Il risultato, quello nazionale almeno, delle elezioni
europee disegna un’Italia distante dai temi
ambientali e, sopratutto
del cambiamento climatico. E’ inutile scoraggiarsi. Bisogna solo comprendere
che non dobbiamo attenderci nulla dai
partiti di massa e dai mezzi di comunicazione confindustriali che
li sostengono. Loro guardano all’oggi, non al futuro come invece fa la
nostra Greta Thunberg.
Dobbiamo comprendere, in definitiva, che, se
vogliamo cambiare il mondo, dobbiamo
rimboccarci le maniche e attivarci in prima persona. L’ampia partecipazione, lo
scorso marzo e poi il 24 maggio, ai cortei per la difesa del Clima evidenzia che non siamo poi così in pochi.
Che fare quindi? Dobbiamo, semplicemente, impegnarci
tutti quanti, singolarmente, ad attivare quei percorsi virtuosi che servono a
difendere l’ambiente. Dobbiamo farlo noi, non aspettare che giunga un
improbabile leggina del governo che ce l’imponga.
Ridurre i consumi di energia a casa, per esempio.
Usare i mezzi pubblici piuttosto che l’auto privata. Ridurre i consumi di
carne. Comprare a “chilometro zero”. Ridurre, più in generale, i consumi (che
vuol dire poi creare rifiuti, da differenziare o meno).
Occorre realizzare un bilancio delle nostre attuale
spese, della nostra “impronta ecologica”, darsi un obiettivo di riduzione
(10-20%?) e monitorarlo mensilmente.
Cambiare stile di alimentazione: un
bene per la salute e il clima
Il numero febbraio-marzo del magazine edito dall’Ordine dei
Biologi (Bio’s), nella rubrica Atlante (pag. 4), riporta la sintesi
di un interessante rapporto pubblicato
dalla rivista inglese The Lancet: “Food in the Anthropocene”, Cibo
nell’antropocene. Si tratta del risultato di uno studio che ha coinvolto una
trentina di scienziati di sedici Paesi.
Secondo gli studiosi, «raddoppiando
il consumo di noci, frutta, verdura e legumi e dimezzando quello di carne e
zuccheri, ogni anno sarebbe possibile prevenire milioni
di morti prematuri, ridurre sensibilmente le emissioni di gas serra e
proteggere la biodiversità ambientale». Non a caso loro hanno
chiamato questa dieta “planetary health”, la salute del pianeta: «altrimenti nutrire 10 miliardi di persone entro il 2050 con una
dieta sana e sostenibile sarà impossibile», sostengono.
Nulla di nuovo. Una brochure della LAV, la
Lega antivivisezione, precisa come «gli
allevamenti intensivi siano responsabili dell’emissione in atmosfera di ben il
51% dei gas serra (GHG), soprattutto di anidride
carbonica, metano e protossido d’azoto e quindi possano essere annoverati tra i
maggiori responsabili del riscaldamento globale». La LAV fa
riferimento ad un rapporto FAO del 2006, poi aggiornato.
In particolare, la LAV riporta come «nel caso del metano: il 72 % del metano totale derivante da
attività umane emesso in atmosfera proviene
sia direttamente dai processi digestivi dei ruminanti (bovini, ovini, caprini)
che dall’evaporazione dei composti presenti nel letame […] L’evaporazione dei composti azotati dai fertilizzanti e dal
letame, che ne è la seconda fonte, è responsabile della formazione di monossido
di azoto, il più potente dei tre GHG per effetto riscaldante».
In definitiva, spiega la LAV, «sostituire 1 kg di carne a settimana fa risparmiare 1872 CO2
equivalenti in un anno, mentre sostituire una lampadina da 60 W con una a basso
consumo 26».
Non consumare carne (e quindi anche salumi), o
comunque consumarla solo una volta la settimana, propagandare
tale stile di vita ai nostri amici e parenti, è un’azione concreta che
possiamo fare per difendere il Clima del
nostro Pianeta.
Al di là di cosa faccia e decida chi sta a Palazzo
Chigi.
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