Una politica
agricola comune potrebbe concorrere in maniera determinante allo sviluppo di sistemi alimentari sostenibili e al rilancio del
progetto di integrazione dell’Ue. Una proposta ambiziosa, destinata
a scontrarsi con le numerose sfide che caratterizzano il settore: dal cibo
spazzatura a basso costo che inonda i nostri mercati ai trattati commerciali di
nuova generazione, dall’illegalità diffusa allo sfruttamento dei lavoratori al
sistema dei sussidi pubblici che agevolano la grande produzione standardizzata
di massa. Abbiamo chiesto a Olivier De Shutter, co-presidente dell’Ipes-Food,
già commissario speciale dell’Onu per il diritto al cibo e attuale membro del
Comitato per i diritti economici sociali e culturali dell’Onu, come poter
affrontare questi problemi in un momento in cui la fiducia dei cittadini
nell’Ue sembra essere ai minimi storici.
De Shutter, i cittadini sono vessati dalla crisi economica e spesso
scelgono di risparmiare comprando cibo di pessima qualità a basso costo. Come
convincerli che non è questa la soluzione migliore?
La soluzione
non è solo dire alle persone di mangiare cibo più sano. Dobbiamo rendere l’opzione salutare più
semplice per tutti, specialmente per le fasce a basso reddito. Ciò significa utilizzare una serie di strumenti –
pianificazione urbana, incentivi fiscali (ad esempio tasse sulle bevande
zuccherate o Iva zero su frutta e verdura) e appalti pubblici – per costruire
ambienti alimentari sani. Abbiamo bisogno di una adeguata rete di sicurezza
sociale. Le calorie a buon mercato non possono più sostituire le politiche
sociali, che devono essere ricostruite e ridisegnate per affrontare le cause
profonde della povertà e promuovere l’accesso a un cibo sano per tutti.
L’Europa sta approvando nuovi trattati commerciali che aprono le porte a
ondate di cibo spazzatura alimentando sistemi produttivi non sostenibili. Qual
è la vostra posizione?
Il modello commerciale dell’Ue promuove lo scambio di merci a volumi
sempre crescenti, nonostante le contraddizioni con gli obiettivi di salute e
sostenibilità. Ad esempio, l’accordo di libero
scambio con il Giappone si basa su maggiori opportunità di esportazione nei
settori ad alta emissione delle carni e dei prodotti lattiero-caseari. In
parole povere, l’Ue e i suoi Stati membri devono ripensare completamente questo
modello.
Il rapporto sostiene la necessità di ricostruire la fiducia nell’Ue. Una
nuova politica alimentare potrebbe essere il veicolo di rilancio del progetto
europeista?
Il cibo è fonte
di grande preoccupazione per i cittadini. Agendo in questo settore e
rispondendo a ciò che i cittadini vogliono – cibo sano, sostenibile e prodotto
localmente – l’Ue può affermare la sua rilevanza e importanza. L’idea di una
politica alimentare è intrinsecamente più democratica delle attuali politiche
settoriali. Spostando l’attenzione dall’agricoltura
al cibo, una più ampia gamma di parti interessate può essere significativamente
coinvolta nella progettazione e valutazione delle politiche.
In che modo una nuova politica alimentare può avvantaggiare i lavoratori
del settore? In Italia si registra il fenomeno degli immigrati obbligati a
lavorare nei campi in condizioni di simil schiavitù. Come affrontare
l’illegalità diffusa?
Gli attori più
potenti del settore alimentare sono in grado di far pressione sui salari e
sulle condizioni di lavoro. A
farne le spese sono i braccianti agricoli, il personale del fast food e gli
addetti alla consegna. Ciò avviene nell’Ue e in tutto il mondo. Una
politica alimentare comune affronterebbe questo problema su tre fronti. In
primo luogo, oltre che applicare la dovuta diligenza agli importatori di
prodotti alimentari, accelererebbe le riforme già in corso a livello europeo
per reprimere le pratiche commerciali sleali e gli abusi di potere
degli acquirenti nelle catene di approvvigionamento. In secondo luogo,
obbligherebbe gli operatori a rivelare i veri costi della produzione
alimentare, consentendo di rendere visibili gli impatti negativi sul benessere
dei lavoratori.In terzo luogo, una politica alimentare comune rimetterebbe a
fuoco le politiche dell’Ue a sostegno del sistema alimentare alternativo e
delle iniziative di filiera corta per garantire i giusti introiti agli
agricoltori e ai lavoratori del settore alimentare.
In Italia il 15% della superficie coltivata è biologica ma circa il 97%
degli incentivi pubblici va all’agricoltura convenzionale. Siamo inoltre ben al
di sopra della media europea nel consumo di pesticidi. Una politica comune
potrebbe contribuire a migliorare questa situazione?
Una politica
alimentare comune consentirebbe di ridurre
i pesticidi e le esposizioni chimiche pericolose utilizzando vari strumenti
politici, con una crescente ambizione nel tempo. I passi per innalzare
la vocazione ambientale della PAC verrebbero combinati con misure necessarie
per sviluppare sistemi agroecologici diversificati e a basso input attraverso
la ricerca, con un migliore monitoraggio del suolo e con un giro di vite sugli
EDC (interferenti endocrini chimici) presenti negli imballaggi alimentari. Con normative più stringenti, e dimostrando i benefici delle
alternative agroecologiche, l’Ue non sarebbe più ostaggio di soluzioni a breve
termine. Pertanto, a lungo termine, l’Ue potrebbe eliminare
gradualmente l’uso sistematico di pesticidi nocivi come il glifosato.
I giovani italiani guardano con sempre maggior interesse alla terra per
opportunità di lavoro mentre i mercati contadini stanno crescendo anche nelle
grandi città. Come può una politica alimentare comune sostenere questo
processo?
Costruire catene di approvvigionamento più brevi e più eque è uno dei
cinque obiettivi chiave di una politica alimentare comune. Esistono già gli strumenti per sostenere le vendite dirette e le filiere
corte (ad esempio nell’ambito dello sviluppo rurale), ma sono raramente
adottati dagli Stati membri e attuati male. Nell’ambito di una politica
alimentare comune, maggiori finanziamenti sarebbero destinati a queste iniziative
e a strutture locali per sostenerle attraverso, per esempio, Consigli locali
per la politica alimentare e politiche alimentari urbane. Gli Stati membri
sarebbero obbligati a sviluppare strategie coerenti per sostenere filiere corte
e iniziative territoriali. Gli strumenti di sostegno
dell’Ue sarebbero, infine, ridefiniti per essere più accessibili per i piccoli
agricoltori e per le iniziative alimentari locali.
Articolo
pubblicato anche su L’Extraterrestre, il manifesto
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