot. Il tutto ad
opera di una macchina capitalistico-finanziaria che, pur corrispondendo ai
cognomi di poche decine di migliaia di famiglie in tutto il mondo, riesce a
rastrellare oltre la metà dei possedimenti e del denaro di una popolazione di
otto miliardi. E’ come se volessero continuare fino all’ultimo a spremere il
pianeta, a sondarlo, trivellarlo, sconquassarlo, pur di aumentare la corsa al
profitto, alla potenza finanziaria che diventa potenza politica e, in breve,
rischia di diventare un potere assoluto. A quale folle scopo, se poi l’umanità
si estingue? Ma chi insegue il profitto è dentro una macchina-azienda che
produce un vortice inarrestabile e, come un militare in battaglia, si lava il
cervello da ogni dubbio. Storie di ordinaria follia, come avrebbe detto Charles
Bukowski. Ma purtroppo assai più drammatiche di quelle che ci raccontava lo
scrittore.
C’è un filo conduttore che ci sta portando a questa sempre più probabile
catastrofe planetaria. E’ quello della predazione delle risorse della Terra,
comprendendo fra queste anche quelle vegetali e animali e perfino quelle dei
propri simili. La guerra, orrida opera che solo la specie umana è riuscita a
mettere in scena, ha il marchio biblico dei discendenti di Caino e Abele,
mentre la violenza in natura è lasciata alla catena alimentare, dove il
carnivoro preda l’erbivoro, che a sua volta consuma i vegetali, ma pur sempre
in un equilibrio, che significa sopravvivenza per ciascuna vita. Le lotte per
il possesso del territorio, fra gli animali della stessa specie, hanno per lo
più un carattere simbolico e raramente sfociano nel sangue.
L’uomo ha creduto, lungo l’asse della sua Storia, ma soprattutto
nell’ultimo secolo e ancor più platealmente negli ultimi vent’anni, di potersi
affrancare dall’abbraccio di una Natura che sentiva matrigna. Una ribellione
esistenziale, intellettuale, artistica, con l’impeto di dimostrare che la casa
Terra ci è stretta, che le potenzialità della nostra immaginazione sono
infinite. Coi nostri veri drammi e le nostre vere passioni di esseri alla
ricerca di se stessi. L’uomo ha creduto ciecamente nel progresso delle scienze
e delle tecnologie, non tanto per quella passione di scoperta che accomuna ogni
bambino, ma soprattutto perché ciò gli ha fatto credere di essere padrone della
Terra e ha potuto utilizzare ogni nuova conoscenza applicata per accrescere la
propria potenza, incurante del resto.
Quel che l’umanità, a partire da ciascun essere, è chiamata a superare e a
trascendere, non è solo il sistema capitalistico che porta all’accumulazione
della ricchezza in poche mani e allo sfruttamento di moltitudini, ma lo stesso
sistema predatorio adottato dalla specie umana nei confronti della Natura,
nell’assurdo rimosso collettivo di non esserne intima parte.
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