Come la multinazionale energetica usa la
propaganda per coprire danni ambientali. In un dossier lo scarto tra realtà e
narrazione
Otto anni di condanna e una richiesta di confisca che supera il valore
della presunta tangente (oltre un miliardo di euro) che Eni avrebbe pagato per
poter sfruttare un giacimento petrolifero in Nigeria nel lontano 2011: sono le
richieste del procuratore della repubblica di Milano, Fabio De Pasquale, in
quello che è uno dei processi più complicati per l’amministratore delegato
Claudio Descalzi, riconfermato dal governo alla guida dell’azienda più
importante d’Italia in piena crisi Coronavirus.
Si torna indietro, come per uno sfortunato lancio di dadi nel gioco
dell’oca. Non sono bastate le mosse strategiche del cane a sei zampe per
posizionarsi come attore leader nel campo dell’ecologia e della tutela
dell’ambiente: il processo in corso a Milano riporta Descalzi al punto di
partenza, nella casella nera sporca di petrolio, che poi è anche il settore dal
quale proviene. Ma si sa che in questo gioco gli esiti possono essere ribaltati
in poco tempo e, proprio per questo, il comparto comunicativo del cane a sei
zampe è sempre pronto a gettare nuova vernice verde per edulcorare l’operato
dell’azienda e far comparire pomodori rossi e succosi lì dove di fertile e
florido c’è ben poco. Il riferimento è alla notizia, diffusa due giorni prima
dell’esito giudiziario da Repubblica, sulla ripresa del Circular Tour: si tratta di un
progetto nato dalla collaborazione tra Eni e Coldiretti e definito come un viaggio a tappe in alcune delle
più suggestive città italiane per raccontare l’importanza di un cambiamento nei
nostri modelli di consumo.
A causa del Covid però il viaggio sarà virtuale. L’unica cittadina che ha
avuto la fortuna di accogliere fisicamente l’evento è stata Gela, a fine febbraio.
Una città di certo non scelta per la sua suggestività quanto piuttosto per
essere sede da decenni degli impianti del cane a sei zampe e che dal 2019
accoglie una «bio» raffineria (le virgolette sono di Eni) alimentata per il
momento con olio di palma proveniente dall’Indonesia. In due giorni l’azienda,
che ha segnato e segna ancora i destini del territorio nel sud della
Sicilia, ha provato a spiegare l’importanza dell’economia circolare e
delle scelte individuali. Tra ammalianti strutture architettoniche, bande
musicali, coloratissime cartoline, piante mangia-smog e agriasili: il cibo
italiano, insieme a iniziative culturali, d’intrattenimento e di divulgazione
scientifica, rappresenta l’energia per mettere in moto nuove abitudini virtuose
nelle quali riconoscersi come un’unica comunità. Grazie a laboratori, contenuti
multimediali e attività esperienziali, Eni e Coldiretti presentano il cibo come
elemento chiave per ricostruire il rapporto tra Uomo e Terra. Di quel cibo
diffuso tramite le bancarelle del Mercato Campagna Amica, però, non c’era nulla
che provenisse dalle coltivazioni gelesi – più delle lunghe analisi a volte
sono i piccoli dettagli a spiegare determinati cortocircuiti.
Il team comunicativo della multinazionale energetica però riesce sempre a
raccontare il lieto fine, anche lì dove il principe alla fine della favola
scappa e lascia solo territori da bonificare. Una capacità senza dubbio
impressionante, tuttavia giustificata dall’ammontare che Eni destina a tale
settore. Secondo i suoi stessi dati, nel 2019 l’azienda ha speso in pubblicità,
promozione e attività di comunicazione 73 milioni di euro: per
intenderci, circa la metà di quanto Eni prevede di spendere annualmente fino al
2023 in uno dei settori fiore all’occhiello delle pubblicità stesse, ovvero
l’economia circolare. Ma la dicotomia tra realtà e narrazione è evidente in
tutti i campi. Si pensi ad esempio alle pubblicità presenti in quasi tutti i
quotidiani denominate «Eni + Chiara, Luca, Silvia, ecc» il cui focus è
raccontare un’altra Eni: più attenta alle questioni climatiche, più green, più
circolare. «Energia, solo cambiando il modo di guardare le cose, le cose che guardiamo
inizieranno a cambiare. In Eni oggi trasformiamo gli oli esausti di
frittura in componente per produrre biocarburanti avanzati»: così recita lo spot
che invita Chiara a usare la macchina il meno possibile in modo tale che
insieme, Chiara + Eni, possano fare la differenza. Come se la capacità di
incidere del singolo e di una multinazionale che ha chiuso il 2019 con un
ricavo di 71 miliardi di euro fosse identica.
Analizzando gli annunci si scopre che gli oli esausti si usano solo per la
raffineria di Porto Marghera e che tutte le altre raffinerie italiane, tranne
Gela in cui come già detto viene trattato l’olio di palma indonesiano, lavorano
ancora prodotti fossili. Inoltre, guardando il sito di Eni in un giorno
qualsiasi, nella homepage quasi non c’è traccia di petrolio. Allo stesso tempo
le fonti fossili restano il core business dell’azienda: nel 2018 gli
investimenti nellʼupstream costituivano il 74% del totale, con un incremento
costante della produzione dal 2016 e un ulteriore picco previsto per il 2025. È
evidente, di conseguenza, che una delle principali aziende italiane – che opera
in 66 paesi, conta 32 mila dipendenti, produce 1,871 milioni di barili di
greggio al giorno, vende 73 miliardi di metri cubi di gas all’anno – ha scelto
di puntare, nel racconto di sé, su quelli che di fatto possono considerarsi
aspetti marginali del business aziendale: progetti sperimentali o piccole
produzioni. Un’autonarrazione che non convince, soprattutto alla luce del fatto
che in ogni caso le presunte scelte green sono anch’esse collegate alla
necessità di massimizzare i profitti e che Eni continua a sottovalutare e a
tacere (se non a negare) l’impatto delle proprie attività nei territori in cui
opera.
Ciò è evidente osservando il dossier sul percorso di decarbonizzazione dove viene riportata una sezione che
analizza il risk management. In particolare si descrivono i rischi
e le opportunità (davvero) connesse al cambiamento climatico. A parte il tipico
cinismo capitalista di sfruttare i possibili vantaggi economici che potrebbe
comportare una crisi globale, è evidente che si tratta di un’analisi interna
rivolta agli azionisti e che non tiene conto delle conseguenze per l’ecosistema
nel suo complesso.
Più in generale il meccanismo di greenwashing permea talmente tanto
l’operato dell’azienda che come A Sud abbiamo deciso di affrontare il tema in
un dossier specifico chiamato Follow the green e
disponibile qui. Abbiamo scelto un’impostazione antitetica: da una parte come Eni si
racconta, dall’altra com’è realmente. E spesso, come per i casi riportati, per
entrambe le narrazioni i dati e i numeri sono forniti dalla stessa azienda. A
contraddire lo storytelling è insomma la stessa impresa. Quando ciò non avviene
basta ascoltare le testimonianze delle popolazioni che vivono i territori. Nei
comunicati stampa così come nei video su Youtube, negli accattivanti podcast e
nelle storie di vita così come nei reportage fotografici ci sono sempre i
protagonisti dei progetti in questione. Mai una persona che quei territori li
vive a prescindere dal lavoro.
Sia chiaro: il greenwashing non è esclusivo appannaggio di Eni. Viviamo in
un pianeta nel quale chi inquina paga. Non nel senso indicato dalle direttive
dell’Unione europea sul principio di responsabilità ambientale, quanto
piuttosto in senso opposto. Chi detiene i mezzi economici per attutire e sanare
il proprio impatto industriale sceglie invece di sviare l’attenzione, spendendo
ingenti somme in operazioni di marketing volte a intercettare le parole
d’ordine come economia circolare, sostenibilità e tutela ambientale per farne
un vessillo da ostentare. Eni, in questo senso, è una multinazionale tra tante.
Però, sarà banale dirlo, è pur sempre un’azienda in cui il socio di maggioranza
(relativa) resta lo Stato italiano. Che in questo senso potrebbe promuovere un
cambio di rotta reale, deciso e immediato.
*Maura Peca è ricercatrice del Cdca e attivista di A Sud. Andrea
Turco, giornalista siciliano, scrive di ciò che serve, di ambiente e di temi
sociali. La pubblicazione da cui sono tratte le informazioni e che
si cita nel testo è disponibile nel sito di A Sud a questo link.
Nessun commento:
Posta un commento